Io

(ingl. Ego; ted. Ich; fr. Moi)

Concetto cui la riflessione filosofica ha dato spessore per la prima volta con R. Descartes. Prima di allora la tradizione platonico-agostiniana parlava di «coscienza» in un'accezione sostanzialmente morale. Superando il «realismo ingenuo» della filosofia antica, secondo cui le cose sono così come la visione e il pensiero umano le coglie, Descartes afferma che l'unica conoscenza sicura che si presenta a chi osserva attentamente i propri pensieri non concerne gli oggetti esterni, ma l'esistenza di un Io pensante (Cogito) rispetto a cui gli oggetti esterni sono solo sue rappresentazioni. Nei secoli successivi la nozione di Io assumerà nel discorso filosofico varie significazioni che oscillano tra una concezione sostanziale dell'Io, sede dell'identità personale, e una concezione funzionale che concepisce l'Io come principio unificatore dell'esperienza, fino a F. Nietzsche per il quale l'Io è una finzione che risulta da forze eterogenee (desideri e volizioni) irriducibili a un'identità, che dunque non ha alcuna validità né teorica né pratica, anzi, aggiunge Nietzsche, con tutta probabilità «l'Io è un prodotto della grammatica».

Sulla traccia di Nietzsche, S. Freud apre sull'Io penso di Descartes lo stesso dubbio che Descartes aveva aperto sul realismo ingenuo che l'aveva preceduto, smascherando nello sguardo innocente dell'Io quello che l'Io, inaugurato da Descartes, aveva cercato di smascherare nello sguardo ingenuo sulla realtà. Si apre così il gioco tra apparenza e realtà, nascosto e mostrato, latente e manifesto, dove l'Io appare come elaborazione secondaria di una realtà che egoica non è, e che Freud, assumendo l'espressione da Nietzsche, chiama -► Es.

1. La psicoanalisi.

Questa disciplina è il laboratorio più significativo in cui nel nostro secolo è stata coniugata la nozione di Io, che Freud concepisce come un'istanza dell'-► apparato psichico, distinta dall'Es e dal Su- per-io, che si può considerare da diversi punti di vista.

a) Dal punto di vista topico l'Io è in una relazione di dipendenza: dalle pulsioni che hanno nell'Es la loro sede, dagli imperativi del Super-io, e dalle esigenze della realtà. Come mediatore delle istanze spesso contraddittorie della persona, l'Io, scrive Freud, «soggiace a un triplice servaggio [...]: il pericolo che incombe dal mondo esterno, dalla libido dell'Es e dal rigore del Super-io. [...] Nella sua veste di elemento di confine, l'Io vorrebbe farsi mediatore fra il mondo e l'Es, rendendo l'Es docile nei confronti del mondo e facendo, con la propria attività muscolare, il mondo idoneo a soddisfare i desideri dell'Es» (1922b, p. 517).

b) Dal punto di vista dinamico l'Io rappresenta, nel conflitto della personalità, il polo difensivo; esso si esprime con i meccanismi di -► difesa che scattano in presenza di un affetto spiacevole che Freud chiama «segnale d'angoscia»: «L'Io è in effetti la vera e propria sede dell'angoscia. Minacciato da un , ce pericolo, l'Io sviluppa il riflesso di fuga ritirando il proprio investimento dalla percezione minacciosa o dal processo dell'Es che egli valuta come una minaccia, ed esprimendolo sotto forma di angoscia. Questa reazione primaria viene in seguito sostituita dall'instaurarsi di investimenti protettivi (è questo il meccanismo delle fobie). Ciò che l'Io propriamente teme dai pericoli esterni o dal pericolo rappresentato dalla libido nell'Es non è determinabile; sappiamo che teme di esser sopraffatto o annientato» (1922b, p. 518-519).

c) Dal punto di vista economico l'Io svolge una funzione di legame dei processi psichici, e ciò anche quando si esprime in operazioni difensive dove, essendo contaminati dai caratteri tipici del processo primario, i tentativi di legame assumono un carattere coatto, ripetitivo e scarsamente aderente ai dati di realtà, come nel meccanismo sopra citato delle fobie.

