Stress |
Lo studio dello stress come fattore di rischio per la salute rappresenta un contesto privilegiato per osservare il legame tra fattori sociali, psicologici e biologici nell'insorgenza della malattia, anche se l'ampia diffusione del concetto a livello del linguaggio comune rischia di snaturarne il significato. Nel corso degli anni sono state accumulate innumerevoli prove degli effetti nocivi dello stress sulla salute (fisica e psichica). Sebbene le conseguenze deleterie dello stress siano in parte mediate dalle modificazioni dei sistemi endocrino, immunitario e nervoso autonomo, l'esperienza dello stress influenza negativamente anche i comportamenti rilevanti per la salute, spingendo le persone ad adottare comportamenti malsani o rischiosi nel tentativo di ridurre la minaccia o di controllare le emozioni attivate dall'esperienza potenzialmente dannosa (ad es. fumare, bere alcolici, ridurre le ore di sonno). Inoltre, lo stress può essere visto anche come una conseguenza dello stile di vita adottato, da cui si deduce che la relazione fra stile di vita e stress è in realtà bidirezionale. La definizione (e i modelli) dello stress si sono evoluti storicamente attraverso una varietà di fasi. Inizialmente è stato enfatizzato il ruolo dell'ambiente esterno come fattore determinante nell'esperienza dello stress (modello dello stimolo, o stressor); successivamente sono stati messi in evidenza i fattori interni all'individuo nell'influenzare le risposte di stress (modello della risposta), fino a riconoscere la necessità di considerate l'interazione fra la persona e l'ambiente esterno (modello transazionale). H. Selye (1956) propose un modello dello stress fisiologico, definito teoria della sindrome generale d'adattamento: quando un organismo si trova in presenza di un agente stressante, si mobilita allo scopo di ristabilire la condizione precedente (omeostasi). L'autore ha insistito sul carattere non specifico della risposta dell'organismo: a prescindere dalla natura dell'agente stressante (fisica, chimica o psichica), la risposta di adattamento volta a ristabilire l'omeostasi sarà la stessa, e avverrà in tre fasi: una reazione di allarme (in cui sono sollecitati vari sistemi dell'organismo, ad es. simpatico, surrenale, corticosurrenale, ecc.), seguita da una mobilitazione per affrontare la minaccia, attraverso l'attivazione di strategie di coping. Tale mobilitazione accresce il grado di resistenza dell'organismo, ma se si prolunga troppo subentra uno stato di affaticamento, seguito da una fase di esaurimento (che può favorire la comparsa di sintomi come disturbi somatici, ad es. ulcere, ipertensione, ecc.). Un agente stressante può quindi danneggiare l'organismo sia direttamente, quando oltrepassa la sua capacità di adattamento, sia indirettamente, come risultato dei processi messi in atto nella difesa contro l'agente stressante. Questo modello meccanicistico e fisiologico dello stress (successivamente criticato per il ruolo limitato che assegna ai fattori psicologici e alla presunta uniformità delle risposte allo stress) è stato sostituito, all'inizio degli anni '70 del '900, da una prospettiva esplicativa più complessa e dinamica, che assegna ai fattori soggettivi un ruolo nelle risposte ormonali. Secondo tale prospettiva, le risposte fisiologiche alle aggressioni non sono stereotipate, ma alcuni fattori intervengono nella scelta della reazione fisiologica e comportamentale all'aggressione (ad es. la novità della situazione, la possibilità di controllarla e la capacità di prevedere l'evoluzione degli eventi). Un evento, pertanto, provoca stress nella misura in cui sopraggiunge in modo improvviso e inatteso. La reazione di stress è tanto più forte quanto più forte è l'emozione generata. In questo modo, lo stress è stato concepito come un processo multifattoriale avente componenti cognitive, affettive, sensoriali, viscerali, endocrine e comportamentali, in interazione le une con le altre. Un'altra linea di indagine, la cosiddetta psicoimmunologia, si è concentrata sull'analisi dei processi fisiologici implicati nell'esperienza dello stress, cercando di mettere in luce le complesse interrelazioni fra il sistema nervoso centrale e il funzionamento del sistema immunitario. Un assunto di base di questo approccio è che lo