Adattamento |
La parola «adattamento» ricorre nella psicologia e più in generale nelle scienze dell'uomo con diversi significati, che si richiamano a quelli che tale termine assume all'interno della biologia; questi significati a loro volta sono debitori di concettualizzazioni antecedenti del senso comune e del pensiero religioso. Secondo il vocabolario, la parola adatto significa idoneo, adeguato o «che risponde a uno scopo». In realtà a suggerire la rispondenza a un obiettivo basta soltanto la parte finale della parola, atto (dal latino aptus, che significa idoneo, adeguato); la ad con cui essa inizia indica il processo attraverso cui l'adeguatezza allo scopo è stata conseguita: una costruzione attiva da parte di qualcuno in vista (ad) di un certo uso o funzione (Gould, 1991). Un oggetto idoneo a una certa funzione richiede una preliminare progettazione a opera di un artefice. Pertanto, quando una certa entità appare armoniosamente inserita nell'ambiente in cui si trova, o composta di parti diverse tra loro efficacemente interconnesse, che assolvono funzioni specifiche, si è portati a pensare che qualcuno l'abbia costruita in vista di uno scopo. Poiché tali caratteristiche sono presenti non solo nei manufatti ma anche negli organismi viventi, gli esseri umani hanno creduto per una lunga parte della loro storia (e molti tuttora credono) che la progettazione e la creazione del mondo e degli esseri viventi siano opera di un'entità superiore. L'adattamento degli esseri viventi è stato attribuito a cause naturali da diverse teorie, fra le quali spiccano quella di J.-B. de Lamarck e quella di Ch. Darwin. I processi chiamati in causa dal primo sono una tendenza al progresso insita negli organismi e l'azione dell'ambiente che, inducendo a usare i vari organi con maggiore o minore frequenza e in certe sequenze, produce delle variazioni e delle abitudini che diventano a lungo andare permanenti ed ereditarie. Questa accezione di adattamento come processo che opera nei singoli individui nella loro interazione con l'ambiente è stata ripresa da J. Piaget per affermare la continuità tra intelligenza e organizzazione biologica. Secondo Piaget, sia l'adattamento biologico sia quello cognitivo, che ne costituisce il prolungamento, consistono nell'equilibrio tra le due funzioni in cui possono essere scomposti: l'assimilazione e l'accomodamento. L'assimilazione consiste nell'azione del soggetto sull'ambiente: quella organica si attua assorbendo sostanze presenti nell'ambiente e provocandone delle alterazioni d'ordine fisico-chimico; quella cognitiva è funzionale anziché materiale, e consiste nell'«incorporare» un elemento dell'ambiente in un'azione motoria (ad es. scuotere un sonaglio) o mentale (ad es. riconoscere un certo oggetto come un esemplare di una categoria concettuale, quella dei sonagli). L'accomodamento riguarda invece l'azione dell'ambiente sull'organismo; a livello sia organico che psicologico, esso consiste nel modificare le attività attraverso cui avviene l'assimilazione. Ad esempio, nella digestione, la masticazione e secrezione di succhi gastrici avvengono con modalità diverse a seconda del cibo che si è ingerito. Nel caso dell'assimilazione di un oggetto a uno schema d'azione, i movimenti eseguiti sono diversi a seconda dell'oggetto: quando un bambino afferra una palla, assimilandola allo schema della prensione, dispone le dita in modo diverso di quando prende in mano un pezzo di stoffa. L'adattamento, cioè l'equilibrio tra assimilazione e accomodamento, si realizza quando nessuno dei due predomina sull'altro; in questo caso, secondo Piaget (1936), l'organismo si trasforma in funzione dell'ambiente, e questa variazione ha per effetto un accrescimento degli scambi tra ambiente e organismo favorevole alla conservazione di quest'ultimo. A livello cognitivo, l'adattamento consiste nel modificare le strutture di conoscenza in modo da tener conto di nuove informazioni, e nel conservare al tempo stesso le acquisizioni passate. L'adattamento e l'organizzazione, che riguarda la relazione tra le parti di un sistema biologico o cognitivo e spinge a una loro crescente integrazione, costituiscono degli invarianti funzionali perché sono presenti in tutti gli