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Quinto Settimio Fiorente Tertulliano
Quinto Settimio Fiorente Tertulliano (in latino Quintus Septimius
Florens Tertullianus; Cartagine, 155 circa – 230 circa) è
stato uno scrittore romano, e apologeta cristiano, fra i più
celebri del suo tempo.
Biografia
Tertulliano nacque a Cartagine verso la metà del II secolo
(intorno al 155) da genitori pagani (patre centurione
proconsulari[1], figlio di un centurione proconsolare) e, dopo
essere stato verosimilmente iniziato ai misteri di Mitra,
compì gli studi di retorica e diritto nelle scuole
tradizionali imparando il greco. Visse durante l'impero di Settimio
Severo e Caracalla.
Dopo aver esercitato la professione di avvocato dapprima in Africa e
in seguito a Roma, ritornò nella città natale e
probabilmente verso il 195, dopo una giovinezza dissipata, si
convertì al Cristianesimo, attratto forse dall'esempio dei
martiri (Cfr. Apol. 50,15; Ad Scap. 5,4) Nel 197 scrisse la sua
prima opera, Ad nationes ("Ai pagani").
È il primo teologo sistematico di lingua latina.
Presi gli ordini sacerdotali, adottò posizioni religiose
molto intransigenti e nel 213 aderì alla setta religiosa dei
montanisti, nota proprio per la sua intransigenza e il suo
fanatismo[2]. Anche nel periodo montanista, per Tertulliano la
Chiesa è sempre "Madre".
Negli ultimi anni della sua vita abbandonò il gruppo per
fondarne uno nuovo, quello dei Tertullianisti. Quest'ultima setta
era ancora esistente all'epoca di Sant'Agostino, che riferisce di
averla fatta rientrare nell'alveo dell'ortodossia. Le ultime notizie
che si possiedono su Tertulliano risalgono al 220. La sua morte si
data dopo il 230.
Opere
Sono pervenute trenta opere teologiche e polemiche contro i pagani,
contro gli avversari religiosi e contro i cristiani che non
condividevano le sue tesi.
Periodo cristiano (197-206)
Ad nationes (197): in difesa del Cristianesimo
contro i pagani;
Apologeticum (197): una impetuosa difesa in nome
della libertà di coscienza, sia contro i delitti manifesti
imputati ai cristiani, sia contro i cosiddetti crimina occulta, come
incesti, infanticidi e altre depravazioni morali pagane;
De testimonio animae (198/200);
Adversus Iudaeos (prima del 207); opera di
polemica dottrinale contro gli Ebrei;
Ad martyras: esortazione ad un gruppo di
cristiani incarcerati e condannati a morte;
De spectaculis: opera in cui vengono considerati
immorali gli spettacoli teatrali e circensi;
De oratione;
De patientia;
De cultu feminarum;
Ad uxorem;
De praescriptione haereticorum: contro i
cristiani che contaminano la fede con filosofie pagane e con
interpretazioni troppo libere della Bibbia;
Adversus Hermogenem;
De baptismo;
De Paenitentia.
Periodo influenzato dal montanismo (207-212)
Ad Scapulam (212): l'opera è indirizzata
al governatore dell'Africa proconsolare che stava conducendo una
campagna contro i cristiani;
De idolatria: contro quelle attività
economiche legate in qualche modo al paganesimo;
De corona: contro il servizio militare che non
poteva essere compatibile con chi si professava cristiano;
De exhortatione castitatis;
De virginibus velandis: opera in cui vengono
fatte considerazioni sulla donna, considerata alla stregua di un
essere inferiore; per esempio, secondo Tertulliano, deve apparire
rigorosamente velata;
Adversus Marcionem, Adversus Praxean e altre:
opere (trattati) di carattere violentemente polemico contro
avversari religiosi;
Adversus Valentinianos;
De Scorpiace;
De anima: è l'opera più importante,
nella quale Tertulliano rielabora anche fonti pagane;
De carne Christi;
De resurrectione mortuorum.
Periodo apertamente montanista (213-220)
De fuga in persecutione;
De pallio;
Adversus Praxean;
De ieiunio;
Adversus psychicos;
De Monogamia;
De pudicitia: contro i rapporti sessuali
all'infuori del matrimonio.
Pensiero
È considerato un grande teologo cristiano e introduce la
teologia trinitaria attraverso una terminologia latina rigorosa. A
lui si deve il concetto di "persona", fondamentale anche nella
civiltà occidentale, che ci permette di vedere ogni uomo come
partecipe della natura umana ma nello stesso tempo persona unica e
inalienabile.[senza fonte] Come Dio è unico e distinto in
Persone divine che sono "relazioni sussistenti", il Padre, il Figlio
e lo Spirito Santo, allo stesso modo ogni uomo partecipa alla natura
umana ma è distinto nella sua dignità di persona.
