Trauma |
La parola «trauma» appartiene a una famiglia lessicale derivata dalla radice tro-, che contiene il significato di 'forare' o 'bucare'. Ancora nel francese attuale, trou equivale a «buco». Trauma è dunque una discontinuità e traumatico è un evento che la induce (tranne che in latino, ove traumaticus sta per «idoneo alla ferita» e si riferisce al farmaco usato per curarla). In ambito psicologico e psichiatrico, la categoria del trauma ha una lunga storia che deriva dall'osservazione del potere dirompente di eventi esterni sull'attività psichica o, più in generale, sull'individuo. In ambito psicoanalitico, la storia del concetto di trauma si intreccia con la storia stessa della costruzione della teoria psicoanalitica. La psicoanalisi si pone il problema di costruire una teoria che, a partire dall'analisi dell'attività psichica, renda conto della realtà percepibile dell'individuo vivente senza cadere nel riduzionismo biologico («ogni individuo è la conseguenza diretta della sua struttura biologica») o in quello sociologico («ogni individuo è la conseguenza diretta delle dinamiche sociali che lo implicano»). L'organizzazione individuale viene concepita, dunque, come relativamente indipendente da questi due livelli di realtà o, se si preferisce, l'individuo viene concepito come un'organizzazione che tende a sfuggire alle pressioni che su di essa esercitano i fenomeni biologici, fisici e sociali. Ora, il concetto di trauma comporta innanzitutto l'introduzione e la considerazione dell'importanza della realtà materiale esterna nella vita psichica. Gli eventi che lo possono provocare comprendono tutto ciò che esiste all'esterno dell'individuo e che è suscettibile di produrre stimoli. Quel che induce il trauma è l'intensità eccessiva dello stimolo relativamente allo stato attuale dell'individuo. In questo senso - assolutamente generale - la questione del trauma è specificamente una questione di quantità o, in termini psicoanalitici, una questione economica, e si potrebbe dire che il trauma è l'unico tipo di accadimento psichico di cui è sufficiente la descrizione in base al punto di vista economico della metapsicologia psicoanalitica. Per il trauma in quanto evento, non si pongono problemi di rappresentazione o di significato. Per il soggetto, viceversa, la mancanza di rappresentazione (che consente di elaborare l'evento) costituisce un'emergenza drammatica che richiede un continuo dispendio energetico finalizzato a circoscrivere la lesione. Si tratta quindi di una categoria generale che può essere così formulata: qualsiasi tipo di stimolo, quando supera una soglia di intensità, provoca nell'individuo colpito un trauma psichico. La possibilità del trauma, dunque, sottolinea i limiti dell'individuo. In quest'ottica, la questione della soglia diventa determinante, perché essa costituisce la componente individuale, avendo ogni individuo, in un dato momento, un livello di soglia differente rispetto a qualsiasi altro momento e a qualsiasi altro individuo. L'esempio tipico è quello della bomba, lo scoppio improvviso della quale produrrà un ben diverso effetto nel passante ignaro o nell'artificiere. Il primo ha la massima probabilità di essere traumatizzato dallo scoppio in quanto, essendo inaspettato, ne viene sorpreso, mentre il secondo è preparato a questa eventualità e ha quindi già attivato una serie di misure psichiche di difesa dal pericolo. Il concetto di soglia sposta l'attenzione, dunque, dall'evento all'individuo, la cui reazione al trauma può essere assai differente. Come si può spiegare che alcuni individui elaborino una nevrosi traumatica e altri no? Le costruzioni teoriche relative alla soglia - che non è una struttura fissa ma il risultato di un equilibrio di forze - diventano qui fondamentali. Lo vedremo esaminando il percorso clinico e teorico effettuato da S. Freud. Preliminarmente, però, è necessario sottolineare come l'evento traumatico rappresenti, all'interno della teoria psicoanalitica, un concetto limite: in una gamma di stimoli che va da quelli provenienti esclusivamente dall'interno dell'individuo (gli stimoli pulsionali) a