Abreazione |
(ingl. ab reaction; ted. Abreaktion; fr. abréaction) Deflusso dell'emozione legata a un fatto o al ricordo di un fatto che, se non trovasse vie di sfogo, si manifesterebbe in sintomi patologici. Il termine è stato coniato da J. Breuer e S. Freud a partire dal verbo reagieren con l'aggiunta del prefisso ab-, che allude a una soppressione dell'-» affetto. Infatti «è innanzitutto rilevante al riguardo se si sia reagito energicamente o no all'evento impressionante. Intendiamo qui per reazione tutta la gamma di riflessi volontari e involontari con i quali, come l'esperienza insegna, gli affetti si scaricano: dal pianto fino all'atto di vendetta. Se tale reazione avviene in misura sufficiente, una grande parte dell'affetto scompare; il nostro linguaggio conferma questo fatto di osservazione quotidiana mediante le espressioni "scaricare il rancore", "sfogarsi col pianto" e simili. Se la reazione viene repressa, l'affetto rimane legato al ricordo» (1892-1895, p. 179). È qui che l'affetto non abreagito diventa patogeno e «le rappresentazioni divenute patogene si conservano così fresche e robuste di affetti perché è loro negata la normale misura attraverso l'abreazione e attraverso la riproduzione in stati di associazione non inibita» (1892-1895, p. 182). L'effetto catartico (-► catarsi), connesso all'abreazione, può essere raggiunto anche nella cura analitica se si dà la possibilità di rivivere l'affetto e di abreagirlo con una scarica emozionale adeguata. Questo perché «nella parola l'uomo trova un surrogato all'azione, e con l'aiuto della parola l'affetto può essere "abreagito" in misura quasi uguale» (1892- 1895, p. 180). Breuer e Freud segnalano alcune situazioni che rendono difficile l'abreazione: «Nel primo gruppo annoveriamo quei casi in cui i malati non hanno reagito a traumi psichici perché la natura del trauma escludeva una reazione, come per la perdita apparentemente insostituibile di una persona amata, o perché le condizioni sociali rendevano impossibile una reazione, o perché si trattava di cose che il malato voleva dimenticare, e che perciò intenzionalmente rimuoveva dal suo pensiero cosciente, inibendole e reprimendole» (1892-1895, p. 181). A queste tre forme di inibizione Breuer e Freud fanno corrispondere tre tipi d'isteria: ipnoide, da ritenzione, e da difesa (-» isteria). |