Sigmund Freud |
Freud Sigmund (Freiberg, Moravia, oggi Pnbor nella Repubblica Ceca, 1856 - Londra 1939) medico austriaco fondatore della psicoanalisi. • Da Vienna alla Salpêtrière: l'ipnosi. Nel 1860 la sua famiglia (il padre era un piccolo commerciante ebreo) si trasferì a Vienna, città in cui Freud visse fino al 1938, quando l'annessione dell'Austria alla Germania hitleriana lo costrinse a emigrare a Londra, dove morì l'anno dopo, all'età di 83 anni. Fin dalla giovinezza, scrive Freud, «divenne predominante, in me, l'esigenza di capire qualcosa degli enigmi del mondo che ci circonda [...]. La via migliore per soddisfare questa esigenza mi parve allora l'iscrizione alla facoltà di medicina» (Freud, Il problema dell'analisi dei non medici, 1926). Laureatosi nel 1881, continuò la sua attività di studio e di ricerca con E.W. von Brücke, e quindi con T.H. Meynert (fisiologia, ipnosi, neuropatologia). Nel 1885 conseguì la qualifica di libero docente e ottenne una borsa di studio che gli permise di seguire i corsi di J.-M. Charcot alla Salpêtrière a Parigi. • L'incontro con Breuer e gli studi sull'isteria. Nel 1886, dopo il matrimonio, Freud aprì un gabinetto privato per la cura delle malattie nervose. Decisivo, in questo momento, fu l'incontro con J. Breuer, che lo indusse a usare l'ipnosi non solamente come strumento di inibizione dei sintomi, ma anche come metodo per scoprire la «motivazione e il significato dei sintomi isterici» (Freud, Autobiografìa, 1924). Il sintomo, secondo Breuer, traeva origine da un ingorgo affettivo in cui un ammontare di energie psichiche, normalmente utilizzate in modo diverso, venivano trasformate e impiegate nella produzione del sintomo isterico stesso (conversione: Breuer-Freud, Studi sull'isteria, 1895). La cura (metodo catartico) consisteva nel condurre questo ammontare di energie a una «scarica adeguata» (abreazione). Con questo metodo, nella cura della paziente Anna O., Breuer si trovò «in mano la chiave che gli avrebbe aperto la strada verso le madri ma la lasciò cadere. Nonostante le sue grandi doti spirituali, Breuer non aveva nulla di faustiano in sé. Preso da panico, si dette alla fuga e lasciò l'ammalata a un collega» (Freud, Lettera a S. Zweig, del 2.6.1932). La chiave d'accesso all'inconscio (questo significa la metafora tratta dal Faust di Goethe del regno delle madri) consisteva nella manifestazione di un trasporto sessuale della paziente verso il medico. Breuer vide ma non riconobbe il carattere sessuale dell'eziologia dell'isteria e il fatto che, nel rapporto analitico, tale affetto viene trasferito (-► transfert) sull'analista. E dunque Freud dovette condurre da solo l'impresa, faustiana e mefistofelica insieme, della scoperta dell'inconscio. Il lavoro condotto con Breuer aveva evidenziato il ruolo svolto nella vita di ogni individuo da una parte di sé rimossa, dimenticata, non cosciente. Il dispendio di energie per far riemergere questi materiali rimossi aveva evidenziato anche una forte resistenza, che l'ipnosi riusciva a vincere solo provvisoriamente. Era necessario istituire un rapporto analitico diverso, con una partecipazione del paziente più attiva di quanto non avvenisse nell'ipnosi. Freud individuò la possibilità di questo diverso rapporto nel metodo delle libere associazioni e nell'analisi del transfert (situazione in cui il paziente riesperisce relazioni affettive legate a un lontano passato rimosso). Breuer di fronte alle manifestazioni affettive di Anna O. aveva deciso per l'interpretazione più facile, vale a dire per un reale e attuale trasporto sessuale della paziente nei suoi confronti. Ugualmente Freud, di fronte alla confessione da parte di numerosi pazienti di una storia di seduzione sessuale da parte dei genitori nell'infanzia, decise, in un primo momento, per la «verità storica» di questo «trauma sessuale», che avrebbe dovuto costruire la causa patogena lontana di ogni sintomo nevrotico. Ma numerose prove e osservazioni, l'analisi dei suoi stessi sintomi nevrotici, lo convinsero