Jackson, John Hughlings |
J. H. Jackson (1835-1911) nacque a Providence Green, nello Yorkshire. Si dedicò agli studi medici nella Scuola medica dello York Hospital, poi a Londra presso la Scuola medica del St. Bartholomew's Hospital, dal '55 al '56. Fu membro del Royal College of Surgeons, della Society of Apothecaries e di molte altre istituzioni. Nel 1859, dopo aver pensato di abbandonare la medicina per dedicarsi alla filosofia, entrò a far parte dello staff del Metropolitan Free Hospital e divenne lecturer on pathology presso il London Hospital. Nel 1861 fu nominato membro del Royal College of Physicians di Londra. Dal '74 al '94 fece parte anche dello staff medico del London Hospital, per il quale in seguito - fino al 1911 - restò consulting physician. Intanto fin dal 1862 aveva iniziato a collaborare col National Hospital for the Paralysed and Epileptic, in Queen Square, da cui si ritirò nel rgoó. Nel 1885 fu il primo presidente della Neurologica! Society, organismo poi assorbito dalla Royal Society of Medicine. Nel 1878 fondò - assieme a J. Bucknill, J. Crichton-Browne e D. Ferrier - «Brain», la prima rivista inglese dedicata specificamente allo studio del sistema nervoso e all'indagine delle relazioni fra cervello e mente. Dotato di acuto spirito di osservazione combinato con una notevole propensione verso i concetti filosofici e le ampie sintesi teoriche, Jackson fu in grado di analizzare i minimi dettagli clinici neurologici e al tempo stesso di produrre una teoria generale - biologica, medica, psicologica e filosofica - sul funzionamento del sistema nervoso. Operò sempre ed esclusivamente in ambito clinico e non compi mai esperimenti, pur essendo profondamente convinto della loro importanza cruciale per lo sviluppo della scienza. E ricordato come il più grande clinico inglese dell'800. Le sue opere offrirono apporti notevoli alla scienza neurologica, di cui Jackson contribuì a definire criteri, eziologie e metodi dell'esame clinico, gettando le basi della moderna neurologia. Il suo pensiero influenzò profondamente anche la neurofisiologia e la psicologia del secolo scorso, partendo dall'assunto che fosse possibile comprendere l'azione normale del sistema nervoso sulla base di un'analisi accurata delle sue patologie. Chiedendosi in che modo un sintomo potesse rivelare le modalità del funzionamento normale, come potesse la conoscenza di una malattia contribuire a far luce sulle dinamiche normali del sistema nervoso, Jackson fu sempre interessato maggiormente a un'interpretazione dei disturbi nervosi in termini fisiologici, alla loro natura, piuttosto che a una semplice raccolta e classificazione dei sintomi. Fu autore di oltre 320 pubblicazioni. Fra i personaggi del tempo che ebbero la maggiore influenza su di lui vi furono in primo luogo Th. Laycock, che fu suo maestro a York e lo introdusse al metodo clinico della Scuola di Parigi e alla neurologia clinica, e in secondo luogo H. Spencer, il cui evoluzionismo positivistico costituì lo sfondo teorico di riferimento per la sua teoria sullo sviluppo e l'organizzazione anatomo-funzionale del sistema nervoso. I primi interessi di Jackson furono centrati sui problemi oftalmici, ed egli fu uno dei primi neurologi a sostenere la stretta relazione fra disturbi oculari e disturbi cerebrali, avviando a Londra una tradizione di neurologi che operano presso ospedali oftalmici. Il suo secondo vasto campo di interessi fu l'epilessia, rispetto alla quale sviluppò un modello dei disturbi epilettici, nel loro originarsi, progredire e regredire, che ha posto le basi della concezione contemporanea di questa malattia. Egli ritenne che l'attacco epilettico potesse essere considerato come una situazione sperimentale da analizzare e interpretare per dedurne le modalità di funzionamento del cervello. Considerò le convulsioni come «scariche» anomale e disordinate trasmesse ai muscoli dai nervi a partire dalla corteccia cerebrale - affermando così implicitamente la connessione diretta tra corteccia e movimento, provata sperimentalmente solo negli anni successivi - e sostenne che l'area corticale specifica colpita dalle scariche determinasse un particolare andamento dei disturbi epilettici - ritenendo, più o meno esplicitamente, che esistesse quindi una qualche specializzazione funzionale somatotopica sulla superficie degli emisferi cerebrali (Jackson, 1870). Il termine «epilessia jacksoniana» è oggi generalmente inteso come sinonimo di disturbi convulsivi localizzati e correlati a disfunzioni di specifiche aree motorie della corteccia cerebrale. Jackson si interessò anche della fisiologia del linguaggio in relazione ai due emisferi e produsse alcuni studi sulla localizzazione del linguaggio e sull'afasia che ebbero una notevole influenza anche su S. Freud. Studiò la chorea e altri disturbi motori, sempre in vista della formulazione di una teoria generale del funzionamento della corteccia cerebrale, del cervelletto e del sistema nervoso nel suo insieme; teoria che espose in numerosi scritti ma soprattutto nelle Croonian Lectures tenute nel 1884 presso la Royal Society. Altro suo grande interesse fu lo studio dei disturbi mentali, le insanities, di cui abbozzò un concetto dinamico: nell'ottica della sua teoria neurologica generale, gli stati mentali anormali, come per esempio il delirio, sono rivelazioni, o espressioni dei livelli inferiori, e più antichi, del sistema nervoso. Normalmente essi sono inconsci o subconsci. Sono dovuti al venire meno delle inibizioni e del controllo esercitato dai livelli superiori su quelli inferiori. I sintomi mentali non sono causati, sono consentiti. Jackson sviluppò un modello dinamico del sistema nervoso basato sui concetti di evoluzione e dissoluzione, secondo il quale, durante lo sviluppo ontogenetico, il sistema nervoso cresce e si sviluppa per strati successivi passando dai centri inferiori presenti alla nascita, più semplici e organizzati, preposti ai comportamenti più automatici, allo sviluppo dei centri superiori, più complessi e meno organizzati e legati ai comportamenti volontari. Questo concetto di sviluppo graduale spiega nello stesso tempo l'anatomia e la fisiologia del sistema nervoso: esistono infatti tre livelli morfologici e funzionali, in primo luogo il midollo spinale e i gangli della base, quindi i tratti afferenti ed efferenti connessi alla corteccia, e infine la corteccia cerebrale prefrontale, l'«organo della mente». Salendo lungo il sistema nervoso se ne definiscono le funzioni sempre più complesse e sempre meno organizzate, quindi sempre più plastiche e volontarie, fino alla produzione del comportamento cosciente e intenzionale proprio dell'uomo adulto e sano. La malattia va invece letta come un percorso contrario, un processo di dissoluzione contrapposto all'evoluzione e concepito espressamente come il suo inverso. Così il disturbo neurologico è determinato da una progressiva «discesa» dei centri di controllo del comportamento, dalla disattivazione dei centri superiori e la conseguente massima espressione di quelli inferiori (non più modulati, coordinati e integrati dai livelli più alti). In questo senso la sintomatologia clinica può e deve essere vista, secondo Jackson, sotto un duplice profilo: quello negativo, dovuto alla disfunzione o alla distruzione locale, e quello positivo, considerato come l'espressione degli organi e dei tessuti illesi, privi ormai di qualsiasi controllo gerarchicamente superiore. Per quanto riguarda, per esempio, i distarbi del linguaggio, egli teorizza l'esistenza di due livelli diversi della parola, uno più marcatamente psicologico, prodotto da un atto volontario, l'altro invece esclusivamente fisiologico, sensomotorio, prodotto da un processo automatico. Da questa dissociazione deriva la distinzione fra un linguaggio primario, automatico, e la verbalizzazione volontaria, nonché l'ipotesi che a questi diversi livelli funzionali corrispondano altrettanto diversi meccanismi neurofisiologici. E se, come si è detto, la «dissoluzione» patologica prende sempre l'avvio dai livelli «superiori», più complessi, meno strutturati e dunque più fragili, essa colpirà per primo e più frequentemente il linguaggio volontario, «proposizionale» poiché basato su unità che non sono semplici parole ma frasi, mentre il livello «inferiore», più semplice e basato sugli enunciati automatici, sarà il più resistente in quanto più strutturato