Freud, Anna

A. Freud (1895-1982) è un personaggio complesso. Dedicò gran parte della sua vita al padre, e molti suoi scritti costituiscono una rigorosa difesa delle teorie paterne. Legata, per studi e per indole, al mondo deE'in-fanzia, dedicò enormi energie alla cura dei bambini, sia attraverso la fondazione di scuole e asili nido sia nel lungo e appassionato lavoro e insegnamento psicoanalitico. Si è detto di lei che era sia originale che lealmente conservatrice; è possibile che questi aspetti contraddittori abbiano contribuito a oscurare aspetti anche molto innovatori del suo pensiero e del suo operare. Ultima dei sei figli di S. Freud e Martha Bernays, Anna fu l'unica a intraprendere la carriera psicoanalitica. Cresce tra una madre attenta all'andamento domestico e una zia, Minna, che per molti anni è un'interlocutrice importante per il padre, il quale le confida lo sviluppo delle sue idee. Anna riuscirà, con le sue scelte, a fare breccia nella «fortezza» che madre e zia costruiscono attorno alla figura di Freud e diventerà col tempo, anche per la malattia che affligge Freud per molti anni, suo principale intermediario e interlocutore.

La biografia personale e scientifica di A. Freud è distinguibile in un periodo viennese e un periodo londinese. A Vienna, in un ambiente dove l'antisemitismo si intensifica col passare degli anni, riceve una formazione da istitutrice al Goldman College. Molto presto si interessa di psicoanalisi, coniugando i suoi interessi per la pedagogia e per l'infanzia col sapere psicoanalitico. Il clima in cui cresce è quello della circolazione delle idee, dell'afflusso di pazienti da ogni parte del mondo, dell'interesse crescente del mondo intellettuale di allora, attorno a Freud. Molti pazienti venivano da lontano e si stabilivano quindi a Vienna per il tempo della loro analisi; alcuni di essi diventavano alla fine intimi di casa Freud e spesso stabilivano con lui e la sua famiglia intensi rapporti di amicizia. Questo era «il mondo» della Freud, all'interno del quale si svilupparono anche le sue due grandi e appassionate amicizie: quelle con E. Rosenfeld e con D. Burlingham, entrambe in analisi con Freud, in una sorta di famiglia psicoanalitica allargata, in cui le competenze professionali e i rapporti di amicizia erano profondamente mescolati e a volte di difficile gestione. Anche Anna, peraltro, inizia nel 1918 un'analisi condotta dal padre, a sedute fisse e regolari come per ogni altro paziente. L'analisi di Anna continua fino al 1922 e viene ripresa di nuovo nel '24-25. Se oggi la pratica di analizzare i propri familiari è assolutamente sconsigliata, e gli analisti sono tenuti a non analizzare persone a loro vicine per parentela o anche per rapporti di amicizia, ai tempi di Freud questa prassi era tutt'altro che eccezionale: M. Klein, C. G. Jung e K. Abraham sono tra coloro che analizzarono i propri figli. La Freud sembra essere stata tanto generosa nel suo impegno professionale quanto schiva e riservata nella vita personale. La sua vita affettiva è di difficile interpretazione tanto sul versante maschile (come nella relazione sfortunata con M. Eitingon) quanto su quello femminile (come testimoniano il carteggio con E. Rosenfeld e la lunga condivisione di vita e lavoro con D. Burlingham). Dapprima bibliotecaria della Società psicoanalitica di Vienna, Anna diventa membro della Società nel 1922, dopo la presentazione del suo primo lavoro, Fantasie di percosse e sogni ad occhi aperti. Questo lavoro, che riprende uno scritto di S. Freud del 1919, si basa sostanzialmente sull'esperienza di Anna che mostra l'evoluzione della mente da aspetti sadici e sensuali (il bambino percosso non è mai il paziente, ma in genere un fratello rivale), a un'attività di sublimazione (le storie belle). Da allora la Freud è presente sulla scena psicoanalitica con numerosissimi scritti e conferenze tenute spesso per un pubblico non psicoanalitico: genitori ed educatori prima di tutto, ma anche pediatri e giudici, assistenti sociali e persone comunque implicate nel lavoro con bambini e adolescenti. Fin dall'inizio nella sua opera la connessione tra scoperte psicoanalitiche, conoscenze pedagogiche e attenzione concreta al benessere dei bambini è una caratteristica molto importante che si esprime anche in iniziative assistenziali. E aiutata in questo dall'interesse delle autorità locali, dai cospicui finanziamenti americani e dall'appoggio delle colleghe e amiche, in particolare la Rosenfeld e la Burlingham.