Questo è il germe che distruggerà le disuguaglianze
"pagane" e permetterà l'invenzione cristiana degli Ospedali.
Tertulliano è un grande teorico e un acuto pensatore che
assume un posto di rilievo nel panorama letterario del suo tempo.
È attribuita a Tertulliano la famosa locuzione latina Credo
Quia Absurdum. In realtà la frase esatta è "Natus est
Dei Filius; non pudet, quia pudendum est: et mortuus est Dei Filius;
prorsus credibile est, quia ineptum est" (De Carne Christi) che si
traduce in: "Nato Figlio di Dio; non si vergogna, perché
v'è da vergognarsi: e il Figlio di Dio è morto: che
è del tutto credibile, poiché è del tutto
incredibile".
Linguaggio
Tertulliano usa nei suoi scritti un linguaggio specificamente
tecnico preso dal gergo avvocatizio e costruisce i periodi in modo
volutamente irregolare, con interrogazioni, esclamazioni, battute ad
effetto, giochi di parole, anastrofe, metafore, così da
rendere più incisivo il discorso. Lo stile è veemente,
polemico e aspro.
***
Dall'Enciclopedia Italiana (1937)
TERTULLIANO
di Mario Niccoli
TERTULLIANO, Quinto Settimio Florenzio. - Apologista e scrittore
cristiano. Le scarne e malcerte notizie che la tradizione cristiana
ci ha trasmesso sulla vita e sulla carriera di T., trovano un
riscontro nell'avarizia di dati biografici che si possono trarre
dalla stessa eredità letteraria, pur tanto copiosa, dello
scrittore. Sì che spesso momenti capitali nella vita di lui
ci sfuggono completamente, e solo in via ipotetica è
possibile supplire a questa lacuna.
T. nacque a Cartagine, centro intellettuale e commerciale
dell'Africa, verosimilmente fra il 155 e il 160. Figlio di un
centurione comandante le truppe romane al servizio del proconsole
d'Africa, ricevette una completa educazione nelle scuole di
Cartagine, allora fra le più reputate di tutto l'impero.
Ottimo conoscitore della lingua greca, sì da poter scrivere
con sicurezza anche in questa lingua; buon conoscitore, e spesso di
prima mano, del patrimonio letterario della classicità;
iniziato allo studio sia della filosofia sia della medicina; animato
da un'insaziabile desiderio di sapere, si lasciò attrarre
soprattutto dall'arte retorica, congeniale all'irruenza del suo
temperamento battagliero, alla sua passione per la polemica. Ma lo
studio delle leggi, tanto diffuso in quell'Africa definita da
Giovenale come "nutrice di avvocati", sembra aver avuto un'influenza
decisiva sulla sua formazione intellettuale che ne uscì
foggiata in maniera inconfondibile.
"Perfetto conoscitore delle leggi dei Romani" lo definisce Eusebio,
e certo questo attestato ha molto contribuito, insieme con
l'evidente conoscenza del diritto romano riscontrabile in tutta la
sua opera teologica e polemica, alla genesi dell'ipotesi (formulata
già dal Cuiacio) che vuol identificare il nostro T. col
giureconsulto romano di egual nome, vissuto anch'esso all'epoca di
Settimio Severo, e l'opera del quale è conservata
frammentariamente nel Digesto. Ma l'ipotesi, per quanto suggestiva e
raccomandata a buoni argomenti, sembra urtare col fatto che uno
studio attento dei frammenti di T. giureconsulto rivela (come ha
efficacemente provato l'indagine di P. Vitton) che l'attività
scientifica del giureconsulto si deve esser protratta almeno fino al
195: in epoca posteriore, cioè, alla conversione di T. al
cristianesimo. Ora, appare estremamente improbabile, a chi conosca
la sdegnosa fermezza di T. apologista e moralista cristiano nel
ripudiare tutte le istituzioni della società pagana, che
egli, convertitosi al cristianesimo, abbia insistito in
un'attività così poco consona alla sua recente
esperienza. Comunque può supporsi che T., ancora pagano,
giovane esuberante e desideroso di affermazione, si sia lasciato
attrarre dalla carriera forense. Quasi certamente egli fu a Roma se,
come appare probabile, la minuta conoscenza dell'Urbe e dei suoi
monumenti che si rivela chiaramente nei suoi scritti, sono il
riflesso di una conoscenza diretta, e se non si voglia interpretare
come fantasia retorica la sua affermazione (De cultu feminarum, I,
7) di aver visto a Roma (vidimus Romae) un corteggio di Medi e di
Parti.
