Sezione II

Capitolo XII

INTEGRAZIONI

1. Cause che determinano una variazione nel prezzo di produzione

Il prezzo di produzione di una merce può variare solo per due cause:

Primo. Varia il saggio generale di profitto. Ciò è possibile solo perché varia lo stesso saggio medio del plusvalore, ovvero, a saggio medio del plusvalore immutato, perché varia il rapporto fra la somma dei plusvalori appropriati e la somma del capitale sociale totale anticipato.

Una variazione del saggio di plusvalore, in quanto non poggi sulla compressione del salario al disotto, o sul suo aumento al disopra, del livello normale — e movimenti del genere vanno considerati solo come oscillatorii —, può verificarsi soltanto a causa di una caduta o di un'ascesa del valore della forza lavoro, l'una e l'altra impossibili senza un cambiamento nella produttività del lavoro che produce mezzi di sussistenza, quindi senza una variazione nel valore delle merci che entrano nel consumo dell'operaio.

Oppure varia il rapporto fra la somma del plusvalore appropriato e il capitale totale anticipato della società. Poiché qui la variazione non dipende dal saggio del plusvalore, deve dipendere dal capitale totale, e precisamente dalla sua parte costante. La massa di quest'ultima, considerata tecnicamente, cresce o decresce in rapporto alla forza lavoro acquistata dal capitale variabile, come pure la massa del suo valore cresce o decresce con l'aumento o la diminuzione della sua massa stessa; cresce dunque o decresce anche in rapporto alla massa di valore del capitale variabile. Se lo stesso lavoro mette in moto più capitale costante, il lavoro è divenuto più produttivo: inversamente se accade l'opposto. Si è dunque verificato un cambiamento nella produttività del lavoro, e un cambiamento deve essersi prodotto nel valore di date merci.

Per ambedue i casi vale perciò questa legge : se il prezzo di produzione di una merce varia in seguito a mutamento nel saggio generale di profitto, il suo valore può bensì essere rimasto immutato, ma un cambiamento di valore dev'essersi verificato in altre merci.

Secondo. Il saggio generale di profitto resta invariato. Il prezzo di produzione di una merce può allora cambiare solo perché è cambiato il suo valore; perché si richiede più o meno lavoro per riprodurla, sia che varii la produttività del lavoro che produce la stessa merce nella sua forma ultima, sia che varii la produttività del lavoro che produce le merci che entrano nella sua produzione. Il prezzo di produzione del refe può cadere o perché il cotone greggio si produce a minor prezzo, o perché il lavoro di filatura è divenuto più produttivo in seguito a perfezionamenti nel macchinario.

Il prezzo di produzione, come si è mostrato prima, è = k + π, prezzo di costo più profitto. Ma questo è = k + kπ’, dove k, il prezzo di costo, è una quantità indefinita che varia per diverse sfere di produzione ed è dovunque eguale al valore del capitale costante e variabile utilizzato nella produzione della merce, e n è il saggio medio di profitto calcolato in percento. Se k = 200 e π’ = 20%, allora il prezzo di produzione k + kπ’ è = 200 + 200 20/100= 200 + 40 = 240. È chiaro che questo prezzo di produzione può restare invariato benché varii il valore delle merci.

Ogni variazione nel prezzo di produzione delle merci si risolve, in ultima istanza, in una variazione di valore, ma non ogni variazione del valore delle merci si esprime necessariamente in una variazione del prezzo di produzione, perché questo è determinato non soltanto dal valore della particolare merce, ma dal valore complessivo di tutte le merci. Ne segue che la variazione nella merce A può essere compensata da una variazione opposta nella merce B, in modo che il rapporto generale rimanga lo stesso.

2. Prezzo di produzione delle merci di composizione media

Si è visto come la deviazione dei prezzi di produzione dai valori tragga origine dal fatto che:

1) al prezzo di costo della merce viene aggiunto non il plusvalore in essa contenuto, ma il profitto medio;

2) il prezzo di produzione di una merce, così divergente dal valore, entra come elemento nel prezzo di costo di altre merci, cosicché già nel prezzo di costo di una merce può essere implicita una deviazione dal valore dei mezzi di produzione in essa consumati, a prescindere dalla deviazione che per essa stessa può verificarsi a causa della differenza fra profitto medio e plusvalore.