Nel 1936 Anna pubblica a Vienna uno dei suoi lavori più noti: L'Io e i meccanismi di difesa, sviluppatosi a partire dalla formulazione della teoria strutturale del padre (1922a) in cui la psiche umana è definita in termini di articolazioni fra le tre istanze: l'Es, che designa i contenuti pulsionali inconsci; il Super-io, che designa le rappresentazioni interne dei divieti, ma anche degli scopi, dei modelli e degli ideali parentali; l'Io, che in quanto apparato esecutivo della psiche cerca di mediare tra esigenze dell'Es e del Super-io, spesso in conflitto. Il lavoro di Anna, ricchissimo di esempi clinici, intende portare l'attenzione degli psicoanalisti oltre l'indagine sui contenuti inconsci, insistendo in particolare sulle resistenze che il paziente oppone al lavoro analitico. Accanto ai meccanismi di difesa già noti, la Freud cita due nuovi modi che l'Io escogita per difendersi dal conflitto tra esigenze dell'Es e pretese del Super-io: si tratta del meccanismo di identificazione con l'aggressore, attraverso il quale l'individuo può ripararsi dalla mortificazione narcisistica inflittagli, e del fenomeno dell'altruismo che, portato oltre un certo limite, fa si che una persona viva delle esperienze degli altri, anziché fare un'esperienza propria. Con la «resa altruistica» la Freud descrive un meccanismo di difesa assai simile a quello che la teoria kleiniana denominerà «identificazione proiettiva». La parte più innovativa di questo lavoro è tuttavia quella che descrive un'alterazione particolare dell'Io, che chiama «restrizione dell'Io». Si tratta di un meccanismo normale, che comporta che l'Io si ritiri da investimenti non sufficientemente gratificanti per indirizzare la sua scelta su altre attività. Tuttavia, se usato in maniera massiccia, questo investimento comporta un impoverimento dell'Io, in quanto questa restrizione erode i meccanismi della percezione, del pensiero, degli apprendimenti e della memoria. Secondo la Freud, la strategia da usarsi in questi casi non è la stessa che per le inibizioni di tipo nevrotico, e richiede un aggiustamento terapeutico che essa teorizzerà come «aiuto allo sviluppo»; il nocciolo di questo intervento consiste nel mettere in condizione il paziente non già di recuperare rappresentazioni rimosse, ma di acquisire rappresentazioni non esistenti in precedenza. Oggi è corrente, quando si ha a che fare con pazienti danneggiati nelle loro capacità di rappresentazione (borderline), insistere sulla necessità di dare parole ai loro sentimenti, promuovere una chiarificazione sui rapporti tra cause ed effetti, sul modo di strutturarsi del pensiero, sulla lettura del comportamento degli altri e così via. Ma, allora, le preoccupazioni di Anna di porre preliminarmente il paziente nelle condizioni per poter usufruire del lavoro analitico-interpretativo, attraverso un lavoro di «aiuto allo sviluppo» particolarmente importante nel caso di bambini, entrarono in rotta di collisione con il rigore delle formulazioni kleiniane, che non prevedevano altro intervento psicoanalitico che non fosse l'interpretazione e l'interpretazione del transfert. Il conflitto si espresse apertamente e clamorosamente negli anni londinesi. Nel frattempo, infatti, dopo l'invasione nazista di Vienna, la famiglia Freud, grazie all'intervento di M. Bonaparte, riesce nel 1938 a rifugiarsi a Londra, dove la Società psicoanalitica britannica, allora presieduta ila E. Jones, acquista per loro una casa al numero 20 di Maresfield Gardens. Freud muore un anno dopo, assistito fino all'ultimo dalla figlia. Il periodo londinese fu fin dall'inizio assieme doloroso, arduo e fecondo. Sul piano scientifico, fu ben presto contrassegnato dalle durissime controversie che opposero, negli anni di guerra, la Freud, la Klein e le rispettive scuole. La Freud e la Klein non sono state le prime psicoanaliste a occuparsi di bambini: prima di loro H. Hug-Hellmuth uveva pubblicato agli inizi degli anni '20 i risultati del suo lavoro con i bambini; tuttavia sono le prime ad avere promosso una formazione in questa direzione, rispettivamente a Vienna e a Londra. Le «discussioni controverse» che occuparono la Società britannica nei primi anni '40 sono il resoconto dei modi diversi di intendere la psicoanalisi delle due scuole. Esse testimoniano l'intensa passione, anche «politica», e al contempo il rigore con cui i diversi argomenti venivano trattati. I punti di vista erano diametralmente opposti e concernevano il peso della realtà esperienziale del bambino, tenuta assai in considerazione dalla Freud, non contemplata dalla Klein, intenta a lavorare sulle fantasie inconsce presenti fin dall'inizio della vita. Di conseguenza, l'attenzione alla realtà circostante del bambino, genitori in primis, era forte per la Freud e nulla per la Klein. Altro tema controverso era quello del ruolo dell'interpretazione, unico strumento per la Klein, mentre per la Freud era necessaria una sorta di preparazione del bambino prima di farvi ricorso.

