ALDO NATOLIIntroduzione a Antonio Gramsci, Tatiana Schucht - Lettere 1926-1935Einaudi, Torino 1997 |
INTRODUZIONE(pp. VII – LVI)L'uomo trascorre il suo tempo a costruire dei meccanismi di cui diviene il prigioniero più o meno volontario. Marc Bloch 1. L'edizione delle «Lettere dal carcere» del 1947 e quella del 1965. La prima edizione delle Lettere dal carcere, curata personalmente da Palmiro Togliatti e da Felice Platone, apparve nel maggio del 1947. I curatori apposero al testo una avvertenza, il cui primo capoverso illustra sinteticamente i criteri seguiti per la preparazione della raccolta: «Il volume che presentiamo al pubblico non contiene tutte le lettere scritte da Antonio Gramsci nei dieci anni della sua prigionia. Alcune, disperse negli anni del fascismo e della guerra, non si sono potute ancora recuperare, altre, che trattano argomenti di carattere strettamente familiare, non si è ritenuto opportuno pubblicarle. Per considerazioni dello stesso genere, qualche passo è stato espunto dalle lettere passate alla stampa. Si tratta dunque di una scelta, ma di una larghissima scelta, più che sufficiente a dare un quadro delle dolorose traversie dell'Autore, della sua tempra di uomo e di militante rivoluzionario, dei suoi interessi intellettuali e spirituali, della sua vasta e profonda umanità»1. Una scelta, dunque, condizionata allora dalla difficoltà di reperire i testi e dal rispetto della vita privata dei familiari. 218 le lettere allora pubblicate. Nell'edizione Einaudi del 1965 il numero delle lettere pubblicate era quasi raddoppiato: 428. Fra la prima e la seconda edizione un certo numero, limitato, di lettere inedite erano apparse su giornali e riviste. Nel 1964, l'antologia 2000 pagine di Gramsci aveva pubblicato altre 77 lettere ancora inedite. L'edizione del 1965, che si basa fondamentalmente sugli autografi, indica anche che la pubblicazione dei testi è integrale. Il materiale fu fornito dall'Istituto Gramsci di Roma. Nel 1988, infine, una nuova edizione delle Lettere dal carcere veniva pubblicata da «l'Unità». Qui, in appendice, comparvero altre 28 lettere, in parte inedite, in parte già apparse su giornali e riviste. Una nota avverte: «[...] sono pubblicati alcuni tra i testi più significativi dell'epistolario gramsciano non compresi nel volume delle Lettere dal carcere, nell'edizione Einaudi»2. Quell'«alcuni» autorizzava il dubbio che altri testi, forse meno significativi, potessero ancora giacere negli archivi dell'Istituto Gramsci. Quando comparve l'edizione del 1965, i limiti reali della «scelta» del 1947 apparvero manifesti dal semplice raffronto della lettura dei due testi: mentre Sechi3 indicava la soppressione di ogni riferimento a Trockij e a Bordiga, Leonardo Paggi giungeva alla conclusione tutt' altro che arbitraria: «che dunque di una vera e propria rottura con il centro del partito si debba ormai parlare pare difficilmente contestabile»4. Per questo veniva duramente criticato da Giorgio Amendola. Amendola non negò, anzi riconobbe «che la presentazione fatta dal Partito comunista della posizione e dell'opera di Gramsci ha assunto, all'inizio, il carattere di una leggenda». Concludeva però: «È mia convinzione che [...] la "leggenda" di Gramsci, che ha guidato l'azione del Partito comunista negli anni gloriosi della Resistenza, aveva una sua validità sostanziale»5. La questione fu riaffrontata in seguito da Giuseppe Fiori6, il quale segnalò l'omissione, nell'edizione delle Lettere del 1947, di 3 lettere a Tania (13 VI 1931, 5 XII 1932, 27 II 1933), lettere che esprimono in modo drammatico l'angoscia di Gramsci per quello che lui chiamava «l'altro carcere» al quale era sottoposto. Giuseppe Vacca7 rivelò che quelle 3 lettere non erano registrate in un quaderno autografo di Togliatti risalente al dicembre 1940. Vacca ha fornito inoltre l'informazione che soltanto nel dicembre 1963, e dopo ripetute richieste di Togliatti, Carlo Gramsci aveva fornito per la pubblicazione (avvenuta nell'edizione del 1965) le lettere del fratello indirizzate a lui stesso e alla famiglia in Sardegna. La questione meritava una ricerca più approfondita, che tuttavia non venne svolta. Non risulta che alcuno abbia tentato il raffronto sistematico delle edizioni delle Lettere del 1947 e del 1965 per rilevare tutte le omissioni e le soppressioni che differenziano i due testi. Si tratta indubbiamente di un lavoro delicato, poiché, se è facile riconoscere le soppressioni, anche quando queste non sono segnalate da puntini (come spesso avviene), molto più discutibile è rintracciare con certezza le omissioni; qui, però, ci soccorre, in modo convincente, il carattere tematico delle omissioni: una lettura critica attenta, infatti, non fatica a riconoscere che nel 1947 alcuni aspetti della vita politica e familiare di Gramsci, che si rispecchiano nelle Lettere, dovevano essere considerati non pubblicabili dai curatori, non certo perché si corresse il rischio di violare l'intimità dei rapporti all'interno della famiglia. Al contrario, la conoscenza della vita familiare reale degli Schucht a Mosca e, in particolare, della malattia di Giulia, potevano suscitare inquietanti interrogativi e aprire spiragli sui pesanti condizionamenti polìtici che le determinavano. Gramsci, è noto, fin dall'ottobre 1926, dal suo scambio di lettere con Togliatti a proposito della situazione esistente nel Comitato centrale del Partito comunista sovietico, era, per i dirigenti russi (e tedeschi) dell'Internazionale comunista, sospetto di filotrozkismo. Tale valutazione si consolidò dopo il VI Congresso dell'Internazionale comunista, che segnò il trionfo della linea di Stalin e si rifletté anche sul Partito comunista d'Italia che nel 1929 fu costretto ad abbandonare la linea politica del Congresso di Lione (la linea di Gramsci) e a uniformarsi alle direttive generali imposte dall'Internazionale comunista a tutti i partiti comunisti in funzione dell'offensiva contro un capitalismo che sarebbe stato minato dalla crisi generale e dalla (più supposta che reale) radicalizzazione delle masse. Se non è credibile che Togliatti abbia mai condiviso l'opinione che Gramsci fosse filotrozkista, è vero però che egli attuò con disciplina e zelo la nuova strategia impostagli dall'Internazionale comunista. Fra il 1929 e il 1930, Gramsci in carcere potè ben rendersi conto dei profondi mutamenti che si affermavano nella strategia dell'Internazionale comunista e del Partito comunista d'Italia, e non mancò, almeno fino alla fine del 1930, di comunicare ai compagni di prigionia il suo disaccordo e le sue critiche. Contemporaneamente, nel 1930, attraverso la corrispondenza con la cognata Tatiana, venne informato delle ripercussioni che la svolta politica produceva all'interno della famiglia Schucht. Anzitutto seppe della censura cui era sottoposta la corrispondenza della moglie Giulia con lui (rivelazione cifrata in una lettera del padre Apollon a Tatiana). In secondo luogo, ma ancora più grave, ebbe la rivelazione da parte di Tatiana dell'azione a lui ostile svolta dalla sorella Eugenia presso la stessa Giulia. Fin dall'autunno del 1927 Gramsci aveva saputo (da Tatiana) della malattia di Giulia e intorno a essa e alla sua cura si era posto più volte dubbi e interrogativi arrivando a esprimersi duramente in proposito in un concitato dialogo con la cognata. Ma, a partire dall'inizio del 1931, la malattia di Giulia divenne un problema assai più complicato, che esorbitava dal puro campo della medicina e della terapia. Gramsci poteva alfine comprendere l'affermazione di Tatiana, in un primo tempo vivacemente respinta, secondo cui Giulia era ancora più sola di lui, e aveva anzitutto bisogno di essere aiutata. Sia pure in una forma necessariamente larvata e allusiva, questo aspetto del dramma di Gramsci e di Giulia costituisce un motivo dominante della loro corrispondenza. Inoltre, nelle lettere di Gramsci, esso assume talora una veste politica esplicita, fino a culminare, nel febbraio 1933, nel coinvolgimento di Giulia fra coloro che lo hanno «condannato». Nell'edizione delle Lettere del 1947 quello che è il nodo centrale del tormento, personale e politico di Gramsci (e di Giulia), risulta totalmente assente: un'operazione compiuta omettendo la pubblicazione di tutte le lettere in cui appaiono senza veli le angosce di Gramsci, ma non di rado anche tramite accurati interventi chirurgici volti a sopprimere brani o frasi che avrebbero potuto aprire squarci su retroscena vietati o incrinare l'immagine monumentale dell'eroe. Va inoltre aggiunto che gli interventi chirurgici vengono talora segnalati con puntini, ma assai spesso non lo sono affatto. L'esito di tale sistematica manipolazione consiste nella semplificazione e nell'appiattimento (quando non banalizzazione) della vicenda di Gramsci sul modello consueto del detenuto politico cui il nemico di classe ha negato la libertà e gli affetti familiari, mentre il tormento più profondo di Gramsci, quello che lo accompagnò fino alla morte, l'essere cioè stato colpito e condannato dai suoi, ne risulta completamente cancellato. Oggi disponiamo di documenti che dimostrano in modo inequivocabile come Togliatti ritenne che, per motivi politici, interventi manipolatori sugli scritti di Gramsci fossero non solo ammissibili ma anche necessari. Il 25 aprile del 1941 Togliatti, che era già entrato in possesso degli originali dei Quaderni e aveva potuto farne almeno una prima lettura, scrisse una lettera a Dimitrov, nella quale lo informava fra l'altro che, secondo il suo giudizio, «i quaderni di Gramsci, che io ho già quasi tutti accuratamente studiato, contengono materiali che possono essere utilizzati solo dopo un'accurata elaborazione [Verarbeitung, nel testo tedesco della lettera]. Senza tale trattamento il materiale non può essere utilizzato e anzi alcune parti, se fossero utilizzate nella forma in cui si trovano attualmente, potrebbero essere non utili al partito. Per questo io credo che sia necessario che questo materiale rimanga nel nostro archivio per essere qui elaborato»8. Che considerazioni analoghe fossero state già fatte allora anche per quanto riguarda le Lettere dal carcere risulta da un'altra lettera di Togliatti a Dimitrov datata 4 novembre 1941. Togliatti chiedeva l'intervento di Dimitrov perché le Lettere, rimaste a Mosca, custodite «in un armadio di ferro» nello scantinato di una casa editrice, gli fossero inviate a Ufa, dove aveva dovuto trasferirsi dopo l'attacco nazista all'Urss. Se ciò non fosse avvenuto, aggiunse Togliatti, «sarà necessario fare di nuovo una scelta molto ampia delle lettere»9. Una scelta, dunque, era stata già fatta in vista della pubblicazione e non è arbitrario ritenere che essa sia stata guidata forse dagli stessi criteri che Togliatti aveva proposto per i Quaderni: evitare che potessero essere non «utili per il partito». Se «l'utilità per il partito» fu allora il criterio fondamentale adottato per stabilire ciò che si poteva pubblicare dei Quaderni, lo stesso criterio dovette evidentemente valere anche, e soprattutto, per le Lettere, dato che il materiale più scottante per il partito (come sappiamo almeno a partire dal 1965) si trovava appunto nelle Lettere. Le «omissioni tematiche» alle quali sono andate incontro le lettere gramsciane rispondono rigorosamente al criterio di quella «utilità». Non sappiamo però, e forse nessuno potrà ormai chiarirlo, se la «scelta» pubblicata nel 1947 sia, in sostanza, quella già preparata a Mosca fra il 1940 e il 1941. Probabilmente sì. Analogo interrogativo si pone, a maggior ragione, per i Quaderni. Alcuni esempi serviranno a documentare la fondatezza della tesi succitata e la sua esatta coincidenza con il criterio togliattiano dell'«utilità per il partito» prima di tutto. 1) Lettera a Tania, 19 maggio 193010: è la lettera in cui Gramsci afferma per la prima volta di essere «sottoposto a un regime carcerario, all'altro carcere», quello costituito dall'essere tagliato fuori non solo dalla vita sociale, ma anche dalla vita familiare ecc. Nel capoverso successivo (la cui omissione - ben 26 righe - è segnalata da puntini), Gramsci spiega: «Potevo preventivare i colpi degli avversari che combattevo, non potevo preventivare che dei colpi mi sarebbero arrivati anche da altre parti, da dove meno potevo sospettarli», e continua spiegando, riferendosi a Giulia, «non sono le quistioni sentimentali che mi tormentano». Quelle «mi si presentano, le vivo, in combinazione con altri elementi ideologici, filosofici, politici, ecc. [...] essi sono unificati in un tutto inscindibile di una vita unica». Qui Gramsci esplicita in termini durissimi (tenuto conto della censura carceraria e, forse, anche dell'«altra» censura) la sua precisa consapevolezza di come il suo rapporto («sentimentale») con Giulia non sia solo insidiato dalla perdita della libertà e dalla lontananza, ma, essenzialmente, dalla presenza attiva, ancora operante di quella parte che gli aveva inferto «colpi» che non aveva sospettato di poter ricevere, e cioè il partito, l'Internazionale comunista. È straordinario, e va sottolineato, l'alto grado di consapevolezza cui Gramsci era giunto circa la reale condizione in cui era costretta a vivere Giulia, prima ancora di ricevere in proposito esplicite rivelazioni, attraverso Tania, innanzitutto da Apollon Schucht e poi dalla stessa Tania. 