Rimosso, rimozione

Se la pulsione era reputata da S. Freud (1915g) il concetto fondamentale della teoria psicoanalitica, quello di rimozione ne era considerato il pilastro e l'elemento più essenziale (1914e). Con i concetti di inconscio e di transfert, essi rappresentavano a suo modo di vedere i quattro concetti irrinunciabili della sua nuova disciplina, peraltro tanto solidali tra loro che sfilarne uno solo avrebbe fatto collassare l'intero edificio psicoanalitico, minandone coerenza e completezza. Benché sia già menzionato in J. Herbart e in W. Griesinger, e in fondo faccia parte di quel movimento che, nel pieno dello sviluppo scientifico e tecnico della seconda metà dell'800, andava indagando e definendo i limiti e i vincoli delle trasformazioni energetiche di ogni organizzazione nonché della conoscenza, il termine è tratto essenzialmente dal linguaggio comune. Il tedesco Verdrängung indica, per l'appunto, la rimozione ad esempio di un ostacolo o un ingombro, lo spostamento, l'esautorazione, insomma il mettere e il mantenere a lato. Esso compare precocemente nella teorizzazione freudiana per indicare il processo mediante cui una rappresentazione è allontanata dalla coscienza e mantenuta lontano da essa, subito segnalando come «la scoperta del fatto della rimozione» sul piano della clinica intervenga a spiegare la formazione e il funzionamento dell'inconscio sessuale, la scoperta freudiana fondamentale, nonché la sua eventuale valenza patogena. Giacché inizialmente non sono tanto «difesa» e «rimozione» a coincidere: la difesa resta un concetto generico che può assumere forme normali e patologiche e che si specifica in meccanismi diversi, ciascuno dei quali caratterizza le differenti psiconevrosi, ma tutti presuppongono l'esistenza di un inconscio istituito dalla rimozione. A equivalere sono piuttosto «rimosso» e «inconscio», almeno finché, con il riconoscimento di una porzione sistemicamente inconscia dell'Io, i loro destini divergeranno e alla descrizione cosiddetta topografica si sovrapporrà, parzialmente succedendovi, quella cosiddetta strutturale (Gill, 1963).
Nella concettualizzazione della rimozione sono distinte almeno quattro fasi. Fino al 1895 la «scissione della coscienza» prodotta dalla rimozione è scoperta a proposito dell'isteria, per spiegare l'amnesia patologica di ricordi - che pure permangono presenti e vividi, come dimostrato dal loro riaffiorate sotto ipnosi - attribuibile a un'intenzionalità. Il che non implica, precisa Freud (1894a), che questo «atto volontaristico» sia una scelta cosciente, ma solo la possibilità di individuarvi una motivazione del tutto inconscia, i cui effetti peraltro sono ben diversi da quelli, sempre inconsciamente, auspicati: anziché cancellata ed eliminata come se non si fosse mai prodotta, una rappresentazione può essere solo «isolata psichicamente», ma si «vendicherà» di questa emarginazione diventando patogena. In altri termini, ci si propone intenzionalmente di eliminare una rappresentazione spiacevole, inducendo però, alla maniera di un effetto collaterale, una scissione della coscienza. Quel che si produce non è dunque un grado minore di coscienza, ma l'esclusione della rappresentazione dalla rete di associazioni e dall'elaborazione associativa: quello strano sapere e non sapere a un tempo, che caratterizza lo stato di un gruppo psichico isolato. In realtà c'è inizialmente qualche esitazione, nella concettualizzazione del processo di rimozione isterica, tra la possibilità che sia la conversione a permettere la rimozione, riducendo l'investimento mediante la sua derivazione somatica, o viceversa che sia la rimozione a rendere disponibile un ammontare affettivo per la successiva conversione nella sfera corporea: esitazione che inaugura i tentativi di una più compiuta descrizione delle fasi e delle modalità della rimozione. Tra il 1895 e il 1910 esplode, per così dire, la ricerca del rimosso, già in