Ma quando e come sia stato compiuto questo viaggio, se esso si sia
ripetuto di frequente, se debba comunque porsi in relazione con la
sua attività professionale, non è dato precisare.
Qualunque sia stata la sua professione - molti hanno pensato che
anche T., come Cipriano, Arnobio, Lattanzio e S. Agostino, fosse un
maestro di retorica - è certo che T. da giovane sentì
il fascino dell'agone letterario. "Adhuc adulescens", T. scrisse
(lusit, secondo l'espressione di S. Girolamo che è il nostro
testimonio giacché lo scritto è perduto) un opuscolo
De angustiis nuptiarum ad amicum philosophum. Gli scritti di T.
cristiano sono pieni di accorate confessioni sulla dissipata
giovinezza. Ci sono ignoti completamente i motivi per i quali sia
stato indotto ad abbracciare la fede cristiana: certo lo spettacolo
dell'eroismo dei martiri dovette colpire il suo spirito che sembra
avere tratto dall'acerbo gusto di marciare contro corrente il suo
alimento preferito. Certo la sua conversione (verso il 190-195) fu
senza compromessi, totalitaria: egli s'impadronì
compiutamente della Bibbia, lesse gli apologisti greci, la
letteratura subapostolica, le opere di Ireneo, forse ebbe notizia
anche degli scritti di Clemente Alessandrino; pur rimanendo (come
sembra probabile nonostante la contraria affermazione di S.
Girolamo) semplice laico, portò nella sua nuova vita la
stessa ardente passione che aveva profuso nello studio e nei
piaceri. Rinnegò tutto, votandosi con anima di apostolo, con
temperamento di combattente, con intransigente rigorismo, alla causa
cristiana. A un certo punto della sua vita (circa il 207)
aderì al montanismo: ma, più che come una seconda
conversione, l'adesione di T. alla profezia dei Frigi fu effetto
della sua ostinata volontà di rimaner fermo a quei valori che
egli considerava e aveva sempre considerato come essenziali del
cristianesimo e che vedeva a poco a poco naufragare nella
sistemazione ecclesiastica dell'ideale cristiano.
T. morì vecchio: "fertur vixisse usque ad decrepitam aetatem"
asserisce S. Girolamo. Da S. Agostino apprendiamo che aveva finito
col separarsi anche dai montanisti, per diventare "tertullianista".
E la notizia, se può essere storicamente discussa, riflette
alla perfezione il tragico destino di questo spirito irrequieto che
avendo generosamente dato per la causa cristiana, sempre
insoddisfatto di sé e degli altri, assillato dal miraggio di
una perfezione irraggiungibile, doveva finire in armonia solo con
sé stesso.
Per valutare esattamente l'importanza eccezionale che l'opera di T.
ha avuto nella storia del cristianesimo primitivo, basterà
riflettere che con l'attività letteraria di T. (197-222
circa), quasi contemporanea a quella di Clemente Alessandrino e
preceduta solo da quella degli scrittori subapostolici, degli
apologisti e di Ireneo, la cristianità dell'Africa romana,
d'importanza così decisiva nella storia religiosa
dell'Occidente, entra per la prima volta nella luce chiara della
storia, dopo gl'incerti albori dei quali è traccia
nell'episodio dei martiri scillitani.
T. è stato, prima di tutto, il ricreatore dell'apologetica
cristiana. Gli apologisti greci (v. apologetica), anche quando
avevano mirato direttamente a mostrare alle autorità
pubbliche l'ingiustizia della persecuzione anticristiana, avevano
fatto questo soprattutto difendendo l'ideale cristiano dalle
calunnie di cui era oggetto, dipingendo la loro fede quasi come
ricapitolazione della spiritualità precristiana (T., nel
trarre dalla testimonianza dell'anima naturaliter christiana
argomento, di sapore così schiettamente immanentistico, in
favore della verità cristiana, biasimerà apertamente
questo atteggiamento degli apologisti greci: De testimonio animae,
del 197) e chiedendo per essa il diritto all'esistenza appellandosi
alla ragione, alla filosofia, all'umanità. Ma la loro
esposizione non segue quasi mai un piano logico e difetta
soprattutto di rigore dialettico nella questione di fondo,
cioè nella questione giuridica. T. vivifica l'argomentazione
tradizionale dell'apologetica greca innestandola in un quadro di
eccezionale vigore logico e polemico, prendendo direttamente a
partito la stessa legislazione romana. Nell'Apologetico (del 197),
senza dubbio uno dei capolavori della letteratura mondiale, T.
mostra tutta l'illogicità e l'iniquità della procedura
contro i cristiani: i quali perseguitati come rei di delitti atroci,
sono oggetto di un trattamento giudiziario completamente diverso da
quello cui sono sottoposti i non cristiani rei degli stessi delitti.