2) Lettera a Giulia, 13 gennaio 1931: Gramsci esprime direttamente a Giulia il «timore» che le sue lettere non arrivino fino a lei e che anche quelle a lui dirette subiscano disguidi: «i sentimenti suscitati da queste cinture di filo spinato nei rapporti reciproci diventano esasperanti e morbosi»: un messaggio che ai curatori dell'edizione del 1947 non sembrò «utile» per il partito, per cui la lettera andava soppressa. 3) Lettera a Tania, 3 agosto 1931: questa lettera è pubblicata in una versione ampiamente censurata. Sono soppresse le prime venti righe in cui Gramsci riflette sulla propria, solitudine: «mentre nel passato [...] mi sentivo quasi orgoglioso di trovarmi isolato, ora invece sento tutta la morbosità, l'aridità, la grettezza di una vita che sia esclusivamente volontà. Questo il mio stato d'animo». Forse questo «stato d'animo» non fu considerato abbastanza «eroico». Segue un altro lungo brano censurato, forse a causa di taluni riferimenti culturali (la teoria della storia e della storiografia del principe Mirskij, che Gramsci trovava «molto interessante», nonché un saggio su Dostoevskij, «molto acuto»). Questi interessi culturali di Gramsci erano forse poco ortodossi, dunque dovevano essere soppressi. Sempre nella stessa lettera veniva censurato un terzo brano, relativo alla richiesta di un'opera su Rosa Luxemburg, L 'accumulation du capital d'après Rosa Luxemburg. Suivi d'un apergu sur la discussion du problème depuis la mort de Rosa Luxemburg di Lucien Laurat11. 4) Lettera a Giulia, 30 novembre 1931: Gramsci riflette amaramente, ma con grande lucidità, sul proprio isolamento, «anche tu senti che c'è qualcosa che non va in questa nostra corrispondenza senza continuità [...] credevo che tu mi avresti aiutato a non perdere completamente il contatto [...] per lo meno con la tua vita e con quella dei bambini. Mi pare invece [...] che tu hai contribuito ad aggravare il mio isolamento [...] c'è qualcosa che si frappone e ti impedisce di comunicare con me». È lecito chiedersi perché questa lettera fu esclusa dalla pubblicazione. Era una lettera amara, ma tenerissima, «[...] un nuovo tentativo che faccio per riannodare le nostre vite». Anche l'allusione a ciò «che si frappone» poteva essere rassicurante per Giulia, perché escludeva che i suoi silenzi fossero decisi da lei stessa. Questa lettera, malgrado tutto, giunse a Giulia nel 1931. Perché, nel 1947, non doveva essere conosciuta in Italia? 5) Lettera a Giulia, 7 dicembre 1931: la lettera sembra essere il seguito e lo sviluppo della precedente: «[...] noi siamo uniti da vincoli non solo di affetto ma di solidarietà». Gramsci pone il problema del suo rapporto politico con Giulia, e subito dopo estende la critica al mondo, appunto, politico che sta dietro e intorno a essa (il partito, l'Internazionale comunista). Per i curatori dell'edizione del 1947 questo era evidentemente uno degli «argomenti di carattere strettamente familiare» che andava «espunto». 6) Lettera a Tania, 22 febbraio 1932: viene omesso (e l'omissione viene segnalata con puntini) un brano in cui Gramsci chiede informazioni sul proprio abbonamento a «Critica fascista». 7) Lettera a Giulia, 28 febbraio 1932: in questo caso si deve dare atto al censore di non aver omesso la lettera e di non averne censurato alcun brano. Non sappiamo se si trattò solo di una svista. Qui Gramsci fa un discorso estremamente serio non tanto sulla malattia di Giulia, quanto sul suo disagio morale, sulle sue scelte di vita: perché abbandonare la musica per un «indirizzo meramente pratico e di interessi immediati?» Errore «metafisico», «schmutzig judisch [sordidamente giudaico]», citazione dalle Tesi su Feuerbach di Marx, che sarebbe sbagliato ritenere diretta solo alla persona di Giulia. 8) Lettera a Giulia, 9 agosto 1932: Gramsci scrive del proprio «invecchiamento» in carcere, «devo essere mezzo demolito», «[...] forse sono diventato vecchio più di quanto io stesso possa pensare», «irascibilità impulsiva, ipercritica, insoddisfazione di tutto e di tutti». 9) Lettera a Tania, 29 luglio 1932: soppresse, senza segnalazione dei puntini di omissione, due righe: «qualunque via d'uscita, anche la più pericolosa e accidentata diventa preferibile alla continuazione dello stato presente». Soppresse poi altre tre righe: «Alla fine di settembre, dovrò per forza giungere a una conclusione, se non voglio diventare pazzo o entrare in una fase che io stesso non so immaginare tanto sono stremato. Credi che non ne posso proprio più e mi spaventa il fatto che sto perdendo il controllo dei miei impulsi e degli istinti elementari del temperamento». 10) Lettera a Tania, 15 agosto 1932: Gramsci insiste sul fatto che Tania e Giulia si sarebbero fatte un'idea («idillica e arcadica») del suo essere carcerato e aggiunge che ciò può dipendere da «qualche altra fonte ancora, forse più superficialmente ottimista e tendenziosa». Quest'allusione sospetta fu soppressa. 11) Lettera a Tania, 19 settembre 1932: Gramsci protesta aspramente perché la cognata ha presentato l'istanza per ottenere la visita medica superiore senza attendere il suo consenso. La mancata pubblicazione della lettera impedisce al lettore di conoscere il retroscena di tutta la vicenda. 12) Lettera a Tania, 3 ottobre 1932: largamente censurata (senza segnalazione dei puntini di omissione). Qui Gramsci esprime il dubbio che Tania abbia suggerito a Giulia di prendere qualche iniziativa «che era disonorevole per me». 13) Lettera a Tania 14 novembre 1932: Gramsci manifesta a Tania l'intenzione di separarsi da Giulia e le chiede consiglio. La censura totale della lettera occulta uno dei momenti più drammatici della vita di Gramsci in carcere. 14) Lettera a Tania, 5 dicembre 1932: è la lettera importantissima in cui Gramsci scrive della lettera di Grieco e dei suoi effetti, di chi la scrisse e di chi la fece scrivere. 15) Lettera a Tania, 13 febbraio 1933: Gramsci descrive in modo marcatamente pessimistico il suo stato generale: «sono da qualche tempo entrato in una fase della mia vita che, senza esagerazioni, posso definire catastrofica [...] certe volte divento proprio come un bambino, mi verrebbe da piangere, tanto mi sento stremato». 16) Lettera a Tania, 20 febbraio 1933: «necessaria la mia autorizzazione quando si tratta di iniziative che presuppongono atteggiamenti di carattere politico-morale». Gramsci sapeva prossima la visita del medico (Arcangeli) che gli era stata accordata dal Ministero e temeva che si prendessero (Giulia? il partito?) iniziative per chiedere in suo favore un provvedimento di clemenza «disonorevole». 17) Lettera a Tania, 27 febbraio 1933: chi lo ha condannato? Anche Giulia viene annoverata fra i «condannatori»: «mi pare di essere giunto a una svolta decisiva della mia vita [...] prendere una decisione. La decisione è presa [...] certe volte ho pensato che tutta la mia vita fosse un grande (grande per me) errore [...] non vi è conclusione a quanto ti ho scritto». 18) Lettera a Tania, 7 marzo 1933: è la lettera che contiene l'atroce metafora della insensibile mutazione in cannibale, «[...] un passato da dimenticare». 19) Lettera a Tania, 14 marzo 1933: vengono soppresse, senza indicazione dei puntini di omissione, le parole: «perché ti vorrei parlare di un progetto». Il progetto di Gramsci, come sappiamo, soprattutto grazie alle lettere di Tania a Sraffa, era quello di cui avevano parlato nei colloqui di gennaio: riprendere il tentativo della trattativa per lo scambio di prigionieri e, in via subordinata, ottenere la libertà condizionale. Il censore impedi che si venisse a conoscenza di questo «progetto». Forse si può anche supporre il motivo di tanta riservatezza. Comunque, si tratta di uno degli interventi più gravi perché mira a nascondere la responsabilità, diretta o indiretta, del partito nel fallimento del tentativo di fare ottenere a Gramsci almeno la libertà condizionale (vedi nel testo la ricostruzione del caso «Arcangeli -"L'Humanité"»). Inoltre, sono omesse tutte le lettere fra il 19 aprile e il 17 luglio: si tratta di quelle in cui si rispecchiano gli effetti devastanti che ebbe su Gramsci il fallimento di quel «progetto». 20) Lettera a Tania, 16 maggio 1933: è la prima, violentissima, lettera di Gramsci dopo aver saputo, in un colloquio, dalla stessa Tania («sono stato esasperato nel?apprendere da te») del caso «Arcangeli - "L'Humanité"»: «Lascia passare un po' di tempo e lasciami dimenticare». 21) Lettera a Tania, 29 giugno 1933: è in uno stato di «ossessione psichica», «sconvolto dall'ottimismo di Giulia», «scrivere a Giulia, oggi mi è diventato quasi impossibile». Infatti era stato scritto che era stata Giulia a far pervenire il certificato di Arcangeli a «L'Humanité». Gramsci è durissimo con Tania che ha trasgredito le sue istruzioni. 22) Lettera a Tania, 3 settembre 1933: è forse la lettera più dura che Gramsci scrisse a Tania: «tu mi hai fatto completamente perdere la fiducia in me stesso [...] ora so che non posso più contare su nessuno. [...] Ti prego di non trascrivermi più le lettere che la tua mamma ti scrive e neanche quelle che Giulia scrive a te: mi fanno troppa impressione». 23) Lettera a Tania, 24 ottobre 1933: «sono certo di averti addolorata [...] ho spesso pensato che tu mettevi una particolare cattiva volontà nel non comprendere quale fosse la mia esatta posizione, nel non comprendere la necessità di eseguire alla lettera le mie indicazioni [...] una buona e gentile signorina». In sintesi, sono stati qui riportati 23 casi, forse i più vistosi, di quella che si è chiamata «soppressione o omissione tematica» operata, nell'edizione del 1947, sulle Lettere dal carcere. L'immagine di Gramsci allora trasmessa al lettore fu artefatta e distorta, perché depurata delle ragioni e delle passioni reali e ideali che avevano animato, prima che venisse incarcerato, la sua vita di militante rivoluzionario, di uomo di cuore e di cultura. Scrivendo a Tania, fin dalla metà del 1930, Gramsci aveva esattamente definito «l'altro carcere», nel quale sentiva di essere ristretto. L'edizione delle Lettere dal carcere del 1947 conferma l'esattezza di quella intuizione in modo crudele, tanto più in quanto pretende di consegnarla ai posteri come l'unica valida e defintiva. 2. Perché la corrispondenza? A nostra conoscenza, a tutt'oggi, è stato realizzato un solo tentativo di pubblicare una corrispondenza di Gramsci dal carcere: si tratta del primo volume Gefängnis Briefe [Lettere dal carcere], Briefwechsel mit Giulia Schucht, edito da Argument Cooperative, Hambur-Frankfurt am Main, con un'introduzione di Ursula Apitzsch, e con la collaborazione della Fondazione Istituto Gramsci che ha fornito lettere inedite di Giulia Schucht. Fra il 1988 e il 1990, lavorando sul fondo di lettere di Tania a Gramsci, custodito presso la Fondazione Istituto Gramsci di Roma12, riconnettendole alle corrispondenti lettere di Gramsci e ricostruendo cosi i dialoghi, gli scontri, le scoperte comuni, i messaggi cifrati, le rivelazioni che prendono forma entro quel tessuto, chi scrive era giunto a una prima, ancora sommaria, conclusione del problema con la pubblicazione di Antigone e il prigioniero13. Ma già nella presentazione di quel libro l'autore avvertiva che era «consapevole che questo è un lavoro preliminare; per compiere un lavoro completo e critico sarebbe necessario disporre dell'intera corrispondenza fra Tatiana e la famiglia e Giulia in particolare. [...] Inoltre, come è naturale, bisognerebbe disporre della corrispondenza fra Gramsci (e Tatiana) e la famiglia in Sardegna»14. Questa affermazione non era che l'espressione dell'esperienza fatta dall'autore in quanto lettore delle Lettere dal carcere; infatti, pur disponendo di una massa di informazioni, relativamente ampia, sulla biografia di Gramsci, non è infrequente imbattersi in episodi che rimangono oscuri o insufficientemente motivati, data l'assenza di note esplicative che sarebbero state indispensabili e che mancavano sia nell'edizione del 1947 sia, in certa misura, in quelle successive. Solo qualche esempio: Tania informa Gramsci, trasmettendogli una missiva cifrata (ma non tanto) del padre Apollon, del fatto che il motivo per cui Giulia gli scrive così di rado e, talora, in modo cosi evasivo, non è tanto riconducibile alla malattia, quanto alle condizioni nelle quali è costretta a scrivere. Se, com'è evidente, Gramsci non poteva replicare chiaramente a quest'informazione, è altrettanto evidente che al lettore non sfuggirà solo un particolare, sia pure importante, bensf lo scenario stesso entro il quale si inscrive il dramma Gramsci-Giulia15. Si può notare come Tania si decise a fornire a Gramsci questa informazione solo dopo aver ricevuto la lettera del 19 maggio 1930, quella in cui Gramsci, per la prima volta, scrisse dell'«altro carcere» in cui si sentiva abbandonato. Altro esempio: il 13 gennaio 1931 Gramsci scrisse a Tania una lettera nella quale, con espliciti riferimenti alla sorella Eugenia, non esita a formulare una serie di giudizi assai duri su di lei. Il lettore, anche informato, potrà solo in parte comprendere la portata del risentimento e dell'amarezza di Gramsci, perché in altri momenti della sua biografia vi è notizia del morboso affetto di Eugenia per Delio, ma continuerà a ignorare che Tania, nella lettera a Gramsci del 28 dicembre 1930, l'aveva informato di come Eugenia svolgesse presso Giulia un'azione doppiamente negativa. Tania scrisse che Eugenia «dice che tu non hai nessun affetto per i figli tuoi, che