Sviluppo, disturbi specifici dello |
Il termine «disturbo specifico dello sviluppo» definisce una serie di disabilità, relativamente frequenti nel corso dello sviluppo del bambino, riconducibili a origine neurobiologica, prevalentemente costituzionale, che riguardano la comprensione e l'espressione orale e scritta del linguaggio. Esse sono singolarmente conosciute e definite come disturbi specifici del linguaggio (Dsl), aprassie e disturbi pratto-gnostici, e disturbi specifici dell'apprendimento (Dsa): dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia. Ciascuno di questi disturbi riguarda funzioni e abilità diverse: linguaggio, abilità motorie, lettura, scrittura e calcolo, ma la caratteristica comune a tutti è la specificità del deficit, cioè il fatto che è riconducibile a domini coerenti e riconoscibili e indipendenti rispetto al livello cognitivo del soggetto. Il termine «specifico» sta inoltre a indicare che la disabilità si manifesta in un soggetto che non presenta patologie neurologiche (come ad esempio l'epilessia) né difetti sensoriali (ipoacusia o ipovisione), che ha un'intelligenza adeguata e non evidenzia particolari condizioni di svantaggio culturale. E’ importante riconoscere che molti bambini presentano deficit co-occorrenti, cioè in varie aree cognitive, come ad esempio la lettura, la scrittura e il calcolo. Queste osservazioni di comorbidità (cioè di compresenza) non tolgono nulla alla definizione operativa di specificità dei singoli disturbi, dato che le caratteristiche cognitive dei soggetti sono abbastanza diverse dalle caratteristiche cognitive associate ad altri deficit come il ritardo mentale o il deficit di attenzione (Lyon, Fletcher e Barnes, 2003). I disturbi specifici dello sviluppo si caratterizzano per un ritardo consistente nell'acquisizione delle diverse funzioni (linguaggio verbale, lettura, scrittura o capacità di calcolo) e per la loro successiva realizzazione faticosa e inaccurata. Per esempio, per quanto riguarda lo sviluppo del linguaggio, il bambino inizia a parlare tardi e in modo non del tutto comprensibile, oppure a scuola inizia a leggere le parole in modo sbagliato, o commette errori di ortografia per un tempo molto lungo (alcuni anni) e nonostante vengano adottati interventi educativi o riabilitativi per correggerlo. Le basi neurobiologiche dei disturbi specifici dello sviluppo oggi sono universalmente riconosciute. Per la dislessia, il più conosciuto fra questi disturbi, l'origine neurobiologica era già sospettata oltre un secolo la. Nel lontano 1891, il neurologo francese J.-J. Déjerine suggerì che le difficoltà di lettura definite da J. Hinshelwood come «cecità per la lettura» fossero riferibili a lesioni anatomiche presenti nella regione posteriore sinistra del cervello, che svolge un ruolo critico per la lettura. Una decisiva svolta nella conoscenza delle basi patogenetiche della dislessia è arrivata con l'avvento delle neuroimmagini, in particolare le neuroimmagini dinamiche come la pet o la risonanza magnetica funzionale. Questi strumenti sono in grado di mostrare le variazioni di attivazione delle aree cerebrali in conseguenza di determinati compiù, e quindi consentono di evidenziare le differenze di funzionamento di zone della corteccia del cervello dei dislessici. Ancor prima dell'avvento di questi strumenti, tuttavia, il neurologo americano A. Galaburda aveva scoperto, attraverso l'esame autoptico condotto sui cervelli di soggetti che in vita avevano sofferto di difficoltà di lettura, l'esistenza di piccole alterazioni delle aree cerebrali coinvolte nell'elaborazione del linguaggio. Galaburda ha descritto alcune piccole esfoliazioni del tessuto corticale e successivamente ha dimostrato come queste minuscole variazioni del substrato neuronale potessero essere considerate responsabili di deficit funzionali come la dislessia. Gli studi di risonanza magnetica funzionale e di microbiologia hanno ulteriormente precisato la natura di queste piccole alterazioni, che determinano sottili ma significative modificazioni dell'attività delle cellule neuronali di alcune aree cerebrali e finiscono per influenzare in modo determinante funzioni complesse e delicate come il linguaggio, la lettura e la scrittura. Le ricerche di genetica molecolare hanno apportato ulteriori elementi per definire la natura di queste piccole alterazioni, che in realtà non sono di origine lesionale ma sono espressione di caratteristiche genetiche particolari. Peraltro gli studi sulle popolazioni affette, e in particolare sui gemelli, avevano già indicato i caratteri genetici come probabili veicoli di trasmissione del disturbo. Prima dell'avvento delle tecniche di neuro-imaging, le ipotesi sulla natura della dislessia erano basate sull'osservazione della presenza più o meno ricorrente di elementi quali l'impaccio motorio o il mancinismo, oppure sulla mancata comparsa di alcune fasi di transizione evolutiva come