Strati, teoria degli

(ingl. strata theory, ted. Schichtenlehre, fr. théorie des strates)

Metafora geologica impiegata per illustrare la struttura gerarchica delle funzioni psichiche dove, come scrive K. Jaspers, «la vita psichica è immaginata come un insieme, in cui tutti gli elementi hanno il loro posto, ma in modo che ognuno di questi è disposto per così dire in una piramide di strati, la cui cima è considerata come il fine o come la realtà massimamente vitale» (1913-1959, p. 575). La teoria degli strati è già prefigurata in Platone che, nella sua tripartizione dell'anima, aveva assegnato le funzioni mentali alla testa, quelle emotive al petto, e quelle epitimi- che o concupiscenti all'addome. Ma fu verso la fine del xix secolo che si prese a distinguere gli strati inferiori, filogeneticamente più antichi e resistenti, dagli strati superiori, più recenti e meno resistenti ai processi di destrutturazione ritenuti responsabili dei fenomeni patologici. Seguendo questa ipotesi, H. Jackson postulò quelle nozioni di evoluzione e dissoluzione delle funzioni che offriranno a S. Freud il modello per la sua teoria dello sviluppo e della regressione della libido. Secondo Jackson, infatti, le funzioni evolvono dalle inferiori, più semplici, automatiche e organizzate, alle superiori, più complesse, volontarie e meno organizzate. Da queste premesse, la conclusione che la malattia ineritale è una dissoluzione disarmonica dei- te funzioni superiori alle inferiori che, per la loro maggior organizzazione e per il loro automatismo, sono più capaci di resistere all'evento morboso (legge di Jackson) rivela un analogia con l'opposizione freudiana tra la «forza» dell'Es e la «fragilità» dell'Io, con conseguente «regressione» e «fissazione» dell'apparato psichico agli stadi inferiori del suo sviluppo. La stessa descrizione topologica dei sistemi psichici per cui il Super-io sta «sopra» l'Io, e l'Io «sopra» l'Es, la cui analisi è analisi del «profondo», rinvia alla lezione di T. Meynert che concepiva la coscienza come epifenomeno della «superficie» della corteccia cerebrale e gli istinti come espressione epifenomenica delle strutture «subcorticali».

La metafora geologica sottesa alla teoria degli strati implica anche che il «materiale» remoto sia più inaccessibile di quello successivo e che le malattie gravi siano anteriori per origine a quelle più leggere. La disgregazione del funzionamento gerarchico comporta, ai livelli superiori, la comparsa di sintomi «negativi», mentre, ai livelli inferiori, la disintegrazione funzionale libera sintomi «positivi». Nonostante alcune obiezioni di ordine anatomico, la teoria degli strati è un modello di lettura che ritroviamo: 1) nella gerarchizzazione delle patologie per cui a livello superiore si incontra, secondo H. Ey, la nevrosi, a livello medio la psicosi, e a livello inferiore la demenza; 2) nelle interpretazioni ispirate alla psicologia della forma che, con K. Conrad, interpreta l'involuzione funzionale come un cambiamento di forma nel campo esperienziale con graduale decadimento delle capacità o prestazioni psichiche da un livello «epicritico» verso un funzionamento di tipo «protopatico» indifferenziato e disintegrato; 3) nell'ipotesi strutturale di A. Wellek che, ipotizzando una strutturazione orizzontale combinata con una stratificazione verticale, introduce una dimensione di profondità nel senso di nuclearità; 4) nelle interpretazioni e classificazioni dei caratteri e dei tipi dove si distingue un substrato -► endotimico da una sovrastruttura personale (P. Lersch), una personalità corticale superficiale da una personalità profonda (F. Kraus), uno strato razionale distinto da uno affettivo e da uno istintivo (H. Hoffmann); 5) nelle ricerche di psicologia sperimentale dove D. Plogg, con stimolazioni e sottrazioni di stimoli in esperimenti condotti su animali da laboratorio, avrebbe confermato che ogni comportamento organizzato presenta una graduatoria gerarchica.