INTRODUZIONE ALLA PSICOANALISI (1915 - 1917)

Opere vol. 8 pp. 191 - 611

L'Introduzione alla Psicoanalisi, una delle opere di più vasto respiro e più famose di Freud, è la fedele riproduzione di 28 lezioni da lui tenute nell'Ateneo viennese dal 1915 al 1917 di fronte ad un uditorio composto da medici e da profani. L'uditorio, interessato ma sostanzialmente ignaro di psicoanalisi, giustifica uno stile divulgativo che però non incide sulla compiutezza dell'opera: Freud espone, in bell'ordine, tutte le scoperte e le conclusioni teoriche cui all'epoca è pervenuto. Si concede anche socraticamente di valutare i dubbi e le critiche avanzate dagli oppositori e dai dissidenti. Tale valutazione giunge a confermare puntualmente il paradigma freudiano. Questa autovalidazione assume il suo pieno significato, ideologico più che scientifico, se si pensa che, appena cinque anni dopo, Freud sarà costretto a riconoscerne l'inadeguatezza e a cambiarlo (cfr. Al di là del prinicio di piacere).

L'opera si divide in tre parti precedute da una breve introduzione: la prima è dedicata agli atti mancati; la seconda al sogno; la terza alla teoria generale delle nevrosi. Le prime due parti sono una sintesi divulgativa di ciò che Freud ha già scritto nella Psicopatologia della vita quotidiana e nell'Interpretazione dei sogni. La terza organizza e sistematizza ciò che egli ha scritto sulle psiconevrosi a partire dagli Studi sull'isteria. Quest'ultima si può ritenere in assoluto la più interessante e la più densa di spunti di riflessione.

Nell'introduzione Freud fa riferimento alle due affermazioni in conseguenza delle quali "la psicoanalisi offende il mondo intero e se ne attira l'avversione" (p. 205): "La prima di queste sgradevoli affermazioni della psicoanalisi è che i processi psichici sono di per sé inconsci e che di tutta la vita psichica sono consce soltanto alcune parti e alcune azioni singole… Secondo la sua definizione, lo psichico consiste di processi quali il sentire, il pensare, il volere ed essa deve sostenere che esiste un pensiero inconscio e un volere di cui si è inconsapevoli" (p. 205); l'altra affermazione "che la psicoanalisi rivendica come una delle proprie scoperte, afferma che alcuni moti pulsionali, i quali non possono essere chiamati che sessuali, sia in senso stretto che in senso più lato, hanno una grandissima parte, finora non apprezzata a sufficienza, nella determinazione delle malattie nervose e mentali" (pp. 205-206). Si tratta di due affermazioni di diverso significato. La prima fa riferimento alla scoperta di un'attività mentale che scorre sotterraneamente, in parallelo rispetto a quella cosciente e articolandosi sulla base di una logica diversa da quella propria della coscienza. La seconda fa capo all'interpretazione freudiana dell'inconscio come depositario dei moti pulsionali.

L'analisi degli atti mancati ("il lapsus verbale con le forme ad esso affini dei lapsus di scrittura, di lettura e di ascolto; la diment6icanza, con le sue suddivisioni a seconda dell'oggetto dimenticato (nomi propri, parole straniere, propositi, impressioni) e la sbadataggine, lo smarrire, il perdere" p. 247) serve a dimostrare che l'attività psichica inconscia è confermata da fenomeni che fanno parte della vita quotidiana e rappresentano "il risultato dell'interferenza di due diverse intenzioni, l'una delle quali può essere detta perturbata, l'altra pertubatrice" (p. 241). Gli atti mancati, "come indizi di un giuoco di forze che si svolge nella psiche, come l'espressione di tendenze orientate verso un fine, che operano insieme o l'una contro l'altra" (p. 246), attestano che l'attività psichica ha un carattere dinamico talora conflittuale. La tendenza perturbata coincide con la volontà cosciente del soggetto; quella pertubatrice "è ogni volta una controintenzione, un "non volere"" (p.251) che attesta una controvolontà ostile alla prima. L'analisi degli atti mancati porta dunque "ad ammettere che vi sono nell'uomo tendenze le quali possono agire senza che egli lo sappia" (p. 253). Lo statuto della coscienza si fonda dunque sulla tendenza a rimuovere tutto ciò che risulta spiacevole, sgradevole, sconveniente, e che, ciononostante, continua ad essere rappresentato a livello inconscio. Preda dell'immagine che il soggetto ha di sé e/o delle convenienze sociali, essa ha dunque uno statuto almeno in parte falsificato.