d) Dal punto di vista genetico Freud formula due ipotesi tra loro scarsamente compatibili: la prima considera l'Io una differenziazione dell'Es dovuta al contatto con la realtà esterna, la seconda lo considera come il risultato di identificazioni che portano alla formazione di un oggetto d'amore investito dall'Es. I due punti di vista sono così esposti da Freud: «L'Io si sviluppa dalla percezione delle pulsioni alla loro padronanza, dall'ottemperanza alle pulsioni alla loro inibizione. Partecipa in modo considerevole a questo lavoro l'ideale dell'Io, che in effetti è, parzialmente, una formazione reattiva nei confronti dei processi pulsionali propri dell'Es. La psicoanalisi è uno strumento inteso a rendere possibile la conquista progressiva dell'Es da parte dell'Io. [...] L'Io si comporta proprio come il medico in una cura analitica, giacché, tenendo conto del mondo reale, si offre all'Es come oggetto libidico e mira a che la libido dell'Es venga rivolta su di sé. Non è soltanto l'aiutante dell'Es, è anche dell'Es l'umile servo che implora l'amore del suo padrone» (1922b, p. 517-518). A partire da questo impianto genetico trovano la loro giustificazione le nozioni di narcisismo in cui l'Io si offre come oggetto d'amore alla libido esattamente come un oggetto esterno, di identificazione, dove l'Io diventa un deposito delle relazioni intersoggettive, con le conseguenti formazioni interne che mettono capo all'ideale dell'Io, all'Io ideale e al Super-io come sistema dei divieti (-► Io, ideale dell'; Io ideale; Super-io).

Gli sviluppi della teoria freudiana e le sue variazioni si sono svolti sostanzialmente in tre direzioni: la psicologia dell'Io inaugurata da H. Hartmann, la psicologia analitica di C.G. Jung e la teoria lacaniana del «supposto soggetto».

2. La psicologia dell'io. Questa corrente psicoanalitica studia la progressione dal principio di piacere a quello di realtà in cui l'Io, attraverso processi di maturazione e di apprendimento, sviluppa attitudini per attività la cui esecuzione viene vissuta con piacere (gratificazione funzionale) e che contribuiscono a loro volta a irrobustire il principio di realtà. Questi processi di apprendimento dipendono per Hartmann da quattro fattori: il grado di maturità dell'Io, le reazioni dell'ambiente, la tolleranza dell'Io nei confronti di frustrazioni e rinunce, la quantità di gratificazione derivante dai processi di apprendimento. Lo sviluppo dell'Io è contrassegnato da alcuni passaggi decisivi quali la costanza oggettuale che consente di acquisire un rapporto stabile con gli oggetti anche in loro assenza, e il segnale d'ansia prodotto attivamente dall'Io per anticipare i pericoli e prevenirli con una reazione adeguata. Il segnale d'ansia mette in moto anche i meccanismi di difesa che sono a disposizione dell'Io contro i pericoli e le minacce degli istinti: questi meccanismi possono successivamente evolvere in strutture autonome (autonomia secondaria dell'Io), così come possono trovarsi regressivamente al servizio dell'Es o del Super-io, come nel caso del pensiero usato per dubbi ossessivi o della percezione impiegata per esigenze voyeuri stiche. In questo caso abbiamo un'aggressi- vizzazione e una sessualizzazione delle funzioni dell'Io. La liberazione delle funzioni e delle attività dell'Io dal loro stretto legame con le esigenze istintuali è ciò che consente all'uomo un comportamento più variabile e plastico nei confronti delle sollecitazioni interiori ed esteriori.

