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DBI
di Dario Faucci
ARANGIO-RUIZ, Vladimiro.
Nato a Napoli il 19 febbraio 1887, da Gaetano, professore di diritto
costituzionale, e da Clementina Cavicchia, seguì a Firenze il
corso di lettere nell'Istituto di studi superiori dal 1905 al 1910,
laureandosi in letteratura greca con G. Vitelli.
Fu questo un periodo ricco di relazioni e di amicizie: da R. Serra a
E. Cecchi, da G. Amendola a E. Corradini. L'A. fu intimo, con
Chiavacci e il musicista G. Bastianelli, di Carlo Michelstaedter e
insieme a lui studiò con passione la poesia greca (Il coro
nella tragedia greca fu l'argomento della tesi) e Platone.
Collaboratore de La Voce,primo editore degli scritti dell'amico,
scomparso tragicamente, (Dialogo della salute - Poesie,Genova 1912,
La persuasione e la retorica, ibid. 1913), assunse quel suo
caratteristico atteggiamento di critica dall'intemo, di
"ricostruzione", come la chiamerà più tardi
(Ricostruzione filosofica,in Arch. di filosofia,X[1940], p. 20)
dell'idealismo storicistico e dell'attualismo, con il Discorso del
metodo (in L'anima, I[nov. 1911], pp. 323-344), e con l'articolo
Svolgimento e progresso (in La cultura contemporanea, IV[1912], n.
58, pp. 174-181), scritti ai quali si richiamerà
l'Introduzione all'attualismo (in Giorn. crit. d. filos. ital.,XXXV,
2 [1954], pp . 178-208).
Dopo avere insegnato come ordinario nei ginnasi di Stato e avere
partecipato come ufficiale d'artiglieria alla guerra dei '15-'18,
dove fu ferito, si laureò in filosofia nel 1921 con P.
Martinetti (tesi: Conoscenza e moralità, Città di
Castello 1922). Fu quindi professore di ruolo nei licei e poi
preside nei licei scientifici, a Modena e a San Remo, e dal 1934
preside della scuola italiana di Alessandria d'Egitto.
Con Platone (Gorgia, Firenze 1925), il Manzoni (Morale filosofica e
morale religiosa, Lanciano s. d.), Leopardi e Machiavelli, sono gli
interlocutori intorno al suo tema costante: la vita morale e
l'esperienza artistica. Del 1935 sono le Prose morali (Roma) fra cui
la "meditazione" Questa incomprensibile vita (A Augusto Guzzo),la
raccolta Arte e filosofia (Genova), dove è ristampato Il
problema estetico della Divina Commedia già apparso nella
Critica del 1920. Ma nel 1926 era uscito nel Giornale critico,i n
polemica con Gentile e accompagnato da una sua postilla di risposta,
l'articolo L'individuo e lo Stato (a. VII, fasc. II, pp. 132-52;
cfr. recens. di B. Croce in La Critica, vol. XXIV [1926], pp. 182-3)
affermazione di quel liberalismo che sarà un motivo
ispiratore dei suoi scritti del secondo dopo guerra. L'A. vedeva
nell'attualismo una teoria dell'esperienza morale della persona, da
non identificarsi, contrariamente all'affermazione del Gentile, con
"la vita nello Stato" la legge in interiore homine è
universale, la vita politica non è "omnis homo",è solo
una parte delle azioni che la legge comanda. Per questo, attualismo
e idealismo oggettivo hegeliano sono inconciliabili (cfr. la prima
delle Quattro lettere di R. Le Senne e L'Umanismo di VI. A. R.cit.
nella Bibl.).
Tornato dall'Egitto per assumere la vicepresidenza della Scuola
Normale Superiore di Pisa, passava per concorso ad occupare nel 1940
la cattedra di storia della filosofia nella facoltà di
magistero di Firenze fino alla morte, avvenuta dopo lunga
infermità l'8 nov. 1952.
È questo il periodo più laborioso e fecondo dell'A.
Oltre gli articoli negli Annali della Scuola Normale (fra cui
Dialettica delle distinzioni e dialettica delle opposizioni. Note
sullo storicismo di B. Croce,1941), le edizioni di classici (fra cui
le Liriche e tragedie del Manzoni [Torino 1949], alla poetica del
quale dedicò un corso [Firenze 1948], la traduzione e
interpretazione del Sofista [Bari 1951]), il volumetto di saggi
Umanità dell'arte, Firenze 1951 ("saggi" dice l'A. "che hanno
tutti lo stesso intendimento: di combattere la separazione
dell'artista e dell'uomo, di arte e vita", p. 7), con la
ininterrotta collaborazione a riviste filosofiche e letterarie (come
a Leonardo con le note Sic et non)e a vari quotidiani (dalla Nazione
del popolo al Giornale d'Italia e al Giornale dell'Emilia) prendeva
compiuto profilo la sua fisionomia di saggista "morale" aperto ad
ogni interesse della vita reale ed insieme raccolto nell'intima
coscienza di un valore assoluto (cfr. Otherworldness, in Rassegna
d'Italia, I, 6 [1946], pp. 80-88). Pur senza dar luogo a grossi
libri sistematici ed eruditi, il suo "moralismo assoluto"
(così lo Sciacca; ed è titolo che egli accettò;
cfr. Il mio moralismo, in Filosofi ital. contemp., Como 1944, pp.
47-58). Si colloca in modo significativo nel movimento del pensiero
italiano del suo tempo e, soprattutto, ha un tono inconfondibile, se
si guarda allo scrittore e all'uomo. Negli ultimi anni, sofferente e
costretto a lunghi periodi di immobilità, continuò a
lavorare e far lezione, in casa, e discutere con gli amici (assidui,
oltre il "fraterno" Chiavacci, E. Garin e L. Scaravelli),
mantenendo, consapevole del suo stato, la sua consueta
serenità fino alla fine.