Plasticità

Con il termine «plasticità» si intende la capacità del sistema nervoso centrale di modificarsi nel tempo in seguito a stimoli ambientali di diversa natura, in quanto i neuroni e i circuiti nervosi, in determinate condizioni, possono cambiare temporaneamente o permanentemente le loro caratteristiche biochimiche, fisiologiche e morfologiche. In altre parole il sistema nervoso è in grado di modificare la sua organizzazione funzionale e strutturale in risposta a condizioni che emergono sia durante lo sviluppo, sia nel corso dell'esistenza, e anche in risposta a condizioni patologiche, come ad esempio traumi, ischemie, neoplasie. Storicamente lo studio delle capacità plastiche del sistema nervoso ha preso inizio con formulazioni teoriche relative al modo con cui l'esperienza potrebbe modificare il cervello, mentre lo studio sperimentale, almeno nei suoi esordi, si focalizzò su come il sistema nervoso centrale e periferico «reagiva» a fenomeni lesivi (ad es. sezioni, compressioni).

L'origine del concetto di modificabilità del sistema nervoso si può ritrovare negli scritti degli autori che indagarono e cercarono di spiegare in senso meccanicistico la funzione mnemonica. Forse il primo autore che ipotizzò che la memoria avesse come substrato una qualche sorta di modificazione del sistema nervoso fu il medico chirurgo M. Malacarne. Nel corso dei suoi studi sull'anatomia del cervelletto, egli notò una grande variabilità nel numero di folia cerebellari, che andava da 500 a 780. Inoltre riportò che i folia di un idiota erano 340. In una serie di lettere scambiate con l'anatomista svizzero Ch. Bonnet e pubblicate nel 1778, egli si domandava se tale variabilità fosse innata o non fosse piuttosto il frutto dell'esperienza. In queste lettere Malacarne propose di far crescere coppie di animali gemelli in condizioni ambientali diverse per verificare la sua ipotesi. Non è noto se tale esperimento sia mai stato eseguito. Circa un secolo dopo, nel suo Physiology of Mind (1876), H. Maudsley si chiede quale sia la condizione fisica della coscienza del ricordo, quali siano le modificazioni anatomiche delle fibre o delle cellule o della loro attività fisiologica alla base di tale coscienza.

Il termine «plasticità» compare nella letteratura dedicata al sistema nervoso ad opera di W. James, il quale applica esplicitamente tale termine alla proprietà della materia organica che permette l'instaurarsi delle abitudini. In particolare, James sostiene che la corrente (generata dallo stimolo) a livello della corteccia cerebrale lascia una traccia nel percorso che compie. Se il percorso viene ripetuto, la traccia si fa più marcata. Il significato del termine «plasticità neuronale» fin qui descritto rimane abbastanza vago e impreciso. Per individuare un sempre più preciso meccanismo è necessario che si arrivi a descrivere con esattezza la struttura del sistema nervoso. A tale riguardo la scoperta principale fu che il sistema nervoso è formato da entità cellulari indipendenti costituite da un corpo cellulare da cui originano l'assone (cilindrasse) con la sua arborizzazione terminale e i dendriti. Parteciparono a questa scoperta molti scienziati e fu fondamentale il miglioramento dell'ottica microscopica iniziata con la costruzione dell'obiettivo acromatico nel 1826. R. Remak, i suoi allievi O. Deiters, W. His e R. von Koelliker sostennero l'ipotesi della continuità anatomica del corpo cellulare con Passone e i dendriti ma riconobbero l'inadeguatezza della metodologia istologica. La scoperta della «reazione nera» da parte di C. Golgi forni la metodologia necessaria a esaminare gli elementi del sistema nervoso con una precisione molto maggiore. Questa tecnica permette di visualizzare il neurone nella sua interezza, quindi il corpo cellulare, gli assoni e i dendriti fin nei minimi particolari in funzione del potere di risoluzione del microscopio. Inoltre, per una ragione ancora oggi oscura, questa procedura non colora tutte le cellule (il che ovviamente sarebbe uno svantaggio) ma solo un limitato numero di esse, S. Ramon y Cajal, usando la tecnica di Golgi, forni prove schiaccianti alla teoria del neurone come unità anatomica e fisiologica del sistema nervoso. In particolare, nel 1890 Cajal dimostrò che l'assone si forma e cresce a partire dal cono di crescita. Sia studiando lo sviluppo del sistema nervoso, sia la rigenerazione delle fibre nervose in seguito a sezione del nervo, egli comprese che la crescita dell'assone poneva un problema fondamentale: quello del modo in Cui l'assone in crescita trova la sua strada verso il bersaglio.