anche prima non te ne sei mai occupato»; «Giulia non ha nessuno per darle conforto [...] nessuno vorrà addolcirla nei tuoi confronti, come suo marito e padre dei suoi bambini»; e infine: «Giulia ha soprattutto bisogno di sentire il tuo affetto, la tua forza, di sapere di potersi appoggiare su di te». Gramsci, con grande equità d'animo, nella risposta a Tania aveva concluso: «mi pare si tratti di un caso molto grave di disarmonia morale e di irresponsabilità». E il lettore, che probabilmente ignora che Eugenia, funzionaria del Partito comunista russo, portava all'interno della famiglia influenze provenienti da quel partito tutt' altro che amichevoli nei confronti di Gramsci, non potrà che restare con gli interrogativi suscitati da un giudizio cosi severo e insieme misurato di Gramsci. Ancora. Nell'edizione del 1947 erano state soppresse (come si è detto) tutte le lettere che potevano riferirsi all'«incidente Arcangeli - "L'Humanité" » (cosi indicato sinteticamente, per i particolari si vedano le annotazioni al testo), che aveva fatto fallire la possibilità, che pure si era delineata, che Gramsci potesse ottenere la libertà condizionale già nella primavera del 1933. Per Gramsci era, forse, l'ultima speranza di salvare la vita. Egli reagì, nei confronti di Tania, con un'asprezza che il lettore ignaro troverà (forse) eccessiva. Ma anche l'edizione delle Lettere del 1965 non è, a questo proposito, di nessun aiuto alla comprensione del lettore, dato che non vi si trova alcuna nota esplicativa. Per comprendere quanto accadde allora bisogna ricorrere alle lettere di Tania a Sraffa (di tale corrispondenza si parlerà più avanti), poiché è chiaro che Tania non poteva rispondere a Gramsci con gli argomenti che pur non le mancavano, per contestare le durissime accuse che la investivano. Ecco dunque un altro caso in cui la pubblicazione della corrispondenza è essenziale non solo per la comprensione del lettore, ma anche al fine di consegnare il dramma di Gramsci alla storia nella sua autenticità e libero da manipolazioni. Si noti che «l'incidente Arcangeli - "L'Humanité"» fu fatale per Gramsci. Da quanto precede risulta in maniera convincente la necessità di pubblicare l'intero epistolario di Gramsci dal carcere e i carteggi a esso collegati, cosi come si era auspicato nella presentazione di Antigone e il prigioniero. Non altrettanto convincente sembra l'affermazione di chi ha negato recentemente quella necessità16. L'obiezione è tanto più infondata in quanto si tratta di Tania, la quale non è solo una fonte (preziosa), ma una testimone, anzi la testimone del dramma di Gramsci, quella che consegna alla storia tutte le responsabilità politiche e morali che confluirono nella morte di Gramsci in carcere. Proprio dalle lettere dei suoi corrispondenti (e in primo luogo, naturalmente, da quelle di Tania) vengono non di rado chiarite oscurità che, necessariamente, dato il linguaggio spesso allusivo cui la censura lo costringeva, si riscontrano nelle lettere di Gramsci; ma, soprattutto dai suoi corrispondenti Gramsci riceveva informazioni essenziali per valutare, per esempio, la reale situazione all'interno della famiglia Schucht, e dunque, le condizioni di vita e di salute di Giulia. Né è possibile farsi un'idea adeguata del dramma personale e politico di Gramsci ignorando, come purtroppo è avvenuto fino al 1990, la testimonianza di Tania, nel suo serrato dialogo con lui. Il rischio consiste, dunque, nel trasformare le lettere di Gramsci in monologhi, anzi in monologhi für ewig, una locuzione che Gramsci adoperò una sola volta, in una lettera a Tania (19 marzo 1927), locuzione della quale molto si è abusato per collocare le ragioni, la passione, la ricerca, i tormenti di Gramsci in una dimensione «disinteressata». Questa linea interpretativa (su cui si è soffermato anche Paolo Spriano) tende sostanzialmente a isolare Gramsci in una sorta di aureola di olimpica serenità, che non gli era affatto congeniale. Del resto, lo stesso Gramsci, in una lettera a Tania (15 dicembre 1930), aveva scritto: «Sarà perché tutta la mia formazione intellettuale è stata di ordine polemico, anche il pensare "disinteressatamente" mi è difficile», cioè lo «studio per lo studio» (le virgolette sono di Gramsci). D'altro canto, il valore che Gramsci attribuiva alla corrispondenza è ben sottolineato nella lettera a Giulia del 6 ottobre 1930: «Nella nostra corrispondenza manca appunto una "corrispondenza" effettiva e concreta: non siamo mai riusciti a intavolare un "dialogo": le nostre lettere sono una serie di "monologhi" che non sempre riescono ad accordarsi neanche nelle linee generali». E qui Gramsci ricorda la «novellina popolare scandinava» dei tre giganti, su cui converrebbe riflettesse chi si pronuncia contro la pubblicazione della corrispondenza di Gramsci. L'immagine di un Gramsci «disinteressato» richiama irresistibilmente quella del martire al di sopra delle passioni foggiata nell'edizione delle Lettere del 1947, e di conseguenza l'operazione politico-culturale allora impostata intorno alla personalità di Gramsci, operazione la cui vischiosità si è prolungata nel tempo (anche oltre l'edizione del 1965, grazie agli interventi dei guardiani dell'ortodossia nel Partito comunista italiano) e in alcuni casi vige tuttora. È lecito pensare che il rifiuto opposto alla pubblicazione dei carteggi di Gramsci con i suoi corrispondenti (essenzialmente Tania e Giulia) provenga dal fatto che appunto quei carteggi chiariscano i contenuti e le motivazioni della passione personale e politica di Gramsci. E può sorgere anche la domanda: come mai le lettere di Tania a Gramsci rimasero pressoché ignorate nell'archivio dell'Istituto Gramsci di Roma per ben 26 anni (dal 1964 al 1990)? E perché confinare in nota estratti delle lettere di Tania a Sraffa, lettere che costituiscono la sola fonte diretta di cui disponiamo per la ricostruzione degli ultimi anni della vita di Gramsci? Si può azzardare l'ipotesi che la risposta a questi interrogativi fosse già contenuta nell'operazione politico-culturale del 1947, la quale aveva fissato il quadro entro il quale l'ortodossia avrebbe consentito di studiare la vita e le opere di Antonio Gramsci. Entro quel quadro sembra collocarsi anche l'immagine di Gramsci in carcere, quale viene descritta da Gerratana nella Prefazione all'edizione critica dei Quaderni17: quella di un prigioniero, teso nello sforzo creativo di un'opera für ewig, disinteressata, attraverso la quale combattere e superare i mali fisici che lo incalzano, il logorio della vita carceraria, in una lotta per la sopravvivenza, «cui si accompagnano vere e proprie tempeste psicologiche». Lo studioso cita a sostegno di ciò la lettera a Tania del marzo 1933, dove Gramsci riprende il «paragone», già espresso a Tania qualche giorno prima in un colloquio, dei naufraghi che si trasformano a poco a poco e insensibilmente in cannibali: «le persone di prima non sono più le persone di poi». «Un simile cambiamento sta avvenendo in me, uno sdoppiamento della personalità, una parte osserva il processo, l'altra lo subisce, la parte osservatrice esprime ancora l'esistenza di un autocontrollo, e la possibilità di riprendersi, ma prevede che giungerà un punto in cui la sua funzione sparirà, cioè non ci sarà più autocontrollo [...] Ebbene, io mi trovo in questa situazione [...] Non so cosa potrà rimanere di me dopo la fine del processo di mutazione che sento in via di sviluppo [...] il tempo quello necessario perché si svolga la pratica dell'avvocato [la pratica di cui si occupava Sraffa per le liberazione]». Gerratana, la cui citazione si ferma al rischio della perdita dell'autocontrollo, commenta: «E forse questo uno dei pochi punti in cui le sofferenze lancinanti di questo periodo si riflettono direttamente nei Quaderni. Ma in tal modo esse riescono in qualche misura anche a spersonalizzarsi, a diventare esperienze esemplari, dotate di quella "pedagogica universalità e chiarezza" che acquistano i "fatti particolari" nelle riflessioni raccolte sotto i titoli della rubrica Passato e presente»18. Questa interpretazione colloca l'atroce metafora di Gramsci in un tempo indeterminato, astratto ed eterno, quando invece essa venne pronunciata in un colloquio con Tania che ebbe luogo qualche giorno dopo che Gramsci aveva scritto (alla cognata) la lettera del 27 febbraio 1933, in cui egli indica i suoi veri «condannatori», («tra questi c'è stata anche Iulca»), e soggiunge: «mi par di essere giunto a uno svolto decisivo della mia vita in cui occorre [...] prendere una decisione. Questa decisione è presa. [...] Certe volte ho pensato che tutta la mia vita fosse un grande [...] errore». Questi sono i riferimenti reali in cui sorse nella mente di Gramsci la metafora della mutazione cannibalesca. Come risulta dalle lettere scritte a Tania nel mese di febbraio, egli attraversò allora un'acuta crisi morale (e politica?), che si combinò con un peggioramento altrettanto sensibile delle sue condizioni di salute, che sarebbero precipitate alla metà di marzo. Gramsci soffriva di «ossessioni» (quella del cannibalismo non è forse un'ossessione?), e considerava «catastrofica» la fase in cui era entrato. Forse non è temerario supporre che riflettesse anche sugli avvenimenti tedeschi (erano le settimane in cui Hitler sali al potere) e sugli errori fatali di quel partito comunista. Nell'insieme, un intreccio infernale dal quale avrebbe voluto liberarsi non tanto con una mutazione, ma con una «decisione» già presa: quale? Ce lo dirà solo indirettamente quando penserà che la sua vita è stata «un grande errore». E in una lettera alla sorella Teresina del 20 febbraio scrive: «Se dovessi dire quale sia l'ideale che vagheggio sarebbe questo: di non avere rapporti con nessuno, di essere dimenticato da tutti e dimenticare tutto e fare la vita di una bestia nel suo covile». È forse l'annunzio della decisione presa qualche anno più tardi, quando non avrà più la speranza che Giulia verrà: la decisione di «rientrare nel suo guscio sardo». Non vi è alcuna «serenità» nella disperazione di Gramsci e questo fa parte della sua grandezza umana, nulla era più estraneo all'uomo politico della consolazione nell'«universalità pedagogica». Sottraendo la «sofferenza lancinante» di Gramsci al suo contesto carnale, umano, politico, il curatore dell'edizione dei Quaderni del carcere ne ha dato una rappresentazione edificante e l'ha incorniciata in un superamento fittizio «pedagogico e universale». È, tanti anni dopo, la fedele conclusione del paradigma togliattiano del 1947. In realtà vi sono almeno quattro motivi per ritenere la corrispondenza di Gramsci con Tania un documento da assumere integralmente: 1) Tania fu la principale interlocutrice di Gramsci, più della metà delle lettere da lui scritte dal carcere furono indirizzate a lei. Si trattò di un rapporto che si protrasse regolarmente, settimana per settimana per sette anni (dalla fine del 1926 alla fine del 1933). Gramsci aveva conosciuto Tania nel febbraio del 1925 e fin dal primo incontro si stabili fra loro un rapporto di viva simpatia e stima. Gramsci ne scrisse più di una volta a Giulia: «Ho conosciuto tua sorella Tatiana. Ieri siamo stati insieme dalle quattro del pomeriggio fin quasi a mezzanotte [...] Credo che si sia già diventati molto amici tra noi [...] sono stato molto contento di conoscerla. Perché assomiglia molto specialmente a te, perché politicamente molto più vicina a noi di quanto mi avevano fatto credere»1. E poco dopo, il 7 gennaio 1925: «Sai, tua sorella Tatiana mi anticipa un po' la tua presenza: ti somiglia molto in certi tratti e in certe mossela musica della sua voce è un'eco della tua voce [...] vado a trovarla spesso, è venuta spesso con me nelle trattorie romane»20. La sovrapposizione delle immagini delle due sorelle ricorre più volte nelle lettere di Gramsci a Tania, durante i primi due anni di detenzione a Milano. Tania potè rivederlo solo ai primi di settembre del 1927, a colloquio nel carcere giudiziario di Milano. Subito dopo gli mandò una cartolina postale: «mi sembra di essere stata proprio una stupida e di non aver saputo dirti nulla, e non posso fare a meno di piangere». Lo stesso giorno (5 settembre) gli scrisse una lettera: «[...] come è stato breve il nostro colloquio, non abbiamo avuto il tempo di capire quale è il nostro stato d'animo reciproco [...] avrei avuto desiderio di abbracciarti teneramente e sono rimasta ben delusa non potendo neppure stringerti la mano [...] dobbiamo cercare di godere nella misura massima della gioia di vederci. Ti devo vedere in nome di Giulia e dei bambini». Risponderà Gramsci il 13 settembre: « E vero che tu mi hai ricordato Giulia, ho osservato che vi rassomigliate molto [...] Del resto, ricordi che un pomeriggio a Roma ti ho rivolto la parola credendo che tu fossi Giulia [...] io ti scrivo proprio come a una sorella». Se in questa prima fase Tania sarà per Gramsci la messaggera di Giulia, a partire dalla fine del 1928, dopo l'incontro con Piero Sraffa, diverrà la messaggera del partito, del «mondo grande e terribile». Solo attraverso la corrispondenza fra i due è possibile cogliere i due piani del rapporto di Gramsci in carcere con il mondo sentimentale e politico «inscindibile» dal quale è stato strappato, conoscere le dimensioni e la profondità del dramma, fino alla reale, e non certo «serena disperazione» dell'anno 1936, allorché avrà la certezza che Giulia non verrà e che la morte è vicina. 