la marcia qua-drupedica. Queste osservazioni avevano originato ipotesi su un legame causativo tra sviluppo della coordinazione motoria o definizione della specializzazione emisferica e dislessia evolutiva, ipotesi che hanno a lungo influenzato l'approccio riabilitativo e che anche oggi, nonostante non vi siano mai state dimostrazioni chiare a loro sostegno, mantengono una certa diffusione. La natura neurobiologica dei disturbi specifici dello sviluppo è in genere misconosciuta sia dall'opinione pubblica, sia dall'ambito medico non specialistico. In particolare i Dsl vengono considerati espressione di ritardi di sviluppo, oppure caratteristiche «caratteriali» o relazionali e comunicative (il bambino è pigro e preferisce esprimersi a gesti), piuttosto che espressione di alterazioni di sistemi neurali dedicati alla comprensione e alla produzione del linguaggio. La conseguenza diretta di questo errore di interretazione influenza lo sviluppo del bambino, che cresce senza che si realizzino molte delle abilità linguistiche essenziali e prerequisite per la successiva acquisizione di altre abilità, come ad esempio la letto-scrittura. Anche la comunicazione e le relazioni sociali sono influenzate dal Dsl, che comunque determina una catena di insuccessi e di frustrazioni nel campo dell'apprendimento scolastico. Studi recenti (Torgesen, 2000) hanno dimostrato come molti bambini, identificati a rischio per insuccesso negli apprendimenti scolastici a causa di un Dsl, ricevendo un adeguato intervento educativo riuscissero a ridurre significativamente le iniziali difficoltà di acquisizione della letto-scrittura. Lo stesso autore ha riportato che interventi precoci efficaci riuscivano a ridurre l'incidenza attesa di insuccessi nell'acquisizione della lettura dal 18 % della popolazione scolastica a una percentuale compresa tra l'1,4 e il 5,4%. Anche se i disturbi specifici dello sviluppo riguardano domini ben distinti e riconoscibili, oggi vi è un forte consenso fra gli studiosi di questo campo sul fatto che la difficoltà centrale di molti di questi disturbi, e di conseguenza la loro relativa interdipendenza e co-occorrenza, sia il riflesso di un deficit entro il sistema linguistico (Ramus et al., 2003). Il linguaggio possiede una caratteristica generativa che consente a chi lo usa di creare un numero pressoché infinito di parole e di enunciati, combinando insieme un piccolo numero di segmenti fonologici, i fonemi - chiamati convenzionalmente consonanti e vocali -, che sono i costituenti naturali della specializzazione biologica per il linguaggio. Queste unità, fondamentali anche per la successiva trascrizione alfabetica del codice scritto, vengono estratte dal bambino dal parlato continuo che gli viene rivolto attraverso importanti operazioni di segmentazione temporale dello stimolo uditivo verbale e di categorizzazione dei suoni. La difficoltà nel compiere queste operazioni di segmentazione e di categorizzazione che il neonato fa sin dai primi mesi di vita, e per le quali siamo geneticamente predisposti, determina il ritardo nella comparsa della lallazione canonica e successivamente delle singole parole (Stella, 2002). Il legame fra la ritardata o alterata comparsa del linguaggio verbale e le successive difficoltà di lettura e scrittura risiede nel fatto che i bambini che hanno difficoltà nel combinare correttamente i suoni per comporre le parole, avranno quasi certamente difficoltà nella scomposizione delle parole nelle corrispondenti unità linguistiche. Per leggere e scrivere, un bambino deve scoprire che le parole nella loro forma verbale possono essere divise in fonemi e che le lettere di una parola scritta rappresentano questi suoni. Come hanno mostrato numerosi studi, questa consapevolezza si sviluppa molto tardi anche nei parlanti competenti e solo sulla base di un'istruzione specifica che viene data a scuola. I risultati condotti su popolazioni ampie e ben studiate con disabilità di letto-scrittura confermano che un deficit nel sistema fonologico costituisce il correlato più stabile e specifico, ponendo un legame forte tra sviluppo del linguaggio e sviluppo della letto-scrittura e conseguentemente confermando una certa interdipendenza causale fra disturbi del linguaggio e dislessia. La dislessia è una disabilità caratterizzata dalla difficoltà ad affetturare una lettura accurata e/o fluente e da abilità scadenti nella scrittura e nella decodifica. Queste difficoltà tipicamente derivano da un deficit nella componente fonologica del linguaggio, che è spesso inattesa rispetto alle altre abilità cognitive e alla garanzia di un'adeguata istruzione scolastica. Conseguenze secondarie possono includere problemi di comprensione nella lettura e una ridotta pratica, che può impedire la crescita del vocabolario e della conoscenza generale. I soggetti con dislessia incontrerebbero difficoltà sia in compiù di codifica fonologica sia di recupero