da
Dominique Grisoni, Robert Maggiori
Guida a Gramsci
BUR, Milano 1975
FILOSOFIA
«Che cos'è la filosofia?» Non esiste una
filosofia o «la filosofia in generale», risponde
Gramsci, ma ci sono delle filosofie, delle concezioni del mondo, fra
le quali ognuno deve scegliere. A questo presupposto teorico ne va
aggiunto subito un secondo, metodologico: «occorre distruggere
il pregiudizio molto diffuso che la filosofia sia alcunché di
molto difficile» (MS, EI p. 3, ER p. 3), che non è
riservata a «scienziati specialisti» e a «filosofi
professionali», ma che è un'«attività
intellettuale» praticata da tutti gli uomini perché
«tutti gli uomini sono filosofi».
Una definizione della filosofia adempie dunque a un compito
fondamentale: dimostrare che la filosofia è opera dell'uomo,
ma anche che risponde alle sue esigenze e I parla di lui. Come tale
essa è conoscenza: «la coscienza di quello che si
è realmente svolto, cioè un "conosci te stesso" come
prodotto del processo storico finora svoltosi che ha lasciato in te
stesso un'infinità di tracce raccolte senza beneficio
d'inventario: occorre fare inizialmente questo inventario»
(MS, EI p. 4, ER p. 4, sottolineatura degli autori). L'uomo è
erede di un passato che non può ignorare e soprattutto non
può «giudicare». La filosofia è conoscenza
di questo prodotto umano-storico, in costante formazione e in
continua trasformazione. È anche riflessione critica.
«Fare un inventario» non significa solamente reperire
gli elementi che si succedono l'uno dopo l'altro, gli strati
accumulati, ma anche colmare i vuoti, gli «spazi
bianchi», e anche analizzare le fusioni, le mescolanze.
L'inventario organizza, rende coerente ciò che è
disparato, unifica ciò che sembra irriducibile: in questo
senso è concezione di qualcosa... La filosofia prima di tutto
si presenta quindi come attività teorica e intellettuale,
come conoscenza e come pensiero, in quanto delimita il proprio
oggetto: la realtà e l'uomo (se definiamo la formula
«concezione del mondo» come organizzazione del reale
secondo norme e criteri precisi), un oggetto che non è, per
la filosofia «tradizionale», idealistica, un dato
materiale immediato. Ma la conoscenza anche oggi non è
completamente indipendente dall'idea di
«contemplazione». Per questo Gramsci si preoccupa di
dimostrare che l'atto conoscitivo della filosofia produce un sapere
pratico. Quando cita la XI tesi su Feuerbach («i filosofi
hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta
però di mutarlo», appendice a Engels, Ludovico
Feuerbach..., Edizioni Rinascita, Roma, 1950, p. 80) lo fa in questi
termini: «i filosofi hanno spiegato il mondo e si tratta ora
di mutarlo» (MS, EI p. 66, ER p. 79, sottolineatura degli
autori). Questa «traduzione» implica una concezione
filosofica: unità della teoria e della pratica, la
realtà come «universale soggettivo», la storia
come produzione umana e l'uomo come prodotto storico ecc. La
filosofia non può quindi più essere
«contemplazione» né «interrogazione»,
cioè non può più essere u-no sterile
rimescolamento di concetti, perché, come nota J. Texier ',
«è azione, nella stessa misura in cui è
concezione». L'azione si conforma all'organizzazione teorica
del reale che la sottende e da questo momento la filosofia non
può essere altro che politica: è politica, lo è
sempre stata, ma non ci appare immediatamente in questa relazione
teorico-pratica con il reale e con la storia a causa delle
mediazioni ideologiche. È politica, quando si attua
concretamente, quando si «realizza» materialmente e si
identifica con il «processo storico» e il
«divenire storico».
Questa identificazione fra politica, filosofia e storia è il
punto nodale della concezione gramsciana della filosofia. Secondo
Gramsci «l'attività politica è...il primo
momento o grado, il momento in cui la superstruttura è ancora
nella fase immediata di mera affermazione volontaria indistinta ed
elementare» (Mach, EI p. 11, ER p. 27), quindi fra politica e
sovrastruttura sussiste un rapporto dialettico, e la politica
è una fase di elaborazione della sovrastruttura. Bisogna
dunque determinare esattamente il «luogo» che occupa
nell'ambito di una concezione del mondo sistematica, nell'ambito di
una filosofia. Ciò ci permetterà poi di individuare il
legame che l'unisce alla struttura mettendo in evidenza il nesso
più generale fra politica e blocco storico. Questo rapporto,
d'altra parte, permette di comprendere la formula: «la
filosofia è politica», in cui Gramsci precisa il senso
dell'identificazione dei termini rimandando al concetto di
«unità fra teoria e pratica». La filosofia
concepita come «riflessione critica» è dunque
anche politica, cioè è «azione permanente»
e, in questo senso, la sua identificazione con la politica
significa: realizzazione concreta e necessaria di una teoria o di
una concezione del mondo. Da questo punto di vista, è anche
una morale, perché forma un sistema di valori e di norme che
orientano l'azione pratica e i «progetti» dell'uomo e li
rende conformi a un orientamento razionale; in altri termini
analizza le possibilità reali prodotte da una situazione
storica determinata, che permettono di prefigurare un avvenire
«umanizzato».