L'humus culturale generato da queste osservazioni determinò la nascita di ipotesi più verificabili circa la modificabilità del sistema nervoso in risposta all'ambiente. Ad esempio, si sviluppò a quel tempo l'idea che la memoria implicasse un cambiamento persistente nella relazione tra i neuroni attraverso modificazioni strutturali, così da modificare la comunicazione tra loro (Tanzi, 1893; Ramon y Cajal, 1894; Lugaro, 1900). Il perfezionamento del concetto del contatto specializzato tra i neuroni e tra i neuroni e il muscolo si deve a Ch. Sherrington, che nel 1897 coniò il termine « sinapsi». Peraltro, nel 1879 il fisiologo E. du Bois-Reymond ipotizzò che il modo di trasmissione del segnale tra il nervo e il suo effettore potesse essere sia di tipo elettrico, attraverso un passaggio di corrente, sia di tipo chimico, attraverso liberazione di sostanze dalle terminazioni nervose. La disputa a questo proposito non terminò che negli anni '50 del '900 a favore della trasmissione chimica. In questo nuovo contesto culturale il termine plasticità appare nell'indice analitico del trattato di Psichiatria (1906) di E. Lugaro alle voci: plasticità psichica, plasticità dei neuroni, plasticità delle neurofibrille. In particolare, egli propone che le attività chemiotattiche responsabili della formazione del sistema nervoso continuino durante la vita adulta, in modo da formare nuove connessioni anatomo-funzionali. Queste nuove connessioni, basate su variazioni chimico-fisiche e morfologiche, possono spiegare la plasticità nervosa e psichica che interviene nei processi di maturazione di apprendimento e anche nei processi di compenso dei danni cerebrali. Come riferisce Ramon y Cajal (1928), I. Minea, allievo del grande neuropatologo franco-rumeno G. Marinesco, nella sua tesi di dottorato nel 1909 utilizzò il termine plasticità a proposito dei fenomeni metamorfici che osservò a carico dei neuroni sensoriali in seguito alla compressione e al trapianto in vari organi nei gangli sensoriali.

Si distinguono le conoscenze attuali sulla plasticità neuronale in due momenti temporali: a) durante la parte finale dello sviluppo del sistema nervoso e b) nella vita adulta, comprendendo anche la risposta del sistema nervoso al trauma che causa una soluzione di continuità della fibra nervosa. Le prime fasi della formazione del sistema nervoso sono programmate essenzialmente da informazioni genetiche. Queste fasi, oltre che il processo di proliferazione e di differenziamento cellulare, comprendono essenzialmente la formazione dei principali fasci di assoni, la guida degli assoni verso il giusto bersaglio e l'inizio della sinaptogenesi. E’ interessante osservare che la costruzione del sistema nervoso è caratterizzata dalla ridondanza, vale a dire da una sovrapproduzione iniziale di neuroni, molti dei quali moriranno di morte programmata (apoptosi) in quanto non riusciranno a usufruire dei fattori trofici prodotti dai bersagli di destinazione. Al momento della definizione della popolazione neuronale, in molte regioni del sistema nervoso si stabilisce una relazione di tipo qualitativo tra i gruppi neuronali e il gruppo di cellule bersaglio. Tale relazione non garantisce il preciso funzionamento, in quanto esso nasce da una precisa relazione quantitativa, nel senso che ogni cellula bersaglio deve essere innervata da un giusto numero di assoni e ciascuno di essi deve innervare il giusto numero di cellule bersaglio. Questo processo di rifinitura, che inizia durante la vita embrionale, continua ben oltre dopo la nascita ed è influenzato marcatamente dall'ambiente esterno.