3. La psicologia analitica. Jung intende l'Io come uno dei tanti complessi che compongono la psiche (-► complesso, § 2) e a questo proposito scrive: «Per "Io" intendo un complesso di rappresentazioni che per me costituisce il centro del campo della mia coscienza e che mi sembra possedere un alto grado di continuità e di identità con se stesso. Perciò parlo anche di un complesso dell'Io. Il complesso dell'Io è tanto un contenuto quanto una condizione della coscienza, giacché un elemento psichico per me è cosciente in quanto è riferito al complesso dell'Io. Tuttavia, poiché l'Io è solo il centro del campo della mia coscienza, esso non è identico alla totalità della mia psiche, ma è soltanto un complesso fra altri complessi. Distinguo quindi fra l'Io e il Sé, in quanto l'Io è solo il soggetto della mia coscienza, mentre il Sé è il soggetto della mia psiche totale, quindi anche di quella inconscia. In questo senso il Sé sarebbe un'entità (ideale) che include l'Io» (1921, p. 468). In questa relazione Io-Sé (-► psicologia analitica, § 4) i pericoli sono: che l'Io non emerga dalla sua primitiva identità col Sé e sia quindi incapace di far fronte alle richieste del mondo esterno; che l'Io venga equiparato al Sé con conseguente inflazione della coscienza; che l'Io assuma un atteggiamento rigido senza più alcun riferimento al Sé con conseguente arresto dello sviluppo della personalità; che l'Io non sia in grado di mettersi in relazione con uno specifico complesso per le tensioni che questo genera, con conseguente autonomizzazione del complesso che, a suo piacere, può dominare la vita dell'individuo e sopraffare l'Io. 4.

4. La teoria lacaniana. Questa teoria radicalizza la posizione di Freud: «L'Io non è padrone in casa propria», con dislocazione della coscienza in antitesi alla prospettiva ego- logica e logocentrica della filosofia e della cultura. In questa prospettiva anticartesiana Lacan scrive: «Penso dove non sono, dunque sono dove non penso» (1957b, p. 513). Essendo parlato dall'inconscio, l'Io non è «soggetto», ma «assoggettato»: «L'Io, per la sua funzione difensiva e quindi narcisistica, non è che il soggetto immaginario, cioè l'assoggettato senza vera autonomia o libertà da conflitti o da misconoscimenti alienanti». Ne consegue che «l'Io è strutturato esattamente come un sintomo. Non è altro che un sintomo privilegiato all'interno del soggetto. E' il sintomo umano per eccellenza, la malattia mentale dell'uomo» (1953-1954, p. 20). Al primato dell'inconscio di origine freudiana si accompagna in Lacan il primato dell'ordine simbolico di origine strutturalista, secondo cui l'individuo risulta attraversato da un'impersonale trama di simboli e di significati che lo costituiscono, ma che egli non ha creato e non domina: «Tutti gli esseri umani partecipano all'universo dei simboli, vi sono inclusi e lo subiscono molto più che non lo costituiscano, ne sono molto più i supporti che gli agenti» (1953-1954, p. 198). Decisivo in Lacan non è dunque l'Io, che è piuttosto un sintomo, ma l'ordine simbolico che preesiste al singolo Io e lo istituisce.

5. Gli studi sulla personalità. Questi studi conferiscono all'Io un posto centrale sotto diversi profili: a) come fonte o fine della motivazione, dove gli interessi dell'Io, l'amore di sé, il bisogno di autoaffermazione intervengono a promuovere la quasi totalità dei comportamenti; b) come istanza organizzativa dell 'esperienza che viene costruita in base alle forme migliori, per ciascun individuo, di adattamento all'ambiente; c) come luogo de\\'autopercezione che va dall'immagine di sé alla consapevolezza delle proprie capacità, inclinazioni, avversioni fino alla coscienza dell'esser-qui-e-ora. In ambito comportamentista questa autopercezione avviene attraverso l'esame di comportamenti oggettivabili per mezzo di reattivi. Il contributo più significativo in questo campo è stato dato da G.H. Mead per il quale «l'"Io" è la risposta dell'organismo agli atteggiamenti degli altri, il "Me" è l'insieme organizzato di atteggiamenti degli altri che un individuo assume. Gli atteggiamenti degli altri costituiscono il "Me" organizzato e allora l'individuo reagisce ad esso come un "Io". [...] L'"Io" è la sua azione che si contrappone alla situazione sociale all'interno della sua condotta, e entra nella sua esperienza solo dopo che egli ha effettuato l'azione. Allora egli ne acquista coscienza» (1934. p. 189). In questo contesto l'Io è pensato come una risposta al mondo e solo secondariamente come coscienza di sé (-► Altro, § 2).