stress indebolisce il sistema immunitario, esponendo le persone al rischio di contrarre ogni tipo di malattia. Da una quindicina d'anni, è emerso un generale consenso sulla definizione di R. Lazarus e S. Folkman (1984), secondo cui lo stress consiste in una transazione fra la persona e l'ambiente nella quale la situazione è valutata dall'individuo come eccedente le proprie risorse e tale da mettere in pericolo il suo benessere. Tale definizione descrive lo stress come un processo che include gli stressors e le risposte messe in atto dal soggetto, ma aggiunge, fra le richieste e le risorse personali per farvi fronte (così come vengono percepite dall'individuo), la relazione fra la persona e l'ambiente. Si tratta di un processo che implica degli aggiustamenti continui, chiamati transazioni. In questa prospettiva, il soggetto è considerato un agente attivo che può influenzare l'impatto di un agente stressante mediante strategie cognitive, emozionali e comportamentali. I due processi principali che determinano l'entità delle esperienze di stress in una data situazione sono la valutazione cognitiva (distinta in «primaria», in cui il soggetto valuta il significato dello stressor e decide se è irrilevante, positivo o stressante, cioè se costituisce un danno, una minaccia o una sfida per il suo benessere, e «secondaria», in cui il soggetto valuta le proprie abilità e risorse di coping per farvi fronte), e la rivalutazione della situazione originaria. Un elemento che differenzia l'approccio transazionale allo stress dal precedente è l'introduzione del concetto di coping: quando una situazione viene percepita come stressante, le persone cercano di fare qualcosa per dominarla e controllare le proprie reazioni emotive. Il coping è stato definito dagli autori come l'insieme degli sforzi della persona, sul piano cognitivo e comportamentale, per gestire (ridurre, attenuare, dominare o tollerare) le richieste interne ed esterne poste da quelle interrelazioni persona/ambiente che vengono valutate come eccedenti le risorse possedute. Lazarus e Folkman distinsero inizialmente due processi di coping: l'uno centrato sul problema (finalizzato a gestire e modificare il problema), l'altro centrato sulle emozioni (finalizzato alla riduzione della tensione emotiva). La misura in base a cui la situazione verrà vissuta come stressante varierà da individuo a individuo, e dipenderà anche dal possesso di risorse di coping che sono disponibili alla persona (ad es. risorse di tipo fisico, come salute ed energia, di tipo psicologico, come la percezione di controllo, l'hardiness, un concetto di sé positivo, la propensione all'ottimismo e le competenze, come le abilità ai problem solving e le abilità sociali) o nell'ambiente (ad es. risorse materiali e sostegno sociale). Il modello di Lazarus e Folkman costituisce a tutt'oggi il punto di partenza indiscusso delle teorizzazioni su stress e coping. In letteratura si annoverano tuttavia anche altri modelli teorici, sviluppati per superarne i limiti, così come concettualizzazioni più articolate delle strategie di copìng. Fra gli aspetti pili interessanti di queste nuove prospettive vi sono: una concezione più dinamica che attribuisce maggiore attenzione ai fattori situazionali-contestuali mutevoli nell'influenzare l'esperienza dello stress e gli sforzi di coping; uno spostamento dell'enfasi dai fattori di vulnerabilità alle forze di adattamento e alla capacità di resilienza dei soggetti, che fa si che da situazioni fortemente stressanti sia possibile uscire con esiti anche positivi e costruttivi (sotto forma di crescita, sviluppo e apprendimento di nuove modalità di coping), e una maggiore attenzione a collocare il soggetto all'interno del contesto sociale di vita, dove i processi di stress e coping sono visti come riguardanti non i singoli, ma intere unità sociali. A seconda della prospettiva assunta sul processo di stress, le ricerche empiriche hanno concentrato l'attenzione ora sul ruolo dell'ambiente esterno, ora sui fattori interni alla persona nella loro interazione con l'ambiente. Entrambi sono stati visti, a seconda delle circostanze, sia come fonte di stress, sia come fattore di resistenza e protezione. L'enfasi sull'ambiente come fattore di stress ha stimolato l'interesse per il ruolo degli eventi