L'interesse di Anna per gli aspetti di realtà nello sviluppo del bambino si espresse anche, in collaborazione con la Burlingham, nell'esperienza degli asili residenziali di guerra per la disastrata popolazione londinese. La vasta esperienza clinica acquisita si prolungherà poi nel fruttuoso lavoro della Hampstead Clinic e andrà a costituire la trama del suo ultimo e importante lavoro, Normalità e patologia nell'età infantile (1965), che costituì un riferimento anche formativo importante per gli psicoanalisti

degli anni successivi. In esso la Freud affronta il problema delle «linee evolutive», aree della personalità in cui i progressi avvengono tramite un'interazione tra fattori interni ed esterni. L'andamento di queste linee comporta variazioni di assetto delle istanze che governano la psiche in rapporto con lo sviluppo, da un lato, e con le richieste provenienti dall'esterno, dall'altro. Al centro della riflessione è la questione dell'acquisizione progressiva, da parte del soggetto, di una condizione di autonomia, a partire dalla originaria condizione di dipendenza. Accanto alle linee evolutive ha importanza, per la clinica e la ricerca, il profilo diagnostico stabilito dalla Freud e richiesto ai collaboratori per le valutazioni dei piccoli pazienti che venivano curati alla Hampstead Clinic. In esso viene messo l'accento, più che sui sintomi, sulla valutazione dello sviluppo, avendo come riferimento lo sviluppo del bambino sano. Il profilo tiene conto della storia del bambino, dell'ambiente di crescita, del rapporto tra istanze psichiche, della qualità dell'angoscia e dei conflitti in campo. Nelle conclusioni del suo lavoro ricorda, ancora una volta, che il lavoro analitico non è fatto della sola interpretazione, e che il conflitto intrapsichico deve essere reintrodotto nella struttura e sperimentato dal bambino prima che la sua interpretazione analitica possa essere accettata e divenire efficace. Questa era d'altronde la preoccupazione di Anna quando parlava di una fase preparatoria all'analisi e della necessità di introdurre la verbalizzazione e la chiarificazione prima e accanto all'interpretazione. La Hampstead Clinic, rinominata dopo la morte della sua fondatrice «Anna Freud Centre», è diventata, grazie anche a un importante supporto economico della Field Foundation di New York, un centro di attività clinica, di formazione e di ricerca di rilevanza internazionale.

Anna, la cui vita si è svolta, in un certo senso, totalmente all'interno dell'universo paterno e della psicoanalisi, sembra aver ricavato da ciò arricchimento, ma forse anche una debolezza nel suo senso di identità; la sua grande e apprezzata attività in ambito istituzionale potrebbe essere vista come un antidoto a un senso di scarsa fiducia in sé. La sua eredità principale resta il rigore dell'approccio clinico, la vivacità delle osservazioni sui bambini e la lungimiranza delle considerazioni su quel «mestiere impossibile» che è la cura psicoanalitica.

MARTA BADONI