precedenza individuato nella sessualità in quanto fonte di traumi psichici e per ciò stesso motivo della «difesa», ma altresì strumento a disposizione della difesa: proprio stabilendo una connessione logica o associativa con essa può infatti essere rimossa una rappresentazione da evitare, con un investimento laterale in questo caso devoluto allo slegamento per rimozione anziché al legame, come solitamente inteso. La ricerca del rimosso condurrà in questo modo alla fondamentale scoperta della sessualità infantile, cosicché la rimozione, da meccanismo di difesa patogeno, diventa in generale il motore del funzionamento psichico anche normale, come mostreranno il sogno, gli atti mancati e il motto di spirito, nonché della costituzione dell'inconscio. Successivamente, fino al 1919, la considerazione della rimozione dai punti di vista metapsicologici (dinamico, topico, economico) rende necessario postulare una rimozione originaria o primaria, distinguendo tre fasi: la rimozione originaria, la rimozione propriamente detta (o rimozione après coup o secondaria o postrimozione) e il ritorno del rimosso attraverso i derivati dell'inconscio, cui seguiranno nuove rimozioni secondarie, nuovi ritorni e così via. Infine, dopo il 1920, il secondo dualismo pulsionale, la seconda topica e la nuova teoria dell'angoscia spingeranno a riesaminare il processo della rimozione, in particolare riducendolo a un meccanismo di difesa accanto agli altri, benché centrale (A. Freud, 1936). In questo tragitto freudiano, sono a più riprese posti all'attenzione i problemi e gli interrogativi che la nozione di rimozione ha sollevato pressoché immediatamente: contro che cosa si esercita, perché questo qualcosa deve essere respinto, chi o che cosa lo respinge; come viene attivata e con quali risorse esercitata; se è un'operazione una tantum o invece un processo da mantenere attivo con un dispendio energetico; dove viene respinto il rimosso, ammesso che si tratti di uno spostamento di luogo e non soltanto di una trasformazione funzionale; che cosa diventa lì dove viene collocato; se e come possa essere reversibile e recuperabile alla coscienza il suo contenuto; infine i suoi rapporti con la memoria. Poiché esiste un fattore psichico che si oppone alla riproduzione di ciò che può sviluppare dispiacere, l'ipotesi immediatamente formulata (fino al 1895) prevede che a innescare la rimozione sia l'impressione spiacevole causata dall'incompatibilità di una rappresentazione con l'insieme delle rappresentazioni dominanti dell'Io, cosicché la rimozione equivale a una forma intermedia tra fuga e condanna di fronte a un conflitto psichico (1915b). Trattandosi in genere di rappresentazioni sessuali, le forze rimuoventi sembrano essere la vergogna e la moralità, e la rappresentazione rimossa sembra essere più o meno direttamente in connessione logica o associativa con ricordi inconsci di episodi sessuali infantili traumatici. Essendo evidente che questa ripulsa non può cancellare, ma solo isolare quella rappresentazione, Freud si domanda come sia possibile isolare un gruppo di rappresentazioni spesso con una forte carica affettiva, dal momento che in genere l'intensità affettiva di una rappresentazione aumenta la sua partecipazione all'associazione. Per spiegarlo, si introduce l'idea che ciò avvenga per un duplice processo: per la sottrazione del suo investimento preconscio e per la sua attrazione da parte della carica affettiva di ciò che è già rimosso. Questa complessa articolazione di investimenti, controinvestimenti, disinvestimenti e sovrainvestimenti costantemente da alimentare impone di pensare a un primo nucleo rimosso che funga da attrattore, come per portare qualcosa sulla cima di una piramide si deve tirarlo dall'alto e spingerlo dal basso, e a una rimozione originaria o primaria che fondi quel nucleo potendo contare solo sulla vis a fronte e non pure su una vis a tergo, cioè soltanto sul