I giudici si ostinano a voler ignorare la natura del delitto che
essì perseguitano: "vacante autem meriti notitia, unde odii
iustitia defenditur?". Ai cristiani non si richiede che la
"confessio nominis", non "l'examinatio criminis". Ma la
verità, pur non chiedendo grazia per sé,
giacché non si meraviglia della sua condizione, una sola cosa
chiede: "ne ignorata damnetur". T. parlerà per tutti. Innanzi
tutto quando i giudici, a norme di diritto, sentenziano Non licet
esse vos e sollevano così un'obiezione preliminare senza
alcuna preoccupazione di umanità, essi fanno professione di
violenza e di tirannide iniqua, giacché negano ai cristiani
il diritto all'esistenza perché essi vogliono negarlo, non
perché ciò non debba esser effettivamente lecito. La
legge è essenzialmente soggetta a variare, e comunque
soggiace sempre a una superiore norma di bene e non può
proibire ciò che è bene: "si bonum invenero esse quod
lex prohibuit, nonne ex illo praeiudicio prohibere me non potest,
quod si malum esset iure prohiberet?".
L'esposizione che segue, riecheggiante spesso i motivi dell'altra
opera di T. di poco precedente, Ad nationes, mira attraverso la
confutazione delle accuse tradizionali contro il cristianesimo e la
descrizione della vita e della fede dei cristiani a provare appunto
che niente può riscontrarsi di cattivo in quello che pure la
legge proibisce. Ci si attenderebbe un appello alla clemenza e alla
giustizia. Segue invece una sfida: che i giudici continuino a
perseguitare. La loro iniquità è prova dell'innocenza
dei cristiani e giova alla loro causa: "vincimus, cum occidimur;
evadimus, cum obducimur; plures efficimur, quotiens metimur".
Se il suo temperamento e la sua recente esperienza di convertito,
dovevano necessariamente rivolgere l'attività di T. al
compito, che si presentava più urgente, di difendere la
comunità dagli attacchi esterni: la sua sollecitudine per i
fratelli nella fede, la sua sempre preoccupata e passionale
partecipazione alla vita intima della comunità, già
chiarissima nella commovente lettera Ai martiri (del 197) che in
carcere attendevano la loro sorte, ci è rivelata in pieno da
una serie di trattatelli etico-disciplinari (cronologicamente
collocabili fra il 200 e il 212), preziosi oltre tutto a mostrarci
l'irreducibile antitesi che nello spirito di T. si è
stabilita fra la sua esperienza religiosa e tutti i valori sociali,
politici e mondani della società circostante. Sia che T.
voglia far risaltare il vero significato dell'iniziazione
battesimale (De Baptismo) o il contenuto del Paternoster (De
Oratione); sia che debba tessere l'elogio della pazienza (De
patientia) o presentare la penitenza come seconda e definitiva
possibilità per il peccatore di riscattarsi dalla colpa dopo
il battesimo (De poenitentia); sempre T. ricorda ai fedeli che
l'adesione al fatto cristiano è tutta nel formale impegno
preso di procedere per una via eccezionalmente aspra, ogni
più piccola deviazione dalla quale costituisce già un
tradimento. Nessun accomodamento col mondo: non teatri né
divertimenti (De spectaculis), nessuna partecipazione a una vita
pubblica che è imbevuta di idolatria in tutte le sue
manifestazioni quotidiane (De idololatria, verso il 211). Con quel
sentimento misto di attrazione e di repulsione che è
caratteristico del temperamento fondamentalmente passionale e
sensuale di Tertulliano, egli si indirizza alle donne della
comunità per prescrivere loro la modestia nell'atteggiamento
e nella loro acconciatura esteriore (De virginibus velandis; De
cultu foeminarum); alla sua propria moglie per imporle, con un
atteggiamento che mal cela sotto le proposizioni teoriche un geloso
attaccamento personale, di non contrarre nuove nozze, qualora egli
fosse premorto a lei. Ma queste preoccupazioni moralistiche trovano
un loro logico presupposto solo se s'intenda come esse siano
soprattutto dominate e suggerite dal desiderio di premunire la
comunità dall'attenuazione dell'aspettativa escatologica: non
è senza significato che questi trattatelli morali di T. siano
coevi di quattro scritti perduti, il titolo dei quali (De censu
animae, De paradiso, De fato, De spe fidelium), insieme con quanto
altrimenti sappiamo dell'escatologia di T., vale a mostrarci quale
fosse l'intima convinzione di T., l'essenza vera e più
profonda della sua religiosità. T. cioè è un
millenarista convinto (v. milllenarismo), e lo stesso intransigente
atteggiamento che egli adotterà nella sua polemica contro gli
gnostici, e in genere il suo atteggiamento di fronte al processo di
rielaborazione intellettuale e razionale del messaggio cristiano,
è suggerito dal bisogno istintivo di salvare il suo programma
di una morale sanzionata in funzione del realismo della sua fede
escatologica. Sceso in polemica contro la dottrina
dell'eternità della materia difesa da Ermogene (Adversus
Hermogenem, verso ïl 206), T. insiste soprattutto sul fatto che
Dio non avrebbe mai potuto ricavare una realtà peritura da
una sostanza eterna, mentre Dio ci ha promesso di suscitare da
fattori inferiori realtà maggiori, e precisamente dal
corruttibile e transitorio l'immortale ed eterno. Ma più che
nell'Adversus Hermogenem e nella polemica, tanto vivace e briosa
quanto superficiale e disonesta contro i valentiniani (T.