della vita. I ricercatori hanno cercato di identificare gli eventi oggettivi potenzialmente stressanti, distinguendoli in base alla natura e alla gravità. Questa linea di indagine ha aiutato a definire alcune condizioni che rendono più probabile il verificarsi di stress, anche se non spiega interamente questa esperienza. L'idea che lo stress abbia un impatto negativo sulla salute è stata valutata inizialmente in rapporto a eventi importanti e gravi (lutto, licenziamento) o problematici (situazione di conflittualità nel lavoro), concentrandosi o su eventi specifici o sulla verifica dell'impatto cumulativo (numero o gravità complessiva) nell'arco di un certo periodo di tempo. Più di recente l'attenzione si è concentrata sull'effetto cumulativo, sulla salute e sulla malattia, di eventi stressanti di rilevanza minore. Molte ricerche sugli effetti degli eventi di vita fondamentali si basano sul lavoro di Th. Holmes e R. Rahe (1967). Secondo questi autori, gli eventi fondamentali sono quelli che costringono la persona ad affrontare dei cambiamenti rilevanti nella propria vita e richiedono uno sforzo di adattamento. Da questo punto di vista, anche gli eventi positivi possono essere fonte di stress. Lo stress è visto come il risultato dell'accumulo di cambiamenti importanti nella vita del soggetto che richiedono uno sforzo di adattamento. Numerose ricerche hanno confermato la presenza di correlazioni significative fra eventi di vita e particolari patologie. Successivamente è stato affermato che le preoccupazioni della vita quotidiana, cioè tutte le piccole irritazioni, frustrazioni, seccature che nascono dalla transazione incessante con l'ambiente costituiscono una fonte di stress più importante degli eventi di vita gravi, e come tale possono risultare nocive per la salute. Alcuni studi hanno mostralo che le «seccature» sono migliori rivelatori di sintomi psicologici di quanto lo siano gli eventi esistenziali più importanti. Numerosi sono stati i tentativi di individuare le caratteristiche che rendono gli eventi stressanti (ad es. gravità, portata, durata, controllabilità, prevedibilità, minaccia, perdita). Da una prospettiva transazionale, tuttavia, qualunque esercizio di classificazione è sterile e improduttivo, poiché non sarà mai possibile prevedere quanto un evento risulti stressante a partire solo dalle sue caratteristiche oggettive, indipendentemente dal modo in cui viene valutato dalla persona. Da questo punto di vista, ogni evento ha la potenzialità di essere stressante. Un altro limite delle ricerche sul ruolo degli eventi come fonte di stress è il focus di analisi individuale e la tendenza a focalizzarsi sull'ambiente immediato. Se si adotta un livello di analisi più ampio, risulta facile riconoscere che molti problemi non riguardano solo il singolo individuo ma interi gruppi, comunità, società, culture (basti pensare al ruolo dei conflitti sociali fra gruppi o fra gruppi etnici, alle guerre, ai fenomeni di criminalità, a eventi ambientali catastrofici come terremoti, inondazioni, ecc.). Molti fattori di stress sono più comprensibili considerando il contesto all'interno del quale si generano. Un livello di analisi più ampio consente inoltre di riconoscere che, a volte, anche quello che accade agli altri può essere fonte di stress (ad es., nel caso dei genitori, i problemi dei figli). Infine, questo approccio non considera adeguatamente il fatto che molti aspetti che in alcune circostanze possono costituire fonti di stress, in altre situazioni possono diventare risorse importanti per fronteggiarlo (ad es. le relazioni sociali). Nella prospettiva dello stress come transazione fra l'uomo e l'ambiente, lo stress è visto come la conseguenza dei processi di valutazione cognitivi della persona (riguardanti la natura dell'evento stressante e le proprie risorse per fronteggiarlo). In quest'ottica i fattori percettivi-cognitivi giocano un ruolo decisivo. Lazarus (1966; Lazarus e Folkman, 1984) ha evidenziato che nessun evento può essere identificato come stressante senza la valutazione (appraisal) della persona. Il processo di appraisal cognitivo assume la funzione di mediazione fra le richieste e le risorse ambientati, da un lato, e l'insieme degli scopi e delle credenze personali del soggetto, dall'altro. Si distinguono