controinvestimento. Quest'ultimo - decisivo per D. Rapaport (1957) nella stabilizzazione della rimozione - va inteso come investimento di una rappresentazione di «frontiera» che sostituirà nel decorso del pensiero il ricordo rimosso, da un lato appartenendo all'Io cosciente e dall'altro veicolando un pezzo non distorto del ricordo traumatico, oppure di uno o pili elementi contrapponibili alla rappresentazione inconscia, come la pulizia può esserlo alle tendenze anali o la modestia a quelle uretrali, ecc. Nel Caso del presidente Schreber (1910J) Freud distingue ufficialmente queste tre fasi della rimozione, stabilendo un'equivalenza fra rimozione originaria, iscrizione e fissazione: non solo fissa il soggetto a un momento della sua storia evolutiva, ma fissa un certo ricordo come per una fotografia e fissa una carica pulsionale a una rappresentazione, trasformando una forza in moto. Comunque questa rimozione è primaria perché prima temporalmente rispetto alle rimozioni secondarie, e originaria perché costitutiva dell'inconscio ma altresì dell'Io, giacché rimozione e Io sono correlativi: una forza psichica orientata a con-troinvestire può essere esercitata solo da parte di un'istanza differenziata o che così si differenzia. Restano tuttavia oscuri la natura e il motore di questo controinvestimento primario, una sorta di fitta trama associativa sovrapposta a una rappresentazione per bloccarne l'emersione. Se in seguito (1925c) menzionerà la possibilità che a determinare le rimozioni originarie siano fattori quantitativi come l'eccessiva intensità degli eccitamenti e la rottura del parastimoli, fin dal 1896 Freud aveva cominciato a pensare a un elemento organico nella rimozione, collegandola - come farà anche successivamente -al passaggio alla stazione eretta e al conseguente abbandono o alla diminuita importanza delle sensazioni olfattive. L'intimo legame che nell'organizzazione animale esiste tra istinto sessuale e funzione dell'organo olfattivo spiegherebbe perché proprio la vita sessuale sia stata sacrificata alla rimozione e come sia stato questo sacrificio evolutivo a spianare la via alla civiltà. D'altra parte, il concomitante e coordinato costituirsi di rimosso e Io, essendo le rappresentazioni in esso predominanti a esercitare la rimozione e a fungere da censore nel lavoro onirico, mostra la debolezza di questa istanza che può istituirsi solo abdicando a porzioni della propria organizzazione, facendo leva per questo sull'angoscia come segnale e sulla minaccia all'integrità narcisistica esercitata dal Super-io. Proprio per questo c'è chi ritiene che la rimozione originaria sia anch'essa après coup, cioè condensazione delle attività allucinatorie, proiettive, autoerotiche e poi fantasmatiche, o più in generale dei processi psichici arcaici, e loro coalescenza e coordinazione come difese di un Io fin lì inesistente e prodottosi con il suo movimento «auto», fondamentalmente introiettivo. In questo senso il prefisso Ur dell' Urverdrängung, l'originario della rimozione - ma non solo di essa - indicherebbe un cambiamento qualitativo che rappresenta il passaggio a un altro registro di funzionamento: quello di uno psichismo ora contrassegnato dalla differenziazione topica, sia pure appena abbozzata da un primo solco fondazionale. Proprio rispetto a questa differenziazione topica Freud si pone il problema se il processo di rimozione consista in un cambiamento di luogo della rappresentazione (ad ogni sistema la sua iscrizione), o semplicemente in un mutamento funzionale, cioè in un cambiamento di stato mediante un diverso legame e quindi un differente deflusso energetico, ma prodotto nella stessa località psichica ed effettuato, per così dire, sulla stessa materia: una doppia possibilità che resterà sempre aperta e fra le quali Freud continuerà a oscillare, anche perché rispondono a esigenze irriducibili. Alla prima è connessa, appunto, l'idea di una separazione dei