6. La critica fenomenologica. La psichiatria fenomenologica critica in modo radicale la nozione di Io perché, come scrive R.D. Laing, «termini come mente e corpo, psiche e soma, Es, Io, Super-io, oltre a dividere l'uomo secondo il sistema di riferimento presupposto, vi si riferiscono come ad una entità isolata la cui qualità essenziale non è quella di essere in rapporto con gli altri e col mondo» (1959b, p. 23). Ora, se la follia è proprio la «scissione» dell'uomo, la sua «lontananza» dagli altri, la sua «estraneità» al mondo, come si può pensare di guarire applicando una dottrina i cui principi sono l'esatta riproduzione delle componenti della follia? Come si può pensare di condurre all'unità della sua essenza un uomo «a pezzi» servendosi di una dottrina che non ha mai conosciuto l'unità, ma sempre e solo la giustapposizione dei «pezzi»? Lo sforzo di ricostruzione delle scienze psicologiche che non hanno mai conosciuto l'unità dell'uomo, ma sempre e solo la composizione delle parti che la scienza ha già consegnato ai vari sistemi, assomiglia, conclude Laing, «allo sforzo disperato dello schizofrenico per ricomporre il suo Io e il suo Mondo disgregati» (1959b. p. 24). Alla nozione di Io, la fenomenologia sostituisce la nozione di -► presenza dove non c'è una soggettività (Io) che si relaziona a un'oggettività (mondo), ma una relazione originaria che fa dell'uomo un essere-nel- mondo al di là della scissione soggetto-oggetto, utile alla scienza e alla sua metodologia, ma incapace di riprodurre e descrivere il modo in cui l'uomo è al mondo (-► analisi esistenziale, § 1).

lo, centro dell' (ingl. Ego-center, ted. Ego- Zentrum, fr. centre du Moi)

Espressione introdotta da P. Schilder per designare un presunto nucleo o parte interna dell'Io circondato da una parte periferica rispetto a cui le varie esperienze della vita si dislocano a «distanze diverse». «Sotto questo profilo - scrive Schilder - i nostri problemi, le nostre emozioni, i nostri sentimenti e i nostri atteggiamenti, appartengono più intimamente al centro dell'Io che non le esperienze relative al mondo esterno e al nostro corpo» (1938, p. 85). Al centro dell'Io Schilder colloca il dolore, l'eccitazione sessuale e l'angoscia.

lo, confini dell' (ingl. Ego boundaries; ted. Ichgrenzen: fr. confins du Moi)

Concetto introdotto da P. Federn per delimitare a livello topico e in una prospettiva metapsicologi- ca l'ambito dell'Io dalla realtà esterna e da quella interna. Ciò consente la distinzione tra Io e non-Io e tra realtà e irrealtà. Il bambino, ad esempio, che vive in uno stato di identificazione primaria con la madre, passa gradualmente a sviluppare un confine dell'Io che gli consente la scoperta degli oggetti come altro da sé. Il confine interno delimita l'Io dall'inconscio rimosso; detto confine viene rafforzato da controinvestimenti (-►investimento, § 5) che impediscono l'irruzione del materiale inconscio. La sua flessibilità si rivela negli stati ipnagogici (-► ipnagogico- ipnopompico) e durante il sonno in cui i contini dell'Io si allentano, consentendo al materiale non egoico di entrare nell'ambito dell'Io. Il confine esterno delimita l'Io dal mondo di cose e di persone altre da lui. Processi di rapida e incontrollata identificazione con gli altri denotano un confine labile di cui fa Te spese il proprio senso di identità; lo stesso dicasi nel caso delle psicosi in cui il soggetto si sente invaso dalle cose del mondo o sente se stesso come cosa del mondo (-► coscienza, § 3, e).