nell'Adversus Valentinianos, del 211 circa, utilizza chiaramente
Ireneo, ma il Valentino da lui preso a partito non ha nulla a che
vedere col Valentino, spiritualissimo predicatore di morale e di
salvezza, rivelato dai frammenti dello gnostico conservatici da
Clemente Alessandrino), è nell'Adversus Marcionem (la terza
edizione, a noi giunta, in 5 libri, fu iniziata fra il 207 e il 208
e conclusa verso il 211) che si rivela in pieno la mentalità
di T. incapace di comprendere la raffinata spiritualità di
Marcione, condotto dalla sua idea dell'assoluta novità e
originalità del messaggio evangelico a separare questo
decisamente da ogni altra manifestazlone precedente della
religiosità umana, compresa la manifestazione del Dio
creatore dell'Antico Testamento, e a patrocinare un programma di
vita morale indipendente dalla visuale di ogni sanzione o
ricompensa, ma solo improntata all'infinita bontà e alla
misericordia di Cristo (v. anche marcione). "Udite, udite, peccatori
- griderà scandalizzato T. - e voi pure che ancora non lo
siete affinché possiate diventarlo: è stato ritrovato
un Dio migliore del nostro, che non colpisce, non s'adira, non si
vendica, a causa del quale nessun fuoco brucia nella Geenna, per il
quale nessuno stridore di denti agghiaccia nelle tenebre esteriori:
è solamente buono. E del resto proibisce di peccare, ma solo
a parole: infatti non vuole il timore. Su dunque: tu, o Marcione,
che non temi Dio perché è buono, perché non ti
lasci dominare da ogni sorta di libidini, perché non
pecchi?".
Non a torto T. è stato definito "il padre della teologia
occidentale". Spinto dal desiderio di mettere in guardia la
comunità contro la propaganda gnostica e marcionita, da T.
intese come tentativi d'interpretare il messaggio cristiano alla
luce dei sistemi culturali correnti e che dovevano quindi favorire
un pericoloso riavvicinamento fra la comunità cristiana e la
società circostante ("persecutio et martyras facit" -
osserverà - haeresis apostatas tantum") T. scriveva, verso il
200, la sua prima opera antiereticale (il De prescriptione
haereticorum), nella quale, trasferendo genialmente sul terreno
della polemica teologica il principio giuridico romano della longae
possessionis praescriptio, e opponendo alla rivendicazione di
possesso della verità avanzata dagli eretici, la
pregiudiziale della sua indisturbata occupazione da parte della
Chiesa, fissava i fondamenti di quella dottrina della tradizione
che, rielaborata da S. Vincenzo di Lérins ("quod semper, quod
ubique, quod ab omnibus creditum est, hoc teneatur"), è alla
base della dogmatica cattolica. Contro Marcione e contro gli
gnostici, T. ha difeso l'idea dell'unità di Dio e della sua
rivelazione così nell'Antico come nel Nuovo Testamento.
Contro la speculazione gnostica, che riduceva la funzione salvatrice
del Cristo a una adesione intima al suo insegnamento, T. ha
proclamato la piena realtà della redenzione attraverso
l'incarnazione di Cristo, la sua morte e la sua resurrezione,
preludio della resurrezione di tutti i morti il dì
dell'inaugurazione del regno millenario (v. soprattutto De carne
Christi e De resurrectione carnis, del 211 circa). Contro il
monarchianismo patripassiano di Prassea che annullava ogni
differenza fra Padre e Figlio, ha difeso (Adversus Praxean.