dell'errore. Il crollo della teoria del trauma sessuale lo spinse a una lunga e tormentosa autoanalisi (Freud, Le origini della psicoanalisi, Lettere a Fliess, 1887-1902) che sfociò in una delle opere fondamentali del pensiero moderno e contemporaneo: L'interpretazione dei sogni (1899). • Dall'autoanalisi all'«Interpretazione dei sogni»: la nascita della psicoanalisi. Quest 'opera, insieme autobiografia e saggio scientifico, nasce nel clima della crisi e del disfacimento delle teorie positivistiche. La scienza moderna, come dice A. Koyré, aveva eretto il suo grande edificio «sostituendo al nostro mondo della qualità e delle percezioni sensibili, il mondo che è teatro della nostra vita, delle nostre passioni e della nostra morte, un altro mondo, il mondo della quantità». Cio che viene escluso e rimosso è, in una parola, il soggetto con lo spessore delle sue istanze, dei suoi bisogni, del suo desiderio, in quanto, come aveva detto Cartesio, proprio nell'esperienza del soggetto, e nella traccia che di tale esperienza si mantiene nella memoria, si annida l'errore. Contro il positivismo che aveva sottolineato con enfasi quasi religiosa questa rimozione del soggetto in favore dell'oggettività dei fatti si era già mosso Nietzsche, sostenendo il valore conoscitivo «del corpo e della sua grande ragione». E da Nietzsche Freud prese le mosse («spero di trovare in lui [Nietzsche] le parole per tutto quanto resta muto in me», Lettera a Fliess, 1.2.1900) non per «rianimare» il mondo delle quantità e dei fatti, quanto piuttosto per costruire una ragione più ampia, in grado di comprendere anche ciò che fino allora era stato escluso. Freud non esalta infatti un lato notturno e inconscio della vita contro la ragione e la coscienza (come avrebbero fatto le «filosofie della vita» e le correnti irrazionalistiche del Novecento). Egli scopre e ribadisce che non esiste una manifestazione «pura» del pensiero, che in ogni atto significante umano - nel sintomo dei nevrotici, nel sogno e nel delirio, come nelle più alte manifestazioni del pensiero - si iscrivono più forze, motivazioni e spinte, che restano perlopiù sconosciute. La nuova scienza del soggetto, la psicoanalisi, deve appunto descrivere e parlare di questo Unbewusste: di ciò che non si sa, ma che tuttavia determina le nostre condotte affettive, intellettuali e sociali. È così che viene completamente modificata la linea di demarcazione che separava, all'interno del pensiero prefreudiano, il «normale» dall'«anormale», ciò che è «razionale» da ciò che è «irrazionale». Tra queste dimensioni non c'è un rapporto reciprocamente esclusivo, ma un conflitto dinamico, che è la struttura stessa del soggetto e della società che lo comprende («la psiche è un campo di lotta fra tendenze contrapposte fra loro», Freud, Introduzione alla psicoanalisi, 1915-17 e 1932). • Dalla clinica alla metapsicologia. Il primo atto di questa penetrazione razionale nei territori che la scienza aveva abbandonato all'arte e alla poesia, o aveva rimosso da sé come dominio della follia, è costituito appunto dall'Interpretazione dei sogni. In quest'opera («l'opera della mia vita») Freud scopre la logica e i meccanismi del lavoro onirico (condensazione, spostamento, censura) e il principio di piacere che li regola e li dirige. Ne trae un vero e proprio modello di accesso all'inconscio (la «via regia») che potrà essere esteso anche ad altre manifestazioni psichiche. Di qui, infatti, abbiamo un'estensione del campo d'indagine alla Psicopatologia della vita quotidiana (1901), alla dimensione sessuale dell'esistenza (Tre saggi sulla teoria sessuale, 1905) e al Motto di spirito (1905). Attraverso questi studi, attraverso i Casi clinici (pubblicati nel 1932), attraverso l'applicazione del metodo analitico - quasi a provarne la forza e l'efficacia - allo studio della poesia e dell'arte o all'etnologia ( Totem e tabù, 1912-13), Freud viene via via precisando i concetti fondamentali della psicoanalisi: pulsione, rimozione, inconscio, sogno, lutto e melanconia, che