sul piano nervoso. E evidente, in questo modello evolutivo del sistema nervoso, l'influenza esercitata su Jackson da Laycock e da Spencer. Dal primo egli trasse la ferma convinzione dell'unità, morfologica e funzionale, del sistema nervoso, e dunque della stretta omogeneità del cervello, e segnatamente degli emisferi, rispetto ai gangli della base e spinali; omogeneità che consentiva di guardare alla corteccia cerebrale esclusivamente in termini di sensazione e soprattutto di movimento. In quest'ottica, non c'è dunque alcuna distinzione fra emisferi cerebrali e resto del sistema nervoso, fra comportamenti automatici e comportamenti volontari, fra riflessi, istinti e fenomeni mentali superiori. La corteccia cerebrale è solo il livello più integrato, più evoluto e più recente di sviluppo del sistema nervoso centrale. Non si può assumere più alcun dualismo, esso è solo un riflesso del dualismo filosofico fra cervello e mente, corpo e anima. L'influenza di Spencer - che fin dal 1855 aveva iniziato a sviluppare una teoria evoluzionistica e unitaria dell'organismo nel suo complesso e, specificamente, del nesso fra comportamento e sistema nervoso - è evidente invece nel contesto evoluzionistico generale all'interno del quale Jackson colloca lo sviluppo del sistema nervoso, nel concetto di evoluzione e in quello di dissoluzione, nella concezione delle linee generali che guidano l'evoluzione: la direzione dal semplice al complesso, dal più al meno organizzato, dall'automatico al volontario. Sempre dall'evoluzionismo positivistico di Spencer, Jackson trasse anche l'ipotesi della differenziazione funzionale della corteccia, come frutto dell'applicazione della «legge» della divisione del lavoro all'intero mondo naturale, dunque anche al funzionamento del cervello. Lo stesso termine dissolution fu tratto dai First Principles di Spencer. Nell'interpretazione del nesso sistema nervoso / comportamento umano da parte di Jackson, si avverte però anche l'eco del modello psicologico e filosofico sviluppato da A. Bain più o meno negli stessi anni nell'ambito dell'associazionismo sensomotorio. Inoltre, un presupposto essenziale di tutta la sua speculazione sul problema cervello/mente è l'assunto parallelistico secondo cui si fa un'assoluta distinzione fra stati mentali e corrispondenti stati fisici. Non si fa alcun tentativo di spiegare i primi con i secondi. Assumendo il principio del parallelismo, tutto ciò che si cerca di fare è scoprire la natura e le condizioni di attività di quelle strutture nervose che si ritiene siano il substrato degli stati della mente. Per quanto riguarda la natura della relazione fra coscienza, o mente, e attività dell'apparato nervoso sensomotorio nei suoi livelli superiori, Jackson non formula alcuna ipotesi, assumendo una concomitanza degli stati psichici con quelli nervosi, o almeno con i livelli più elevati di essi. Infine, un ultimo elemento teorico di importanza decisiva per lo sviluppo delle idee jacksoniane è la localizzazione delle funzioni cerebrali così come proprio in quegli anni andava delineandosi tramite le indagini di neurofisiologia sperimentale compiute da Ferrier nel solco del pionieristico lavoro di G. Fritsch e J. E. Hitzig. Jackson aveva studiato con Ferrier a Edimburgo, dove entrambi erano stati allievi di Laycock, ed era neurologo presso il National Hospital negli stessi anni in cui vi lavorava Ferrier; i due erano amici e collaborarono a lungo reciprocamente influenzandosi e stimolandosi nelle personali indagini, sperimentali quelle di Ferrier e cliniche quelle di Jackson, sul sistema nervoso e sul problema cervello/mente. Ferrier fu il «padre» delle localizzazioni cerebrali, e Jackson ritiene che la formula dell'evoluzione implichi una dottrina di localizzazione, ma diversa dalla dottrina corrente della localizzazione rigida, che ignora l'integrazione. Negli emisferi cerebrali egli ritiene che non esista né un «mosaico» funzionale netto e rigoroso, né una rappresentazione diffusa delle funzioni corticali, bensì gradazioni e parziali sovrapposizioni fra aree sensoriali e aree motorie specifiche in un contesto di generale rappresentazione somatotopica delle funzioni. CARMELA MORABITO |