lo, falso (ingl. false Ego; ted. Falsch-Ich; fr. Moi faux)

Espressione introdotta da R.D. Laing per indicare la nascita e la crescita di un Io inautentico perché costruito sulle aspettative di un'altra persona, in genere la madre, per cui, accanto a un Io autentico, vero e reale, cresce un falso Io che riflette ciò che gli altri vogliono e si aspettano. Questo falso Io, docile e conciliante, obbliga l'individuo a «vivere come risposta ad altri» (1959b, p. 114). Il falso Io è per Laing alla base della costituzione -►- schizoide (§ 5).

lo, ideale dell' (ingl. Ego ideal; ted. Ichideal; fr. idéal du Moi)

Termine usato da S. Freud in occasione della seconda formulazione dell'-► apparato psichico (§ 5) per designare una formazione intrapsichica relativamente autonoma a cui l'Io fa riferimento per valutare le sue realizzazioni effettive. Ne L'Io e l'Es Freud identifica l'ideale dell'Io, o Io ideale, con il Super-io, mentre in altri scritti successivi talvolta tiene distinte le due istanze in quanto il conflitto con il Super-io evoca il senso di colpa, mentre il confronto con l'ideale dell'Io genera senso di inferiorità. L'ideale dell'Io ha origini narcisistiche: «[Ogni] individuo ha costruito in sé un ideale rispetto al quale misura il proprio Io attuale [...]. A questo Io ideale si rivolge ora quell'amore di sé di cui l'Io reale ha goduto nell'infanzia. Il narcisismo appare ora spostato su questo nuovo Io ideale che si trova in possesso, come l'Io di quando si era bambini, di tutte le più preziose qualità. [...] Ciò che [l'uomo] proietta avanti a sé come proprio ideale è il sostituto del narcisismo perduto dell'infanzia, di quell'epoca, cioè, in cui egli stesso era il proprio ideale» (1914b, p. 463-464). Lo stato di narcisismo è abbandonato a causa della critica dei genitori nei confronti del bambino. L'interiorizzazione di tale critica produce quella condizione di autoosservazione che commisura l'Io attuale all'Io ideale. All'ideale dell'Io Freud riconduce anche la sottomissione al leader, messo dal soggetto al posto dell'ideale dell'Io. In questo modo si spiegano le convergenze che sono alla base della costituzione del gruppo sociale e della -► psicologia delle masse. Quando infine Freud attribuirà al Super-io le tre funzioni di «autoosservazione, coscienza morale e funzione di ideale» (1932a, p. 179), l'ideale dell'Io verrà riassorbito nell'istanza del Super-io, anche se la psicoanalisi successiva continuerà a mantenere la distinzione motivata, come scrive H. Nunberg, dal fatto che «mentre l'Io obbedisce al Super-io per paura della punizione, si sottomette all'ideale dell'Io per amore» (1932, p. 102).

lo, interesse dell' (ingl. Ego interest.; ted. Ichinteresse; fr. intérêt du Moi)

Espressione introdotta da M. Sherif e H. Cantril, ricorrente nella psicologia sociale dove, attraverso sperimentazioni, si è potuto constatare la possibilità di indurre «bisogni secondari» che coinvolgono l'Io alla stessa stregua dei «bisogni primari». Partendo dalla constatazione che l'organizzazione percettiva tende a essere consona allo stato motivazionale, per cui soggetti affamati tendono a percepire oggetti neutri come oggetti relativi all'alimentazione, per analogia si è stabilito e verificato, con metodi di induzione sperimentale, che una situazione di coinvolgimento dell'Io fa funzionare un bisogno secondario allo stesso modo di uno primario. Di interesse dell'Io (Ichinteresse) parla anche S. Freud nell'accezione specifica delle pulsioni dell'Io (-► Io, pulsioni dell') preposte all'autoconservazione dell'individuo, la cui energia, scrive Freud, non è «libido», ma «interesse» (-► narcisismo, § 3).

lo, libido dell' (ingl. Ego-libido-, ted. Ichlibi- do; fr. libido du Moi)