2) Tania, come sappiamo, fu, attraverso Sraffa, il tramite che forni a Togliatti le copie delle lettere di Gramsci, nonché informazioni sulle sue condizioni di vita. Ovviamente, scrivendo a Gramsci, la cognata non poteva trasmettere messaggi politici, dato che rischiava non solo di incorrere nella censura, ma di essere a sua volta incriminata per motivi politici, e comunque il suo rapporto con Gramsci sarebbe stato spezzato. Le informazioni che Tania forni al partito furono consegnate alle Relazioni (cfr. Appendice); la loro fonte fu costituita essenzialmente dai colloqui con Gramsci, quando la custodia permetteva che i due potessero parlare fra loro con relativa libertà. Inoltre Tania riusci a fornire a Gramsci, in più di un caso, informazioni importanti circa la situazione della famiglia Schu-cht a Mosca, le condizioni reali di Giulia e le pressioni politiche che incombevano su di lei. Nell'ottobre 1932, Tania rivelò a Gramsci che altri, a sua insaputa, aveva cercato di coinvolgere Giulia in un tentativo (uno di quelli che Gramsci considerava per lui «disonorevole») di chiedere per lui un atto di clemenza o, comunque, un'attenuazione delle condizioni carcerarie. Purtroppo la ricerca non ha ancora potuto chiarire tale circostanza. 3) Nell'edizione delle lettere di Sraffa a Tania21, il ruolo di Tania viene presentato fin dal titolo in modo riduttivo, come quello di una semplice passacarte: un'impressione corroborata dal fatto che non vengono pubblicate le corrispondenti lettere di Tania a Sraffa, ma ne vengono messi in nota solo degli estratti. Questo modo arbitrario di presupporre che uno dei corrispondenti ricopra un ruolo dominante e primario, mentre l'altro sarebbe, se non proprio superfluo, subalterno, può produrre conseguenze sostanziali dal punto di vista critico. Infatti il 14 aprile 1931 Tania scrisse a Sraffa una lunga lettera, in cui comunicava di avere appena ricevuto una lettera di Gramsci dalla quale «si possa credere che egli non voglia veramente ricevere da fuori nessun incitamento a pensare». E Tania soggiunge: «E dire che proprio questa sua lettera è una prova evidente del contrario [...] Basta da parte mia il più leggero incitamento per fargli trattare qualunque argomento. Sapendo questo, vi avevo pregato di scrivermi qualche volta su ciò che potrebbe non solo interessare Nino (e questo solo scopo basterebbe da se stesso), ma si potrebbe ricevere da Nino delle lettere interessantissime sugli argomenti che egli può trattare particolarmente. Potrei io stessa riuscire ad ottenere da lui degli scritti molto interessanti, ma bisognerebbe non che ne avessi sempre voglia, dato che niente desidero maggiormente che di potere fornire a Nino gli argomenti propizi per mantenere la corrispondenza più viva, ma vorrei anche che gli argomenti che egli viene a trattare in seguito alle mie lettere, potessero permettere di esprimere pensieri suscitati non da qualche mia sciocchezza, ma da idee o fatti che siano interessanti per se stessi. E penso che in questo voi dovreste aiutarmi, avendo tutti i requisiti necessari per poter farlo nel miglior modo»22. Fino a quel momento (primavera del 1931) Sraffa aveva sollecitato e nutrito gli interessi e l'attività intellettuale di Gramsci, limitandosi a segnalargli libri e fornirgli l'abbonamento ad alcune riviste inglesi. Fu dopo questa lettera di Tania che, con un ritardo dovuto all'aggravarsi delle condizioni di salute di Gramsci, prese l'avvio, a partire dal settembre 1931, quel dialogo fra Gramsci e Sraffa che durerà almeno fino all'estate del 1932, allorché la comunicazione epistolare fu soggetta a misure restrittive adottate nella casa di pena di Turi. Per ben un anno Sraffa stimolò, attraverso Tania (le sue lettere a Gramsci riportavano non di rado interi passi di lettere di «Piero»), l'attività critica di Gramsci su questioni come gli intellettuali nella storia d'Italia, la filosofia e la storia nell'opera di Benedetto Croce, l'economia di David Ricardo ecc. Tuttavia, sarebbe stato giusto riconoscere pienamente a Tatiana il merito dell'idea di suggerire a Sraffa di «aiutarla» in un campo per il quale egli certamente possedeva i «requisiti» più adeguati a stimolare la curiosità intellettuale e lo spirito critico di Gramsci. 4) Come abbiamo detto, Gramsci scrive a Giulia subito dopo avere incontrato Tania a Roma: è evidente che fu colpito dalla personalità di Tania; divennero subito «molto amici». Negli anni del carcere quest'amicizia, pur in mezzo ad aspri contrasti, si trasformò in un legame profondo, vitale per entrambi; di lei e a lei Gramsci scrisse tutto il bene: le scriveva «come a una sorella» e una volta le ricordò che la madre, da Ghilarza, la chiamava «santa creatura»; un'altra volta scrisse a Giulia che gli sembrava che Tania fosse «il miglior prodotto della famiglia Schucht». Ma talora le scrisse anche molto di tutto il male possibile. Come nella primavera-estate del 1933, al tempo del caso «Arcangeli - "L'Humanité"», allorché Tania commise certamente un errore, senza per questo poter essere considerata responsabile delle sue funeste conseguenze. Tania era una donna sola, totalmente indipendente anche nei confronti della famiglia. Quando, all'inizio della Prima guerra mondiale, i familiari ritornarono in Russia, ella rimase a Roma. Non sappiamo nulla dei motivi che la indussero a restare. Non sappiamo nulla della sua vita sentimentale, intima, se non quanto lei stessa, più di una volta, confidò a Gramsci. Aveva un legame affettivo assai vivo con i genitori e, fra le sorelle, con Giulia. Ma anche nei confronti dei familiari sembra valesse per lei il principio, teorizzato più di una volta nelle lettere a Gramsci, del rapporto disinteressato, senza contropartite, del dare senza chiedere e senza ricevere. In quegli anni, più di una volta sembrò sul punto di partire, rispondendo alle sollecitazioni del padre (anche Gramsci le aveva consigliato di «tornare dalla mamma»), ma, in definitiva, non parti. E a Gramsci una volta scrisse di non riuscire a vedere in che modo avrebbe potuto vivere in seno alla famiglia. Anche nei confronti delle sorelle, Eugenia e Giulia, quando erano a Roma (1926), avvertiva l'ambivalenza nei sentimenti: affettuosa devozione, ma anche disagio, senso di distanza. Il suo essere «disinteressata» era forse all'origine di quella distanza. Il suo «dare» presupponeva forse un'intimità inviolabile, l'incapacità di donarsi. Se questo fu effettivamente il suo limite, ella, proprio nel rapporto con Gramsci, imparò a superarlo. A Gramsci dedicò tutta se stessa, in un rapporto che escludeva la subalternità. Con Gramsci discusse più volte, testarda quando aveva torto, seppe consolarlo e ridargli coraggio con le sue ragioni. Da Gramsci Tania apprese l'arte più nobile, quella di sapersi elevare al di sopra del dolore e della sofferenza traendo da questi lo stimolo per un'intima rivoluzione intellettuale e morale. Questo fu il lascito che Tania raccolse dalla morte di Gramsci, allorché si pose di fronte a Sraffa non solo come esecutrice testamentaria della sua ricerca di verità, ma anche come sostenitrice della sue idee, della sua causa. Cosi, la grandezza di Gramsci passò in quella di una donna fragile e malata e, per questo, si può parlare di una sua «rivoluzione intellettuale e morale». 3. Su «Gramsci in carcere e il partito» di Paolo Spriano. L'indagine storica di Spriano nacque, maturò e si completò fra il 1968 e il 198823. Nel 1968 lo storico aveva rinvenuto all'Archivio di Stato la famosa lettera di Grieco24 e di qui, secondo le apparenze, sorse in lui lo stimolo a indagare su tutta la complessa vicenda del rapporto mantenuto dal partito con Gramsci nei lunghi anni del carcere. Il tentativo di spiegare come quella lettera, scritta a Basilea, prima di giungere a Gramsci, sia passata da Mosca e dalla segreteria del Comintern non sembra convincente: sviare la polizia italiana da Basilea? Avvertire Mussolini che Mosca e il comunismo internazionale seguivano con attenzione il processo? (p. 27). Ma si potrebbe anche sospettare che l'Internazionale comunista intendesse controllare i rapporti fra il Partito comunista d'Italia e Gramsci in carcere. La censura alla quale fu sottoposta Giulia può farlo pensare. Del resto, più avanti (p. 28), un'altra ipotesi dello stesso Spriano conferma indirettamente quel dubbio: «Forse, l'affrancare da Mosca significa anche far sapere in questo modo ai compagni russi, attraverso tale ulteriore testimonianza, che non vi sono più riserve da parte di quel partito che nell'ottobre del 1926 aveva manifestato perplessità proprio attraverso la famosa lettera di Gramsci al Comitato centrale del partito bolscevico, non tanto sulla linea della maggioranza, quanto sui metodi della lotta politica instaurata e sul pericolo che i problemi russi facessero perdere di vista al vecchio nucleo leninista la grande funzione internazionalista del bolscevismo?»25. Nella Premessa, Spriano scrive che «ogni lavoro di storia è un'inchiesta, sui documenti, sulle testimonianze, sulle fonti possibili cui attingere [...] ci siamo mossi cercando ogni tessera di un mosaico e badando a collocarla nella giusta casella [...] dai documenti epistolari lasciati dalle persone più vicine al prigioniero [...] la cognata, la moglie, l'amico Piero Sraffa»26. Dopo questa dichiarazione, non può non sorprendere che egli non ricordi nemmeno l'esistenza, nell'Archivio dell'Istituto Gramsci di Roma, del fondo di lettere di Tania. A p. 42, Spriano attribuisce a un «momento di scoramento» il fatto che Gramsci abbia scritto a Tania (lettera del 27 febbraio 1933) che Giulia era fra i suoi «condannatori». Cita anche la lettera a Tania del 27 gennaio 1930: «sono stato sempre più posto nella condizione di non sapere nulla, di essere completamente isolato dalla sua vita». Ma era solo «scoramento»? E lecito dubitarne. Nella stessa pagina Spriano cita la lettera a Tania del maggio del 1930, dove Gramsci scrive che egli poteva certo «preventivare i colpi del nemico, ma non quelli che gli arrivavano da altre parti [...] dall'essere tagliato fuori dalla vita familiare». Più che a «scoramento», qui sembra di trovarsi di fronte a una precisa denuncia che, del resto, si ripeterà più volte in lettere dirette alla stessa Giulia («qualcosa si frappone»). In realtà, il rapporto di Gramsci con Giulia è sempre sentimentale e politico insieme (come lui stesso scriverà più di una volta): questi due momenti sono «inscindibili». Tale inscindibilità viene riaffermata nel modo più drammatico quando Gramsci scrive che tra i suoi «condannatori c'è stata anche Iulca», «inconsciamente» soggiunge, egli ne è «fermamente persuaso». Quando Gramsci scrive queste parole pesanti, non sembra affatto turbato dallo «scoramento». Al contrario, è capace di un giudizio lucidissimo. Che Giulia sia stata fra coloro che lo hanno condannato, ma «inconsciamente», vuol dire che ella ha dovuto subire, se non accettare, la condanna politica che veniva formulata su di lui negli ambienti in cui viveva. «Ambienti» che lui, Gramsci, «conosce per esperienza». Ma il suo affetto per lei non è diminuito, è semmai aumentato. Questo sembra il senso riposto (cifrato, se si vuole) della frase sui «condannatori», fra i quali sarebbe coinvolta Giulia, nella lettera del 27 febbraio 1933. Se è possibile che Spriano sia stato indotto a un giudizio sommario da una lettura non abbastanza attenta del testo di Gramsci, cosi denso e meditato, è altrettanto certo che all'origine della sua posizione ci sia la conoscenza solo approssimativa della situazione realmente vigente all'interno della famiglia Schucht, dato che lo storico non si avvale delle numerose e ripetute informazioni che Tania forniva a Gramsci, sia direttamente, sia attraverso la trascrizione di lettere (a lei dirette), della madre, del padre, di Giulia. È sorprendente, in generale, che Spriano citi in questo libro una sola volta una delle lettere scritte da Tania a Gramsci. In sostanza, la parte eccellente del libro di Spriano è costituita dalla pubblicazione, specialmente nell'edizione del 1988, di alcuni documenti inediti provenienti dall'Archivio del Partito comunista italiano e riguardanti la storia di quel partito (naturalmente, con riferimento a Gramsci): il carteggio fra Gramsci e Togliatti del 1926 (già noto, del resto, ma qui collocato al posto giusto), la lettera di Grieco a Terracini, a Scoccimarro e a Gramsci in carcere (Spriano, come abbiamo già ricordato, aveva ritrovato fin dal 1968 la famosa lettera di Grieco a Gramsci in un fondo di polizia all'Archivio centrale dello Stato), la risposta di Terracini a Grieco, la lettera di Togliatti a Bucharin del 1928, la lettera di Sraffa a Togliatti del dicembre 1928 in cui il primo chiede l'organizzazione urgente di «un flusso regolare di soccorsi per Antonio», il rapporto di Athos Lisa sulla «situazione personale di Gramsci» nel carcere di Turi (1933), una lettera di Togliatti a Sraffa (maggio 1933), una lettera del padre di Sraffa al figlio sugli effetti della pubblicazione della relazione di Arcangeli (maggio 1933), l'istanza di Gramsci a Mussolini per ottenere la libertà condizionale (settembre 1934), lo scambio finale di lettere fra Tania e Sraffa (settembre 1937). L'insieme di questa documentazione apriva squarci illuminanti su particolari ancora oscuri della politica del Partito comunista d'Italia nei