Il motivo di questa falsificazione è chiarito dall'analisi dei sogni, che occupa la seconda parte. Il sogno "nel suo complesso è il sostituto deformato di qualcos'altro, di qualcosa d'inconscio" (p. 288), un fenomeno psichico che va interpretato in nome del fatto che, sotto il suo contenuto manifesto, si celano pensieri onirici latenti. Il contenuto manifesto risulta deformato rispetto ai pensieri onirici latenti in conseguenza della censura cui questi sono sottoposti. Che senso ha questa istanza censoria, che va attribuita al preconscio? La risposta di Freud è univoca: "Le tendenze contro le quali si rivolge la censura onirica devono essere descritte innanzitutto dal punto di vista di questa stessa istanza. In tal caso si può dire soltanto che esse sono di natura assolutamente riprovevole, sconvenienti sotto il profilo etico, estetico, sociale, cose alle quali non si osa pensare o si pensa solo con ribrezzo. Questi desideri censurati giunti nel sogno ad un'espressione deformata sono prima di tutto manifestazioni di un egoismo senza limiti e senza scrupoli… L'Io, sbarazzato da tutti i vincoli etici, si sente anche solidale con tutte le pretese del desiderio sessuale, pretese che da lungo tempo sosno state condannate dalla nostra educazione estetica e che contrastano con tutte le esigenze restrittive della morale. La tendenza al piacere - la libido come noi diciamo -sceglie i suoi oggetti senza inibizione e di preferenza proprio quelli proibiti. Non solo la donna altrui, ma soprattutto oggetti incestuosi, consacrati dalla convenzione umana, la madre e la sorella per l'uomo, il padre e il fratello per la donna… Anche l'odio si sfoga illimitatamente. Desideri di vendetta e di morte nei riguardi delle persone più prossime, più care nella vita, i genitori, i fratelli e le sorelle, il coniuge, i propri figli, non sono affatto insoliti" (pp. 315-316).

La censura dunque, prodotto della cultura, tende a schermare la coscienza dall'amara verità di una natura umana inesorabilmente egoistica e malvagia. Scoprendo questo, l'interpretazione dei sogni non fa altro che "confermare l'antico detto di Platone secondo il quale i buoni sono coloro che si accontentano di sognare ciò che gli altri, i cattivi, fanno" (p. 318). Il pessimismo freudiano, già delineatosi nelle Considerazioni sulla guerra e la morte, viene ad essere ribadito: "E ora, prescindendo dagli aspetti individuali, volgete lo sguardo alla grande guerra che continua a devastare l'Europa; pensate all'eccesso di brutalità, di criudeltà e di falsità che dilaga attualmente nel mondo civile… osate anche in queste circostanze spezzare una lancia in favore dell'esclusione del male dalla costituzione psichica dell'uomo?" (p. 318).

Tale pessimismo è temperato solo da una considerazione, espressa a p. 379, dopo l'analisi dei sogni infantili che ha consentito di stabilire che "suscitatore del sogno è un desiderio, contenuto del sogno è l'appagamento di questo desiderio… (e) che il sogno non esprime semplicemente un pensiero, ma rappresenta questo desiderio come appagato in forma di esperienza allucinatori" (p 302): "Ciò che nella vita psichica è inconscio è infantile. L'impressione così sconcertante, che ci sia nell'uomo tanta malvagità, comincia a venire meno Questa spaventosa malvagità è semplicemente il tratto iniziale, primitivo, infantile, della vita psichica, che possiamo trovare operante nel bambino, ma che in lui in parte non notiamo per le sue piccole dimensioni, in parte non prendiamo sul serio perché non pretendiamo dal bambino alcuna elevatezza morale". Un tratto dunque filogenetico, che può essere più o meno accentuato a seconda della costituzione pulsionale, e che la cultura provvede a tenere a freno. La considerazione è confortante: ma, per così dire, in rapporto alla natura umana, se non è zuppa, è pan bagnato.