sistemi topici nonché alcuni riscontri clinici, ad esempio il fatto che una rappresentazione inconscia possa farsi molto avanti nella coscienza restando distinta da una rappresentazione conscia, e viceversa una conscia (come quella fornita da un'interpretazione) possa lasciare inalterata quella inconscia corrispondente; alla seconda è invece connessa un'esigenza di risparmio teorico e di semplicità, oltre che la rilevanza sempre riconosciuta al punto di vista economico. Questa oscillazione finirà poi con il delineare una terza possibilità (Laplanche 1981; 1993), cioè che le due ipotesi siano irriducibili perché si riferiscono a diverse esperienze, rispettivamente quella funzionale o economica, che contraddistinguerebbe la rimozione, mentre quella topica o «cosale» delle due tracce contrassegnerebbe il ritorno del rimosso. Cosicché il passaggio dall'inconscio al preconscio avverrebbe necessariamente mediante la coscienza: ma mentre la transizione dall'inconscio alla coscienza avverrebbe senza una nuova iscrizione, quella successiva dalla coscienza al preconscio la implicherebbe, donde la ne
cessità di una rielaborazione. Ne discende un corollario essenziale relativamente al significato della presa di coscienza. Se rimozione e ritorno del rimosso non sono processi simmetrici, e se la rimozione non è un processo reversibile, allora il lavoro analitico mediante la presa di coscienza - che resta comunque uno dei suoi obiettivi fondamentali - si limiterebbe a una sorta di imbrigliamento, progressivamente più efficace, di ciò che è rimosso in una rete sovrapposta che permetta di drenarne la carica energetica, l'importo affettivo corrispondente, senza per questo eliminarlo dall'inconscio, inteso come sistema. Si può intendere in fondo anche in questo modo la soluzione che alla fine (1915a) a Freud sembrerà di poter intravedere per questo dilemma, individuando la differenza fra una rappresentazione conscia e una rappresentazione inconscia nel legame (che è appunto trasferimento facilitato di carica energetica) con la rappresentazione di parola. Parallelamente, fin dal suo emergere come nozione, va precisandosi su cosa si eserciti la rimozione, secondaria e primaria: la rappresentazione, ma non l'affetto che vi è connesso. Anzi, proprio alla rimozione è imputata non solo la scissione della coscienza, ma la disarticolazione tra rappresentazione e affetto, pur restando la possibilità di pensare a una differenziazione della rappresentanza pulsionale in affetto e rappresentazione indipendentemente dalla rimozione, per effetto di quei processi di innalzamento della soglia di scarica descritti da Rapaport (1957).
L'ipotesi di una rimozione originaria fondatrice della topica, e dunque essa stessa après coup, pone invece il problema di ciò che la precede, del «prima» di questo clivaggio topico che non è affatto mitico senza essere per questo puramente cronologico, segnato com'è dalla peculiare temporalità della posteriorità. Mentre Freud pensava per questo ad altri destini preliminari pulsionali (capovolgimento sulla propria persona, ribaltamento nel contrario), per alcuni (Laplanche, 1981) questo luogo unico, questo stato «ante-rimozione» senza inconscio e per ciò stesso ante-pulsionale coincide con il funzionamento biopsicologico dell'organismo umano, ed è una condizione iniziale di presenza al mondo senza profondità, non tetica anche se cosciente, riconducibile in effetti a quella coscienza percettiva che Freud, nel suo modello del 6 dicembre 1896, aveva differenziato dalla coscienza di pensiero, ponendole ai due capi del corteo di trascrizioni e traduzioni che costituivano l'apparato psichico. Un'area extrarimozione che resterebbe sempre parzialmente presente, ad esempio nell'inconscio «intercluso» separato da quello rimosso dalla linea spostabile della scissione (Laplanche, 2004), o nell'inconscio strutturale infinito retto dal principio di simmetria (Matte Blanco, 1975), o