Il Revisionismo neopsichiatrico

1.

Alcuni lettori di Star Male di Testa, sorpresi dalla virulenza di alcune critiche nei confronti della neopsichiatria, mi hanno chiesto - per e-mail e a voce - le ragioni di una presa di posizione così radicale. Essi stentano a credere che accadano veramente le cose che ho denunciato più volte, soprattutto in rapporto al disagio giovanile: diagnosi gravi e senza scampo pronunciate anche dopo una sola visita, trattamenti psicofarmacologici a dosi massimali che, per curare i sintomi, finiscono con il rendere rapidamente il paziente uno zombie, disinteresse completo per l'esperienza di vita del soggetto considerato "portatore" della malattia, atteggiamento polemico nei confronti dei genitori che, di fronte ai risultati mediocri del trattamento, osano avanzare qualche dubbio.

Purtroppo, cose del genere accadono ogni giorno. Una prova di questo andazzo è fornita dalla testimonianza diretta di un genitore che ha avuto il coraggio di non cadere nella trappola della psichiatrizzazione. Rievocando la sua esperienza, egli ha scritto:

"Era lo scorso anno, una mattina di metà ottobre mi sono alzato pensando di andare incontro ad una giornata "tipo", un po’ come tante; qualche sbattimento al lavoro, alcune cose importanti da fare, insomma una giornata come le altre.

Mio figlio, [A.], di diciassette anni, si sveglia dopo di me, alzandosi mi dice che ha mal di testa quindi decide di non andare a scuola. Lui non abita con me, io sono separato, ma in quei giorni mi cercava, perché voleva passare un po’ di tempo con me! (poi ho capito meglio)

Il giorno dopo stessa situazione, solo che oltre al mal di testa si aggiunge un malessere più generale, considerando l’evoluzione repentina, terribilmente insidioso!

[A.] non mangia più, non dorme più, ha dolore allo stomaco e vomito, è insofferente; lo porto subito dal mio dottore, un internista molto bravo, che considera subito qualcosa che sta oltre la pancia! Questo ragazzo è stressato – mi dice – ci parlo un po’! Mi allontano pensando tutto e niente. Come si fa ad essere stressati a diciassette anni? – mi chiedo! Vuoi vedere che ne ha un’altra delle sue con la scuola? Che non vuole andarci e s’inventa un bel sistema per starsene tranquillo a casa?

Questa volta non mi frega! – Penso!..

L’ho sempre ritenuto svogliato, superficiale, immaturo ed anche un po’ "paravento". Con queste convinzioni, stratificate nel tempo, mi sono orientato nel rapporto con lui; pensando di conoscerlo. Come si dice: se non ti conosco io che sono tuo padre…! Grande caz…..a!

Il dottore mi chiama confermandomi quanto anticipato: qualche goccia di minias e tre compresse di valpinax ed in qualche giorno si rimette in sesto. Evidentemente è un po’ affaticato per via della scuola…

Nei tre giorni successivi precipitiamo nel baratro. Pianto convulso, insonnia, vista sdoppiata; tanto che io e mia moglie abbiamo anche pensato che avesse preso qualcosa…!

Torniamo di corsa dal dottore il quale constatata la situazione dice che c’è bisogno di uno "specialista", uno Psichiatra capace di capire … di capire dentro! Apre l’agendina e ci mette in contatto con uno Psichiatra a dir suo molto bravo!..

Non avevo mai conosciuto uno Psichiatra in vita mia, debolezza ed ignoranza me li facevano immaginare come "inutili". Pensavo che la testa, dico la testa non il cervello, è secondo me incomprensibile all’uomo. Mi sono ricreduto: non è vero che sono inutili… però a volte possono essere dannosi!

Sono dannosi quando accade che trattano la "testa" come un organo, che peraltro non si può né toccare né radiografare se non per la massa ed il suo involucro; quando si confrontano esclusivamente con biologia, neurobiologia, ignorando tutto ciò che mette in relazione i nostri organi, ciò che è invisibile ed impalpabile, ma soprattutto quando ignorano tutto il resto!

Bene! Anzi male! Questa è stata la prima esperienza psichiatrica avuta da mio figlio. Una dose sempre più elevata di psicofarmaci (neurolettici per l’esattezza,) di cui ho dovuto rapidamente comprendere principi, effetti, caratteristiche, ed in quattro settimane una bella diagnosi: Schizofrenia. Mio figlio era, a detta del medico, schizofrenico.