Gran parte di quanto si conosce circa questo processo di affinamento e perfezionamento delle connessioni sinaptiche è stato ottenuto da ricerche condotte sulla giunzione tra il neurone e la fibra muscolare e sull'innervazione delle cellule gangliari del sistema nervoso autonomo (Purves, 1988).

La ragione di ciò risiede nella semplicità di queste strutture e nella loro accessibilità alle indagini sperimentali. Ci sono buone ragioni per ritenere che dal punto di vita qualitativo la fenomenologia individuata a livelli di queste strutture periferiche si applichi anche a quanto avviene nel sistema nervoso centrale.

Le fibre muscolari scheletriche dell'adulto e le cellule nervose dei gangli parasimpatici sono innervate ciascuna da un singolo assone. Inizialmente, durante lo sviluppo, è presente una condizione di innervazione polineuronale, dove una singola cellula bersaglio è innervata da parecchi assoni (provenienti da neuroni diversi). Nel giro di poche settimane dopo la nascita (il tempo varia a seconda dell'animale) si assiste alla progressiva riduzione delle afferenze, finché rimane una sola fibra che forma, con la sua espansione di-gitiforme terminale, un numero di contatti sinaptici maggiore di quello precedente al rimaneggiamento strutturale. Le altre afferenze si retraggono, ma non perché il neurone di origine muoia. Ogni assone motore retrae le terminazioni in rapporto ad alcune fibre muscolari ma ne rafforza altre in rapporto ad altre. Questo cospicuo esempio di plasticità neuronale non è peculiare dell'innervazione neuromuscolare, ma è presente in altre strutture del sistema nervoso come i gangli del sistema nervoso autonomo, ed è ben evidente a carico delle cellule di Purkinje della corteccia cerebellare e nella corteccia visiva.

Da che cosa dipende questo processo di rafforzamento ed eliminazione ? In base agli studi effettuati sulla sinapsi periferiche (neuromuscolari e gangliari), questo processo di eliminazione di afferenze (in eccesso) è ascrivibile a un processo competitivo (Purves, 1988). Molte sono le prove sperimentali a favore della teoria della competizione, sebbene i meccanismi biologici fini non siano affatto chiari. La competizione che le varie afferenze al bersaglio devono affrontare è in qualche modo dipendente da esso. Potrebbe essere la competizione per lo spazio da innervare, o più probabilmente a causa di una qualche molecola di carattere trofico

(neurotrofine) che le cellula bersaglio rilascia in minime quantità. L'afferenza che riesce a impossessarsene diventa più robusta e amplia il suo territorio di innervazione a scapito di quelle che rimangono prive dell'influenza trofica. Si ritiene che la fibra presinaptica si impadronisca della neurotrofina quando si attiva contemporaneamente alla sua fibra bersaglio. Da questa particolare relazione sembra dipendere la produzione e/o il rilascio della neurotrofina nel minuscolo ambiente extracellulare situato tra i due partner sinaptici.