posteriore al 213) una concezione "economica" della Trinità,
per la quale, partendo dal presupposto del progressivo dispiegamento
del divino nel mondo - dalla creazione, alla redenzione e al fine
ultimo dell'umanità - l'unità divina è
affermata come molteplicità d'ipostasi (Tertulliano è
il primo ad adoperare, con giuridica precisione, termini come
trinitas, substantia, persona diventati tecnici della teologia
trinitaria occidentale), ognuna in corrispondenza di un dato momento
nell'evoluzione religiosa dell'umanità: trinità di
persone che non è un rinnegamento dell'unità di
sostanza divina. Per quanto questa schematizzazione tertullianea
della fede trinitaria non sarebbe stata possibile senza gli
apologisti e Ireneo, per quanto non si possa ragionevolmente negare
la dipendenza di T. dall'Εἰς ?τὴν αἵρεσιν Νοήτον di Ippolito,
è certo che essa, nonostante una tipica connotazione
subordinazionistica (v. subordinazionismo) che la contraddistingue,
ha grandemente influito sull'ulteriore svolgimento della teologia
trinitaria occidentale.
Ma accanto alla segnalazione del contributo portato da T. al
processo di enucleazione del dogma cattolico, è necessario
segnalare, per intendere appieno il motivo primo della
religiosità tertullianea e il significato che in essa hanno
queste sue elaborazioni teologiche, che queste sono, tutte, dettate
dal realismo della sua escatologia eudemonistica. Così la
tesi della corporeità dell'anima, difesa da T. nel De anima
(del 211 circa), si spiega solo se si tenga presente che repugnava
al grossolano realismo di T. l'idea di un'anima che non potesse
partecipare, per la sua natura, alle gioie del regno o alle sanzioni
degl'inferi. La tesi traducianistica di T., a proposito della
trasmissione dell'anima attraverso la generazione (v.
traducianismo), è in funzione della sua ostilità di
fronte alla concezione trascendentale della genesi e della
destinazione dello spirito difesa dagli gnostici, e del bisogno di
stabilire un indissolubile rapporto fra il corpo e l'anima nel piano
della salvezza finale. E così T., condotto dalla logica del
suo realismo, si rifiuta di credere che la nascita di Cristo sia
avvenuta al difuori delle leggi di natura: "si Virgo concepit, in
parto suo nupsit... patefacti corporis lege"; e non sa trattenersi
dall'affermare, in stretto collegamento con la sua dottrina
dell'anima, anche una "corporeità, sui generis in Dio.
Se dunque il motivo primo e più profondo della
religiosità tertullianea è nella sua assoluta e
intransigente fedeltà a un ideale di escatologia realistica,
non è difficile comprendere come di fronte all'evoluzione del
cristianesimo verso una sempre più precisa rielaborazione
concettuale della fede e un'organizzazione pratica più salda
delle comunità a tutto scapito di quell'ideale escatologico,
abbia finito per trovarsi sullo stesso piano ideale dei "profeti"
montanisti (v. montanismo), nei quali l'affermazione della libera
ispirazione paracletica si accoppiava a un rifiorire allucinato di
speranze apocalittiehe.
Gli ultimi scritti di T. (fra il 212 e il 222) sono tutti (De fuga
in persecutione, Adversus Praxean - è sintomatico che in
questo scritto l'elaborazione della teologia "economica" proceda di
pari passo con la difesa del montanismo - De Monogamia, De ieiunio,
De pudicitia) una violenta diatriba contro gli "psichici"
(così T. definisce i membri della comunità ufficiale
in contrapposizione agli "pneumatici"). Soprattutto importante
l'ultimo scritto, De pudicitia, diretto contro l'editto penitenziale
(v. penitenza) di papa Callisto (altri pensa al vescovo cartaginese
Agrippino).
Oltre a quelli già citati si ricordano anche i seguenti
scritti: Adversus Iudaeos (del 200 circa); Adversus Apelleiacos,
perduto, contro i seguaci di Apelle discepolo di Marcione; De Pallio
(del 209), che è il più piccolo, il più
difficile e il più tertullianeo degli scritti di T., nel
quale egli giustifica il suo abbandono della toga per rivestire il
pallio filosofico: per quanto il trattatello rappresenti certamente
la manifestazione più clamorosa dello spirito polemico e
dell'erudizione letteraria di T., esso non può essere
interpretato come una pura e semplice esercitazione letteraria (G.
Boissier; G. De Labriolle). La sua ispirazione cristiana è
stata bene provata da M. Zappalà, contro la tesi di J.