È perciò anche possibile che in merci prodotte da capitali di composizione media il prezzo di costo diverga dalla somma di valore degli elementi di cui si compone questa parte del loro prezzo di produzione. Supponiamo che la composizione media sia 80c + 20v. Ora può accadere che, nei capitali reali così composti, 80c sia maggiore o minore del valore di c, del capitale costante, perché questo c è formato di merci il cui prezzo di produzione diverge dal loro valore. Allo stesso modo, 20v potrebbe divergere dal suo valore perché nel consumo del salario entrano merci il cui prezzo di produzione è diverso dal loro valore; quindi, per riacquistare queste merci (per sostituirle), l'operaio deve lavorare per un tempo più o meno lungo, dunque eseguire più o meno lavoro necessario di quanto ne occorrerebbe se i prezzi di produzione dei mezzi di sussistenza necessari coincidessero con i loro valori.

Ma questa possibilità non cambia in nulla la giustezza di quanto sostenuto per le merci di composizione media. La quantità di profitto che tocca a queste merci è eguale al plusvalore in esse contenuto. Per es. nel suddetto capitale di composizione 80c + 20v, l'importante per la determinazione del plusvalore non è se questi numeri esprimano i valori reali, ma in quale rapporto reciproco stiano; importa cioè che v sia = 1/5 del capitale totale e c 4/5. Se questo è il caso, il plusvalore prodotto da v è, come si era supposto, eguale al profitto medio. D'altra parte: poiché esso è eguale al profitto medio, il prezzo di produzione = prezzo di costo + profitto = k + π = k + p, è praticamente equiparato al valore della merce. Vale a dire: un aumento o una diminuzione del salario lascia in questo caso invariato k + π così come lascerebbe invariato il valore della merce, e provoca soltanto un corrispondente movimento opposto, diminuzione o aumento, dal lato del saggio di profitto : se, in seguito ad aumento o a diminuzione del salario, il prezzo delle merci qui fosse variato, in queste sfere a composizione media il saggio di profitto verrebbe a superare o a non raggiungere il suo livello nelle altre sfere. Solo nella misura in cui il prezzo rimane invariato, la sfera a composizione media conserva il suo livello di profitto con le altre. Per essa, quindi, è praticamente come se i suoi prodotti si vendessero al loro reale valore. Se infatti le merci si vendono ai loro reali valori, è chiaro che, a parità di condizioni, l'aumento o la diminuzione del salario provoca un aumento o una diminuzione corrispondenti del profitto, ma nessuna variazione nel valore delle merci, e che, in tutti i casi, l'aumento o la diminuzione del salario non può mai incidere sul valore delle merci, ma sempre soltanto sulla grandezza del plusvalore.

3. Motivi di composizione per il capitalista

Si è detto che la concorrenza livella i saggi di profitto delle diverse sfere di produzione al saggio medio di profitto e appunto così trasforma in prezzi di produzione i valori dei prodotti di quelle sfere diverse. E ciò avviene mediante un continuo travaso di capitale da una sfera all'altra in cui il profitto supera temporaneamente la media; dove però vanno considerate le oscillazioni del profitto connesse all'alternarsi di annate magre e grasse, così come si succedono sull'arco di un dato lasso di tempo in un dato ramo d'industria. L'incessante emigrare ed immigrare del capitale fra diverse sfere della produzione provoca movimenti di ascesa e discesa del saggio di profitto, che più o meno si compensano a vicenda e tendono perciò a ridurre dovunque il saggio di profitto al medesimo livello comune e generale.

Questo movimento dei capitali è sempre causato in primo luogo dallo stato dei prezzi di mercato, che qui elevano i profitti al disopra, là li comprimono al disotto, del livello generale della media. Prescindiamo per il momento dal capitale commerciale, di cui non abbiamo ancora da occuparci e che, come mostrano i bruschi parossismi della speculazione in certi articoli preferiti, può con straordinaria rapidità pompare masse di capitale da un ramo d'affari e non meno rapidamente riversarle in un altro. Ma in ogni sfera della vera e propria produzione — industria, agricoltura, miniere, etc. — il trasferimento di capitale da una sfera all'altra presenta difficoltà notevoli, soprattutto a causa del capitale fisso esistente. Inoltre l'esperienza mostra che, se un ramo d'industria, come per es. l'industria cotoniera, arreca in un periodo di tempo profitti eccezionalmente elevati, in un altro periodo arrecherà profitti molto modesti o addirittura perdite, per cui, in un dato ciclo di anni, il profitto medio vi è suppergiù lo stesso che in altri rami. E con questa esperienza il capitale impara presto a fare i conti.