Il ruolo dell'attività nervosa (che dopo la nascita è funzione dell'esperienza sensoriale) nella rifinitura e regolazione fine dei circuiti nervosi diventa particolarmente significativo in determinate finestre temporali della vita postnatale, quando le potenzialità plastiche del sistema nervoso sono massime. Questi ambiti temporali, in cui l'influenza attività-dipendente è particolarmente efficace, sono detti «periodi critici». Man mano che il sistema nervoso raggiunge la completa maturazione esso diventa progressivamente refrattario alle influenze dell'esperienza, e i meccanismi propri della plasticità neuronale diventano meno efficienti. Il concetto di periodo critico è stato inizialmente formulato dall'anatomico Ch. Stockard. Tale concetto è anche implicito nell'affermazione di S. Freud (1932) che conferma il comune asserto che il bambino è psicologicamente il padre dell'uomo, e che gli eventi del primo anno di vita sono di fondamentale importanza per l'intera vita futura. Furono tuttavia gli etologi, e in particolare K. Lorenz, a formalizzare con precisione il significato funzionale del periodo critico. Egli osservò, studiando alcune specie di uccelli, che esiste una finestra temporale, peraltro molto ristretta, per l'acquisizione di un comportamento normale. Detta finestra temporale si applica a quella particolare forma di apprendimento chiamato «impronta» (imprinting). Il processo è irreversibile: se gli anatroccoli non ricevono uno stimolo appropriato durante detto periodo, non saranno mai più in grado di stabilire rapporti parentali normali. Questo è un comportamento complesso, che presuppone l'integrazione di molte modalità sensoriali, tra cui la visione, il gusto, l'olfatto e l'udito. Di conseguenza, l'analisi neurobiologica dei fenomeni plastici che avvengono durante l'imprinting si rivela oltremodo ardua, anche perché i circuiti neuronali che sono alla base di questa modalità di apprendimento non sono interamente chiariti. Sembra certamente implicata una parte del cervello aviario chiamato iperstriato ventrale intermedio mediale. Uno studio pubblicato da H. Scheich nel 1987 riporta che dopo che l'imprinting è avvenuto la densità delle spine dendritiche dei neuroni di quest'area sono ridotte della metà, il che suggerisce che un processo di eliminazione sinaptica coincide con il termine di questo processo plastico. Anche nella specie umana esistono comportamenti complessi che mostrano una certa finestra temporale al fine di un'accurata programmazione. Ad esempio, negli anni '40 del secolo scorso le ricerche dello psicoanalista R. Spitz hanno dimostrato l'importanza fondamentale delle interazioni sociali precoci con altri esseri umani per lo sviluppo psicofisico normale del bambino. Le ricerche di Spitz sono state approfondite da H. e M. Harlow su modelli animali. Questi autori, studiando il comportamento di scimmie allevate in isolamento, dimostrarono che per le scimmie, come per gli esseri umani, esiste una finestra temporale per lo sviluppo del comportamento alla base delle normali interazioni sociali. Esiste un periodo critico sia per la produzione del canto negli uccelli canori che per lo sviluppo delle capacità linguistiche dell'uomo. Se è verosimile che alla base di questi processi si verifichino eventi di rifinitura e rimaneggiamento delle terminazioni neuronali, non abbiamo tuttavia evidenza che ciò avvenga, vista la complessità delle strutture coinvolte. Una comprensione più completa e approfondita di ciò che avviene durante il periodo critico è scaturita dagli studi degli effetti delle privazioni sensoriali, in particolare nel sistema visivo. Già nel 1932 M. von Senden osservò che la rimozione tardiva (dopo i dieci anni di vita) della cataratta congenita risultava in un'incapacità permanente nella percezione delle forme, senza alterare la capacità di distinguere i colori. La conferma dell'importanza dell'esposizione fisiologica a stimoli visivi nelle prime fasi dello sviluppo al fine di produrre una percezione visiva normale è stata confermata dagli studi dì A. Reisen sulle scimmie (1958). Scimmie neonate allevate al buio per 3-6 mesi non erano in grado, riportate in ambiente normale, di distinguere tra loro semplici forme geometriche.