Detta anche libido narcisistica, la libido dell'Io è quell'investimento della -► libido che invece di rivolgersi a un oggetto (libido oggettuale) si rivolge alla propria persona. La libido, secondo S. Freud, comincerebbe con l'investirsi nell'Io (narcisismo primario) prima di essere inviata, a partire dall'Io, sugli oggetti esterni: «Ci formiamo così il concetto di un investimento libidico originario dell'Io di cui una parte è ceduta in seguito agli oggetti, ma che in sostanza persiste e ha con gli investimenti d'oggetto la stessa relazione che il corpo di un organismo ameboidale ha con gli pseudopodi che emette» (1914b, p. 445). Naturalmente la libido dell'Io, essendo una pulsione sessuale, va tenuta distinta dall'interesse dell'-► Io che è una pulsione autoconservativa. Per ulteriori approfondimenti si veda: -► Io, pulsione dell'; -► narcisismo (§ 3).

lo, modificazione dell' (ingl. Ego-alteration; ted. Ich-Veränderung; fr. altération du Moi)

Espressione psicoanalitica impiegata da S. Freud in riferimento all'alterazione che l'Io subisce in seguito all'acquisizione di strutture difensive che mantiene anche dopo la scomparsa del conflitto in riferimento al quale sono state attivate: «L'Io irrobustito dell'adulto continua a difendersi contro pericoli che nella realtà non esistono più, e addirittura si sente costretto a scovare situazioni reali che possano sostituire grosso modo il pericolo originario, così da giustificare, in relazione ad esse, la persistenza delle proprie consuete modalità di reazione» (1937a, p. 520-521).

lo, pulsione dell' (ingl. Ego instinct; ted. Ichtrieb; fr. pulsion du Moi)

Energia psichica preposta alla -► conservazione (§ 2) dell'Io e al suo servizio nel conflitto difensivo; come tale è opposta alla pulsione sessuale. Scrive S. Freud: «Non sempre queste pulsioni vanno d'accordo tra loro; i loro interessi entrano spesso in conflitto; i contrasti tra rappresentazioni non sono che l'espressione delle lotte tra le singole pulsioni. D'importanza del tutto particolare per il nostro tentativo di spiegazione è l'innegabile contrasto esistente fra le pulsioni che si pongono al servizio della sessualità, del conseguimento di piacere sessuale, e le altre che hanno per meta l'auto- conservazione dell'individuo: le pulsioni dell'Io. Secondo le parole del poeta, possiamo classificare come "fame" o come "amore" tutte le pulsioni organiche che agiscono nella nostra psiche» (1910b, p. 291-292). Le ragioni dell'opposizione tra i due ordini di pulsioni sono da ricercarsi nel fatto che, scrive Freud, «l'individuo conduce effettivamente una doppia vita, come fine a sé stesso e come anello di una catena di cui è strumento, contro o comunque indipendentemente dal suo volere. [...] La differenziazione tra pulsioni sessuali e pulsioni dell'Io non farebbe altro che riflettere questa duplice funzione dell'individuo» (1914b, p. 448). Nel quadro del funzionamento dell'-►- apparato psichico le pulsioni dell'Io, in quanto tutelano l'autoconservazione, tendono a funzionare secondo il principio di -► realtà (§ 3). Per questo l'energia delle pulsioni dell'Io non è «libido», ma «interesse» (-► Io, interesse dell').

Con l'introduzione del concetto di narcisismo, dove le pulsioni sessuali possono rivolgere la loro energia, invece che su un oggetto esterno (libido oggettuale), sull'Io (libido narcisistica), anche l'autoconservazione promossa dalle pulsioni dell'Io appare riconducibile all'amore di sé, quindi alla libido, in questo caso declinata narcisisticamen- te. Ciò non significa per Freud un avvicinamento alla teoria monistica dell'energia pul- sionale sostenuta da C.G. Jung: «Parve in tal modo che l'investigazione psicoanalitica, nel suo lento procedere, avesse finito per accostarsi alla speculazione junghiana relativa alla libido originaria, specialmente perché alla trasformazione della libido oggettuale in narcisismo si ricollega inevitabilmente una certa desessualizzazione, una rinuncia alle mete sessuali specifiche. Va invece tenuto presente che, se le pulsioni di autoconservazione dell'Io sono riconosciute come libidiche, ciò non dimostra ancora che nell'Io non siano all'opera anche altre pulsioni» (1922a, p. 460). Per ulteriori approfondimenti si vedano le voci -►- pulsione (§ 1, g, 2); -►■ narcisismo (§ 3).