due fasi di valutazione: primaria (valuta se il problema sussiste) e secondaria (valuta le risorse personali nell'affrontare il problema). L'esito di questo processo è la risposta di coping (o la non risposta). Lazarus definisce l'appraisal come una negoziazione fra le richieste dell'ambiente e la gerarchia degli scopi e delle credenze dell'individuo, assegnando così un ruolo fondamentale alla motivazione e alle cognizioni preesistenti. L'aspetto motivazionale si riferisce al fatto che la valutazione della minaccia è direttamente legata all'impegno personale nel fronteggiarla (ad es., se vediamo il soggetto fortemente impegnato ad affrontare un problema, ne inferiamo che un eventuale fallimento sarà percepito come fortemente minaccioso). L'impegno è determinato dagli scopi ai quali si aspira, dal valore di questi scopi e dallo sforzo che si dedica ad essi. In questa visione il processo di appraisal chiama in causa una molteplicità di fattori, collocandosi chiaramente nell'intersezione fra individuo e contesto. Rimane tuttavia un processo essenzialmente individuale, che ignora il fatto che gli stressors sono sperimentati all'interno di un contesto sociale e in molti casi sono meglio descrivibili come proprietà di un'unità sociale piuttosto che di un individuo, e possono essere affrontati in collaborazione gli uni con gli altri. Recentemente sono state proposte anche prospettive che concepiscono la valutazione come un processo collettivo nell'ambito del quale più individui interagiscono nella valutazione dell'agente stressante. Nel modello di Berg, Meegan e Deviney (1998) vengono distinti quattro tipi di appraisal: individuale solitaria (dove ciascun soggetto valuta la situazione indipendentemente dagli altri basandosi sugli aspetti del contesto che sono all'interno del suo spazio di vita); individuale parallela (i soggetti vedono il problema in modi completamente diversi e cercano ciascuno una soluzione personale); relazionale indiretta (in questo caso la valutazione dello stress di un soggetto influenza gli altri partecipanti all'interazione; ad es. lo stress di un soggetto può alterare i suoi rapporti con gli altri causando indirettamente stress anche a loro); relazionale condivisa (i membri di una diade, o un'unità sociale più ampia, condividono la stessa valutazione dell'evento stressante per sé e per gli altri, e cercano insieme una soluzione). Questi approcci possono verificarsi in diversi punti del processo: prima che i problemi si presentino, nella fase di valutazione dei problemi e nella rivalutazione dopo che il problema si è verificato, sottolineando così anche l'importanza della dimensione temporale. In questo modello anche le risposte di coping sono influenzate dalle diverse configurazioni di valutazione dello stress, e quindi variano dal livello puramente individuale agli sforzi altamente collaborativi. Le strategie individuali includono molte risposte: la distinzione in generale riguarda, da un lato, gli sforzi attivi, centrati sul problema di affrontare le richieste esterne, e dall'altro, gli sforzi più introspettivi di ristrutturare cognitivamente il problema. In questo contesto le altre persone intervengono in diversi modi e momenti del processo di coping: possono essere ricercate come fonti di informazioni, consigli, sostegno emotivo, ma anche come modelli di funzionamento appropriato, o infine come collaboratori impegnati in sforzi di coping reciproci o compensatori. Le strategie di coping collaborativo implicano un maggior uso del coinvolgimento degli altri e comprendono la negoziazione, la risoluzione comune del problema, la divisione dei compiù, l'influenza e il controllo, la compensazione dei deficit altrui e i dialoghi interattivi che costituiscono un rafforzamento. Queste strategie richiedono un livello elevato di interdipendenza, in quanto i membri della diade (o del gruppo) coinvolti costruiscono insieme le idee e lavorano per una soluzione comune: ciò richiede di analizzare anche le strategie di coping (oltre alla valutazione dello stress) a un livello di analisi diverso da quello individuale. Come ha sottolineato B. Compas (1998), il tema del coping ha importanti risvolti sia a livello teorico di base, in quanto offre l'opportunità di capire fondamentali aspetti cognitivi, comportamentali e della regolazione delle emozioni, sia a livello applicato, in quanto consente l'individuazione delle abilità e delle competenze da rafforzare con programmi di intervento volti a migliorare il funzionamento psicologico delle persone o a facilitare l'adattamento psicosociale di soggetti considerati «a rischio». Eppure, la situazione attuale dell'elaborazione teorica e dei risultati empirici sul coping non è del tutto soddisfacente. Quattro domande chiave rimangono ancora senza una risposta precisa. 