Geffcken che ha visto nello scritto un esempio di diatriba
stoico-cinica e la rielaborazione di una satira di Varrone. Si
ricordano ancora il De exhortatione castitatis (circa il 210),
diretto soprattutto contro le seconde nozze; De corona militis, nel
quale T. insorge a difendere un soldato cristiano che si è
rifiutato (211) di coronarsi il capo: vi è ampiamente svolto
il motivo dell'incompatibilità fra professione cristiana e
servizio militare; Scorpiace (211-212), antidoto contro il veleno
dello scorpione, cioè contro la propaganda degli gnostici
intesa a svalutare il merito del martirio; Ad Scapulam (212),
lettera aperta nella quale T., pur già montanista,
s'indirizza a nome della comunità e con singolare violenza di
linguaggio, a Scapula proconsole d'Africa per affermare ancora una
volta la liceità della professione cristiana. Con tutta
probabilità va attribuita a T. montanista la famosa Passio
Ss. Perpetuae et Felicitatis. Perduti sono i VII libri De Ecstasi.
La cronologia degli scritti di T. è assai controversa,
scarsissimi i riferimenti interni che permettano una sicura
datazione. Un tentativo eccellente di classificazione cronologica
è stato fatto da E. Nöldechen; partendo dai risultati
raggiunti dal Nöldechen, oggi ancora seguiti, per es., da E.
Buonaiuti, P. Monceaux ha stabilito la cronologia oggi accettata
generalmente.
T. è il creatore del latino ecclesiastico: per quanto sia
assai verosimile pensare a un influsso delle primitive traduzioni
latine della Bibbia sulla lingua di T., è innegabile che le
opere di T. hanno un'importanza definitiva nel processo di
rinnovamento subito dalla lingua latina. Naturalmente qui è
presupposta la dipendenza dell'Ottavio di Minucio Felice
dall'Apologetico, e non di questo da quello.
La tradizione manoscritta delle opere di T. è rappresentata
da due famiglie di codici: la prima dal codice Agobardino (Parisinus
1622), così detto dal suo primo possessore Agobardo, vescovo
di Lione (sec. IX); la seconda dal Montepessulanus 307, dal
Paterniacensis 439 (ambedue del sec. XI) e da una serie di mss. del
sec. XV, in grande maggioranza italiani. Un ms. del sec. XII fu
ritrovato da A. Wilmart nella biblioteca di Troyes. Particolare
importanza ha la questione del rapporto fra due codici
dell'Apologetico, il Parisinus 1623 (sec. X) e il Fuldensis
(smarrito, ma a noi noto attraverso la collazione fattane verso il
1584 dall'umanista Francesco Modio [François de Maulde]), che
presentano diversità di redazione talmente nette da far
pensare a due edizioni. Fra le varie opinioni sembra oggi prevalente
la tesi che vuole procedere alla ricostruzione del testo con
criterî eclettici.
L'editio princeps è quella di Beato Renano (Basilea 1521).
L'unica edizione moderna completa è ancora quella, non priva
di mende ma insostituita, di F. Oehler (voll. 3, Lipsia 1853-54).
Nel Corpus di Vienna sono stati pubblicati, a cura di A.
Reifferscheid e G. Wissowa, il De anima, De baptismo, De
idololatria, De ieiunio, Ad nationes, De oratione, De pudicitia,
Scorpiace, De spectaculis, De testimonio animae (XX, Vienna 1890), e
a cura di E. Kroymann, Adversus Hermogenem, De praescriptione
haereticorum, Adversus Praxean, De resurrectione carnis (XLVII,
Vienna 1906).
Edizioni di scritti singoli: Apologetico: testo e apparato critico,
traduzione francese e commentario analitico grammaticale e storico a
cura di I.P. Waltzing (Parigi 1919; 2a ed. del testo e trad. con la
collab. di A. Severyns nei classici de Les Belles Lettres, Parigi
1929; 2a ed. del commentario, Parigi 1931); a cura di E.
Löfstedt, Lund 1915; a cura di A. Souter, Londra 1926; a cura
di S. Colombo, Torino 1927; a cura di J. Martin, Bonn 1933
(Florilegium patristicum, n. 6); Apologetico e De Spectaculis con
trad. inglese a cura di T. R. Glover, Londra 1931; De spectaculis, a
cura di A. Boulanger, Parigi 1933; Ad nationes, a cura di J. G.
Borleffs, Leida 1929; De corona militis, a cura di J. Marra, Torino
1927; De cultu foeminarum, a cura dello stesso, Torino 1930; De
baptismo, a cura di J. G. Borleffs, Leida 1931; De anima, a cura di
J. H. Waszink, Amsterdam 1933; De praescriptione, a cura di J.
Martin, Bonn 1930; De oratione, a cura di R. W. Muncey, Londra 1926;
De poenitentia e De pudicitia a cura di E. Preuschen, 2a ed.,
Tubinga 1910; a cura di G. Rauschen, Bonn 1915; De poenitentia, con
utilizzazione del ms. di Troyes, a cura di J. G. Borleffs, in
Mnemosyne, 1933, pp.1-64.