Ma se la filosofia è «conoscenza», se è
«motore» dell'azione, e anche essa stessa azione (la
conoscenza chiarisce ciò che è, l'azione produce
ciò che non c'è ancora), sarà necessario
individuare a quale tipo di conoscenza e a quale tipo di azione
rimandi. Conoscere diventa produrre un sapere (la filosofia non si
distingue dunque dalle altre scienze), a proposito di un oggetto
determinato; nel caso della filosofia questo implica la
riflessività, perché essa è conoscenza di un
soggetto concreto, dell'uomo «fabbro di se stesso», che
si autoproduce producendo il suo mondo e che conosce il mondo
prendendo coscienza di sé come essere sociale e storico.
Questa conoscenza è dunque autocoscienza dell'uomo, che si
realizza attraverso una costruzione, o concezione, del mondo.
D'altra parte, l'agire produce una trasformazione del reale, che,
nello stesso tempo, è anche trasformazione dell'uomo, e che
come tale implica l'esistenza di un progetto pratico per una
realtà nuova. Così dunque il momento riflessivo della
filosofia come conoscenza, cioè di un pensiero cosciente di
se stesso, che si conosce e si riconosce, è inseparabile da
una comprensione totale e «integrale», e perciò
da una concezione del reale o del mondo perché, come Gramsci
fa spesso notare, la filosofia è «concezione del
mondo» (ma non solo questo) sistematica e razionale, ma anche
di un'azione concreta storica sviluppata nel quadro di un progetto
pratico.
In questo modo, l'identificazione (senza residui) della filosofia
con la storiografia (una concezione le cui origini culturali si
possono trovare in Vico e in Hegel che definisce la filosofia come
storia della filosofia) assume in Gramsci un duplice significato:
polemico, nella misura in cui implica la confutazione della
tradizionale filosofia trascendentalistica e metafisica, che si pone
al di là del sapere concreto orientandosi verso una
«realtà» suprema, talvolta conoscibile, talvolta
razionalmente inconoscibile; critico, perché «si
realizza nello studio concreto della storia passata e
nell'attività attuale di creazione di nuova storia»
(MS, EI p. 126, ER p. 148); in altri termini, perché è
«Scienza della storia». Ma questa identificazione non va
intesa come riduzione della filosofia, come possibile sviluppo verso
una nuova specificità che determinerebbe una specializzazione
limitativa. La filosofia come storiografia ha un valore metodologico
ben preciso non riducibile entro le categorie delle
«discipline» storiche, cioè dei molteplici
aspetti della storia (storia dei modi di produzione, dell'arte, dei
sistemi politici ecc.) entro i quali essa dileguerebbe. È
invece ricerca ed elaborazione di «strumenti» logici e
scientifici che permettano di comprendere con sempre maggior
precisione la realtà storica (il concetto di egemonia, a
esempio, è uno di questi strumenti), anche se hanno una
portata limitata; è tentativo e sforzo di pensare l'avvenire
dell'uomo. Fornendo l'armatura concettuale critica che rende
possibile l'autocoscienza dell'uomo, la sua coscienza di sé
come prodotto della storia, e soggetto produttore di essa, la
filosofia si rivela una storiografia. Perché una
«teoria della storia» non può essere anche una
teoria dell'uomo, dei suoi rapporti con gli altri uomini, della sua
relazione con la natura, quindi una filosofia.
Tutte queste mediazioni (politica, storia...) potrebbero far pensare
che la filosofia diventi sempre più indeterminata e scompaia
dietro la molteplicità e l'apparente frammentazione
dell'attività umana. In realtà, nella misura in cui
è il momento teorico di ciascuno degli aspetti di tale
attività, di tale «prassi», deve esserne anche il
momento di totalizzazione: è il loro rapporto organico, la
loro concreta e necessaria totalizzazione.
Dunque, la filosofia per Gramsci è «attività
intellettuale» che genera sapere: è conoscenza e guida
per l'azione. Le sue diverse caratteristiche, pur inserendola in una
prospettiva «storicistica»2 non ne celano la
specificità in quanto filosofia, ma, al contrario, ne
ampliano il campo. La filosofia diventa «filosofia della
prassi», cioè «storicismo assoluto»,
«mondanizzazione» e «terrestrità»
assoluta del pensiero, umanesimo assoluto della storia (MS, EI p.
159, ER p. 188).