Immagine interna come fondamento dinamico della personalità

1.

L'autoconsapevolezza umana è imprescindibile da un'immagine interna cosciente, vale a dire da una serie di attribuzioni positive e/o negative in virtù delle quali un soggetto definisce se stesso. Le attribuzioni concernono l'aspetto fisico (bello-a/brutto-a), l'intelligenza (acuto-a/stupido-a), l'emozionalità (sensibile/insensibile, tranquillo/ansioso, triste/allegro, ecc.) l'orientamento caratteriale (estroverso-a/introverso-a, controllato-a/ impulsivo-a, accondiscendente/aggressivo-a, forte/debole, ecc.), il comportamento sociale (altruista/egoista, socievole/diffidente, competitivo-a/non competitivo-a, adeguato-a/inadeguato), le qualità morali (buono-a/cattivo-a, onesto-a/disonesto-a, affidabile/non affidabile), ecc.. L'insieme di queste attribuzioni definisce non solo il modo in cui il soggetto si vede, ma anche le sue aspettative sociali, vale a dire il modo in cui egli prevede che gli altri lo giudichino e si rapportino a lui.

La genesi dell'immagine interna cosciente non è tanto misteriosa come potrebbe apparire. Si ammetta o meno l'esistenza di una coscienza preriflessiva di sé, vale a dire di una sorta d'intuizione innata della propria individualità, è fuori di dubbio che sono le interazioni sociali con l'ambiente ad avviare la definizione dell'immagine interna. Ogni bambino è investito dagli adulti di una serie di attribuzioni (bello/brutto, buono/cattivo, intelligente/stupido, ecc.) che vengono interiorizzate. Il calco dell'immagine interna cosciente è, di fatto, l'immagine che gli adulti hanno del bambino.

Il nucleo interiorizzato dell'immagine interna si definisce, ulteriormente, attraverso le interazioni sociali e il delinearsi di una dimensione introspettiva nel corso dell'evoluzione della personalità. Le interazioni sociali sono contrassegnate dalla reciprocità. Il soggetto riceve dall'esterno delle conferme e/o delle disconferme concernenti il suo essere e, nello stesso tempo, cerca di produrre negli altri un'immagine sociale corrispondente a ciò che egli ritiene di essere. Questo giuoco interattivo può produrre cambiamenti più o meno rilevanti dell'immagine interna.

L'introspezione svolge un duplice ruolo. Per un aspetto essa pone a confronto l'immagine interna, quello che il soggetto pensa o sente di essere, con un modello ideale, che fa riferimento a quello che egli vorrebbe essere e determina un aggiustamento reciproco. Il modello ideale, che può essere vocazionale o acquisito culturalmente, può mobilitare l'io nella direzione di una maggiore corrispondenza ad esso. L'immagine interna, viceversa, può determinare un accomodamento del modello stesso, in maniera tale da ridurre lo scarto tra ciò che il soggetto pensa di essere e ciò che vorrebbe essere.

Per un altro aspetto, l'introspezione induce il soggetto a confrontare la percezione soggettiva che ha di sé e l'immagine sociale che tende a produrre o che gli altri si fanno di lui. Tra i due aspetti non si dà mai una corrispondenza puntuale. Ciascuno sa nel suo intimo di non essere del tutto come appare agli altri. Lo scarto tra i due aspetti definisce il grado di sicurezza del soggetto: elevata quando lo scarto è minimo, piuttosto bassa quando esso è elevato. Nonostante l'immagine interna cosciente possa essere sufficientemente definita e integrata, persiste vita natural durante una sua dipendenza dal giudizio sociale, anche se essa varia da soggetto a soggetto.

Il significato funzionale dell'immagine interna cosciente è ovvio. Essa assicura al soggetto un'identità dotata di un qualche grado di coerenza, definisce le sue aspettative sociali e rappresenta la matrice delle sue aspirazioni e della sua progettualità.

In quale misura l'immagine interna cosciente corrisponde alla realtà di quello che la persona è? In linea generale, si può dire che essa è sempre un po' semplificata, un po' troppo compatta e coerente, un po' troppo lineare rispetto alla realtà. Per quest'aspetto, si può ritenere ch'essa sia funzionale a tenere la coscienza al riparo dalla complessità e dalle contraddizioni intrinseche ad ogni personalità.