confronti di Gramsci in carcere e inaugurava nuovi orizzonti di ricerca. Peraltro, il contenuto del libro è fedele al titolo, l'accento è sul partito che agisce nei confronti di Gramsci in carcere, o che non agisce come nel silenzio pressoché totale sul nome di Gramsci fra il 1930 e il 1933. La prova più significativa e impressionante di questo silenzio è oggi fornita da un documento acquisito dopo la prematura scomparsa di Spriano: si tratta dell'autobiografia scritta da Togliatti (in francese) per il Comintern nel 193227. Riferendosi alla lotta che si scatenò all'interno del partito fra il 1922 e il 1926 per la formazione del nuovo gruppo dirigente, prima contro Tasca, poi contro Bordiga, Togliatti ricorda, oltre se stesso, un gruppo di compagni: Terracini, Scoccimarro, Silvia (Ravera); non ricorda invece Gramsci, che, come riconoscerà anni dopo, fu in realtà l'artefice di tutta l'operazione. Nel libro di Spriano non mancano toni moderatamente apologetici: secondo lo storico non vi sarebbe mai stata rottura fra Gramsci e Togliatti. E questo è, insieme, vero e falso: dopo lo scambio epistolare dell'ottobre 1926, dopo l'intervento dell'Internazionale comunista sul Partito comunista d'Italia, dopo la capitolazione dell'opposizione a Mosca, non si può escludere che si sarebbe trovato il modo di sanare le conseguenze di quello scontro ed è lecito pensare che Gramsci, se avesse potuto partecipare alla riunione dell'Esecutivo a Valpocevera, non vi si sarebbe rifiutato. Ma, poco dopo, l'arresto di Gramsci rese impraticabile tale soluzione. Conseguentemente, la rottura politica rimase insanata e, successivamente, fra il 1929 e il 1930 (X Plenum dell'Internazionale comunista e «svolta»), permanente. Certo, Togliatti si preoccupò che non risultasse totale e definitiva, come stanno a dimostrare l'intervento di Sraffa (e di Tania), l'organizzazione dal centro dell'aiuto materiale a partire dall'inizio del 1929, dopo la sollecitazione di Sraffa, informato da Tania della precarietà del soccorso locale, nonché le prime informazioni (relazione di Tania), dopo la prima visita della cognata a Gramsci nel carcere di Turi. Gramsci, da parte sua, dimostrò di nutrire fiducia in Sraffa, e certamente sapeva bene che questi aveva un rapporto diretto con Togliatti. Tania, in una bozza di lettera a Sraffa, ha scritto che, parlando con Gramsci, «gli dissi [...] che quando avevo riferito le sue riflessioni a proposito della famosa lettera e dell'eventuale esistenza di chi l'ha fatta scrivere e che voi diceste di poter conoscere la persona a cui Nino poteva alludere, egli rimase come soddisfatto»28. Non c'è dubbio sul fatto che la persona alla quale allude Tania sia Togliatti. La fiducia che Gramsci nutriva per Sraffa giungeva al punto che, quando proibì tassativamente a Tania di far conoscere al partito i particolari del «tentativo grande» per lo scambio di prigionieri (gennaio-maggio 1933), non esitò a incaricare proprio Sraffa di rintracciare due diplomatici sovietici che avrebbero potuto avere parte allo svolgimento della trattativa. L'atteggiamento di Gramsci verso il Partito comunista d'Italia era forse percorso da una certa ambivalenza: da una parte una diffidenza spinta talora fino aU'« ossessione»; dall'altra, e in questo senso il rapporto con Sraffa costituiva una garanzia, il profondo bisogno di evitare una rottura totale con l'unica forza reale da cui poteva sperare qualche protezione. L'esame non sufficientemente attento delle lettere di Tania a Sraffa impedf a Spriano, e non solo a lui, di cogliere in Gramsci, almeno nel Gramsci del 1933, questa sottile, ponderata, realistica valutazione delle forze che, comunque, avrebbero potuto svolgere un ruolo nella sua ricerca di una via di salvezza, se non in quel momento (quando la trattativa doveva essere condotta «da governo a governo»), forse in futuro. Disgraziatamente, le pessimistiche previsioni di Gramsci si avverarono. A Spriano va il merito di aver pubblicato il documento che prova come il tentativo di far ottenere a Gramsci la libertà condizionale già nella primavera del 1933 venisse bruscamente annullato dalla pubblicazione su «L'Humanité» del certificato del dottor Arcangeli29. Per Gramsci, a quel punto, si riproponeva il dilemma che lo aveva tormentato a proposito della lettera di Grie-co: leggerezza o azione perversa? Inevitabile, questa volta, ammettere che fosse la seconda ipotesi a rispondere a verità. La speranza frustrata generò in Gramsci un furore disperato, che si rispecchia nelle durissime lettere scritte a Tania fra la seconda metà di maggio e l'ottobre del 1933. Tatiana aveva trasgredito le sue tassative disposizioni di segretezza assoluta. Spriano ignora del tutto quelle lettere di Gramsci. Eppure si trattò di una svolta fatale. Nel 1988, i documenti relativi alla vicenda giacevano quasi tutti presso l'Archivio del Partito comunista italiano, nel fondo «Gramsci». Mancava solo il nome della persona che consegnò alla redazione de «L'Humanité» il certificato di Arcangeli: come venne documentato in seguito, si trattava di Giuseppe Berti, corrispondente di Gramsci fra il 1927 e il 1928, divenuto poi uomo di fiducia dell'Internazionale comunista. Ancora una volta risorge il dilemma, per lo studioso e per il lettore: leggerezza o azione perversa30? Per quale motivo Paolo Spriano non prestò sufficiente attenzione alla situazione esistente nella famiglia Schucht a Mosca, alla condizione di Giulia: motivo, come ormai sappiamo, di tormento permanente per Gramsci? Che l'oggetto del libro di Spriano fosse «Gramsci in carcere e il partito» non sembra costituire una risposta sufficiente. L'amore fra Gramsci e Giulia nacque nella Russia dei primi anni Venti, quando l'epica rivoluzionaria si colmava del mito della costruzione universale del socialismo. Per Lenin la spinta internazionalista entrava in una fase nella quale, senza spegnersi, andava allargato il fronte di lotta. L'orizzonte del futuro non era ancora chiuso. E fra Gramsci e Giulia la lirica dei sentimenti germogliò in seno all'epica rivoluzionaria. Quest'epica, che costituiva per Gramsci la necessità-libertà, avrà il sopravvento su quella lirica, che tuttavia, senz'essere spenta, trarrà invece dalla prima sempre nuovo alimento. Basta rileggere le lettere scritte da Gramsci a Giulia da Vienna, in un'epoca in cui il carcere31 poteva essere «preventivato» solo in un futuro ancora vago. Per Gramsci l'unità genetica fra Giulia e il processo rivoluzionario permane e resiste negli anni del carcere come ultima certezza. Certo, nello scrivere, il pudore vela la tenerezza nel gesto sobrio e lieve di una «carezza»; certo, nel serrato dialogo con Tania, Gramsci si chiederà più di una volta se Giulia gli vuole ancora bene come un tempo. Ma le critiche che le rivolge e l'autocritica per la responsabilità, è sempre di natura politica, come traspare dalla famosa lettera (7 dicembre 1931) sulla «solidarietà» che sarebbe venuta meno, lettera in cui Giulia e l'Internazionale comunista si identificano e sovrappongono in un unico bersaglio. Certo, Gramsci si chiese anche se quella che abbiamo definito «unità genetica» non contenesse, alla radice, una contraddizione insopprimibile e lacerante. Il 7 aprile 1931 aveva scritto a Tania: «quando si è legata la propria vita a un fine e si concentra in questo tutta la somma delle proprie energie e tutta la volontà, non è immancabile che alcune o molte o sia pure una sola delle partite individuali rimanga scoperta? Non sempre ci si pensa, e perciò ad un certo punto si paga. E si scopre l'origine dell'errore, che è la debolezza, la debolezza di non aver saputo osare di restare soli, di non creare legami, affezioni, rapporto, ecc.». Qui Gramsci indica un modello di vita rigorosamente stoico, che non fu mai effettivamente suo, ma piuttosto una figurazione della ragione, la quale, si sa, «indaga, accorda, disunisce», e accorda ciò che è disunito, disunisce ciò che è nato dall'accordo. La dialettica del sentimento e della ragione. Di fronte all'universo gramsciano, l'approccio di Spriano è legittimo, ma parziale. Se lo studioso ha fornito dati all'epoca preziosi per lo studio della storia del rapporto fra il partito e Gramsci, fra Gramsci e il partito, però non si è spinto fino a indagare sulla complessità di quel rapporto. Trascurando, anzi ignorando come tale rapporto passasse attraverso Tania e agisse anche all'interno della famiglia Schucht, coinvolgendo in modo decisivo Giulia. Spriano ritenne Tania Schucht un tramite passivo, alla quale era affidato il ruolo subalterno di un'infermiera devota e il compito di provvedere all'assistenza materiale. Solo cosi è possibile spiegarsi come Spriano abbia potuto scrivere un libro su Gramsci in carcere avvalendosi assai sobriamente della testimonianza di Tania e citandone solo una volta una lettera (p. 57). Per lo stesso ordine di motivi, Spriano ignora la complessità del travaglio di Gramsci circa le condizioni di Giulia entro la famiglia. Del resto non si può neanche sostenere che la famiglia Schucht fosse fuori dall'orizzonte che Spriano si era tracciato. Infatti, la famiglia Schucht era frequentata, com'è noto, da alcuni comunisti italiani, che risiedevano a Mosca, quegli stessi che, secondo la testimonianza di Giuliano Gramsci, quando Tania, dopo la morte di Gramsci, tornò a Mosca, la consideravano «una donna borghese»32. Eppure, nelle sue lettere Gramsci aveva più volte sottolineato esplicitamente come, nel suo rapporto con Giulia, il momento politico e quello sentimentale fossero «inscindibili». Perché questa precisa indicazione di Gramsci fu ignorata nella tarda ricostruzione della sua storia? 4. Tania-Sraffa. Le informazioni che possediamo sul rapporto fra Tania e Sraffa provengono essenzialmente dalla loro corrispondenza conservata nel fondo «Tatiana Schucht», presso la Fondazione Istituto Gramsci di Roma. Ulteriori notizie si ricavano dalla corrispondenza fra Tania e Gramsci e dalle Lettere ai familiari di Tania. Come abbiamo già riferito, nel 1991, quando pubblicò le Lettere a Tania per Gramsci, Gerratana scelse di pubblicare solo le lettere di Sraffa e di riportare in nota, a scopo esplicativo, brani di lettere di Tania. Quell'edizione suscitò allora proteste e critiche. Non solo da parte di Pierangelo Garegnani, esecutore letterario di Piero Sraffa, che consenti alla pubblicazione del volume solo dopo che l'editore si assunse l'impegno di pubblicare entro il giugno 1994 «l'epistolario Piero Sraffa - Tatiana Schucht nella integrale sua bilateralità»33, ma anche da parte di studiosi di Gramsci come Leonardo Paggi, che scrisse di un carteggio «dimezzato»34. Gerratana non ha mai fornito una spiegazione convincente delle ragioni di quella scelta. Sraffa e Tania si erano incontrati per la prima volta a Milano nell'ottobre 1928, a quasi due anni dall'arresto di Gramsci, 4 mesi dopo la sua condanna. Si può ritenere per certo che Sraffa sia stato indotto a prendere contatto con Tania da Togliatti e, comunque, dal partito. Fra di loro si stabili immediatamente una collaborazione che ebbe come primo risultato la visita di Tania a Gramsci nel carcere di Turi, per Natale, la redazione della prima relazione sulle condizioni di Gramsci e la lettera di Sraffa a Togliatti del 26 dicembre 1928, nella quale Sraffa scrisse fra l'altro: «Bisogna dunque organizzare d'urgenza un flusso regolare di soccorsi per Antonio»35. Ma veniamo alla corrispondenza fra Tania e Sraffa: essa si protrasse dal gennaio del 1929 al settembre 1937 e costituisce la sola fonte diretta di cui disponiamo sulle condizioni di vita di Gramsci fra il gennaio del 1934 e l'aprile del 1937, quando Gramsci mori. Come fonte di informazioni su Gramsci, essa prolunga e completa, dunque, la corrispondenza fra Tania e Gramsci che si ferma, in sostanza, alla fine del 1933, epoca in cui Gramsci venne trasferito nella clinica di Formia. Per gli anni 1929 e 1930 l'unico documento che si è conservato di Sraffa (ed anche quello che apre il libro curato da Gerratana) è un breve biglietto datato 20 novembre 1930. Di Tania sono state conservate sei lettere, nessuna delle quali viene riportata nel volume Lettere a Tania per Gramsci. Una è stata spedita da Turi (27 dicembre 1929): Tania si trova a Turi e riferisce dei suoi incontri con il personale di custodia e dell'amministrazione del carcere, nel tentativo di avere più di un colloquio con Gramsci. Ulteriori notizie si trovano nella lettera del 9 gennaio 1930. In quest'ultima vi è un passo di notevole interesse che sembra alludere allo stato d'animo di Gramsci nei confronti del partito (Tania aveva avuto un colloquio con Gramsci tra il 27 dicembre e il 3 gennaio): «vorrei essere maggiormente a contatto spiritualmente con gli amici, credo che questo si tradurrebbe sullo spirito di Antonio, affinché egli non si senta più cosi staccato dal mondo esterno. Non so se rendo l'idea di ciò che si potrebbe fare per lui, credo che occorra maggiore comunione con gli amici»36. Sraffa aveva forse preso parte al primo tentativo di liberare Gramsci, proprio nell'ottobre 1927, cioè mentre si svolgevano a Berlino, fra i diplomatici sovietici e il nunzio apostolico Pacelli, gli incontri che si proponevano di realizzare lo scambio fra Gramsci e Terracini e due sacerdoti cattolici detenuti in Russia. Sraffa potè fare visita a Gramsci nel carcere di San Vittore. Non è arbitrario presumere che quella visita fosse da