Un contributo fondamentale alla spiegazione del meccanismo attraverso il quale l'esperienza visiva garantisce la formazione della normale capacità visiva si deve a D. Hubel e T. Wiesel (1977). La comprensione dei risultati sperimentali ottenuti da questi due scienziati necessita di un breve excursus sulla formazione normale delle vie visive. Negli animali con visione binoculare, gli occhi dei quali sono in posizione frontale (ad es. gatto, scimmia, uomo), gli assoni delle cellule gangliari della retina costituendo il nervo ottico subiscono solo un parziale incrociamento a livello del chiasma ottico. Gli assoni che provengono dalla retina nasale oltrepassano la linea mediana e raggiungono la prima stazione sinaptica nel corpo genicolato laterale (CGL) del lato opposto. Al contrario, gli assoni delle cellule gangliari della retina tamporale non si incrociano e terminano nel corpo genicolato laterale ipsilaterale. Quindi con le cellule del CGL ad esempio di destra prendono contatto assoni provenienti sia dall'occhio destro che dal sinistro. Dopo lo sviluppo ogni cellula del CGL è innervata da fibre provenienti da un solo occhio. Tali neuroni si dispongono in sei strati distinti, ciascuno specifico per uno dei due occhi. I neuroni del CGL a loro volta inviano i loro assoni al quarto strato della corteccia visiva striata (area 17 di Brodmann o V1) nel lobo occipitale. Anche qui, al termine dello sviluppo, le fibre di pertinenza di un occhio sono nettamente segregate da quelle dell'altro occhio. La segregazione è tale che, sia con metodi elettrofisiologici che con tecniche anatomiche, è possibile evidenziare serie di bande di alternanza, ciascuna ampia circa 0,5 mm. Tali strisce sono dette colonne di dominanza oculare in quanto in ciascuna di esse arrivano afferenze provenienti, tramite il CGL, principalmente da uno dei due occhi. Onde garantire la visione binoculare, è necessario che le afferenze dai due occhi, segregate sia nel CGL che nel IV strato della corteccia visiva primaria, in parte convergano su medesime cellule bersaglio. Questo processo di convergenza avviene a livello dei neuroni situati sopra e sotto lo strato IV ed è tale che, registrando con microelettrodi da questi strati durante un'appropriata stimolazione visiva, si trovano sette categorie cellulari di dominanza oculare con cellule che rispondono esclusivamente alla stimolazione dell'occhio ipsi- o contro-laterale, neuroni che rispondono ugualmente bene a entrambi gli occhi e cellule che rispondono meglio alla stimolazione di un occhio rispetto a quella dell'altro. Le configurazioni sopra descritte in ciascuna delle tre stazioni (CGL, IV strato della V1 e gli strati sopra e sotto il IV) si evidenziano dopo la completa maturazione delle vie visive e risultano da una complessa riorganizzazione delle afferenze nelle tre stazioni che avvengono in determinati periodi critici dove l'attività elettrica che le percorre riveste un ruolo fondamentale. Prima di tali periodi critici non si ha segregazione delle afferenze nel CGL, non sono presenti né le colonne di dominanza oculare nel IV strato, né il profilo di dominanza oculare negli strati sovra- e sottostanti nella corteccia visiva primaria, in quanto le afferenze provenienti da due occhi sostanzialmente terminano sugli stessi neuroni bersaglio. Che cosa determina questo processo di segregazione che si realizza durante determinati periodi critici ? Le ricerche condotte a partire dagli anni '70 del '900 hanno sottolineato l'importanza dell'attività elettrica che si propaga nelle vie visive. Il processo di segregazione nel CGL avviene per primo, in un periodo critico più precoce e anche più breve (prima del quinto-decimo giorno di vita postnatale a secondo della specie animale studiata). Siccome la segregazione a questo livello avviene prima dello sviluppo dei fotorecettori e dell'apertura delle palpebre, l'attività non dipende dall'esperienza visiva. L'attività elettrica ò generata spontaneamente dalle cellule gan gliari della retina. Queste cellule, che costituiscono uno degli strati della retina, generano onde quasi sincronizzate di attività con propagazione casuale ma in maniera indipendente nelle due retine. Per quanto riguarda il processo di segregazione che avviene nella corteccia visiva primaria, le ricerche di Hubel, Wiesel e dei loro collaboratori rimarcarono il ruolo fondamentale svolto dall'esperienza visiva, o meglio dall'equilibrio dell'attività elettrica generata nelle vie visive durante il processo di visione. Per verificare questa ipotesi, gli scienziati fecero esperimenti di deprivazione visiva monoculare suturando le palpebre di un occhio per la durata di due-tre mesi. Se il gattino subisce una deprivazione monoculare per due-tre mesi subito dopo la nascita, le colonne di pertinenza dell'occhio aperto si allargano a scapito di quelle di pertinenza dell'occhio chiuso, che si restringono vistosamente. Se tuttavia la deprivazione monoculare (anche prolungata per un anno) veniva effettuata a partire da 12 mesi dopo la nascita, praticamente le dimensioni delle colonne di dominanza non subivano nessuna modificazione rispetto al controllo. Questi risultati dimostrano che la plasticità della corteccia visiva primaria non è presente per tutta la vita, ma esiste un periodo critico per queste modificazioni strutturali, al termine del quale le afferenze visive perdono la loro capacità di modificarsi e rimangono cablate irreversibilmente. Risultati analoghi sono stati ottenuti studiando il profilo delle dominanza oculare negli strati della corteccia visiva primaria sovrastanti e sottostanti il IV strato. La sutura delle palpebre di un occhio anche solo per qualche settimana nei primi tre mesi di vita (nel gatto) determina un drammatico spostamento della dominanza oculare tale che la maggior parte delle cellule registrate risponde quasi esclusivamente alla stimolazione visiva dell'occhio rimasto sempre aperto e pochissimi sono i neuroni che rispondono anche all'occhio deprivato. Se invece la deprivazione monoculare viene effettuata dopo un anno dalla nascita, il profilo di dominanza oculare non subisce variazioni rispetto alle condizioni di normalità.