Un rilievo non insignificante riguarda il fatto che la maggioranza delle persone tendono, più o meno sistematicamente, a sopravvalutarsi, ad attribuirsi cioè doti (per esempio di sensibilità o d'intelligenza) che manifestamente non hanno, mentre una minoranza tende, in misura diversa, a sottovalutarsi. Questa diversa tendenza sembra riconducibile rispettivamente ad un orientamento di personalità estroverso e introverso. Non è difficile spiegare questa diversa valutazione. L'estroverso si confronta con persone che sono più spesso simili a lui, con i quali condivide anche i modi di pensare (luoghi comuni compresi), i modi di sentire (compresa una certa superficialità) e i modi di agire ("normali", quindi non molto individuati). Da quest'interazione egli può trarre facilmente alimento per corroborare l'immagine di una persona integrata e positiva. Dalla stessa interazione, viceversa, l'introverso, che non riesce quasi mai a vivere il suo valore prescindendo dal confronto con gli altri, ricava più spesso un senso d'inadeguatezza, se non addirittura d'inferiorità.

2.

L'immagine interna cosciente non esaurisce però l'ambito delle autovalutazioni. Ad essa corrisponde universalmente un'immagine interna inconscia, la cui genesi è un po' più complessa. Anche questa si origina precocemente sulla base dell'immagine che gli altri hanno del soggetto in fase evolutiva. Se, per esempio, un bambino viene ritenuto cattivo dagli adulti, che non capiscono il significato dei suoi comportamenti oppositivi, è inevitabile che egli interiorizzi questo giudizio, che può continuare a persistere anche quando la crescita lo porta a giudicarsi diversamente. Alcune attribuzioni sociali, una volta interiorizzate, possono andare incontro ad un processo di repressione, ma rimanere attive a livello inconscio.

La componente interattiva non è però la sola che determina l'immagine interna inconscia. I giudizi sociali degli adulti sono fondati su sistemi di valori culturali, che essi albergano senza mai avere una piena coscienza del loro significato e delle loro implicanze. Il problema è che i bambini non interiorizzano solo quei giudizi, ma anche i sistemi di valori su cui essi si fondano. A livello inconscio, tali sistemi di valori rappresentano i metri di misura o i codici sulla cui base si edifica una funzione giudicante (il Super-io) che si autonomizza rispetto all'ambiente.

La funzione superegoica si distingue per due caratteristiche dalle valutazioni che possono essere operate dall'ambiente. In primo luogo, essa, sotto il profilo giudicante, ha un carattere di continuità e di rigidità che non è proprio del giudizio sociale, che può essere occasionale, episodico, ricorrente, ma riconosce sempre e comunque delle fluttuazioni. Inoltre, a differenza del giudizio sociale, che verte sul comportamento apparente del soggetto, il giudizio superegoico investe la totalità dell'esperienza soggettiva, comprese dunque le fantasie, le emozioni, i pensieri inconsci.

Queste caratteristiche possono essere esemplificate con una certa facilità. Poniamo conto che un bambino interiorizzi un sistema di valori che definisce buono l'andar d'accordo con i genitori e cattivo l'essere in conflitto con loro. Questo codice è sostanzialmente irrazionale in rapporto alla programmazione propria della crescita, che richiede, in nome del bisogno di differenziazione, fasi periodiche di opposizione, fino alla grande crisi adolescenziale. Che cosa accade dunque quando questo codice s'imbatte nelle crisi di opposizione? Possono accadere due cose. Se le crisi si esprimono a livello comportamentale, possono dare luogo a sensi di colpa coscienti. Se esse, invece, sono rimosse, vale a dire non appaiono a livello di comportamento, possono incorrere comunque nel giudizio superegoico, che produce sensi di colpa inconsci. In entrambi i casi, l'attribuzione di cattiveria, che promuove i sensi di colpa, è la conseguenza di un codice culturale interiorizzato.