quelli provenienti dall'esterno, il trauma rappresenta la possibilità di esistenza di stimoli «puri» provenienti dall'esterno. Mentre abitualmente qualunque stimolo (interno o esterno) viene collegato a rappresentazioni, affetti, giudizi preesistenti, sicché la sua rappresentazione entra a far parte di un più ampio contesto e viene perciò dotato di significato e di senso (inconscio ed eventualmente conscio), lo stimolo traumatico costituisce la possibilità che un evento «entri» nell'individuo senza alcuna partecipazione possibile di quest'ultimo. In questo senso, nell'ambito della teoria, l'evento traumatico costituisce una necessità teoretica: quella di ipotizzare che, ai due estremi, esistano stimoli che vanno al di là delle possibilità elaborative attuali dell'individuo: la pulsione a un polo e l'evento traumatico all'altro. Il problema di ogni teoria del trauma consiste dunque nel riconoscere questa eventualità e, contemporaneamente, nel delineare le modalità possibili di reazione ed elaborazione dell'individuo. Una particolare attenzione va posta sul fatto che il concetto di trauma, in questa accezione, non è collegato a una specifica fase della vita (Freud, 1915-17); in altri termini, il trauma (e le sue conseguenze psichiche) costituisce anche in questo senso un polo teoretico fondamentale: in qualsiasi momento della vita, se gli stimoli superano l'intensità sopportabile dalla soglia, si può sviluppare una patologia psichica, indipendentemente - al limite - da una «predisposizione morbosa». Il corrispettivo del trauma all'altro polo, ossia lo stimolo sessuale eccessivo, determina la nevrosi attuale. In conclusione: la nevrosi traumatica e la nevrosi attuale costituiscono - sul piano del tempo - due situazioni limite che rappresentano sul piano teorico la possibilità di una patologia psichica non collegata alla dinamica intrapsichica delle psiconevrosi e specificamente ai fantasmi originari e ai conflitti derivati dal loro dispiegarsi. I Baranger (1988) sottolineano come il trauma «puro» e la nevrosi attuale abbiano in comune la mancanza di significato. Nell'arco della sua vita, Freud si è impegnato nello studio delle situazioni traumatiche in differenti modi: a partire dallo studio del’«isteria traumatica» e delle ipotesi di J.-M. Charcot al proposito, elaborando poi l'ipotesi del trauma sessuale infantile e in seguito quella dell'effetto traumatico a distanza (elaborazione in due tempi) di un avvenimento accaduto durante l'infanzia per ritornare alla fine alla riflessione non solo sul trauma e la nevrosi traumatica ma - e soprattutto - sulla struttura individuale e metaindividuale, sulla necessità di ipotizzare tendenze ineluttabili come la pulsione di morte. Si tratta quindi di una riflessione durata mezzo secolo e caratterizzata - conviene sottolinearlo subito - non tanto dalla sconfessione di un'ipotesi e dall'elaborazione di ipotesi differenti, quanto da una progressiva delimitazione dell'ambito di applicazione delle ipotesi e da un progressivo approfondimento delle implicazioni delle stesse ai fini della comprensione dell'individuo, della sua struttura immaginabile e della sua attività psichica direttamente indagabile. Durante il periodo di studio (1885-86) alla Salpètrière, Freud ebbe modo di conoscere direttamente il metodo e le teorie di Charcot e di approfondire lo studio delle isterie. Il trauma massivo era allora compreso tra le cause di isteria e un particolare interesse del trauma massivo consisteva nel fatto che esso provocava sindromi isteriche anche negli uomini. Charcot comprendeva in queste ultime anche le situazioni, allora note particolarmente in ambito anglosassone, provocate da traumi meccanici (soprattutto a seguito di incidenti ferroviari). Freud tuttavia sottolinea, riferendo di questa esperienza nella relazione alla facoltà di Medicina di Vienna (1886) e più dettagliatamente nella voce «Isteria» scritta per lo Handwörterbuch der gesamten Medizin curato da A. Villarel (1888), come Charcot si opponesse alla suddivisione dell'isteria in varie sottospecie, ritenendo invece che essa potesse essere provocata da diverse