dell'informazione codificata in memoria. Il disturbo si manifesterebbe anche nell'utilizzo stesso dei codici fonologici per mantenere l'informazione verbale nella memoria di lavoro, e i soggetti non raggiungerebbero un grado di consapevolezza sufficiente per ciò che concerne la struttura fonologica della parola. E’ facile comprendere come queste insufficienze possano interferire nell'apprendimento e nell'automatizzazione dei processi di lettura, ed è facile ritenere che il riconoscimento lento e impreciso di una parola scritta, unito a un deficit di tipo linguistico a livello lessicale potrebbero spiegare gli ostacoli che i dislessici affrontano nel comprendere testi scritti. Inoltre, è molto frequente che il linguaggio sia interessato da alcuni deficit anche nei casi in cui non è presente un pregresso disturbo di linguaggio. La discalculia, invece, è un disturbo per cui il bambino incontra difficoltà nei compiù numerici e aritmetici di base: leggere e scrivere correttamente i numeri, eseguire calcoli a mente con sufficiente rapidità e precisione. La prevalenza dei disturbi specifici dello sviluppo non è stata omogeneamente descritta nella letteratura scientifica, né si può facilmente ricavare sommando fra loro le percentuali di prevalenza dei singoli disturbi, dato che spesso si tratta di evoluzione e cambiamento di espressività dello stesso deficit in epoche diverse. Per esempio, il Dsl sfocia spesso in Dsa, tant'è vero che ne è considerato uno dei pochi predittori affidabili. Sarebbe quindi scorretto sommare Dsl e Dsa, poiché possono essere espressioni dello stesso disturbo considerato in fasi diverse dello sviluppo del bambino. In ogni caso, in età evolutiva, è sempre necessario definire l'età in cui viene condotta l'indagine sulla popolazione in quanto le differenze di sviluppo possono incidere in misura sostanziosa sui dati epidemiologici. L. D. Shriberg e J. Kwiatkowski, per quanto riguarda i Dsl, hanno segnalato un andamento decrescente fra i 3 e gli 8 anni che varia dal 7,5% della popolazione interessata da alterazioni fonologiche all'età di 3 anni, al 2,5% di disturbi residui del linguaggio per lo stesso campione di bambini studiato 5 anni dopo. Per quanto riguarda la prevalenza dei Dsa esistono diverse stime, che dipendono in parte dai criteri di selezione utilizzati. Inoltre, per quanto riguarda i disturbi di lettura e di scrittura, la prevalenza sulla popolazione totale dipende anche dalla complessità del sistema ortografico. Mentre per quanto riguarda disturbi del linguaggio e discalculia le stime riportate dalla letteratura internazionale possono essere considertae valide anche per i bambini italiani, per dislessia e disortografia è necessario far riferimento a ricerche condotte su popolazioni italiane. Le stime più prudenti (Stella, 2004a) indicano che una percentuale compresa fra il 2 e il 2,5% della popolazione italiana presenta disturbi di lettura non attribuibili a scarso esercizio o a disturbi neurologici e sensoriali. Questa percentuale riguarda il totale della popolazione e può variare in modo sensibile considerando età diverse. Nella fascia scolare elementare, vengono riportate percentuali prossime al 5%, mentre al termine della scolarità obbligatoria la percentuale tende a scendere. L'evoluzione dei disturbi specifici dello sviluppo è in genere favorevole per la maggior parte dei soggetti. Almeno il 70% dei bambini con Dsl o con dislessia, disortografia e discalculia tende a compensare il disturbo nell'arco dell'età evolutiva e raggiunge un livello sufficiente per l'adattamento scolastico e lavorativo. L'ampiezza dell'arco temporale richiesto per trovare i meccanismi di compenso comporta tuttavia significativi problemi in ambito scolastico, e conseguenze di natura psicopatologica determinate dalle ripetute frustrazioni sperimentate a scuola. Fra i bambini con Dsl e con dislessia l'insuccesso scolastico e l'abbandono degli studi è molto più frequente di quanto accade nella media della popolazione. La scelta del percorso formativo dopo la fase obbligatoria è spesso condizionata dalla presenza di questi disturbi. Anche il rischio di devianza e disturbi psichiatrici è molto più elevato fra soggetti che in età evolutiva hanno presentato disturbi dello sviluppo. Per ridurre al minimo queste conseguenze è molto importante la diagnosi precoce, che consente di avviare precocemente percorsi riabilitativi e di attuare in ambito scolastico strategie di insegnamento e modalità di apprendimento adatte a ridurre il deficit funzionale fin dai primi anni di scolarizzazione. In ogni caso, trattandosi di disturbi di natura neurobiologica, è importante considerare che il loro recupero richiede un tempo lungo e che, anche quando vengono introdotte misure terapeutiche e riabilitative adeguate, il risultato atteso è la riduzione delle conseguenze funzionali del deficit e non la scomparsa repentina delle difficoltà. GIACOMO STELLA |