1) Quali sono le dimensioni o le caratteristiche fondamentali del coping? Su questo punto non c'è chiarezza. Le proposte si centrano su: le funzioni della risposta (centrata sul problema vs sull'emozione); gli scopi del soggetto (controllo primario vs secondario); il metodo (cognitivo vs comportamentale); l'orientamento della risposta (impegno vs disimpegno) e la natura del processo di regolazione coinvolto (comportamentale, emotiva e di orientamento). 2) Quali fattori (biologico, cognitivo, sociale e del contesto) influenzano l'acquisizione e l'uso delle risposte di coping? Uno degli argomenti più pressanti concerne il modo in cui sono acquisite e si evolvono, lungo l'arco di vita, le risposte di coping del soggetto. Ad esempio, l'emergenza delle abilità cognitive del pensiero astratto ipotetico consente l'uso di strategie cognitive più complesse. Il ricorso a relazioni sociali come fonte di informazioni e di sostegno emotivo è collegato al cambiamento nelle relazioni sociali con i genitori, il gruppo dei pari e il partner durante l'adolescenza. Ma è importante anche indagare come si acquisiscono nuove strategie: ad esempio ci sono ricerche che hanno mostrato un legame tra caratteristiche genitoriali, inclusi gli stili educativi e le modalità di coping, dei genitori con quelle dei figli. Ma è emerso anche che i cambiamenti nelle modalità di coping e nell'efficacia di diverse strategie cambiano continuamente durante la vita. 3) Che cosa rende efficace il coping, e come è collegata l'efficacia ai fattori sociocontestuali e alle differenze individuali? L'analisi di questi aspetti, pur di grande rilevanza da un puntò di vista teorico e applicato, non ha prodotto grandi risultati. L'efficacia delle risposte di coping dipende infatti dalla natura della risposta e dal contesto in cui è usato, ed è funzione dell'interazione fra tipo di risposta e controllabilità reale o percepita della situazione. 4) Quali aspetti del coping, se inefficaci, sono modificabili con un programma di intervento, e quali sono invece resistenti al cambiamento ? Gli interventi per rafforzare il coping giocano un ruolo importante in ambito preventivo e nel trattamento di forme psicopatologiche, tenendo conto ovviamente, quando si tratta di bambini o di adolescenti, di una prospettiva evolutiva che pone aspettative normative circa le capacità di coping di cui i soggetti possono disporre a quel determinato momento dello sviluppo. Non ci sono risposte definitive a queste domande. Un ruolo importante nel chiarimento dei molti aspetti su cui esistono evidenze empiriche contrastanti può consistere nell'elaborare modelli teorici in grado di cogliere la complessità dei processi coinvolti, a livello personale, sociale e culturale. Occorrono teorie centrate sul contenuto e sulle funzioni dell'affrontare stressors specifici, e sull'individuazione di componenti quali le reazioni e la valutazione dello stress. I partner sociali, in quanto parti di queste interazioni, sono costituenti critici dei processi di coping. E’ utile allora studiare come e perché i contesti sociali reagiscano al coping dell'individuo, e come queste reazioni possano servire a consolidare o trasformare i modi originali di coping che li provocano. Gli interventi per migliorare il coping dovrebbero basarsi sul fatto che esso è il prodotto di una storia cumulativa di interazioni, inserita in un'organizzazione evolutiva. Per questo, cambiare il coping richiede di cambiare le interazioni, il che comporta modificare il contesto sociale e il modo individuale di vedere sé e il mondo. A sua volta, promuovere un buon coping può essere visto come la creazione di una crescita dinamica che consente al soggetto di partecipare in modo più intenzionale ed efficace a guidare il proprio sviluppo. BRUNA ZANI |