Si può concludere che la configurazione «matura» delle afferenze alla corteccia visiva e delle sue connessioni intracorticali risulta da un'interazione competitiva tra i due occhi durante il periodo critico.

Al momento dell'apertura degli occhi (dopo la nascita), la loro rappresentazione corticale parte da una condizione di equilibrio e tale rimane se i livelli di stimolazione visiva di ciascun occhio restano paragonabili. Se invece si viene a determinare uno squilibrio (come nel caso della deprivazione monoculare), allora l'occhio attivo acquisisce un vantaggio competitivo e le sue proiezioni tendono a invadere quello spazio postsinaptico occupabile dalle afferenze dell'occhio chiuso, così che quest'ultimo una volta riaperto è in grado di attivare solo pochissimi neuroni corticali. La prova dell'importanza che ha l'equilibrio tra l'attività dei due ingressi visivi nell'organizzazione delle afferenze corticali risulta dai risultati dell'esperimento in cui, nel periodo critico, entrambi gli occhi furono chiusi. A distanza di qualche mese dalla chiusura sia le colonne che il profilo di dominanza oculare avevano caratteristiche molto simili alla condizione normale.

Il quadro anatomico del rimaneggiamento neuronale corrispondente alle modificazioni che subiscono le colonne di dominanza oculare in seguito a deprivazione monoculare è stato fornito dal gruppo di ricerca di M. Stryker (Antonini e Stryker, 1993). In seguito a marcatura dei singoli neuroni che dal CGL proiettano al IV strato di V1, si osserva che gli assoni di pertinenza dell'occhio chiuso, durante il periodo critico, hanno una riduzione del numero e dell'ampiezza delle arborizzazioni terminali, e di conseguenza una riduzione del territorio da loro innervato, mentre quelle associate all'occhio rimasto aperto mostrano un aumento della complessità e del numero delle loro arborizzazioni con conseguente aumento del territorio innervato.

