Lapsus

Termine latino impiegato da S. Freud in riferimento all'uso non intenzionale di parole errate, imputabile non a imperizia o a ignoranza, ma a nascoste motivazioni inconsce. Come deviazione dell'azione rispetto all'intenzione motivante, il lapsus comporta un risultato opposto o comunque diverso rispetto a quello desiderato. Paradigmatico è in proposito l'esempio addotto da Freud: «Ci si ricorderà certamente del modo con cui tempo fa il presidente dei Parlamento austriaco apri la seduta: "Onorevoli! registro la presenza del numero legale e dichiaro quindi chiusa la seduta!" Soltanto l'ilarità generale lo rese accorto dell'errore, cosicché si corresse. In questo caso, molto probabilmente, la spiegazione è che il presidente desiderava in cuor suo di poter già chiudere la seduta che non prometteva nulla di buono, ma questo pensiero secondario, come spesso avviene, riuscì a frapporsi. almeno parzialmente, e ne risultò "chiusa" anziché "aperta", cioè il contrario di quanto aveva l'intenzione di dire» (1901a, p. 106).

Freud, dopo aver distinto lapsus orali (linguae), scritti (calami) e di lettura, che consistono nello scambio di alcune parole con altre che hanno con quelle scritte una qualche somiglianza, fa rientrare i lapsus, come le dimenticanze, le gaffes, gli smarrimenti nell'ambito degli atti mancati (-► atto, § 2, b) rivelatori di un conflitto tra l'intenzione cosciente e la tendenza repressa. Approfittando della riduzione della sorveglianza della coscienza, gli impulsi inconsci riescono a esprimersi alterando il comportamento cosciente e, nel caso del lapsus, attraverso il meccanismo dello spostamento o della -»• sovradeterminazione.