Ma quello che la concorrenza non mostra è la determinazione del valore che domina il movimento della produzione; sono i valori che stanno dietro i prezzi di produzione e che, in ultima istanza, li determinano. La concorrenza mostra invece: 1) i profitti medi che sono indipendenti dalla composizione organica del capitale nelle diverse sfere della produzione, quindi anche dalla massa del lavoro vivo che un dato capitale si è appropriato in una data sfera di sfruttamento; 2) l'aumento e la diminuzione dei prezzi di produzione in seguito a variazioni nell'altezza del salario — fenomeno che a prima vista contraddice al rapporto di valore delle merci; 3) le oscillazioni dei prezzi di mercato che riducono il prezzo medio di mercato delle merci in un dato periodo di tempo non al valore di mercato, ma ad un ben diverso prezzo di produzione di mercato, che da quel valore di mercato diverge. Tutti questi fenomeni sembrano contraddire sia alla determinazione del valore mediante il tempo di lavoro, sia alla natura, consistente in pluslavoro non pagato, del plusvalore. Nella concorrenza, dunque, tutto appare capovolto. La forma finita dei rapporti economici, così come si manifesta in superficie, nella loro reale esistenza, e quindi anche le rappresentazioni in cui i depositari e gli agenti di questi rapporti cercano di venirne in chiaro, sono ben diverse dalla loro forma interna, profonda ed essenziale, ma nascosta, e dal concetto che vi corrisponde; ne sono in realtà il capovolgimento e l'antitesi.

Inoltre: non appena la produzione capitalistica abbia raggiunto un certo grado di sviluppo, il livellamento fra i diversi saggi di profitto delle singole sfere in un saggio generale di profitto non avviene più unicamente attraverso il gioco di attrazione e repulsione, in cui i prezzi di mercato attirano o respingono capitale. Dopo che i prezzi medi e i prezzi di mercato ad essi corrispondenti si sono per un certo periodo consolidati, entra nella coscienza2 dei singoli capitalisti il fatto che in tale livellamento si compensano determinate differenze, cosicché essi si affrettano ad inserirle nei loro calcoli reciproci. Esse vivono nella rappresentazione dei capitalisti, e vengono da questi messe in conto come motivi di compensazione.

La nozione fondamentale a questo proposito è lo stesso profitto medio, l'idea che capitali di pari grandezza debbano, nello stesso spazio di tempo, arrecare profitti di pari grandezza. Alla sua base sta, a sua volta, l'idea che il capitale di ogni sfera di produzione debba partecipare, prò rata della sua grandezza, al plusvalore totale estorto agli operai dal capitale sociale totale; ovvero che ogni particolare capitale debba considerarsi come una semplice frazione del capitale totale, e ogni capitalista, in realtà, come puro e semplice azionista dell'impresa complessiva, che partecipa al profitto totale prò rata dell'ammontare della sua quota di capitale.

Su questa idea si fonda poi il calcolo del capitalista per cui, ad es., un capitale che ruota più lentamente o perché la merce indugia più a lungo nel processo di produzione, o perché deve essere venduta su mercati lontani, si risarcisce mediante un aumento di prezzo corrispondente al profitto che per tale motivo gli sfugge, oppure investimenti di capitale esposti a rischi di un certo rilievo, per es. nelle compagnie marittime, ottengono un rimborso nel rincaro dei prezzi. Non appena la produzione capitalistica e, con essa, il sistema delle assicurazioni si sono sviluppati, i rischi sono in realtà gli stessi in tutte le sfere di produzione (cfr. Corbet); ma le più esposte pagano i premi di assicurazione più elevati e se ne rivalgono nel prezzo delle loro merci. In pratica, tutto si riduce a questo, che ogni circostanza per effetto della quale un investimento di capitale è più e un altro meno redditizio — e, entro certi limiti, tutti passano per egualmente necessari — viene messa in conto come motivo di compensazione valido una volta per tutte, senza che, per giustificare tale motivo o fattore di computo, sia sempre di nuovo necessaria l'azione della concorrenza.

Solo il capitalista dimentica — o meglio non vede, perché la concorrenza non glielo mostra — che tutte queste cause di compensazione fatte valere dai capitalisti gli uni nei confronti degli altri nel calcolo reciproco dei prezzi delle merci di differenti rami di produzione significano soltanto che tutti, pro rata dei rispettivi capitali, hanno un identico diritto al comune bottino, il plusvalore totale. Poiché il profitto che hanno incassato è diverso dal plusvalore che hanno estorto, sembra loro che le sue cause di compensazione non livellino la quota di partecipazione al plusvalore totale, ma creino il profitto stesso, quest'ultimo non provenendo da altro che dalla maggiorazione — motivata così o cosà — del prezzo di costo delle merci.

Quanto al resto, quel che si è detto più sopra nel capitolo VII sul modo in cui i capitalisti si rappresentano la fonte del plusvalore vale anche per il profitto medio. La sola differenza è che, dato il prezzo di mercato delle merci e dato lo sfruttamento del lavoro, il risparmio nei prezzi di costo dipende dall'abilità, attenzione, etc., individuali.