La definizione dell'immagine interna inconscia dipende, insomma, più dai sistemi di valori che vengono interiorizzati, consciamente e inconsciamente, che dalle interazioni sociali. Questo può apparire meno evidente nei casi in cui l'immagine interna inconscia comporta delle attribuzioni negative, corrispondenti a giudizi sociali che hanno realmente investito il soggetto. Un bambino, giudicato cattivo dai suoi, può effettivamente convivere con un vissuto interiore di cattiveria che sembra null'altro che la conseguenza di quei giudizi. Anche in casi del genere però l'attività superegoica è resa manifesta dal fatto che tale vissuto è più radicale, persistente e drammatico rispetto ai giudizi sociali. La dipendenza dell'immagine interna inconscia dal Super-io appare, invece, del tutto evidente nei casi in cui un soggetto che è stato sempre investito da giudizi confermativi e il cui comportamento è risultato sempre adeguato alle aspettative ambientali, convive con un'immagine interna più o meno radicalmente negativa.

L'importanza dell'immagine interna è dovuta al fatto che l'equilibrio della personalità si fonda sul grado d'integrazione che si dà tra quella cosciente e quella inconscia. Più questo grado è elevato, più l'identità è stabile; più lo scarto è marcato, più l'identità è strutturalmente instabile, vale a dire esposta al rischio di crisi psicopatologiche.

Per quanto riguarda infine il peso dinamico dell'immagine interna cosciente e di quell'inconscia, tutti i dati ricavati dall'analisi portano a pensare che la seconda abbia una maggiore incidenza, se non necessariamente sul modo in cui il soggetto si definisce, sicuramente sul comportamento, sulle scelte di vita e sul regime interiore soggettivo.

3.

Un'immagine interna negativa è quasi sempre reperibile nelle esperienze di disagio psichico, talora a livello cosciente, sempre a livello inconscio. Essa comporta due attribuzioni fondamentali - l'inadeguatezza e la cattiveria - che si combinano tra di loro nelle forme più varie, e ciascuna delle quali ha una connotazione e un'estensione dipendenti dai codici culturali che l'hanno prodotta.

L'attribuzione d'inadeguatezza va dall'estremo del semplice disagio che si prova nel confrontarsi con gli altri - da cui il soggetto ricava una prova costante della sua inferiorità, immaturità, ingenuità, incompetenza comportamentale, che sita nel vissuto di sentirsi piccolo in un mondo di grandi - all'estremo opposto di un senso di totale disvalore associato ad una quasi intollerabile vergogna legata all'esposizione sociale, che spesso determina un drammatico disprezzo nei propri confronti.

L'attribuzione della cattiveria va dall'estremo di una scarsa sensibilità nei confronti degli altri, che porta il soggetto a sentirsi nel suo intimo indifferente e cinico, all'estremo opposto dell'essere un mostro, un folle criminale, la reincarnazione del diavolo, ecc.

E' evidente che l'attribuzione d'inadeguatezza implica un codice culturale di riferimento sociale, incentrato sulla spigliatezza relazionale e sull'efficienza perfezionistica, mentre l'attribuzione di cattiveria implica un codice culturale di riferimento morale, incentrato sull'altruismo e sull'innocenza.

Perché queste attribuzioni possono essere ritenute ben poco realistiche o del tutto inattendibili? Perché i soggetti che si sentono inadeguati sono quasi tutti introversi che hanno eccellenti qualità, e i soggetti che si sentono cattivi non hanno mai fatto male a nessuno o ne hanno fatto, spesso inavvertitamente, in misura modesta rispetto ai "normali".

L'immagine interna negativa si genera quasi sempre a livello inconscio, laddove i codici culturali interiorizzati sono rappresentati in forma più attiva. Essa può rimanere latente, evidenziandosi solo attraverso sintomi, vissuti e comportamenti il cui significato sfugge al soggetto, o affiorare a livello cosciente irretendola o corroborandosi se la coscienza riconosce la fondatezza di quegli stessi codici.

Lo spettro dei sintomi, dei vissuti e dei comportamenti dipendenti da un'immagine interna negativa è estremamente vasto. Per esemplificarlo adeguatamente occorrerebbe percorrere tutto il campo della psicopatologia. Per dare credito al discorso, mi limiterò ad analizzare solo alcune circostanze ricorrenti e di grande significato.

4.

 Il perfezionismo, determina costantemente un'immagine interna negativa. Esso, infatti, conscio o inconscio che sia, fa riferimento ad un modello irraggiungibile tale che, nel perseguirlo, il soggetto giunge a minimizzare o addirittura togliere valore al prodotto dei suoi sforzi, che può essere oggettivamente rilevante, e rimane costantemente preda dello scarto tra ciò che è e ciò che fa e ciò che dovrebbe essere. La conseguenza univoca del perfezionismo è un vissuto d'inadeguatezza, che può essere più o meno radicale, ma è sempre percepito come prova del proprio disvalore.