mettere in relazione con il progetto di scambio, anche se Sraffa non forni mai alcun chiarimento in proposito. Un secondo tentativo volto a ottenere la liberazione di Gramsci fu compiuto da Togliatti, giusto un mese dopo la condanna di Gramsci, proprio nelle settimane in cui era in corso il VI Congresso dell'Internazionale comunista. Togliatti mandò una lettera a Bucharin37 per suggerirgli che fossero i marinai del rompighiaccio Krassin, che avevano appena salvato sulla banchisa polare una parte della spedizione Nobile, a chiedere la liberazione di Gramsci, tenuto conto della sua malattia e del rischio che potesse morire in prigione. Quest'iniziativa non ebbe alcun esito e si può supporre che Bucharin, caduto in disgrazia proprio all'epoca del VI Congresso, avesse perduto l'autorità e il prestigio necessari per condurre in porto il compito che Togliatti gli aveva affidato. Il 9 agosto del 1928, Ruggero Grieco in una lettera a Dozza gli fece la comunicazione seguente: «Fatta da tempo pratica intervento equipaggio Krassin, non per amnistia, ma per salvare qualche malato (Gramsci, Umberto); pratica accettata organi competenti, ma in questo momento arenata in seguito alla campagna internazionale. Noi non dimentichiamo la cosa»38. Il VI Congresso dell'Internazionale comunista, come è noto, segnò, insieme alla caduta di Bucharin, il trionfo di Stalin. Non sembra arbitrario ritenere che all'interno degli organismi direttivi dell'Internazionale comunista ciò producesse un mutamento di clima politico tutt'altro che favorevole alla maturazione di iniziative dirette alla liberazione di Gramsci. Infatti, sappiamo che il ricordo della lettera di Gramsci dell'ottobre 1926 e la critica rivolta al Partito comunista d'Italia portò nel 1929 (X Plenum dell'Esecutivo dell'Internazionale comunista) alla cancellazione della politica del Congresso di Lione, la politica di Gramsci. È lecito dunque supporre che quando Sraffa fu incaricato da Togliatti di prendere contatto con Tania per ristabilire un rapporto con Gramsci, il Partito comunista d'Italia (naturalmente, il suo più ristretto gruppo dirigente) fosse già giunto alla convinzione che ormai non esisteva più alcuna possibilità di ottenere un impegno consistente né dal governo sovietico, né dall'Internazionale comunista, per la liberazione di Gramsci. In conseguenza di ciò il mandato attribuito a Sraffa escludeva il «massimo raggiungimento», ritenuto ormai irrealizzabile, e si concentrò in primo luogo sul soccorso e sull'assistenza materiale, in secondo luogo (a partire dall'inizio del 1933) sul trasferimento in una clinica del detenuto politico e infine, qualora ne fossero maturate le condizioni, sull'ottenimento, a norma di legge, della libertà condizionale. Effettivamente, se si analizza l'operato di Sraffa (fra il 1929 e il 1936), è possibile affermare che egli si attenne rigorosamente a quel programma. Sraffa non propose mai (per dirla con le parole di Gramsci) un «progetto grande», rispetto al quale nel 1933, allorché fece pressioni assai dure su Tania per conoscerlo nei dettagli, non manifestò mai né apprezzamento, né consenso. Gramsci, dimostrando piena fiducia in lui (mentre aveva vietato a Tania ogni indiscrezione nei confronti del Partito comunista d'Italia e della stessa Giulia), gli aveva affidato il compito di rintracciare due diplomatici sovietici, che aveva ben conosciuto negli anni Venti, i quali avrebbero dovuto, secondo le sue speranze, impegnarsi nell'attuazione del progetto. Non risulta che Sraffa abbia fatto alcunché per ritrovare i due personaggi, e Gramsci, fra l'aprile e il maggio del r933, se ne dorrà amaramente con Tania, anche se la sua fiducia per «l'avvocato» non ne verrà scalfita. Di questo episodio Tania informò Sraffa in una lettera del 18 maggio (aveva avuto un colloquio con Gramsci l'u maggio): «Ha chiesto di ciò che avessi fatto per la questione che ha riguardo al mio paese. Dissi che avevo scritto a Giulia e che l'avvocato non aveva prospettato ancora la cosa alle persone da lui indicate a suo tempo. Nino si inquietò molto [...] Nino teme che la cosa fosse già andata a male»39. Nelle Lettere a Tania per Gramsci Gerratana non fa alcuna menzione di questa lettera della cognata a Sraffa, cosi come mancano le lettere di Sraffa comprese fra il 21 aprile e il 6 luglio (sarebbero andate «smarrite»). Sono le settimane in cui Gramsci risentirà in modo acuto del fallimento della pratica per la libertà condizionale in seguito alla pubblicazione su «L'Humanité» del certificato redatto da Arcangeli. Questo episodio, quasi certamente fatale per la sorte di Gramsci, viene ricordato dal curatore del volume con un rinvio al documento rivelatore pubblicato da P. Spriano in Gramsci in carcere e il partito. Le Lettere a Tania per Gramsci non fanno neppure menzione delle lettere in cui Tania informa Sraffa della grave crisi depressiva che aveva colpito Gramsci, spingendolo a pronunciare propositi di suicidio. Sraffa, almeno fino alla fine del ^33, epoca in cui, trasferito Gramsci in clinica, era iniziato il mutamento della politica internazionale a causa della minaccia nazista, non appoggiò mai i tentativi che Tania continuò a fare presso l'ambasciata sovietica a Roma per rilanciare la trattativa «da governo a governo», come era stato suggerito da Gramsci. Nel novembre 1933 (quando era stata accolta l'istanza per il trasferimento in clinica di Gramsci), Tania gli scrisse (lettera del 14 novembre 1933): «Forse sapete già anche della risposta favorevole ricevuta nei primi giorni di questo mese alla pratica stessa dal diplomatico circa 2 mesi fa. Pare che non ci siano difficoltà in proposito, ma ci vorrà necessariamente un po' di tempo perché la pratica si svolga». E poi: «Mi hanno pregato di comunicarlo a Nino per infondergli coraggio nell'attesa»40. Poiché l'autorizzazione al trasferimento in clinica era stata già ottenuta (dalla metà di ottobre), si può supporre che in essa consistesse il «massimo raggiungimento» di cui faceva parola. La risposta di Sraffa (lettera del 17 novembre) fu durissima. Non solo non chiese alcun chiarimento, ma replicò: «Dell'altra faccenda cui mi accennate [...] non parlategliene e non scrivetene neppure a me; non ne so nulla. Oppure scrivetegli come volete, ma una cosa soprattutto vi raccomando, non infondetegli coraggio, col dargli delle speranze impossibili»41. Sraffa aveva, è vero, un motivo per essere cosi perentorio (anche se non si capisce perché intimasse a Tania di non scriverne neanche a lui), che consisteva nello stato di incertezza in cui versava Gramsci che, in quei giorni, non aveva ancora deciso se accettare il trasferimento in clinica, oppure se optare per il ricovero presso l'infermeria del penitenziario di Civitavecchia. Sraffa temeva che ogni ritardo potesse indurre il Ministero ad annullare l'autorizzazione già concessa. E tuttavia l'informazione ricevuta da Tatiana meritava qualche momento di riflessione. Comunque, sembra certo (altrimenti ne avremmo trovato qualche indizio nelle lettere di Gramsci) che Tania non parlò a Gramsci di quello spiraglio che sembrava schiudersi per lui. Infine, dobbiamo anche chiederci se Sraffa non sapeva già per certo che la trattativa «da governo a governo» era, ancora alla fine del 1933, impossibile per l'indisponibilità di Mosca (governo e Internazionale comunista). E questo confermerebbe l'ipotesi sopra avanzata circa i limiti del mandato ricevuto da Sraffa nel 1928. Effettivamente, alla fine del 1933, il clima politico, per quanto divenuto contraddittorio, non era sostanzialmente mutato rispetto a cinque anni prima. Se questo fu il limite o, se si preferisce, l'ambito in cui operò Sraffa, esso non restrinse affatto il suo impegno, né impoverì il soccorso materiale, morale, legale che tramite e grazie a Tania fu assicurato a Gramsci. Infatti la collaborazione fra Tania e Sraffa fu efficacissima e, per Gramsci, essenziale: in particolare fra il 1931 e il 1932, prima che a Turi venissero adottate delle misure restrittive, essa fornì a Gramsci uno stimolo intellettuale che, certamente, costituì per lui anche un conforto morale, dato che fu forse quello il solo periodo in cui egli non si senti abbandonato dai suoi e, nello stesso tempo, constatò di non essere del tutto staccato dal mondo esterno, al quale era ben in grado di fornire idee e suggestioni. I rapporti fra Tania e Sraffa, senza divenire mai armoniosi, furono di eccellente collaborazione. Tania sentiva l'autorità di Sraffa sia culturalmente, sia per quello che rappresentava politicamente: la fonte che assicurava il soccorso per Gramsci e che, sotterraneamente e malgrado tutti i contrasti, manteneva viva la speranza. Contemporaneamente, Tania non aveva affatto un animo subalterno e non mancò, come abbiamo visto, di stimolare Sraffa a fornire a Gramsci un dialogo culturale e politico gratificante. Sraffa non esitò a intervenire su Tania anche in modo severo, quando non aspro. Nel 1932, invitò più volte Tania a recarsi a Turi per visitare Gramsci, e a ragione. Tania non andò, stava male, ma, leggendo le sue lettere, può sorgere il dubbio che i motivi potessero essere anche altri. Nel settembre 1932 Sraffa indusse Tania (riluttante) a presentare, senza avere avuto ancora il consenso di Gramsci (che sospettava altro), l'istanza per ottenere una visita medica superiore. Forse aveva ragione anche questa volta, ma l'iniziativa scatenò fra Tania e Gramsci una tempesta, nella quale affiorarono ulteriori retroscena, a tutt'oggi non chiariti. Nel febbraio del 1933, con una lettera che agitava lo spettro del «disastro», Sraffa costrinse Tania a violare un rigoroso divieto di Gramsci e a rivelargli per iscritto, anche nei dettagli, il «progetto grande»: un errore che ebbe conseguenze negative e per il quale Tania fu la sola a pagare. Dopo la morte di Gramsci, Tania e Sraffa arrivarono a uno scontro amaro e durissimo. A quel punto Tania non voleva soltanto conoscere la verità sulla lettera di Grieco, che costituì per l'ideologo comunista, e fino alla morte, la spina più tormentosa in tutti gli anni del carcere, ma voleva anche difendere le idee di Gramsci che non dovevano essere tradite. Questo per Sraffa era forse troppo, lo spingeva verso una soglia che egli non era in grado di varcare. E Tania fu con lui inesorabile, proprio come lo sarebbe stato Gramsci: a lei, che chiedeva consiglio su come comportarsi per giungere a chiarire la questione della lettera di Grieco, Sraffa rispose consigliandole di recarsi a Parigi, durante il viaggio di ritorno a Mosca, per parlarne direttamente con l'interessato. Tania rifiutò assai duramente quel subdolo consiglio. E di notevole interesse una circostanza che finora non era stata rilevata dagli studiosi. Il 19 maggio 1937 (Gramsci era morto il 27 aprile) Donini scrisse da Parigi una lettera a Sraffa, in cui gli diceva: « [...] Ruggero [Grieco] è ancora assente, ma gli altri comuni amici [il centro estero del Partito comunista d'Italia] pensano che ormai Tania, se non ha ragioni di fare altrimenti, dovrebbe pensare a venire via e passare prima di qui [sottolineato nel testo]»42. Dunque Sraffa, quando diede a Tania il suddetto suggerimento, non fece che trasmetterle una decisione del centro estero del Partito comunista d'Italia. Ma non era finita. Poco tempo dopo, nel giugno del 1938, mentre Tania stava ormai per partire per Mosca, la segreteria del Comintern ricevette un documento che la riguardava. Questo episodio è stato ricostruito da Giuseppe Vacca, sulla base di una nuova documentazione recentemente acquisita43. Nel giugno del 1938 al Comintern, ufficio di Manuirskij44, giunse una segnalazione di Ruggero Grieco, secondo la quale Tania «faceva un lavoro contro di lui» nell'ambiente russo di Roma, diffondendo le stesse accuse precedentemente formulate da Gramsci. Grieco era stato informato daU'«amico» (Sraffa). Secondo la Blagoeva, collaboratrice di Manuirskij, già il 28 aprile Grieco aveva chiesto «di convocare questa donna, quando sarà tornata in Urss»45. Inoltre, secondo quanto riferi la Blagoeva, Grieco avrebbe affermato di ritenere sospetto il fatto che Tania non era ancora rientrata. Si noti che la denuncia di Grieco cadde ancora nel pieno del terrore staliniano. Tania rientrò solo dopo il novembre del 1938, dopo essere riuscita a compiere la traslazione delle ceneri di Gramsci al Cimitero di Porta San Paolo, detto «degli Inglesi». Il 7 novembre Tania scrisse a Teresina46\/, sorella di Gramsci, a Ghilarza, e le descrisse la tomba che aveva acquistato a nome della famiglia Schucht, l'urna e l'ambiente di pace e di riposo. L'oblio in cui molti studiosi di Gramsci hanno confinato Tania è giunto al punto che nella Cronologia che accompagna l'edizione critica dei Quaderni del carcere (1975) si afferma che «le ceneri di Gramsci furono trasferite dopo la liberazione al Cimitero degli Inglesi»47. Lo stesso, incredibile errore si ritrova nella recente edizione delle Lettere dal carcere, curata da A. Santucci48\/. 