Il problema è che Freud stesso fornisce, senza accorgersene, gli elementi per confutare tale ideologia. Il capitolo sul simbolismo approfondisce quanto già egli ha anticipato nell'Interpretazione dei sogni. Freud non intende smentire se stesso, e dunque ribadisce che "nel sogno la stragrande maggioranza dei simboli è costituita da simboli sessuali" (p. 325). L'affermazione potrebbe essere contestata: sia in nome dell'elenco dei simboli che Freud porta come esempio, alcuni dei quali (come per esempio quello per cui le macchine complicate e difficili da descrivere stanno per i genitali maschili) sono francamente poco credibili; sia in nome del fatto che, dato che, in alcuni sogni i cui contenuti sessuali sono manifesti, la sessualità simboleggia vissuti relazionali, si potrebbe facilmente pensare anche il contrario, vale a dire che la sessualità simbolizzata stia al posto di vissuti relazionali. Il sogno traduce in immagini pensieri e fantasie inconsce, quindi esso concretizza vissuti altrimenti non rappresentabili. Ma non sono questi gli elementi di confutazione. Prima di elencare i simboli sessuali, Freud scrive: "L'ambito delle cose che trovano rappresentazione simbolica nel sogno non è grande: il corpo umano nel suo insieme, i genitori, i figli, i fratelli, la nascita, la morte, la nudità e… ancora un'altra cosa: La figura umana nel suo insieme è oggetto di un 'unica raffigurazione tipica, ossia regolare, che è la casa" (p. 324). Alla lista avrebbe potuto aggiungere l'amico, il nemico, l'estraneo, lo straniero, ecc. Come per i simboli sessuali, anche per questi il sogno può utilizzare degli oggetti naturali o artificiali. Nelle interpretazioni dei sogni Freud di fatto riconduce tutti gli elementi rappresentati all'umano: l'io, l'altro e la relazione che tra di essi si intrattiene. Se questo è vero, ciò significa né più né meno che l'inconscio è antropomorfico. L'antropomorfismo è una caratteristica arcaica dell'inconscio che si mantiene ancora oggi inalterata. Ricondurre questo aspetto al fatto che il protagonista unico nel sogno è l'Io con i suoi moti pulsionali è insostenibile perché più si va indietro nella storia dell'umanitù più l'individuo appare e si sente appartenente ad un gruppo sociale e si riconosce in virtù delle relazioni che intrattiene. L'antropomorfismo definisce dunque la cattura esercitata dal mondo sociale sulla psiche umana.

Questa caratteristica compromette il concetto fondamentale della teoria dell'interpretazione dei sogni, quello secondo il quale il sogno è sempre e comunque l'espressione di un appagamento del desiderio. E compromette anche un'ulteriore conclusione logica cui Freud giunge, secondo la quale "il sogno non vuol dire niente a nessuno, non è un veicolo di comunicazione, al contrario è destinato a rimanere incompreso" (p. 399). Conclusione conseguente all'ipotesi per cui la pulsione tende solo alla scarica e al soddisfacimento, ma incompatibile con l'antropomorfismo per cui l'inconscio parla dell'uomo e del suo rapporto con l'altro.

Alla teoria generale delle nevrosi, che occupa la terza parte, sono dedicati ben tredici capitoli. Essa si inaugura con l'affermazione che si può ritenere ancora oggi il fondamento della psichiatria dinamica: "il sintomo è dotato di senso ed è connesso con l'esperienza vissuta del paziente" (p 420). Tale affermazione diventa ancora più importante se si tiene conto di ciò che Freud scrive a pp. 432-433: "Quanto più individualizzata è la forma del sintomo, tanto più possiamo sperare di riuscire a stabilire la connessione (con l'esperienza del paziente). Sarà allora nostro compito semplicemente di rintracciare, per un'idea senza senso o un'azione senza scopo, quella situazione passata nella quale l'idea era giustificata e l'azione rispondeva ad un fine… ci sono però, e anche molto spesso, sintomi a carattere completamente diverso. L' si deve denominare sintomi "tipici" della malattia; sono pressappoco uguali in tutti i casi, in essi le differenze scompaiono, o quanto meno si riducono a tal punto che diventa difficile metterli in rapporto con l'esperienza individuale dell'ammalato e riferirli a singole situazioni vissute… Se i sintomi individuali dipendono in forma così inconfondibile dell'esperienza del malato, resta possibile che i sintomi tipici risalgano a un'esperienza che è tipica in sé, comune a tutti gli uomini".

Sarebbe difficile minimizzare l'importanza psicopatologica di questo rilievo. I sintomi tipici rappresentano la struttura delle esperienze psicopatologiche. Sono essi che consentono di formulare una diagnosi psicodinamica e di distinguere una struttura psicopatologica da un'altra, per esempio una struttura ossessiva da una isterica, senza negare i nessi che si danno tra le strutture e le trasformazioni cui possono andare incontro. I sintomi tipici sono le invarianti psicopatologiche a partire dalle quali si può costruire un modello psicopatologco teorico, formale, affrancato dai contenuti individuali. Tale modello vede nei sintomi le vie finali comuni che imboccano le esperienze più varie laddove, nel loro tragitto, si definiscono dei conflitti psicodinamici. Ciò significa che i conflitti hanno essi stessi un aspetto strutturale e, come Freud ha intuito, si riconducono a qualcosa che è comune a tutti gli uomini. Questo aspetto, però, data la varietà dei sintomi, non può essere ricondotto all'incompatibilità tra moti pulsionali e esigenze sociali. Freud forse se ne rende anche conto, ma all'epoca rimuove questo problema.