E' importante tenere conto che il perfezionismo attecchisce sempre su personalità dotate di potenzialità, intellettive e/o emozionali, superiori alla media. Una volta interiorizzato, esso però promuove un'estrema tensione prestazionale e, nello stesso tempo, una frustrazione autovalutativa. Qualunque cosa il soggetto riesce a fare, infatti, viene ad essere minimizzata o giudicata negativamente in rapporto a ciò che egli avrebbe potuto o dovuto fare che supera di gran lunga la prestazione fornita.

Il metro di misura perfezionistico induce il soggetto non a cogliere nel limite il confine del suo valore, bensì l'espressione del disvalore, vale a dire un handicap.

Non c'è nulla di più sorprendente in analisi che ritrovarsi di fronte soggetti che, sul piano dello studio, del lavoro domestico o di quello professionale, hanno ricevuto e ricevono costantemente conferme sociali del loro valore e, nell'intimo, non riesco a credere ad esse, riconducendole al caso, alla fortuna o ad un errore di valutazione da parte degli altri. La conseguenza di quest'incapacità di dare credito al giudizio sociale e di integrarlo con l'immagine interna è il mantenersi di un vissuto interiore d'inadeguatezza, inferiorità, inadempienza, che può addirittura giungere a generare un senso di colpa riferito all'inganno perpetrato a carico degli altri.

Gli effetti del perfezionismo sono diversi a seconda della sua caratterizzazione sociale, riferita allo status, o morale, riferita alla bontà, all'altruismo, ecc. Il perfezionista sociale vive costantemente nell'incubo di un fallimento che rivelerà agli occhi degli altri il suo disvalore, e smaschererà i trucchi che egli ha adottato per conseguire in passato successi immeritati. Il perfezionista morale vive egli stesso nell'incubo dello smascheramento, che fa riferimento però alla sua "vera"natura di essere egoista, cinico se non addirittura cattivo.

Quest'attribuzione radicalmente negativa si spiega facilmente se si pensa che il sistema di valori morali adottato dal soggetto lo forza ad agire, sul piano dell'altruismo e della disponibilità, sforzi innaturali che vengono compensati, a livello inconscio, da fantasie opposizionistiche di segno opposto del tipo mandare tutti a quel paese, fregarsene degli altri, far peggio di loro, ecc. Queste fantasie vengono regolarmente imputate dal super-io che ricava da esse la prova di una negatività radicale.

Occorre considerare infine un'altra circostanza, meno rara di quanto si possa pensare. Laddove le valenze opposizionistiche nei confronti del regime interiore coercitivo sono rilevanti, si realizza il dramma misconosciuto del perfezionismo inefficiente. Tale dramma è dovuto al fatto che, intraprendendo una qualunque attività, i soggetti si sentono immediatamente intrappolati da un senso del dovere implacabile, a cui reagiscono inattivandosi. Progettano insomma di fare mille cose, e di solito le avviano, ma non ne portano a termine neppure una. Nonostante le loro qualità possano essere eccellenti, il disvalore, in questo caso, sembra avere un fondamento oggettivo in riferimento alle prestazioni che sono modeste, parziali o inesistenti. In realtà esso è il prodotto di un perfezionismo sabotato, che produce uno spreco talora enorme di potenzialità.

5.

L'altro ambito di grande interesse che pone in luce gli effetti dell'immagine interna negativa è legata all'universo femminile. La popolazione femminile, come ho già scritto altrove, per effetto di una transizione culturale epocale da un mondo gerarchizzato, nel quale il ruolo della donna era subordinato al potere maschile, ad un mondo nuovo, incentrato sulla pari dignità, che è ancora in via di realizzazione, è affetta in misura rilevante da problemi psicologici (depressioni, attacchi di panico, anoressia e bulimia, difficoltà di relazione con il partner, ecc.). Molti di questi problemi riconoscono la loro matrice in un'immagine interna negativa, il cui spettro va dalla dipendenza e dall'inadeguatezza (conseguenza del misurare il proprio essere adottando un modello maschilista) all'estremo opposto della "cattiveria" (espressione delle fantasie di rabbia, d'odio e di vendetta rivolte contro l'uomo).