5. Tania e la famiglia. Tania aveva sei anni quando la famiglia, in volontario esilio, lasciò la Russia zarista. Il padre, già populista, aveva conosciuto a Samara (dove era confinato e dove Tania nacque nel 1888) Lenin, divenendone amico. La famiglia visse per alcuni anni a Ginevra, dove nacque Giulia, poi si trasferi in Francia a Montpellier e nel 1909 a Roma, dove Asja e Giulia frequentavano l'Accademia di Santa Cecilia (scuola di violino), ed Eugenia era entrata in contatto con ambienti e personalità delle arti figurative (Duilio Cambel-lotti). In quegli anni si strinse l'amicizia fra la famiglia e Nilde Perilli. Tania sembra essere rimasta in disparte da quelle relazioni. Studiò scienze naturali, poi frequentò all'Università i corsi di medicina. Non giunse alla laurea, ma entrò in relazione con alcuni fra i più noti e autorevoli medici e chirurghi del tempo: G. e R. Bastianelli, Puccinelli. All'inizio e durante la Prima guerra mondiale la famiglia rientrò in Russia, mentre Tania restò sola a Roma, per continuare gli studi, come si trova scritto, con prospettiva di impiego. Ma una biografia di Tania non esiste e, forse, almeno per quanto riguarda gli anni fino al 1925, è ormai impossibile ricostruirla. Della sua adolescenza e prima giovinezza non sappiamo nulla, nulla dei rapporti con i genitori e con le sorelle, nulla dei suoi affetti e sentimenti e, in generale, della sua vita intima. Nelle lettere a Gramsci, e ancor più in quelle ai familiari, il riserbo sulla propria intimità è grande, ma lascia talora aperti degli spiragli. Essi rimasero tali. Se Tania, come si può supporre, chiedeva aiuto, Gramsci non poteva darglielo, in particolare, dopo i primi due anni di carcere, quando Tania era divenuta tramite e messaggera, non più solo della famiglia, ma di Sraffa e della politica che stava dietro di lui, del «mondo grande e terribile». Più di una volta, da parte di Gramsci, prima degli anni più duri e angosciosi (seconda metà del 1932, l'intero 1933) la replica, indiretta, e sempre affettuosa, fu: «torna dalla tua mamma». Il 2 settembre 1930, sotto l'incalzare delle pressioni dei suoi, Tania riferisce a Gramsci che suo padre insiste perché lei si decida a tornare in Russia: «questa sarà la volta buona», «le stanno cercando un lavoro». Ma Tania non se la sente di partire, anzi non vuole: «non voglio mica fuggire determinate angosce, soltanto mi è difficile decidermi a partire per un'infinità di ragioni reali, ed anche senza nessuna ragione, ma mi è difficile partire, forse perché si tratta della mia propria vita, e sarà vero che io non vivo per conto mio affatto. Mi si potrebbe obiettare che in questo caso si tratta del legittimo desiderio di mia madre, alla quale senza alcun dubbio sono affezionatissima, eppure non sentendo bene la mia propria personalità, non so decidere nulla. E proprio vero che so vivere solo la vita degli altri, ma bisogna sempre che io sia presa nell'ingranaggio di questa e allora seguo tutte le fasi di essa come se fosse la mia propria». Tania poteva forse dire più chiaramente che era ormai presa «nell'ingranaggio» della vita di Gramsci e che questa era diventata come la propria? Ma che cosa intendeva quando scriveva che, pur essendo affezionatissima alla mamma, non riusciva a decidersi «non sentendo bene la mia propria personalità»? Forse la sua personalità era ormai totalmente e in modo disinteressato dedicata ad altri, al prossimo, e dunque a Gramsci? La verità è che «non vivo per conto mio», per cui non partirà e fra le altre ragioni, che qui però non ricorda, c'è sicuramente, dopo quindici anni di distacco, anche il senso di estraneità, di cui ha parlato in un'altra occasione, verso la famiglia e in particolare verso le sorelle, Genia e la stessa Giulia49. In un punto della sua corrispondenza con Gramsci, Tania parla del suo modo di concepire e di praticare i rapporti con il «prossimo». Essa non concepisce altro rapporto che quello «disinteressato»: amore per il prossimo in se stesso, senza aspettarsi contropartite, dunque non per se stessi. È un'affermazione che ricorre costantemente nelle lettere che Tania scrive a Gramsci, senza che sia possibile distinguere quando dal rapporto generico con un prossimo indeterminato la donna trapassi insensibilmente verso l'amore per una persona. Sui sentimenti d'amore Tania dimostra un riserbo che confina con l'inibizione. D'altra parte, il suo amore «disinteressato», il suo dare senza contropartite, anzi negando che contropartite debbano esserci, trova, si direbbe, il suo limite in lei stessa. Più volte, nelle lettere a Gramsci, ella parla della propria incapacità ad «aprirsi», ad aprire la propria intimità ad altri. Tania, pur non avvertendo, almeno stando a ciò che scrive, tale limite come una limitazione, lo riafferma quasi come una cortina protettiva che tutela l'incolumità dei propri sentimenti. Ma il suo rapporto disinteressato con il prossimo non era forse l'altra faccia della sua incapacità ad «aprirsi»? Ovvero: non era forse questa sua incapacità ad aprirsi a fare si che il suo rapporto con il prossimo fosse disinteressato, cioè, senza contropartite, senza scambio? Che cosa, insomma, poteva dare Tania, se non riusciva ad aprirsi con gli altri? Di fatto, fu nel rapporto con Gramsci che Tania spinse all'estremo limite la virtù pratica del donarsi e, nelle lettere che gli scrisse, più volte riuscì ad «aprirsi», a schiudere e a confidare sinceramente la propria intimità50. In una lettera ai familiari del 7 gennaio 193151, Tania Schucht parlerà del proprio «autoisolamento», partendo da un banale fatto della vita di ogni giorno, senza tentare di chiarirne né le cause, né il significato. Poco dopo (4 luglio 1932), scrivendo alla mamma della sua riluttanza a partire, tenterà di darne una spiegazione, restando ben lontana dall'aprire la propria intimità, come più di una volta era riuscita a fare con Gramsci: «Comprendo benissimo che non è bello ciò che faccio, non posso neppure scusare il mio comportamento, ma lo posso spiegare col fatto che vivendo così tanto tempo da sola, è come se in me non esistesse il bisogno di far partecipi gli altri della mia vita, delle mie emozioni. Il riserbo è un tratto caratteristico delle esistenze solitarie. Scrivo queste parole con amarezza perché in realtà ho sempre teso ad entrare nel più profondo delle emozioni altrui, prendendo parte il più possibile alla vita degli altri. Ma per mia natura non sono stata mai capace di dividere con altri le mie necessità e i miei desideri [...] Semplicemente io vivo la mia vita così come viene, senza prefissarmi di andare da qualche parte o di ottenere qualche cosa di definito per me stessa [...] ho già preparato le valige da quattro giorni e faccio uso soltanto del letto, tuttavia mi è difficile partire»52. Qui Tania fa solo un cenno a una propria, vaga, condizione esistenziale, che non spiega nulla e non ribadisce la forte motivazione che aveva dichiarato il 30 agosto 1928 (dunque prima del suo incontro con Sraffa), allorché aveva scritto: «Cara mamma, tu continui a scrivermi e a farmi dire dagli altri che tutti mi aspettano, ma anch'io non vedo l'ora di poter venire e ciò avverrà molto presto. Finora i compagni mi hanno sempre chiesto di fare tutto quanto è possibile per il compagno Gramsci, per migliorare la sua condizione e perché sia mantenuto un costante contatto. Per ciò la causa dei rinvìi della mia partenza sta nell'orga-nizzare l'esistenza di un recluso, perché, come sapete, sono la sola ad avere degli incontri con lui [...] I compagni hanno chiesto la mia partecipazione per aiutarlo [...] arriverò da voi presto»53. Le lettere di Tania, almeno fino al 1933, sono punteggiate di annunzi, come se ella fosse giunta realmente alla vigilia della partenza ha già acquistato i regali che vorrà portare a Mosca. In realtà non partirà e non tanto, o non solo, per l'incarico che ha ricevuto «dai compagni», e che verrà «istituzionalizzato» da Sraffa, quanto piuttosto per l'avvenuto intreccio («presa nell'ingranaggio») tra la sua vita personale e la vita di Gramsci, un intreccio che solo la morte potrà sciogliere. E forse, proprio la consapevolezza dello sbocco inevitabile di quell'intreccio le impedì di ribadire nel settembre del 1930 l'argomentazione dell'agosto 1928, allorché le vie del futuro (almeno a livello di speranza) potevano sembrare ancora non del tutto bloccate. Un motivo ricorrente nelle lettere di Tania alla famiglia consiste nella constatazione e deprecazione del mancato arrivo a destinazione di un buon numero di esse. Ciò sembra avvenire con frequenza e regolarità, malgrado Tania spedisse le sue missive a indirizzi diversi da quello della famiglia: quello di un conoscente, dottor Schwartz, quello dell'Istituto elettrotecnico, dove aveva lavorato il padre, o anche fermo posta. La cosa sembrava ripetersi anche quando le lettere venivano affidate a conoscenti che da Roma si recavano a Mosca. Ovviamente Tania, pur deplorando vivacemente l'inconveniente, non parlerà mai di censura; ma non è infondato supporre che, come, secondo una precisa testimonianza di Togliatti54, le lettere di Giulia a Gramsci dovevano essere recate a un «ufficio» che le tratteneva anche per mesi, cosi anche quelle indirizzate a Giulia e alla famiglia subissero la stessa sorte. Si può ancora notare come, a differenza della corrispondenza fra Giulia e Gramsci, tanto rara, irregolare e dolorosa, quella fra Giulia e Tania, scontata la scomparsa di alcune lettere, sembri essersi svolta con una certa regolarità, né da essa le condizioni della malattia di Giulia appaiono cosi angosciose come invece risulta dalla corrispondenza fra Giulia e Gramsci. Questo è un particolare per il quale, allo stato attuale della documentazione, non è possibile avanzare una spiegazione sicura e che forse richiederebbe una conferma. Le Lettere ai familiari di Tania si arrestano alla fine del 1934. Perché? Forse quelle dei due anni successivi sono andate perdute? I curatori del volume non forniscono alcuna spiegazione in proposito. E lecito quindi avanzare il dubbio che certe lettere di Tania si trovino ancora a Mosca; per non parlare delle corrispondenti lettere di Giulia, che costituirebbero una fonte preziosa per il progredire degli studi gramsciani. 6. Il paradigma del 1947. Nei primi due paragrafi si è definita e documentata l'operazione politico-culturale compiuta da Togliatti con la pubblicazione delle Lettere dal carcere, primo volume delle opere di Gramsci, nel 1947. Gramsci venne presentato allora come il martire dell'antifascismo, la cui forza politica e morale non piegò mai di fronte alla violenza della dittatura, come lo studioso che nei dieci anni di prigionia aveva ripercorso gli itinerari della storia e della cultura nazionale, dai Comuni medievali al Rinascimento, al Machiavelli, al Risorgimento, aprendo nuovi orizzonti alla lotta politica e alla ricerca culturale nella fase della ricostruzione democratica successiva alla caduta del fascismo. Ed è innegabile che quell'immagine fu accettata e riconosciuta dalla cultura antifascista di quegli anni e circondata dal rispetto dei politici di ogni parte, in un tempo di aspri scontri politico-sociali: il 1947 fu l'anno della fine dei governi di unità antifascista che, in forme diverse, si erano avvicendati dal 1944. Quell'immagine era indubbiamente veritiera. Ma, come si spera di aver dimostrato, non riflette totalmente la verità. L'eroismo di Gramsci non può essere negato, né ridotto, ma esso non assume mai forme monumentali, come ben sapeva Tania, allorché scelse la stele e l'urna che ne avrebbe raccolto le ceneri. Per dieci anni Gramsci combatté il male che disgregava la sua resistenza fisica. Se spesso prevalse la sua forza morale, la sua vocazione di vivere per lottare, egli non nascose la propria debolezza: una volta, in una lettera a Tania confessò che avrebbe voluto «piangere come un bambino». Il dramma di Gramsci non fu tanto quello di un combattente politico caduto nelle mani del nemico, privato della libertà e condannato a morire in carcere. Questo, come egli scrisse una volta, era «preventivato». Il dramma di Gramsci consistette nell'aver maturato la convinzione di essere stato abbandonato politicamente e condannato dai suoi, di avere subito colpi non solo da parte del nemico (questo era normale), ma anche da una parte dalla quale non poteva aspettarseli, da una parte che era stata sua. E questi colpi giungevano alle fibre più intime della famiglia, si «frapponevano» fra lui e questa, rimasta «fra i condannatori». Cosi la passione polìtica e la passione dei sentimenti venivano ferite in modo «inscindibile» dagli stessi colpi. Quello che fu il vero dramma di Gramsci è totalmente assente nell'edizione delle Lettere dal carcere del 1947. L'immagine monumentale, edificante e didascalica, cosi come i contenuti, i messaggi politico-culturali che costituivano il suo alone, hanno dominato per più di vent'anni, certamente fino alla morte di Togliatti, nel 1964. In quello stesso 1964 cominciarono ad aprirsi le prime brecce. Giansiro Ferrata e Niccolò Gallo avviarono la pubblicazione di un'antologia di scritti di Gramsci (2000 pagine di Gramsci), che non fu mai portata a termine55. Nel secondo dei due volumi usciti compariva una nuova raccolta delle lettere dal carcere ricca di inediti e, fra questi, alcune lettere a Giulia e a Tania che gettavano improvvisi squarci sul vero dramma di Gramsci; per esempio la lettera a Giulia del 7 dicembre 1931 (la lettera della «solidarietà tradita»), la lettera a Tania del 27 febbraio 1933 (la lettera in cui Giulia viene annoverata «fra i condannatori»). Singolarmente, i curatori non rilevarono con alcuna annotazione l'importanza di queste (e altre) lettere che passarono inosservate. Segno anche, pur se indiretto, dell'efficacia del modello imposto, diventato senso comune, fin dal 1947. L'antologia di Ferrata e Gallo ebbe il merito di iniziare la demolizione di un tabù nella storia del Partito comunista d'Italia e del Partito comunista italiano: la pubblicazione, da parte dello stesso Togliatti, della famosa lettera scritta da Gramsci a Togliatti nell'ottobre 1926, a nome dell'Ufficio politico, al Comitato centrale del Partito comunista russo, che era stata all'origine dello scontro fra Gramsci e Togliatti. Togliatti, prevenuto da Ferrata che stava per pubblicare la lettera nella sua antologia, preferì pubblicarla di persona, accompagnandola con una breve nota esplicativa56. In quell'occasione Togliatti pubblicò anche la sua risposta alla lettera di Gramsci. Dopo la morte di Togliatti, l'intero carteggio fra i due uomini politici verrà pubblicato da Franco Ferri nel 197057. Già nel dicembre 1964 Franco Ferri aveva pubblicato su «Rinascita» il memoriale di Athos Lisa58 (Togliatti lo aveva tenuto segreto per 30 anni), che costituisce la documentazione più convincente sul dissenso attivo di Gramsci dalla politica dell'Internazionale comunista dopo il VI Congresso e, conseguentemente, dalla «svolta» del Partito comunista d'Italia degli anni 1929-32. L'edizione delle Lettere dal carcere del 1965, curata da Sergio Caprioglio e da Elsa Fubini, pur non essendo ancora completa, conteneva ormai tutti i documenti indispensabili per definire esattamente l'inscindibilità dell'elemento politico e familiare nel dramma di Gramsci, rendendo quindi possibile un approccio del tutto nuovo allo studio del rapporto fra Gramsci e il partito. E' da notare che, almeno nella prima fase della preparazione di questo volume, lo stesso Togliatti ebbe una parte non secondaria. 