La ricerca più recente si è occupata di spiegare i meccanismi molecolari che sono alla base di queste modificazioni strutturali attività-dipendente. Studi effettuati sia a livello della corteccia visiva che su circuiti neuronali ricostruiti in vitro danno valore a un'ipotesi formulata negli anni '40 da D. Hebb. Egli ipotizzò che qualora l'attività elettrica (potenziali d'azione) di una terminazione presinaptica fosse coordinata e coincidente con una robusta attività del neurone postsinaptico, la sinapsi si rafforza ad esempio con la formazione di nuovi punti di contatto. Al contrario, se non ci fosse coincidenza tra l'attività dei due elementi sinaptici, il contatto sinaptico tenderebbe ad annullarsi. I meccanismi responsabili delle modificazioni sinaptiche basate sulla coincidenza sono stati individuati di recente. Per quanto la plasticità neuronale abbia la massima potenzialità durante i periodi critici, non si esaurisce alla fine di essi. Anche nella vita adulta il sistema nervoso è in grado di modificarsi, soprattutto grazie alla sua capacità di immagazzinare informazioni. Tuttavia, fino agli anni '70 si riteneva in generale che i circuiti della corteccia cerebrale fossero cablati più o meno definitivamente dopo i periodi critici. Questo modo di vedere è stato recentemente messo in discussione (Kaas, 1997). Le modalità sensoriali (vista, tatto, udito, ecc.) hanno una prima stazione di elaborazione a livello delle rispettive aree sensitive primarie. A questi livelli esiste una precisa rappresentazione della periferia sensoriale. Ad esempio, nella corteccia visiva primaria è perfettamente rappresentata la retina non tanto in relazione alla superficie ma in rapporto alla densità re-cettoriale per cui, ad esempio, l'area corticale dedicata alla fovea (parte molto piccola della retina) è maggiore di quella dedicata alla periferia della retina, in quanto la densità dei fotorecettori foveali è maggiore di quella della periferia della retina. Questa organizzazione è vera anche per la rappresentazione dei recettori cutanei tattili a livello dell'area somatosensitiva primaria e secondaria (area 3a, 3b, 1, 2 di Brodmann) situata nel lobo parietale subito dietro alla scissura di Rolando. Si ha a livello corticale una rappresentazione somatotopica dove ciascuna parte della cute ha un distretto corticale di pertinenza. Esistono, ad esempio, territori corticali dedicati alla mano, ciascuno contenente sottozone dedicate a ognuna delle cinque dita. Il punto fondamentale è l'assunto che tali mappe di rappresentazioni erano considerate immodificabili. Si deve al lavoro di M. Merzenich, J. Kaas e V. S. Ramachandran la dimostrazione della rimappatura funzionale. Merzenich e Kaas, utilizzando come animale sperimentale la scimmia, mediante registrazione elettrofisiologica determinarono accuratamente la normale distribuzione spaziale della mappa della mano definendone le cinque zone riferite alle cinque dita. Successivamente eliminarono le afferenze provenienti da una delle dita, ad esempio il terzo (mediante amputazione o sezione del nervo specifico). A distanza di parecchi mesi dall'intervento, riesaminando il territorio corticale di rappresentazione della mano notarono una profonda riorganizzazione dove la rappresentazione centrale delle dita adiacenti rimaste si estendevano fino a occupare l'area corticale inizialmente dedicata al dito mancante. Ramachandran, impiegando la magnetoencefalografia, ha dimostrato che un fenomeno analogo avviene negli amputati. Anche le aree cerebrali dedicate al movimento si rimodellano. Nei suonatori di violino le aree cerebrali che controllano il movimento della mano sinistra (esclusa quella del pollice) risultano ingrandite e l'aumento è tanto maggiore quanto più precocemente si è incominciato a suonare lo strumento. Recentemente, mediante tecniche di visualizzazione dell'attività cerebrale si sono identificate le aree implicate durante il processo di lettura in persone affette da dislessia (Shaywitz et al., 2004). Programmi intensivi di sostegno fonologico hanno indotto la modificazione plastica di tali aree così che si ottiene un'attivazione di aree cerebrali simili a quelle riscontrate nei lettori normali. I meccanismi alla base di questi tipi di plasticità delle mappe corticali non sono ancora conosciuti. In linea di principio potrebbero consistere in quei processi responsabili delle alterazioni dell'efficacia sinaptica riscontrate nei processi di memorizzazione così come sviluppo e crescita