Sia il vissuto dell'inadeguatezza che quello della "cattiveria" confluiscono nel determinare, a livello di rapporto con il partner, l'aspettativa univoca dell'abbandono e del rifiuto (o in quanto spregevolmente deboli o in quanto intollerabilmente intrattabili). Quest'aspettativa spesso non è cosciente, anzi è mascherata da un bisogno di relazione e d'amore divorante. Essa però è rivelata da tre comportamenti, che si succedono o s'intrecciano nel corso delle relazioni, e, nella loro espressione complessiva, risultano inequivocabili.

A livello cosciente, di fatto, l’immagine interna negativa promuove un bisogno esasperato di conferme dall’esterno che serve a compensarla e ad impedire che essa determini una grave depressione. Tale bisogno si realizza in due diversi modi. Alcune volte la donna è forzatamente disponibile, accondiscendente, gentile con tutti. Altre volte, invece, quel bisogno induce una dipendenza, che si configura precocemente come profonda, dal partner. In questo caso, è inevitabile che le richieste di conferma divengano assillanti. Già quest'assillo può essere controproducente perché il partner, oppresso dalle richieste, può cominciare a rispondere in maniera ambivalente, manifestando un fastidio che, agli occhi della donna, attesta che il suo amore non è incondizionato.

Anche quando però il partner mantiene un atteggiamento univocamente confermativo, insorgono dei problemi. Alla luce dell’immagine interna negativa, infatti, la donna non può credere nelle conferme che riceve e nell'autenticità di chi le fornisce. Il riceverle dà un sollievo immediato che si estingue rapidamente e viene sormontato da un dubbio ossessivo. La diffidenza che ne discende promuove una strategia paradossale: il mettere alla prova il partner per essere sicura del suo amore. Questa strategia va dall’assillarlo con le richieste di conferme, a creargli delle difficoltà (per esempio chiedendo, in nome dell’amore, la rinuncia a fare alcune cose che gli piacciono), e, in casi estremi, a sottoporlo ad un vero e proprio maltrattamento. Posto che il partner regga la prova, la conseguenza non è positiva perché il suo amore, che dovrebbe essere confermato dal rimanere comunque in rapporto, viene ad essere vissuto come incredibile, morboso o espressione di debolezza di carattere e di dipendenza.

Accade anche di peggio, vale a dire che l’escalation dei comportamenti maltrattanti nei confronti del partner vada avanti fino ad indurne il cedimento. Quando ciò avviene la donna, di solito, cade in una crisi profonda di "astinenza" da conferme, ma, nel suo inconscio, è soddisfatta perché ha confermato la sua negatività e rifiutabilità.

6.

Le circostanze più drammatiche che pongono in luce un'immagine interna negativa inconscia sono quelle caratterizzate da un delirio persecutorio, quando esso insorge ex-abrupto. Si tratta in genere di persone che vivono sul registro del falso io, albergando a livello inconscio attribuzioni negative di ogni genere prodotte dal super-io, e che, da un momento all'altro, cominciano a sentire queste attribuzioni provenire dall'esterno sotto forma di allusioni, rimproveri, accuse, minacce.

La repentina insorgenza del delirio in realtà è solo l'evento terminale di una storia interiore nel corso della quale l'immagine interna cosciente e quella inconscia si sono dissociate, tal che la seconda è rimasta, talora per anni, rimossa. La rimozione, peraltro, solo raramente è totale. Ricostruendo l'esperienza delle persone si riesce sempre a porre in luce degli indizi significativi: di solito, pensieri e fantasie strane che hanno attraversato ogni tanto la coscienza e non venivano riconosciute come un prodotto dell'io.

Dato che il delirio è ritenuto oggi un argomento meramente specialistico, mi riprometto di affrontarlo a parte.

Quello che mi premeva, scrivendo questo articolo, era sottolineare l'importanza dell'immagine interna inconscia negativa e illustrarne la genesi. Essa permette di penetrare nel nucleo più intimo della soggettività e di capire che, a questo livello, il primato dell'altro, del sociale o, meglio ancora, della cultura è pressoché assoluto.

Questo primato permette di capire perché cadono solitamente nel vuoto tutte le teorie e le pratiche terapeutiche che cercano d'interpretare i fenomeni psicopatologici solo sulla base dell'affettività, delle interazioni interpersonali o dei costrutti cognitivi.

Gennaio 2004