troveranno una loro sistemazione teorica e metapsicologica nella Metapsicologia (1915-17). Sono gli anni della vittoria sulle «resistenze alla psicoanalisi». Sempre più frequenti, e da tutto il mondo, giungono assensi e adesioni alla psicoanalisi. • La psicoanalisi e l'uomo contemporaneo: il disagio della civiltà. Con Al di là del principio di piacere (1920) inizia una vera e propria nuova fase di scoperte, che rimettono in gioco quanto finora era stato stabilito. A livello più propriamente analitico è dopo il 1920 che Freud viene a definire la pluralità del soggetto (la «scomposizione della personalità»). Non abbiamo più, all'interno del soggetto, un'opposizione fra istanze consce e inconsce con la mediazione del preconscio. Io, Es e Super-io (formazioni che intrecciano livelli consci e inconsci) si contendono lo spazio del soggetto. I loro confini sono sfumati. Le zone che essi ricoprono sono spesso indefinite e mutevoli. Compito dell'individuo è quello di intraprendere un lungo e faticoso, interminabile lavoro per annettere all'Io i territori dell'Es, resistendo alle prepotenti istanze del Super-io. Infatti, «dove era Es deve diventare Io» (Introduzione alla psicoanalisi, 31ª lez.). Il soggetto si costruisce proprio in questo lavoro interminabile, così come interminabile è il lavoro analitico (Analisi terminabile e analisi interminabile, 1937). L'analisi non è, infatti, un'«arte dell'interpretazione» che ci mette, attraverso un disvelamento, di fronte ai tesori sepolti nell'interiorità e nel profondo del soggetto. Essa è una scienza congetturale, che può offrire soltanto «costruzioni», formazioni di compromesso provvisorie, e che quindi possono essere revocate attraverso una ulteriore scoperta di materiali rimossi (Costruzioni nell'analisi, 1937). Ma l'attacco che Freud conduce contro la filosofia e la scienza ottocentesche è ancora più radicale. In Al di là del principio di piacere, attraverso l'analisi delle nevrosi traumatiche, egli scopre una coazione a ripetere che non può essere ascritta al principio di piacere e che rinvia, al di là di esso, alla pulsione di morte: a una spinta verso lo stato originario della materia. Il conflitto psichico sarebbe allora riconducibile al conflitto originario fra Eros e Thanatos, le forze della vita e del movimento, e le forze dell'inerzia e della morte. Si tratta di una speculazione filosofica che non ha riscontro empirico. Ma la coazione a ripetere (che si evidenzia nella struttura stessa di ogni analisi, nella ripetizione transferale delle esperienze infantili) rende pensabile una diversa concezione della temporalità. Il pensiero occidentale, a partire dal secolo xvii, si era fondato su una concezione lineare del tempo: progressivo o regressivo. Tale concezione appartiene, dice Freud, al sistema percezione-coscienza, quale si è prodotto all'interno di un certo pensiero e di una certa storia. Le nevrosi traumatiche e il rapporto di transfert ci mettono invece di fronte a una immagine del «tempo-ripetizione», che provoca uno spaesamento (Il perturbante, 1919) rispetto alla ragione del tempo lineare e alla sua logica causale. Tutti gli ultimi anni di Freud sono dedicati a definire lo statuto epistemologico di questa sua «scienza perturbante» e anomala e inoltre a una serie di grandi studi sulla civiltà, la religione e la storia. In essi non si trova tanto un'applicazione della psicoanalisi a campi extra-analitici, quanto piuttosto un ripensamento di grandi questioni filosofiche all'interno di questo nuovo orizzonte epistemologico. Le ultime lezioni dell' Introduzione alla psicoanalisi, L'avvenire di un'illusione (1927), Il disagio della civiltà (1929), L'uomo Mose e la religione monoteistica (1934-38) costituiscono, afferma Freud, «il trionfo della mia esistenza», vale a dire il ritorno «dopo una lunghissima e tortuosa diversione» (costituita dall'attività terapeutica) all'«orientamento dei miei esordi» (Poscritto, 1927, all'Analisi dei non medici e Poscritto, 1935, ali'Autobiogra- fia). (f.r.) |