lo ideale (ingl. ideal Ego; ted. Idealich; fr. Moi idéal)

Formazione inconscia caratterizzata da onnipotenza narcisistica. S. Freud identifica l'Io ideale (Idealich) con l'ideale dell'Io (Ichideal; -► Io, ideale dell'), ma alcuni autori hanno ripreso questa coppia per indicare due formazioni intrapsichiche differenti. Per H. Nunberg l'Io ideale è una formazione geneticamente anteriore al Super- io che il soggetto, nel corso del suo sviluppo, lascerebbe alle sue spalle, senza rinunciare all'aspirazione a ritornarvi come si verificherebbe nelle psicosi. Per D. Lagache l'Io ideale, concepito come ideale narcisistico di onnipotenza, non si riduce all'unione dell'Io con l'Es come prevedeva l'ipotesi di Nunberg, ma comporta «una identificazione primaria con un altro essere investito di onnipotenza, cioè con la madre» (1958, p. 43). L'Io ideale, per Lagache, serve da supporto per l'identificazione eroica con i grandi personaggi della storia e della vita contemporanea e «con il progredire della cura, si vede delinearsi ed emergere l'Io ideale come una formazione irriducibile all'ideale dell'Io» (1958, p. 42). Per J. Lacan, infine, l'Io ideale è una formazione narcisistica che trova la sua origine nello «stadio dello specchio» e appartiene alla dimensione dell'immaginario (-► lacaniana, teoria, § 5).

Io-piacere - Io-realtà (ingl. pleasure-Ego - reality-Ego; ted. Lust-Ich - Real-Ich; fr. Moi- plaisir - Moi-réalité)

Termini utilizzati da S. Freud per definire i due modi di funzionamento delle pulsioni dell'Io (-► Io, pulsione dell') secondo il principio di -► piacere (§ 1) e secondo il principio di -► realtà (§ 3): «Come l'Io-piacere non può far altro che desiderare, adoperarsi al fine di ottenere piacere ed evitare dispiacere, l'Io-realtà non ha altro da fare che mirare ali 'utile e garantirsi contro ciò che è dannoso. Effettivamente il sostituirsi del principio di realtà al principio di piacere non significa la destituzione del principio di piacere, ma una miglior salvaguardia di esso. Un piacere, momentaneo e incerto nelle sue conseguenze, viene abbandonato, ma soltanto per conseguirne in avvenire, attraverso la nuova via, uno più sicuro» (191 la, p. 457-458). Nella dialettica tra Io-piacere e Io-realtà c'è una prima fase in cui il soggetto coincide con tutto il piacevole e il mondo esterno con tutto lo spiacevole. Questa divisione si compie attraverso una -► introiezione della parte degli oggetti del mondo che è fonte di piacere e con la -► proiezione all'esterno di ciò che all'interno è occasione di dispiacere: «L'originario Io- piacere vuole [...] introiettare in sé tutto il bene e rigettare da sé tutto il male. Per l'Io ciò che è male, ciò che è estraneo all'Io, ciò che si trova al di fuori, sono in un primo tempo identici» (1925b, p. 199). In una fase successiva il soggetto cerca di trovare all'esterno un oggetto reale corrispondente all'oggetto interiore soddisfacente e perduto, e questo è il punto di partenza dell'esame di realtà: «Ora non si tratta più di stabilire se qualcosa che è stato percepito (una cosa) debba essere accolto nell'Io oppure no, ma invece se una certa cosa, presente nell'Io come rappresentazione, possa essere ritrovata anche nella percezione (realtà)» (1925b, p. 199).