7. I silenzi di Sraffa. Dal 1934 fino al marzo 1937, Sraffa potè visitare Gramsci in clinica, prima a Formia, poi a Roma. Naturalmente, i suoi movimenti in Italia furono sempre controllati dalla polizia, come pure i suoi colloqui con Gramsci, almeno fino a quando questi non ottenne la libertà condizionale (ottobre 1934). Successivamente, Sraffa potè parlare con Gramsci con relativa libertà. Molti anni dopo, su questi colloqui, malgrado le ripetute sollecitazioni di Paolo Spriano, Sraffa ha sempre mantenuto il massimo riserbo. Spriano ha sottolineato «il grande, schivo riserbo del professor Sraffa»59. In un'occasione, Sraffa scrisse a Spriano che non si fidava più della propria memoria. Com'è noto, egli vide Gramsci per l'ultima volta nel marzo del 1937 e fu allora che Gramsci gli affidò un importante messaggio politico, che lui trasmise puntualmente al centro estero del Partito comunista d'Italia: «la Costituente è il Fronte popolare». Si sa che Gramsci, fin dal 1930, aveva indicato al Partito comunista d'Italia l'obiettivo strategico della Costituente, ma solo nel 1937 sarebbe stato possibile formularlo in una parola d'ordine cosi sintetica ed efficace. Sappiamo inoltre, come riferisce Spriano che lo aveva saputo dallo stesso Sraffa, che, a proposito del primo dei grandi processi di Mosca, quello a Zinov'ev e a Kamenev, avvenuto nel luglio del 1936, Gramsci avrebbe affermato che le confessioni degli imputati non possono valere come prove. Si trattava di un argomento di forte contestazione, e si può notare come più tardi, nel 1938 (Gramsci era morto da un anno), Bucharin non esitasse nella sua autodifesa a sostenere che quella di usare le confessioni come prova era una procedura medievale. Gramsci, dunque, a conoscenza solo del primo dei grandi processi, forni un argomento valido per criticarli tutti alla radice: una circostanza che non pare essere stata valutata, come pur meritava, dagli studiosi della storia del Partito comunista italiano. Altro Sraffa non ci ha detto e, a dire il vero, il suo riserbo, rispetto alla storia di Gramsci, può sembrare eccessivo. Dei suoi incontri con Gramsci in clinica Sraffa informò sempre e, presumibilmente, per iscritto, Togliatti e il centro estero del partito. Fra il 1935 e il 1936 Togliatti si trovava a Mosca, per cui non vi è nulla di arbitrario nel supporre che Sraffa gli riferisse per iscritto. Nessun documento di questo tipo è stato finora ritrovato. Vi è tuttavia una questione della quale sembra impossibile che Sraffa non abbia parlato con Gramsci: è il caso della famigerata lettera di Grieco, che alimentò in Gramsci fino alla morte il sospetto pivi atroce, quello di essere stato tradito dai suoi. E sorprendente che in tanti anni (dal 1928 al 1934 almeno) il Partito comunista d'Italia non abbia trovato il modo di far giungere a Gramsci una spiegazione convincente (e riparatrice). E non sembra ammissibile che non lo abbia fatto Sraffa, almeno in una delle occasioni in cui potè parlare liberamente con Gramsci. Se lo fece, di certo non riusci a convincere Gramsci. Comunque, se pure ne discussero, sicuramente Gramsci non ne fece parola con Tania, con la quale, negli anni, si era confidato più volte. Ne è prova il fatto che, dopo la morte di Gramsci, Tania, fin dal primo incontro con Sraffa, gli chiese di aiutarla a scoprire la verità nascosta in e dietro quella lettera. Oggi sappiamo che Sraffa si limitò a trasmettere a Tania un consiglio che promanava proprio dal Centro estero del Partito comunista d'Italia, cioè dallo stesso firmatario della lettera, Ruggero Grieco. Questo particolare era ignoto a Tania, che tuttavia reagì come se lo avesse saputo. E fu la triste rottura fra i due. Da quel momento Tania rimase sola con l'ombra protettrice e fatale di Gramsci. Note1 P. Togliatti e F. Platone, in A. Gramsci, Lettere dal carcere, Einaudi, Torino 1947. 2 A. Gramsci Lettere dal carcere, «l'Unità» editrice, Roma 1988, p. 273. 3 S. Sechi, Spunti critici sulle «Lettere dal carcere» dì Gramsci, in «Quaderni piacentini», 1967, n. 29, p. 100. 4 L. Paggi, Studi e interpretazioni recenti dì Gramsci, in «Critica marxista», 1966, n. 3, p. 15. 5 G. Amendola, Rileggendo Gramsci, in «Critica marxista», 1967, n. 3, p. 30. 6 G. Fiori, Gramsci, Togliatti, Stalin, Laterza, Bari 1991. 7 G. Vacca, Appunti su Togliatti editore delle «Lettere» e dei «Quaderni», in «Studi storici», n. 3, 1991. 8 Dattiloscritto in lingua tedesca con annotazioni manoscritte, Rossi-skij Centr Chranenija i Izucenija Dokumentov Noveiscei Istorii, Moskva, d'ora in poi RCCHIDNI, f. 495, op. 73, d. 104, l. 13v. Cfr. G. Vacca, Togliatti editore delle «Lettere» e dei «Quaderni del carcere», in Togliatti sconosciuto, «l'Unità» editrice, Roma 1994, pp. 144-45. 9 RCCHIDNI, f. 495, op. 73, d. 118; cfr. Vacca, Gramsci editore delle «Lettere» cit., p. 147. 10 In questa introduzione il rinvio alle Lettere dal carcere di Gramsci è compiuto con la semplice indicazione della data di stesura. Il lettore non avrà difficoltà a rintracciare le lettere a Giulia e alla famiglia in Sardegna nell'edizione a cura di A. A. Santucci, Sellerio, Palermo 1996. 11 Lucien Laurat, L'accumulatìon du capital d'après Rosa Luxemburg. Suivi d'un apergu sur la discussion du problème depuis la mort de Rosa Luxemburg, Librairie Marcel Rivière, Paris 1930. 12 Per una descrizione del fondo «Gramsci» si vedano P. Gabrielli, II Fondo Gramsci: una descrizione analitica, in «IG Informazioni», 1992, n. 1, pp. 91-103 e le schede Antonio Gramsci; Tatiana Schucht, a cura di P. Gabrielli, in Guida agli archivi della Fondazione Istituto Gramsci di Roma, a cura di L. Giuva, Annali della Fondazione Istituto Gramsci, 1992 Editori Riuniti, Roma 1994, pp. 94-101, 125-26. 13 A. Natoli, Antigone e il prigioniero, Editori Riuniti, Roma 1990. 14 Ibid., pp. IX-X 15 Cfr. le lettere 308 e 311. 16 V. Gerratana, in una nota dal titolo I Gramsci della discordia, pubblicata il I° maggio 1996 su «l'Unità», si è pronunciato contro la pubblicazione della corrispondenza di Gramsci dal carcere. Secondo Gerratana, vi sarebbe il pericolo che le lettere di Gramsci vengano «assorbite», «frantumate», fra quelle dei suoi corrispondenti. In sostanza, la pubblicazione della corrispondenza non solo non sarebbe di alcuna utilità, ma risulterebbe addirittura dannosa. 17 V. Gerratana, Prefazione, in A. Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica dell'Istituto Gramsci, a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1975, pp. x-xlh. 18 Ibid., p. XXVIII. 19 A. Gramsci, Forse rimarrai lontana... Lettere a Julca. 1922-1937, a cura di M. Paulesu Quercioli, Editori Riuniti, Roma 1987, pp. 120-21. 20 Ibid., pp. 122-23. 21 P. Sraffa, Lettere a Tania per Gramsci, a cura di V. Gerratana, Editori Riuniti, Roma 1991. 22Lettera inedita, fondo «Tatiana Schucht», ie/238. 23 La prima edizione dello studio di Paolo Spriano fu pubblicata dagli Editori Riuniti nel 1977. Undici anni più tardi nel 1988 «l'Unità» editrice ne curò la ristampa con un'appendice arricchita di nuova documentazione. 24 Nel febbraio del 1928, Ruggero Grieco spedi a Gramsci in carcere (a Milano) una lettera che, scritta a Basilea, gli giunse da Mosca, dove era stata letta negli uffici del Comintern. La lettera sottolineava l'alta responsabilità di Gramsci nella direzione del Partito comunista d'Italia e nel movimento comunista internazionale. Il giudice istruttore Macis nel porgere la lettera a Gramsci gli disse: «Qualcuno le vuol male», intendendo che, in vista del processo, quella lettera aggravava la situazione di Gramsci. Analoghe lettere Grieco scrisse a Scoccimarro e a Terracini. Gramsci, nell'aprile 1928, scrivendo a Giulia, si dolse di quella lettera, «che lo aveva fatto inalberare» e, fino alla morte, rimase convinto che quella lettera gli era stata inviata per nuocergli. Ne scrisse a Tania nel dicembre 1932. In realtà, la lettera non fu inclusa negli atti del processo. 25 P. Spriano, Gramsci in carcere e il partito, «l'Unità» editrice, Roma 1988, p. 28. 26 Ibid., pp. 7-8. 27 La nota biografica è conservata nel fascicolo personale di Palmiro Togliatti nella Sezione quadri del Comintern (RCCHIDNI, f. 495, op. 221, d. 1,1. 258-61). 28 Natoli, Antigone e il prigioniero cit., p. 279. 29 Cfr. la lettera del padre di Sraffa al figlio del 20 maggio 1933, in Spriano, Gramsci in carcere e il partito cit., pp. 156-57. 30 C. Natoli, Gramsci in carcere: le campagne per la liberazione, il partito, l'Intemazionale (1932-1933), in «Studi storici», xxxvi, aprile-giugno 1995» PP- Ì25-2&. 31 Le lettere sono raccolte in Gramsci, Forse rimarrai lontana, cit. 32 Sulle difficoltà di Tatiana a vivere nell'ambiente familiare a Mosca dopo il suo ritorno dall'Italia cfr. G. Gramsci, Ricordo dì Tatiana, in T, Schucht, Lettere ai familiari, introduzione e cura di M. Paulesu Quercioli, Editori Riuniti, Roma 1991, pp. xv-xvin. 53 Cfr. la nota dell'editore in Sraffa, Lettere a Tania per Gramsci cit., p. vii. 34 L. Paggi, 17 Gramsci «sottratto», in «l'Unità», 4 aprile 1991. 35 Lettera edita in Spriano, Gramsci in carcere e il partito cit., pp. 148-149. 36 Lettera inedita, fondo «Tatiana Schucht», ie/229. 37 Fondazione Istituto Gramsci, Archivio del Partito comunista italiano 1921-43, d'ora in poi Ape 1921-43, fase. 671, f. 51, pubblicato in Spriano, Gramsci in carcere e il partito cit., p. 147 38 Apc 1921-43, fase. 673, f. 62. 39 Lettera inedita, fondo «Tatiana Schucht», id/156. 40 Lettera inedita, fondo «Tatiana Schucht», ie/179. 41 Sraffa, Lettere a Tania per Gramsci cit., p. 150. 42 Lettera edita in Spriano, Gramsci in carcere e il partito cit., p. 164. 43 G. Vacca, Gramsci 1926-193J: la lìnea d'ombra nei rapporti con il Comintern e il partito, in Togliatti sconosciuto cit., pp. 54-55. 44 Fra il 1929 e il 1938 D. M. Manuil'skij, membro russo influente della Segreteria del Comintern, fu più volte aspro critico e accusatore del Partito comunista d'Italia: per le sue «oscillazioni» del 1926, al tempo della lettera di Gramsci al Comitato centrale del Pcus sugli errori di metodo nella lotta contro la minoranza trotzkista-zinovievista; nel 1929 al X Plenum dell'Esecutivo dell'Internazionale comunista quando Togliatti, Grieco e Di Vittorio furono costretti ad abbandonare la linea politica del Congresso di Lione e a uniformarsi alla strategia del VI Congresso dell'Internazionale comunista. Più tardi, ancora, negli anni Trenta, nella fase più acuta della lotta antitrozkista, quando il Comitato centrale del Partito comunista d'Italia era stato sciolto d'autorità dall'Internazionale comunista per le sue «debolezze» nella lotta antitrozkista e sostituito da un «commissario» della medesima, nella persona di Giuseppe Berti, Luigi Longo e Ruggero Grieco furono allora i bersagli della critica di Manuil'skij. 45 RCCHIDNI, f. 495, op. 74, d. 250, 1. 96. 46 Schucht, Lettere ai familiari cit., pp. 256-57. 47 Gramsci, Quaderni del carcere cit., p. LXVIII. 48 Gramsci, Lettere dal carcere cit., p. XXXVIII. 49 Cfr. Natoli, Antigone e il prigioniero cit., p. 69 e appendice, p. 225. 50 Ibid., pp. 182-83. 51 Schucht, Lettere ai familiari cit., pp. 92-94. 52 Ibid., pp. 122-23. 53 Ibid., p. 43. 54 Lettera di Togliatti a Giuseppe Berti, 27 agosto 1930, in Spriano, Gramsci in carcere e il partito cit., p. 44. 55 A. Gramsci, 2000 pagine di Gramsci, a cura di G. Ferrata e N. Gallo, Il Saggiatore, Milano 1964. 56 Gramsci, 2000 pagine di Gramsci cit. 57 Il carteggio completo tra Gramsci e Togliatti sulla situazione nel partito bolscevico (1926), a cura e con introduzione di F. Ferri, in «Rinascita», XVII, 1970, pp. 11-17. 58 A. Lisa, Discussione politica con Gramsci in carcere, in «Rinascita», xlix, 1964, p. 17-21 59 Spriano, Gramsci in carcere e il partito cit., p. 37. |