Non mi soffermo sull’effetto che una diagnosi così può generare sulla famiglia… lo lascio immaginare!

Ho provato il freddo nel cuore, il calore nella testa, la disperazione. I miei occhi cercavano indietro delitti e malefatte che giustificassero una punizione!

Poi in cuor mio è affiorata l’idea che [A.] non fosse malato, almeno non in quel senso. Ero certo che soffrisse, ma cominciavo a pensare che avesse sofferto molto senza darlo a vedere.

Il dubbio, l’impossibilità di confrontarmi e la paura di fare qualsiasi cosa erano i miei compagni di giorno e di notte.

I giorni passavano e la medicina "miracolosa" faceva il suo effetto! 5 mg al giorno. Torpore, dolori ai muscoli, scarsa lucidità, disturbi visivi, apatia……però si dormiva! Eccome si dormiva!

Dormiva il suo cervello, giorno dopo giorno stavo perdendo il cuore di mio figlio… Almeno questo era ciò che vedevo.

I giorni continuavano a passare e dopo due mesi di neurolettici ci si prospettava la strada del dolore e della rassegnazione.

Il dolore di vedere un figlio che avrà bisogno di genitori immortali! Che solo a guardarlo, pensando che un giorno potrebbe essere solo, basta a straziarti…

Ho cominciato a documentarmi. Si perché solitamente abbiamo intorno a noi persone, amici, parenti che sono "esperti" di ulcera, artrosi, gastriti; che hanno imparato sulla loro esperienza metodiche e cure, ma sulla testa niente! Il silenzio, l’imbarazzo! Solo questo.

Perché spesso questi disturbi si tengono nascosti, se ne prova vergogna. Quindi ho cominciato a leggere tanto fino al programma dell’ OMS (organizzazione mondiale della sanità) sulla salute mentale. Ho capito poco! E questo mi è bastato per intuire che esistono due modi, due approcci diversi per queste situazioni, due posizioni molto nette!..

Non avendo molti elementi per decidere la cosa migliore da fare – nella situazione di genitore spesso si ha il dubbio di sbagliare sempre o di fare sempre bene – ho cercato la condizione per effettuare un cambiamento! Ho cercato il motivo per cambiare!..

Non mi bastava pensare : Lui è uno specialista uno che ne sa’ di problemi di testa! Non mi bastava. Io dovevo capire e non capivo

Il motivo è scaturito dalla mia volontà di contrastarlo…. In qualche modo di provocarlo. Ricordo che gli feci una domanda precisa: Dottore, lei è certo che mio figlio è schizofrenico? Lui rispose: Certo! Senza alcun dubbio! Al 100%!

Non so perché, forse non sarà nemmeno giusto, ma quella risposta, quella certezza assoluta, ostentata non in presenza di una lastra, una tac, un accertamento scientifico dimostrabile, non davanti ad un calco di cemento armato, piuttosto che accrescere stima ed affidabilità, mi ha fatto pensare che avevo di fronte a me un incompetente inconsapevole (in caso di buona fede), oppure, ancor peggio, un incompetente consapevole (in malafede). Potrò sbagliare nel giudizio. Me ne assumo tutte le responsabilità…

Questo mi è bastato per affrontare il cambiamento!"

Una circostanza del genere, eccezion fatta per lo spirito critico del genitore, non è affatto straordinaria. Accade ogni giorno migliaia di volte in tutti i paesi in cui si è affermato il pansiero unico della neopsichiatria, che tende, come tutte le scienze occidentali, alla globalizzazione. Il problema è che non si tratta di una scienza, bensì di un orientamento pregiudiziale e ideologico che pretende, in nome della sua appartenenza alla medicina, di porsi come scientifico.

2.

Il quesito che si è posto il genitore in questione sulla buona fede o sulla malafede dello psichiatra me lo sono posto anch'io nel corso degli anni in rapporto alla corporazione. Sono arrivato alla conclusione che la buona fede è assolutamente prevalente. La formazione di molti neopsichiatri, che richiede preliminarmente lo studio di una medicina insegnata ancora oggi come scienza di organi malati, senza alcun riferimento alla dimensione psicosomatica e sociale, si realizza attraverso l'acquisizione di un insieme di concetti che fanno riferimento ad un modello multidimensionale sulla carta, ma di fatto vincolato ad una causalità primaria di ordine genetico e biologico. Non avendo strumenti adeguati per criticare tale modello, condiviso dalla comunità scientifica internazionale, essi non possono fare altro che aderire ad esso e metterlo in pratica.