cause occasionali, e che la reazione individuale fosse caratterizzante pili dell'evento in se stesso. L'esperienza clinica successiva con pazienti isteriche e l'elaborazione progressiva del metodo psicoanalitico - con il passaggio dall'ipnosi al metodo catartico e da questo a quello delle libere associazioni - condussero Freud inizialmente a ritenere provata l'esistenza di un trauma sessuale avvenuto nell'infanzia dei pazienti nevrotici a opera di adulti seduttori. Bisogna sottolineare però che, com'è già chiaramente scritto nella Comunicazione preliminare (Breuer e Freud, 1892-95), la concezione traumatica dell'isteria non va confusa con una concezione ingenua, «meccanica», degli effetti psichici del trauma, che è sempre stata lontanissima dal pensiero di Freud. Quando Breuer e Freud affermano che il ricordo del trauma agisce come un corpo estraneo efficiente anche molto tempo dopo la sua intrusione nella vita psichica del soggetto colpito, e quando tramite la catarsi ottengono un effetto di sparizione (almeno temporanea) del sintomo, essi pongono già l'accento sulla realtà psichica individuale dei soggetti colpiù e sulla necessità - clinica e scientifica - di scoprire i modi e le vie di un'attuale concatenazione di rappresentazioni e di affetti. E innanzitutto Freud ritenne che l'avvenimento potesse dispiegare il suo effetto traumatico allorché, in una seconda fase di sviluppo individuale (puberale o post-puberale), un accadimento anche banale potesse costituire la base rappresentazionale e affettiva suscettibile di provocare un reinvestimento delle tracce mnestiche dell'accadimento infantile, dando loro il significato adeguato. Una concezione siffatta implicava una relativa persistenza della credenza nell'«innocenza» infantile (il bambino non era ritenuto in grado di comprendere il significato dell'avvenimento). La smentita clinica della validità generale dell'ipotesi della seduzione traumatica (notificata a W. Fliess nella lettera del 21 settembre 1897) non portò tuttavia al suo rifiuto, quanto piuttosto alla sua delimitazione e alla sua modificazione. Infatti, la definitiva scoperta della fantasia inconscia (e delle fantasie di seduzione in primo luogo), dello sviluppo fasico della psicosessualità infantile e delle sue vicissitudini conflittuali inconsce (Freud, 1905c) portò, da un lato, verso lo studio della realtà psichica e dei suoi meccanismi interni di conflittualizzazione necessaria, relativamente indipendenti dalla realtà materiale ed esterna ma ancora manifestatisi tramite una modalità basata sui due tempi (posteriorità), e dall'altro a ripensare al trauma sessuale infantile reale come incidente su un terreno psichico già fortemente connotato e anzi determinato dalle dinamiche psicosessuali. Si aprirono così le porte, nella prima direzione, allo studio delle psiconevrosi, nella seconda a una profonda risistemazione della nevrosi traumatica. Anche la componente di attività psicosessuale infantile - che spinse K. Abraham (1907a) alla concettualizzazione di una diatesi traumatofilica - venne in questo periodo adeguatamente valorizzata, mettendo in evidenza la complessità dell'«evento» traumatico (o del suo racconto) e comunque definitivamente eliminando qualunque illusione di «innocenza» infantile. Quest'ultima acquisizione rese necessaria la valorizzazione della considerazione topica che - come sottolineò ancora molto pili tardi A. Freud (1964) - rimane fondamentale per evitare qualunque confusione tra vittima e agente reale del trauma. Restò la concezione per cui il trauma psichico - comunque avvenuto e in qualunque età sopravvenuto - costituisce un apporto improvviso e dirompente di energia, al quale l'apparato psichico deve rispondere con un continuo controinvestimento energetico e quindi un dispendio costante di energia. E rimase il concetto della fissazione dell'evento traumatico, pur nella sua non soddisfacente determinatezza teorica. Ma appunto l'esame della risposta dell'apparato psichico - già connotato fortemente dalle vicissitudini precedenti al trauma - apri inquietanti questioni: ad esempio, perché l'individuo