Bibl.: Scritti generali: O. Bardenhewer, Geschichte d. altkirchl.
Litt., II, 2a ed., Friburgo in B. 1914, p. 377 segg.; P. Monceaux,
Hist. litt. de l'Afrique chrét., I, T. et les origines,
Parigi 1901; E. Buonaiuti, Il Cristianesimo nell'Africa Romana, Bari
1928, pp. 37-225; H. Koch, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., V A,
coll. 822-844; E. Nöldechen, I, Gotha 1890. Scritti di
carattere particolare: H. Hoppe, Syntax und Stil des T., Lipsia
1903; A. D'Alès, La Théologie de Tertullien, Parigi
1905; H. Hoppe, Tertullianea, Bielefeld 1910; H. Kellner, T. als
Historiker, in Theol. Quartalschr., XCIII (1911), p. 319 segg.; H.
Schrörs, Zur Textgeschichte und Erklärung von Tertullians
Apologeticum, Lipsia 1913; A. von Harnack, Tertullians Bibliothek
christlicher Schriften, in Sitzungsberichte der preussischen
Akademie der Wissenschaften, 1914, pp. 303-334; J. P. Waltzing,
Étude sur le codex Fuldensis de l'Apologétique de
Tertullien, Liegi-Parigi 1914-1917; S. Colombo, Per la critica del
testo dell'Apologetico, in Didaskaleion, 1916, pagine 1-36, 105-140;
L. Wohleb, Tertullians Apologeticum, in Berliner philologische
Wochenschrift, 1916, sei puntate, passim; E. Löfstedt,
Kritische Bemerkungen zu Tertullians Apologeticum, Lund-Lipsia 1918;
G. Thörnell, Studia Tertullianea, voll. 4, Upsala 1918, 1921,
1922, 1926; F. Di Capua, Osservazioni critiche sul testo
dell'Apologetico, in Boll. Fil. Class., XX, 161-162, 255-257; E.
Löfstedt, Zur Sprache Tertullians, Lund-Lipsia 1920; R. E.
Roberts, The theology of Tertullian, Londra 1924; P. Vitton, I
concetti giuridici nelle opere di Tertulliano, Roma 1924; M.
Zappalà, L'ispirazione cristiana del De Pallio e le fonti del
De Pallio, in Ricerche religiose, I (1925), pp. 132-149, 327-344; S.
Colombo, Concetto e forma nello stile di Tertulliano, in
Didaskaleion, 1926, pp. 1-17; St. W.-J. Teeuwen, Sprachlicher
Bedeutungswandel bei Tertullian; ein Beitrag zum Studium der
christlichen Sondersprache, Paderbon 1926; E. Buonaiuti,
L'antiscorpionico di Tertulliano, in Ricerche religiose, III (1927),
pp. 146-152; J. Lortz, Tertullian als Apologet, Münster 1927;
K. Holl, T. als Schriftsteller, in Gesammelte Aufsätze zur
Kirchengeschichte, III, Tubinga 1928, p. i segg.; J. Bertou,
Tertullien le schismatique, Parigi 1928; Th. Brandt, Tertullians
Ethik. Zur Erfassung der systematischen Grundanschaung,
Gütersloh 1928; J. Morgan, The importance of Tertullian in the
development of the Christian Dogma, Londra 1928; J. G. P. Borleffs,
Observationes criticae ad Tertulliani Ad nationes libros, in
Mnemosyne, LVII (1929), pp. 1-15; J. Köhne, Die Schrift
Tertullians über die Schauspiele in Kultur- und
religionsgeschichtlicher Bedeutung, Breslavia 1929; G. Pasquali, Per
la storia del testo dell'Apologetico, in St. it. fil. class., 1929,
pp. 13-57 (cfr. id., ibid., pp. 320-322); C. J. de Vries, Bijdrag
tot de psychologie van Tertullianus, Utrecht 1929; A. Beck,
Römisches Recht bei Tertullian und Cyprian, Halle 1930; E.
Rolffs, Tertullian der Vater des abendländischen Christentums,
Berlino 1930; B. B. Warfield, Studies in Tertullian and Augustine,
Oxford 1931; H. Hoppe, Beiträge zur Sprache und Kritik
Tertullians, Lund 1932; G. Pasquali, Storia della tradizione e
critica del testo, Firenze 1934, p. 16 seg. Si vedano inoltre le
bibliografie citate sotto marcione; montanismo; e quelle delle altre
voci cui si rinvia nel testo.