di fibre collaterali di connessione. Traumi e lesioni di varia natura possono danneggiare sia gli assoni che formano i nervi del sistema nervoso periferico sia gli assoni e/o i corpi cellulari nel sistema nervoso centrale. La risposta riparativa è nettamente diversa a seconda che la lesione interessi l'una o l'altra parte del sistema nervoso. Quando un assone viene tagliato, il segmento distale degenera. Il moncone prossimale inizialmente risponde emettendo coni di crescita. Nel sistema centrale di un mammifero questa crescita si interrompe subito. Nel sistema nervoso periferico il cono di crescita può percorrere lunghe distanze, in modo da ottenere una pressoché completa reinnervazione dell'organo. Le differenze tra questo duplice comportamento ha una ragione intrinseca al neurone e una estrinseca riferita al microambiente in cui si trovano gli assoni. Affinché un assone possa crescere è necessario che venga attivato un opportuno programma genico che viene disattivato qualora l'assone termini la sua crescita raggiungendo il bersaglio. Se l'assone sezionato è dislocato nel sistema nervoso periferico, nel corpo cellulare di origine il programma genico si riattiva. Al contrario, se l'assone si trova nel sistema nervoso centrale la riattivazione del programmale incompleta. Inoltre, tanto più la sezione è lontana dal corpo cellulare, tanto meno efficace è la riattivazione del programma genico. In ogni caso, per garantire il prolungamento dell'assone il cono di crescita deve trovarsi in un ambiente permissivo. Nel sistema nervoso periferico le cellule di Schwann che avvolgono gli assoni cominciano a proliferare formando strutture tubulari e producono molecole di adesione e fattori neurotrofici che promuovono la crescita degli assoni. I macrofagi migrano nella zona di lesione e ne rimuovono i detriti mielinici e assonici, liberando il percorso da un eventuale ostacolo meccanico. Nel sistema nervoso centrale i detriti non vengono rimossi e, rimanendo in sede di lesione, vanno a costituire una cicatrice che offre un formidabile ostacolo meccanico. Inoltre l'allungamento dell'assone è inibito da una proteina (No-go) prodotta dadi oligodendrociti, le cellule gliali di rivestimento dell'assone; contribuiscono all’azione inibitoria di No-go anche fattori rilasciati dagli astrociti. Di conseguenza, l’allungamento dell'assone è modestissimo e subito abortito. I risultati ottenuti per superare questo vincolo inibitorio sono modesti. Già agli scienziati della fine dell'800 era nota questa differente capacità rigenerativa dell'assone periferico rispetto a quello del sistema nervoso centrale. Sebbene non sia interamente vera l'affermazione di Ramon y Cajal (1928), secondo il quale nel cervello adulto le vie nervose sono in certo qual modo fissate e immutabili (tutto può morire, nulla può rigenerare), Cajal è certo nel vero quando afferma che «appartiene alla Scienza del futuro il poter cambiare, se possibile, quella cruda affermazione». Vale la pena menzionare un affascinante settore della plasticità neuronale riferibile come «neurogenesi nell'adulto», vale a dire la generazione di nuovi neuroni da cellule precursori. Nel 1965 cadde il dogma che il sistema nervoso del mammifero fosse costituito da un numero fisso di cellule nervose e che non potesse più esservi generazione di nuovi neuroni (Altman e Das, 1965). E’’ ormai certa la neurogenesi nell'adulto. Negli anni '80, utilizzando opportuni marcatori della divisione cellulare, F. Notthebohn ha dimostrato che nelle aree cerebrali dei canarini implicate nell'apprendimento del canto si assiste alla generazione di nuovi neuroni. Attualmente la neurogenesi nel mammifero è stata dimostrata in due regioni encefaliche: nel bulbo olfattivo e nel giro dentato dell'ippocampo (Gage, 2003). Questi neuroni neoformati sono in grado di integrarsi nei circuiti nervosi di tali zone e quindi costituiscono a tutti gli effetti un aspetto della plasticità neuronale. Emerge a questo punto il problema dell'origine di questi precursori neuronali: è probabile che derivino da popolazioni di cellule staminali. Essendo molto limitata, la neurogenesi nel cervello

dell'adulto non garantisce la riparazione dei danni cui il sistema nervoso centrale può andare incontro. Lo studio dei meccanismi di regolazione della neurogenesi potrà indicare modalità di utilizzo di questi precursori cellulari per promuovere la rigenerazione onde riparare strutture nervose colpite da fenomeni lesivi.

PIER GIORGIO MONTAROLO