traumatizzato tendeva a ripetere, anziché rimuovere, la situazione traumatica, a ripresentarsela continuamente, nei casi gravissimi (come possono essere le nevrosi di guerra) anche durante lo stato di veglia ma in molti casi meno gravi durante il sonno, tramite i sogni? In Al di là del principio di piacere (1920a) Freud parti proprio da questi interrogativi per ipotizzare l'esistenza di una coazione a ripetere che si afferma anche a prescindere del principio di piacere ma, ancor prima, una concezione quantitativa del trauma più dettagliata. Il trauma si qualifica in quanto tale perché è uno stimolo che sorprende il soggetto (con un effetto conscio di spavento) e determina una breccia negli strati «superficiali» dell'apparato psichico: ossia il criterio del trauma come discontinuità rimane fondamentale, ma la metafora della breccia consente di pensare a brecce di differenti dimensioni. Tutti i traumi producono una fissazione del materiale così penetrato, e tutti richiedono un controinvestimento per cercare di chiudere la falla, ma solo pochi hanno le dimensioni per costringere alla produzione di una nevrosi traumatica. Il sogno di ripetizione del trauma cerca di padroneggiare retrospettivamente gli stimoli in eccesso e di elaborare angoscia - che è un segnale di pericolo ignoto - anziché spavento. In questo senso, questi sogni mostrerebbero una funzione dell'apparato psichico «al di qua», precedente il principio di piacere, quella di legare l'ammontare degli eccitamenti in arrivo. La speculazione freudiana va oltre, e giunge ad affermare che, in certo modo, la coazione a ripetere rivela una pulsione di morte, la quale tende a raggiungere lo stato di quiete finale secondo un proprio piano, e che il trauma tanto è intollerabile quanto sovverte i piani prefissati: l'organismo vuole morire solo alla propria maniera. Come si vede, la teorizzazione freudiana apre interrogativi a differenti livelli, teoretici, teorici e clinici. Come concepire le pulsioni e in particolare la pulsione di morte? Come segnalare, nella costruzione di una teoria dell'individuo che si avvalga della finzione dell'apparato psichico, i limiti di quest'ultimo senza cadere in una prospettiva di ineluttabilità (che implicherebbe un nichilismo terapeutico) ma anche senza denegare l'incancellabilità del trauma? Come differenziare il trauma per così dire proveniente dall'esterno - di cui finora qui si è scritto -da quello proveniente dall'interno, quando un iperafflusso di stimoli di origine pulsio-nale sorprende l'apparato e in particolare il sistema conscio? La componente «traumatica», in quest'ultimo caso, deve intendersi in senso analogico o in senso concreto, e allora quale peso ha tra i movimenti psichici che portano alla genesi della psiconevrosi? E come differenziare la fissazione fisiologica - conseguenza delle fantasie primarie onnipresenti - da quella traumatica? E ancora: la considerazione quantitativa consente di pensare a traumi piccoli, ma multipli, che possono però assommarsi collegandosi tra loro e provocare, alla fine, l'effetto di un trauma grave? Fino a che punto può spingersi il concetto di «trauma cumulativo» (Khan, 1974)? E, dal punto di vista clinico, fin dove è possibile riattualizzare nel transfert il trauma? Esistono particolari categorie di traumi - come quello sperimentato dai deportati nei Lager nazisti - o si tratta di traumi particolarmente devastanti ma non differenti qualitativamente dagli altri (Kahn, 2005)? Questi problemi hanno risvolti clinici importanti, relativi alla trattabilità o meno dei soggetti traumatizzati. Per fissazione generalmente s'intende una configurazione psichica inconscia costituita dalla conseguenza del costante investimento libidico delle medesime tracce mestiche. Alla base di tale situazione si troverebbe il movimento inaugurale della rimozione originaria, la quale fissa indelebilmente, tramite un controinvestimento, le tracce mnestiche di avvenimenti primordiali, fortemente investite dalle pulsioni (di origine corporea). Ma la fissazione può costituire la conseguenza dinamica, indipendente da qualunque necessità di una fase