Una componente in mala fede c'è senz'altro: sono i "baroni" accademici, quelli che eseguono ricerche sponsorizzate dalle case farmaceutiche, s'impegnano a propagandare il verbo per cui il disturbo psichico è una malattia come le altre, che necessita dunque di un trattamento esclusivamente medico, gestiscono o mettono a disposizione delle case di cura private il loro nome. Costoro sanno che formulare una diagnosi precoce e senza scampo di schizofrenia significa avviare un adolescente o un giovane in un circuito assistenziale destinato a durare vita natural durante: un circuito che permetterà loro di speculare per anni sulla disperazione delle famiglie, finché almeno l'esaurimento delle risorse economiche non comporterà lo "scarico" del malato cronico sulle strutture pubbliche.

In nome del fatto che gli psichiatri sono medici e hanno formulato il giuramento di Ippocrate, si può non credere che la mala fede arrivi a tanto. La prova purtroppo è tangibile. La psichiatria è stata sempre una branca povera della medicina, la specializzazione in assoluto meno redditizia, tant'è che gli psichiatri manicomiali dell'800 arrivavano a stento alla fine del mese con il loro magro stipendio. Tale situazione, eccezion fatta per i proprietari di una casa di cura e per i docenti universitari, si è protratta sino a qualche anno fa. Ancora negli anni '70, quando lavoravo in ospedale psichiatrico come Assistente, il mio stipendio era di 240000 lire, inferiore a quello di un infermiere. L'avvento della neopsichiatria, con la sue pretesa di estendere la buona novella delle cure farmacologiche a tutte le persone affette da disagio psichico (il 20% della popolazione!) e di propagandare la necessità di trattamenti continuativi, vita natural durante, per tutti i pazienti gravi (il 3%), ha coinciso con un'escalation dei guadagni, che si sono naturalmente concentrati verso l'alto, privilegiando i "luminari", vale a dire i "baroni" accademici, alcuni dei quali, visitando venti persone al giorno (con un onorario di 400000 lire per ogni visita), gestendo le case di cura private e ricevendo i cospicui finanziamenti delle case farmaceutiche, sono divenuti rapidamente miliardari.

La denuncia di questa situazione, che inganna le persone (pazienti e familiari) portandole nel vicolo cieco della cronicizzazione, non potrà mai essere tanto radicale quanto essa meriterebbe. C'è da chiedersi come si sia giunti a questo e che cosa si può fare. Per quanto riguarda il primo punto, la risposta non pone problemi. Più difficile è affrontare il secondo.

3.

La denuncia della psichiatria manicomiale, documentata e lucidissima negli anni '70, è stata equivocata dall'opinione pubblica, rimasta all'oscuro per decenni degli orrori perpetrati nell'istituzione, come se essa fosse dipesa essenzialmente dalla scarsa umanità o dalla brutalità degli operatori. Anche film giustamente celebri (come "Qualcuno volò sul nido del cuculo") hanno alimentato quest'equivoco.

Il fondamento della denuncia in realtà era tutt'altro. Il manicomio è stata l'espressione inevitabile di una scienza incentrata sull'assumere la malattia mentale come una malattia del cervello, di natura genetica e biologica. Posto questo concetto, scindere la malattia in sé e per sé dalla persona, che ne era il portatore, e dalla sua vita, di solito normale fino all'avvento della malattia stessa, e considerare questa come l'oggetto delle cure cui sottoporre il paziente anche contro la sua volontà (inficiata dall'assenza della consapevolezza della natura morbosa della sua condizione), è stata una conseguenza logica. Su questa base, si è edificata un'istituzione totale, all'interno della quale, in nome della lotta contro il male, non poteva accadere altro che quanto è accaduto: l'inselvatichimento degli operatori e la regressione dei pazienti.