In conseguenza di questo la teoria delle nevrosi freudiana rimane vincolata alla teoria delle pulsioni e, in particolare, alle vicissitudini infantili di questa. La premessa perché si dia una nevrosi è, pertanto, univocamente "una frustrazione" che si realizza "quando la realtà si oppone al soddisfacimento dei desideri sessuali" (p. 459). La frustrazione, se non viene tollerata, dà luogo ad una fissazione, vale a dire al rimanere una quota pulsionale ferma ad una fase di sviluppo. Per quanto la fissazione possa incorrere in un fenomeno di rimozione, per cui la tensione pulsionale è del tutto al di fuori della coscienza, essa determina costantemente una resistenza al trattamento. E' come se il paziente, pur desiderandolo, non "vuole" guarire. In realtà l'analisi della resistenza porta ad "avvertire potenti forze che si oppongono a un mutamento della sua condizione; devono essere quelle stesse forze che a suo tempo hanno provocato questa condizione" (p. 453). Da questo punto di vista, i sintomi sono "risultati di compromesso, scaturiti dall'esistenza di due correnti contrastanti, e fanno le veci tanto di ciò che viene rimosso quanto della forza rimovente che ha pure cooperato alla loro formazione" (461). Tali forze sono da ricondurre per un verso alla quota pulsionale rimasta fissata in un'epoca arcaica dello sviluppo, che tende a rivendicare la sua soddisfazione ciecamente, e per un altro verso al preconscio, laddove si fanno valere le esigenze della vita sociale, della cultura, della moralità, in breve le esigenze della civiltà. La pulsione in gioco nel conflitto nevrotico è univocamente quella sessuale, la cui fissazione avviene in epoca infantile. Dato che il passaggio dal principio di piacere a quello di realtà, che implica il superamento dell'appagamento del desiderio, riconosce il suo snodo nel superamento del complesso edipico, la conclusione freudiana e che questo "è ritenuto, a ragione, il nucleo della nevrosi" (p. 494).

La teoria della libido, ormai, domina sovrana nella mente di Freud. L'effetto di questa costrizione ideologica è che la finezza fenomenologica con cui egli ricostruisce i sintomi e i vissuti propri delle nevrosi e l'intuizione che lo porta ad identificare nell'angoscia lo stato emozionale che le sottende tutte, viene infine mortificato dalla conclusione per cui: "la trasformazionne in angoscia - o, meglio, la scarica sotto forma d'angoscia -è la sorte immediata che spetta alla libido colpita da rimozione" (p. 561).

E' un'intrinseca necessità di coerenza, promossa anche dalle critiche di Adler e di Jung, che porta Freud ad estendere quella teoria all'Io e alla nevrosi narcisistica (la schizofrenia). Se infatti la distinzione tra puslioni sessuali e pulsioni dell'Io appare sufficiente a spiegare la genesi dei conflitti psiconevrotici, "l'ipotesi che la libido oggettuale possa trasformarsi in libido dell'Io, che si debba quindi fare i conti con una libido dell'Io, ci è parsa l'unica in grado di risolvere l'enigma delle cosiddette nevrosi narcisistiche, per esempio della demenza praecox" (pp. 570-571). "Il ritrarsi della libido oggettuale nell'Io non è direttamente patogeno… Ma tutt'altra cosa è quando un determinato processo, dotato di forte energia, impone a forza il ritiro della libido dagli oggetti. La libido divenuta narcisistica può allora non trovare la via di ritorno agli oggetti e questo impedimento alla mobilità della libido diventa effettivamente patogeno" (571). L'interesse per le nevrosi narcisistiche apre la psicoanalisi sul fronte della "conoscenza di come il nostro io è composto e di come è strutturato in istanze" (p. 578).

Da queste premesse discende il discorso sulla terapia analitica. Immediatamente il discorso sembra fare capo a principi logici: "Chissà che il nostro giovamento non consista nel sostituire l'inconscio con il cosciente, nel tradurre l'inconscio nel cosciente? Esatto, è così. Nel far procedere l'inconscio fino alla coscienza, noi aboliamo le rimozioni, eliminiamo le condizioni per la formazione dei sintomi, trasformiamo il conflitto patogeno in un conflitto normale che deve trovare in qualche modo una risoluzione… Possiamo esprimere il fine dei nostri sforzi in diverse formule: rendere cosciente l'incoscio, abolire le rimozioni, riempire le lacune della memoria; tutto questo mette capo alla stessa cosa" (pp. 584 -585).