evolutiva, del legarsi di un forte investimento libidini a un gruppo di rappresentazioni relative a eventi o a fantasie inconsce. Un nucleo di fissazione siffatto costituisce un punto al trattivo per un'eventuale regressione e, contemporaneamente, il punto di arresto della stessa. Paradossalmente, le aree di fissazione preesistenti possono fungere da impali mento a regressioni devastanti occorrenti in casi di trauma massivo. E tuttavia, ogni trauma, proprio per l'eccezionale quantità di energia libidica che mobilizza nel tentativo di controinvestire la discontinuità psichica, tende a fissare le rappresentazioni relative all'evento (o a dettagli dell'evento). La costruzione di un siffatto modello teorico consente di intravedere la complessità della situazione traumatica; perché ogni area di fissazione (esattamente come quella che istituisce il rimosso originario) può costituire il punto di attrazione per nuovi processi di rimozione ma anche di spostamento, il che implica la possibilità di percorsi di pensiero primario non solo relativamente autonomi tra loro (come comunemente accade) ma perfino statutariamente differenti. Su questa base ipotetica si può interpretare la I descrizione secondo la quale la persona traumatizzata vive contemporaneamente (e a diversi livelli topici) due realtà, quella del trauma che non può superare e quella quotidiana e si può comprendere la difficoltà di reintegrare l'individuo. La nevrosi traumatica e quella posttraumatica costituiscono le sindromi conseguenti a un evento di straordinaria intensità che sorprende l'apparato psichico. La prima si manifesta a breve distanza dal trauma e comporta una fase iniziale (con crisi di agitazione incontrollata o stupor o stato confusionale) alla quale fa seguito dopo un intervallo libero (generalmente breve) la comparsa di una seconda fase caratterizzata da tre elementi: tentativi di raffigurazione del trauma (dai sogni ricorrenti ai tentativi di abreazione anche in stato di veglia), stato di allarme latente (rivelato dalla ipersensibilità agli stimoli anche minimi purché collegabili all'evento traumatico) e stato di inibizione diffusa (con riduzione generalizzata di tutte le funzioni dell'Io, non solo dell'attività motoria). La psicoterapia ha la massima possibilità di successo se interviene nella prima fase o nell'intervallo libero, favorendo in ambiente protetto la condivisione del trauma con il terapeuta. La nevrosi traumatica può anche guarire spontaneamente, intendendo con ciò un processo di sufficiente controllo della situazione da parte dell'Io e in particolare un riuscito impiego della rimozione. Si costituisce però in tal modo un locus minoris resistentiae. La nevrosi posttraumatica si caratterizza nella sua forma pura per il prevalere dello stato di inibizione diffusa. Questa condizione è sostanzialmente eguale a quella descritta come «disturbo posttraumatico da stress» nel DSM-IV (1994). Si deve tuttavia aggiungere che, dopo l'intervallo libero, si può talora assistere alla comparsa di una psiconevrosi (isterica o ossessiva) che testimonia, in tal caso, l'avvenuta regressione a fissazioni precedenti e il reinvestimento di conflitti altrimenti isolati. Tale eventualità va tenuta presente perché configura la possibilità che un trattamento di un paziente nevrotico si appalesi come un'analisi di un paziente traumatizzato. Da ultimo va sottolineato come la problematica del trauma sia stata riattualizzata recentemente all'interno del dibattito sulle sindromi borderline, a proposito delle quali è stata messa in luce sia la frequenza di importanti eventi traumatici reali, sia il configurarsi di una traumatofilia perniciosa come sorta di nostalgico perseguimento e riattualizzazione di un «primario» traumatico, sia, in generale, qualunque sia la sua origine, la presenza di una struttura «traumatica» dell'apparato psichico, nel senso di una difficoltà di elaborazione, legame, contenimento e inscrizione in reti rappresentative del fondo pulsionale, perennemente instabile, della vita psichica. Difficoltà che C. Botella (2004) ha definito «impasse memoriale». ANTONIO ALBERTO SEMI |