Quella denuncia, peraltro, non ha raggiunto l'opinione pubblica con il suo carico di drammaticità storica. Si è preso atto che il manicomio era un ambiente ben poco adatto per promuovere la salute mentale, e si è intuito che, nei gironi infernali dell'istituzione, qualunque soggetto sano avrebbe potuto perdere la ragione. Non si è considerato che l'esperienza manicomiale è durata per un secolo e mezzo, cioè per il volgere di sei generazioni, e che essa ha coinvolto globalmente, solo in Occidente, una popolazione complessiva di non meno di 8 -10 milioni di persone. Se, sulla base di questo dato statistico, si fa il conto delle vittime (dei pazienti morti per i maltrattamenti e, dagli anni '40 del secolo scorso, per gli effetti collaterali delle cure: elettroshock, psicochirurgia, insulinoterapia, psicofarmaci), delle sofferenze, della spersonalizzazione e della degradazione imposte ad una popolazione inerme, si giunge alla conclusione che, nella storia dell'Occidente, la manicomializzazione è il peggior crimine che si sia realizzato contro l'umanità dopo il genocidio degli Ebrei e i gulag sovietici.

Se questo è vero, il superamento del manicomio sarebbe dovuto avvenire sulla base del riconoscimento della psichiatria come una "scienza" miserabile e pericolosa, responsabile di quel crimine. Tale riconoscimento avrebbe dovuto promuovere un'archiviazione inappellabile della psichiatria , e una sua eventuale rifondazione su basi del tutto diverse.

Questo non è accaduto. Nessuno direttore di manicomi, laddove pure c'erano tutti gli estremi, è stato perseguito per crimini contro l'umanità. Mai la corporazione psichiatrica ha denunciato ufficialmente la pratica manicomiale come antiterapeutica e lesiva dei diritti umani. Mai essa è giunta al mettere al bando l'elettroshock, che, nei manicomi, è stato utilizzato per terrorizzare e piegare i pazienti ribelli. Mai è intervenuta l'esigenza di una riflessione profonda e critica sui presupposti propri della psichiatria manicomiale, al fine non già di voltare pagina, ma di cambiare radicalmente il modello epistemologico e l'approccio al problema della salute e della malattia mentale.

In conseguenza di ciò, dopo la stagione contestataria degli anni '70, la neopsichiatria si è riorganizzata sugli stessi presupposti della psichiatria manicomiale, di cui è erede,, attribuendo artificiosamente alla neurobiologia il merito di avere dimostrato definitivamente che i disturbi psichiatrici sono di natura genetica e biologica, definendo tout-court la schizofrenia come una malattia del cervello, e proponendo di nuovo l'uso di psicofarmaci come trattamento primario. Alla luce di questa restaurazione, il passato è andato incontro ad una revisione non meno sorprendente di tante altre accadute negli ultimi anni per altri eventi storici. Questa revisione non osa più riproporre (almeno esplicitamente) l'internamento e il trattamento manicomiale. Essa riconosce che, negli ospedali psichiatrici, si sono verificati degli eccessi, che la segregazione e la repressione dei pazienti non sono risultati funzionali sotto il profilo terapeutico, e che, infine, il decorso delle malattie curate in ambiente manicomiale era da ricondurre più agli effetti negativi dell'istituzionalizzazione che non ai processi morbosi.

Il punto fermo di questa revisione sta nel distinguere nettamente due diverse ere nella storia dell'istituzione manicomiale: quella prefarmacologica e quella postfarmacologica. La prima, dagli albori della psichiatria sino alla metà del '900, viene riconosciuta come caratterizzata da eccessi sul piano del contenimento e del maltrattamento terapeutico, riconducibile all'adozione di tecniche grossolane di shock. Tali eccessi sono però attribuiti alla carenza di strumenti terapeutici adeguati. Da questo punto di vista, non mancava la volontà di curare, bensì la possibilità di curare efficacemente. La seconda, caratterizzata dall'uso dei farmaci e dell'elettroshock, viene invece ancora oggi vantata come la più grande rivoluzione mai avvenuta nella storia della psichiatria, quella in conseguenza della quale una popolazione di pazienti immersi nel loro delirio ha rivisto finalmente la luce della ragione e ha ripreso a vivere umanamente.

Si tratta di una mistificazione, che ho analizzato in un articolo (Dalla psichiatria alla metapsichiatria) al quale rimando. L'avvio della lotta antistituzionale è avvenuto venti anni dopo questa presunta rivoluzione. Tutti gli operatori che hanno partecipato ad essa sanno che, all'epoca, i manicomi erano ancora gironi infernali, la cui popolazione era in una parte rilevante assoggettata a misure di contenimento fisico (fasce di tela grezza per incatenare al letto, camice di forza, ecc.) e, per l'altra parte, caratterizzata dalla cronicità tranquilla di automi imbottiti di psicofarmaci. Il manicomio postfarmacologico era, per alcuni aspetti, peggiore di quello prefarmacologico, perché in esso si coglievano solo segni di disperazione o di un'agghiacciante passività. Il suo intento ultimo, mai raggiunto, era quello di trasformare tutti i pazienti in cronici tranquilli, vale a dire in automi.