Sulla via della guarigione però si dà un ostacolo imprevisto: l'affiorare nei pazienti di un'ambivalenza emotiva, che associa a sentimenti di tenerezza e di amore sentimenti di ostilità, ricolti nei confronti del medico. Si tratta del fenomeno della traslazione, al quale Freud attribuisce un significato fondamentale. La traslazione rappresenta infatti una nuova nevrosi che sostituisce la prima e riattualizza i motivi originari da cui questa è nata, sicché: "domare questa nuova nevrosi artificiale significa anche eliminare la malattia portata nella cura, significa risolvere il nostro compito teraputico" (p. 593). Nella misura in cui la traslazione riattualizza il passato, essa offre anche la conferma definitiva "sul significato dei sintomi come soddisfacimenti libidici sostitutivi" (p. 594). E' evidente infatti, nella logica freudiana, che se il paziente, in uno spazio di rapporto interpersonale come quello terapeutico, relativamente neutrale, giunge a provare sentimenti ambivalenti particolarmente intensi, è perché egli li ha già provati in passato nei confronti delle figure genitoriali. Se essi peraltro persistono a distanza di anni dall'infanzia, e conservano il loro carattere dereistico e immaginario, è chiaro che tale carattere esisteva anche originariamente.

Questa logica, per cui tutto ciò che accade nel corso del rapporto teraputico, conferma i presupposti della teoria analitica, e in particolare la genesi delle nevrosi in quanto dovuta al gioco delle pulsioni e dei desideri infantili, è stata definita successivamente con il termine psicoanalismo. Di fatto il dispositivo analitico freudiano sembra una trappola collocandosi nella quale il soggetto non può e non deve fare altro che fornire le prove di ciò che Freud sa già.

Anche la soluzione ultima cui perviene l'analisi, e che porta alla guarigione, corrisponde ad uno schema univoco: "Il lavoro terapeutico si scompone quindi in due fasi: nella prima tutta quanta la libido, tolta ai sintomi, viene spinta nella traslazione e ivi concentrata, nella seconda viene condotta la lotta intorno a questo nuovo oggetto, finché la libido non viene liberata da esso. Il mutamento che determina l'esito favorevole è, in questo rinnovato conflitto, l'esclusione della rimozione, per cui la libido non può più sottrarsi all'io con la fuga nell'inconscio… Attraverso il lavoro interpretativo, che trasforma in conscio ciò che è inconscio, l'Io viene ingrandito a spese di questo inconscio; attraverso l'insegnamento, viene reso conciliante verso la libido e incline a concederle un qualche soddisfacimento, e il suo orrore di fronte alle richieste della libido viene ridotto dalla possibilità di liquidarne una parte attraverso la sublimazione" (p. 603).

Rimane solo da capire, se la libido con la sua cieca spinta verso il soddisfacimento è un fattore universale, perché alcuni ammalano e altri no: in breve, se le nevrosi sono "malattie endogene o esogene" (503). La risposta di Freud sembra equilibrata e ragionevole: "Dal punto di vista etiologico i casi di malattie nevrotiche si dispongono in una serie entro la quale entrambi i fattori - costituzione sessuale ed esperienza, oppure, se preferite, fissazione della libido e frustrazione - sono presenti in modo tale che quando l'uno cresce, l'altro diminuisce. A un capo della serie vi sono i casi estremi, dei quali potete dire con convinzione:questi individui, in seguito al singolare sviluppo della lro libido, si sarebbero ammalati in ogni caso, quali che fossero state le loro esperienze, per quanto accuratamente la vita li avesse risparmiati. All'altro capo vi sono i casi di coloro a proposito dei quali, vicebersa, dovete ritenere che sarebbero certamente scampati alla malattia se la vita non li avesse messi in questa o in quella situazione" (p. 504). Ma, a ben vedere, la risposta è tutt'altro che equlibrata. Primo, perché ammettere la possibilità che vengano al mondo persone destinate ad ammalare quali che siano le condizioni ambientali significa avallare un pregiudizio genetico senza fondamento. Secondo, perché tutti i casi che Freud espone, in questo come in altri libri, a partire dal superamento dell'originaria teoria della seduzione, depongono a favore dell'ipotesi dell'eccesso pulsionale.