nelle preconcezioni e negli elementi β (Bion, 1962b). Queste ipotesi circa il «prima» della rimozione evidentemente ne riaffermerebbero il ruolo fondatore della topica psichica, confermandola responsabile delle caratteristiche dell'inconscio (atemporalità, non contraddizione, ecc.), perché sottrarrebbe le rappresentazioni alla temporalizzazione, ai nessi associativi, ecc., e del carattere di conseguenza intrinsecamente slegante, eccitante e alla fin fine persecutorio dei suoi contenuti. Il che smentirebbe l'ipotesi di un inconscio come substrato preesistente dal quale la coscienza si differenzie-rebbe emergendo in superficie. Questa funzione fondazionale della rimozione è stata riaffermata da J. Lacan (1956c; 1966c) scorgendovi l'atto che apre l'accesso alla soggettività e che è connesso con il linguaggio e l'ingresso nel registro simbolico, cioè equivalente al taglio della catena significante: è quanto indicato dalla cosiddetta metafora paterna che introduce il Nome-del-Padre con cui il simbolico si introduce nella relazione immaginaria. Di questa operazione di metaforizzazione Laplanche e Leclaire proposero una diversa formulazione al Colloquio di Bonneval sull'inconscio (Ey, 1966), che segnerà il loro distacco da Lacan, esemplificandola matematicamente come una sostituzione che fa cadere sotto la barriera della rimozione un significante che, avendo perso la sua referenzialità, non significa altro che se stesso. Altri hanno invece ridotto proporzionalmente il peso della rimozione nella strutturazione della psiche, fino a una sorta di «rimozione della rimozione» o a un suo smembramento in meccanismi ritenuti più precoci e fondamentali, quali la preclusione, il diniego, la negazione, nonché quella «scotomizzazione» proposta da R. Laforgue circa la schizofrenia, per indicare l'impossibilità di instaurare la rimozione e superare le fasi primitive di funzionamento psichico, che Freud (1927) respingerà. A partire da M. Klein, che privilegiando i meccanismi di scissione, diniego, proiezione e identificazione proiettiva riduce la rimozione a meccanismo tardivo e circoscritto, che si limiterebbe a stabilizzare uno psichismo già ripartito; o dalla stessa A. Freud, che inserisce la rimozione in un ampio ventaglio di strumenti difensivi come un elemento tra tanti e non fra i pili precoci, pur preservandone la crucialità. Fino ad alcune correnti psicoanalitiche degli ultimi decenni del '900, che pongono al centro dell'attenzione, nelle fasi iniziali di sviluppo e relativamente (ma non solo) ai disturbi psicopatologici non nevrotici, l'equilibrio tra regolazione e autoregolazione dell'interazione e degli affetti, che si svolge a un livello che è si rappresentazionale, ma presimbolico, e che si deposita in una memoria procedurale per l'appunto non recuperabile alla coscienza né rimossa. In questo modo si ripropone la problematica del rapporto tra memoria e rimozione, inizialmente pensata come una forma di memorizzazione nella misura in cui, sottraendo il rimosso alla temporalizzazione e a ogni cambiamento e usura, Io escluderebbe dall'oblio, paradossalmente costituendo un deposito inalterabile di tracce mnestiche e una forma peculiare di trasmissione, evidenziabile ad esempio nel carattere coatto dei fenomeni religiosi e in alcuni aspetti del loro potere incantatorio. L'equivalenza della rimozione con una messa in memoria sarà invece contestata da altri (Laplanche, 1993): la «traccia» inconscia non è una rappresentazione memorizzata. Se rimuovendo si conserva, non lo si fa né semplificando né salvaguardando o creando un senso, ma imbalsamando tale e quale ciò che è trasposto «al di sotto» in frammenti, slegato e irrimediabilmente alterato, e che proprio per questo è fondamentalmente slegante e preme, insiste per rientrare in gioco, inevitabilmente mettendo a repentaglio il gioco Messo, le sue regole e i suoi spazi transizionali (Winnicott, 1971).

ALBERTO LUCHETTI