Istinto del gregge: Costume, Morale, Diritto
2.
Si vive comunque nella fiducia di possedere una vera cultura: e l'enorme contrasto fra questa fiducia soddisfatta, anzi trionfale, e un'evidente manchevolezza sembra sia percepito solo da pochissime, rarissime persone. Infatti tutti coloro che concordano con l'opinione pubblica, si sono bendati gli occhi e tappate le orecchie quel contrasto non deve esistere. Come è possibile ciò? Quale forza è tanto potente da prescrivere un simile «non deve»?
Ora, se la vera cultura presuppone comunque un'unità di stile, e se persino una cultura cattiva e degenerata non può pensarsi senza quella molteplicità che confluisca nell'armonia di un unico stile, la confusione insita in quell'illusione del filisteo colto può ben derivare dal fatto che egli dappertutto ritrova l'uniforme impronta di se stesso, e che da questa impronta uniforme di tutte le «persone di cultura» deduce un'unità di stile nell'educazione tedesca, insomma una cultura. Attorno a sé egli scorge esigenze tutte uguali e opinioni simili; ovunque vada, subito lo avvolge il vincolo di una tacita convenzione su molte cose, specialmente in questioni di religione e d'arte: questa imponente omogeneità, questo tutti unisono non comandato eppure subito prorompente, lo induce a credere che qui operi una cultura.
Ma il filisteismo sistematico e reso dominante non è, per il fatto di avere un sistema, ancora cultura, e neppure cattiva cultura, bensì sempre e soltanto il contrario di essa, ossia barbarie durevolmente fondata. Infatti tutta quell'unità di impronta, che così regolarmente ci salta agli occhi in ogni persona colta della Germania di oggi, diviene tale solo per la consapevole o inconsapevole esclusione e negazione di tutte le forme ed esigenze artisticamente produttive di un vero stile. Nel cervello del filisteo colto dev'essersi prodotto uno sciagurato travisamento: egli considera cultura proprio ciò che ne è la negazione, e poiché procede con coerenza, ottiene alla fine un gruppo compatto di tali negazioni, un sistema di non-cultura, alla quale potrebbe concedersi persino una certa «unità di stile», se ancora avesse un senso parlare di una barbarie assunta a stile.
Se lo si lascia libero di decidere tra un'azione conforme a uno stile e una contraria, egli sceglie sempre la seconda, e poiché sceglie sempre questa, in tutte le sue azioni resta un'impronta negativamente omogenea. Proprio di qui egli riconosce il carattere di ciò che ha patentato come «cultura tedesca»: è dalla non concordanza con questa impronta che egli misura ciò che gli riesce ostile e fastidioso. In tal caso il filisteo colto si limita a respingere, negare, celare, tapparsi le orecchie, non guardare, è un essere negativo, anche nel suo odio e nella sua ostilità. Ma egli nessuno odia più di colui che lo tratta da filisteo e gli dice ciò che è: l'ostacolo di tutti i forti e i produttivi, il labirinto di tutti i dubbiosi e gli sperduti, la palude di tutti gli sfiniti, la catena al piede di tutti coloro che corrono verso alti scopi, la nebbia velenosa per tutti i nuovi germogli, l'arido deserto di sabbia per lo spirito tedesco che cerca assetato nuova vita. Infatti cerca, questo spirito tedesco, e voi lo odiate perché cerca, e non vuol credervi quando sostenete di aver già trovato ciò che esso cerca.
Genialità
10.
Ma l'autore geniale si rivela non soltanto nella semplicità e nella chiarezza dell'espressione: la sua forza esuberante gioca con la sua materia, anche se questa è pericolosa e difficile. Nessuno cammina con passo sicuro su una strada sconosciuta e interrotta da mille precipizi: ma il genio corre agilmente e con balzi temerari o leggiadri per un tale sentiero, e irride l'attenta e peritosa cautela dei passi.
Scienza
1.
Cultura è soprattutto unità di stile artistico in tutte le manifestazioni vitali di un popolo. Ma il molto sapere e il molto studio non sono né un mezzo necessario della cultura né un indizio di essa, e all'occorrenza si accordano nel migliore dei modi con il contrario della cultura, la barbarie, ossia con la mancanza di stile o la caotica confusione di tutti gli stili.
8.
I nostri dotti si distinguono appena, e comunque non a loro vantaggio, dagli agricoltori che vogliono accrescere una piccola proprietà ereditata, e si affaticano solerti dal mattino sino a tarda notte a lavorare il campo, a spinger l'aratro e ad incitare i buoi. Ora Pascal ritiene in genere che gli uomini si occupino con tanta diligenza dei loro affari e delle loro scienze, solo per sfuggire in tal modo alle questioni più importanti che ogni solitudine, ogni vero ozio porrebbe loro con urgenza, le questioni appunto del perché, del da dove, del verso dove. Ai nostri dotti non viene neanche in mente, cosa strana, la questione più immediata: a che cosa serva il loro lavoro, la loro fretta, la loro dolorosa frenesia. Non forse a guadagnarsi il pane o a procacciarsi cariche onorifiche? No, no davvero. Eppure vi affannate come chi vive nell'indigenza e ha bisogno di pane, anzi strappate via le vivande dal tavolo con tanta avidità, senza scegliere, come se steste per morire di fame.