E' sulla base di questa mistificazione, però, che si è riorganizzata la neopsichiatria, la quale, mutatis mutandis, almeno per quanto riguarda gli schizofrenici o quelli che essa diagnostica come tali, persegue lo stesso intento.

3.

La schizofrenia è il nodo cruciale della teoria e della pratica psichiatrica, di quella che si ispira alla tradizione manicomiale e di quella, assolutamente minoritaria, che propone un nuovo modello epistemologico. Appartenendo a quest'ultima categoria, non ho difficoltà a ripetere quello che ho scritto numerose volte. La schizofrenia così com'è intesa dai neopsichiatri, vale a dire come una malattia genetica che, dato un determinato corredo, c'è sempre dall'inizio alla fine della vita, anche se può mantenersi latente e ridursi a pochi tratti di carattere (personalità schizoide), e che, quando si manifesta, va considerata una malattia cronica destinata a durare, con alterne vicissitudini, tutta la vita; questa schizofrenia, che comporta una prognosi precoce univocamente infausta, e il cui decorso può essere solo rallentato dalle cure, purchè esse siano continuative e scrupolosamente seguite dai pazienti, esiste solo come esito o di circostanze sociali particolarmente sfavorevoli o di cure sbagliate e dannose. E', da ultimo, una malattia terminale, non di rado iatrogenetica, mai una malattia d'esordio. Le crisi giovanili, anche quando assumono una configurazione drammatica (stuporosa, confusionale, delirante), corrispondono sempre e comunque a catastrofi del mondo interiore che, adottando una certa metodologia, risultano comprensibili sotto il profilo psicodinamico. Questo non significa che esse siano facili da curare o che non richiedano in assoluto l'uso degli psicofarmaci. Rimane il fatto però che tutto ciò che è comprensibile in termini psicodinamici (ottica, questa, che può permettere di valutare anche l'incidenza dei fattori biologici) è anche curabile nella prospettiva di una guarigione.

La schizofrenia come malattia genetica, quasi inesorabilmente cronica e ad esito per lo più infausto è, dunque, un'invenzione psichiatrica, la cui conseguenza è che la pratica terapeutica, orientata solo a contenere il processo morboso, finisce con il produrla.

Data questa situazione, si pone il problema del che fare. Nell'immediato le speranze di un cambiamento sono poche. Oltre il 90% degli psichiatri aderiscono all'ideologia neopsichiatrica. Gli psicoterapeuti e gli psicoanalisti, intimoriti dalle responsabilità che comporta la cura degli "schizofrenici" e dalla loro scarsa preparazione neurobiologica, si sono fatti da parte, accettando un ruolo meramente complementare rispetto alla cura farmacologica prescritta dagli psichiatri. Le famiglie, nella stragrande maggioranza, di fronte a catastrofi giovanili che precipitano un figlio che fino allora è stato bene in una condizione dissociata e delirante, non hanno alcuno strumento per capire quello che è accaduto e per contestare la diagnosi e i trattamenti prescritti. L'evoluzione della malattia, trattata solo con psicofarmaci, conferma peraltro regolarmente la diagnosi.

Io penso che una situazione del genere possa essere, per ora, solo contestata, criticata e denunciata. A tal fine, che urta contro l'acquiescenza dei mass-media e dell'opinione pubblica, occorre però necessariamente smascherare il revisionismo neopsichiatrico, puntando sul fatto che esso, facendo propri i presupposti da cui è nata la pratica manicomiale, definisce una continuità con una tradizione che va ritorta contro di essa. La psichiatria manicomiale era una scienza miserabile, un'ideologia pregiudiziale occultata da termini scientifici. La neopsichiatria, erede quasi orgogliosa di essa, non è meno miserabile. Non disponendo di un ambiente segregativo, è almeno meno pericolosa? Nell'immediato senz'altro, anche se essa decide e determina i destini di tanti giovani. In prospettiva, c'è solo da rabbrividire pensando che essa mira alla soluzione della schizofrenia attraverso l'ingegneria genetica.

Gennaio 2003