Ma se voi, come uomini di scienza, vi comportate con la scienza al modo in cui gli operai si comportano con i compiti che l'indigenza e le necessità della vita impongono loro, che cosa accadrà a una cultura che proprio di fronte a una scientificità così agitata, senza fiato, che corre, anzi si dibatte qua e là, è condannata ad attendere l'ora della sua nascita e della sua liberazione? Già, per essa nessuno ha tempo - eppure, a che serve innanzitutto la scienza, se non ha tempo per la cultura? Dunque rispondeteci almeno su questo punto: da dove, verso dove, a che scopo tutta la scienza, se non deve condurre alla cultura?
Allora forse condurrà alla barbarie! E in questa direzione già vedremmo spaventosamente addentrata la classe dei dotti, se potessimo pensare che libri tanto superficiali come quello di Strauss soddisfino il suo attuale livello di cultura. Giacché proprio in esso troviamo quel rivoltante bisogno di riposo e quel compromesso occasionale, che ascolta solo a metà, con la filosofia e la cultura, e in generale con ogni serietà dell'esistenza. Ci vengono in mente le riunioni di società delle classi colte, che testimoniano anch'esse, quando il discorso specialistica si spegne, soltanto stanchezza, voglia di distrarsi a ogni costo, memoria frammentaria, sconnessa esperienza di vita.
Con quale lanterna si dovrebbero cercare qui uomini che fossero capaci di scendere nel profondo dì se stessi, e avessero tanto coraggio e tanta forza da evocare demoni che sono fuggiti dalla nostra epoca? A osservare dall'esterno, in quei luoghi certo si trova tutto il fasto della cultura; con il loro sfoggio imponente essi somigliano agli arsenali, con i loro enormi cannoni e i loro strumenti di guerra: vediamo preparativi e solerte attività, come se si dovesse dar l'assalto al cielo ed estrarre la verità dal pozzo più profondo, eppure a volte in guerra le macchine più grandi sono quelle che si usano peggio. E così la vera cultura nella sua battaglia lascia da parte quei luoghi, e sente col migliore istinto che lì per essa non c'è niente da sperare e c'è molto da temere.
Quella cultura, innanzitutto, ha impressa sul volto la soddisfazione, e vuole che nulla si cambi nello stato attuale della culturalità tedesca; soprattutto è seriamente convinta dell'unicità di tutte le istituzioni educative tedesche, in particolare dei ginnasi e delle università, non cessa di raccomandarli all'estero e non dubita un istante che grazie a questi siamo diventati il popolo più colto e competente del mondo. La cultura filistea crede in sé, e perciò crede anche nei metodi e nei mezzi che ha a disposizione. In secondo luogo, però, essa affida ai dotti il giudizio supremo su tutte le questioni di cultura e di gusto, e considera se stessa come un sempre crescente compendio di dotte opinioni su arte, letteratura e filosofia; la sua cura è costringere il dotto ad enunciare le sue opinioni, che poi essa somministra mescolate, diluite o sistematizzate al popolo tedesco come bevanda salutare.
Quel che cresce al di fuori di questi circoli viene ascoltato con scettica superficialità oppure non ascoltato, notato o non notato, sinché finalmente una voce, non importa di chi, purché costui porti rigorosamente su di sé i caratteri specifici del dotto, non si farà sentire da quei templi in cui dovrebbe albergare la tradizionale infallibilità del gusto: e da quel momento l'opinione pubblica avrà un'opinione in più, e ripeterà con eco centuplicata la voce di quel singolo. In realtà però l'infallibilità del gusto che albergherebbe in questi luoghi e in quei singoli è assai dubbia, anzi tanto dubbia che si può essere convinti del cattivo gusto, dell'assenza di pensiero e della grossolanità estetica di un dotto, sino a che costui non abbia dimostrato il contrario. E soltanto pochi potranno dimostrare il contrario.
Quanti infatti, dopo aver preso parte alla corsa affannata e precipitosa della scienza attuale, potranno in genere conservare lo sguardo coraggioso e calmo del combattente della cultura, se mai lo hanno posseduto, quello sguardo che condanna questa cosa stessa come elemento apportatore di barbarie? Perciò in futuro questi pochi dovranno vivere in una contraddizione: infatti che cosa potrebbero fare contro una fede uniforme di innumerevoli, che tutti quanti hanno fatto dell'opinione pubblica la loro patrona, e si sostengono e si appoggiano a vicenda in questa fede?
Arte
9.
Di solito già dal primo abbozzo scritto si può capire se l'autore ha concepito una visione d'insieme e se ha trovato l'andamento generale e le giuste misure in conformità con questa visione. Una volta assolto questo importantissimo compito, e innalzato l'edificio stesso in felici proporzioni, resta però sempre parecchio da fare: quanti piccoli difetti da correggere, quante lacune da colmare, qua e là ci si è dovuti contentare di un tramezzo provvisorio o di un controsoffitto, ci sono polvere e calcinacci dappertutto, e dovunque tu guardi, vedi i segni del travaglio e del lavoro; nell'insieme la casa è ancora inabitabile e sgradevole; le pareti sono nude, e dalle finestre aperte sibila il vento.