stadi dello sviluppo e, agendo sulle strutture cognitive presenti, promuovono il loro sviluppo verso forme sempre più articolate e complesse. Questi concetti sono stati ripresi e riformulati in successive teorie dello sviluppo cognitivo e dell'apprendimento, che hanno distinto tra l'acquisizione di informazioni che tossono essere integrate entro schemi, teorie o più genericamente strutture cognitive preesistenti (l'assimilazione piagetiana), e la formazione di nuove strutture o la trasformazione radicale di quelle preesistenti (accomodamento). Nella psicologia contemporanea, le accezioni con cui il termine adattamento ricorre si richiamano soprattutto alla teoria dell'evoluzione di Darwin, o meglio ai suoi sviluppi più recenti. In questo contesto, viene usato (da solo o in espressioni che includono altri termini) per designare: 1) il processo di evoluzione mediante selezione naturale che ha dato origine alle specie; 2) i prodotti di tale processo, cioè a nelle caratteristiche o tratti morfologici, fisiologici e comportamentali che favoriscono la sopravvivenza e la riproduzione; 3) lo stato che tali caratteristiche rendono possibile; 4) i processi individuali che concorrono a tale stato (Comparini, 2005). A differenza dell'adattamento nell'accezione lamarckiana, l'adattamento per selezione naturale non opera sui singoli individui, ma sulle popolazioni, modificando, a ogni generazione, le frequenze relative in cui si trovano individui che presentano diverse caratteristiche anatomiche, fisiologiche o comportamentali e i geni di cui esse sono espressione. Tale processo avviene alla presenza delle seguenti condizioni: nei membri di una specie sono presenti diverse caratteristiche o tratti fisici e comportamentali (variazioni) che li differenziano gli ari dagli altri e che sono trasmessi alla prole eredità); alcune di queste variazioni risultano più vantaggiose per quanto riguarda l'interazione con l'ambiente fisico o sociale, offrendo una miglior soluzione ai problemi che l'individuo deve affrontare per mantenersi in vita e riprodursi; gli individui in cui tali variazioni sono presenti hanno perciò maggiori probabilità di sopravvivere e riprodursi, trasmettendo in questo modo le loro variazioni alla prole, dove saranno il punto di partenza per ulteriori variazioni e successive selezioni (selezione naturale). Le caratteristiche fenotipiche (morfologiche, fisiologiche o psicologiche) formatesi mediante il processo di adattamento sono gli «adattamenti» (o «tratti adattativi», Comparini, 2000). La soluzione che ciascuno di essi offre a un problema vitale costituisce la sua specifica «funzione adattativa» (o funzione tout court). I tratti adattativi sono numerosissimi e organizzati a diversi livelli di complessità: dai sistemi, agli organi, ai tessuti, alle singole cellule. Alcuni tratti adattativi presiedono a processi di adattamento individuale, come quelli che assicurano l'equilibrio omeostatico, compensando in vario modo cambiamenti dell'ambiente interno o esterno (ad esempio, provocando la sudorazione per abbassare la temperatura del corpo quando fa troppo caldo o spingendo alla ricerca di liquidi se il corpo si sta disidratando). I tratti adattativi consentono di trovarsi in uno «stato d'adattamento» (o idoneità, o fitness), cioè di mantenere delle condizioni fisiche (e psichiche, negli organismi dotati di vita mentale) compatibili con la vita e la riproduzione. Per identificare i tratti adattativi e delineare le specifiche pressioni selettive che li hanno modellati, i biologi adottano una strategia di ricerca denominata ingegneria (o progettazione) inversa, che consiste nell'esaminare in quale grado il tratto analizzato raggiunge un certo risultato con una precisione, efficienza, economia e affidabilità tali da suggerire che sia il frutto di un progetto progressivamente costruito dall'evoluzione. Queste accezioni del termine adattamento compaiono in psicologia negli studi che si richiamano agli approcci etologico e socio-biologico, e nella psicologia evoluzionistica, che ne costituisce l'eredità più recente e che dagli anni '90 del '900 sta godendo di una crescente affermazione. L'etologia si propone di identificare i comportamenti specie-specifici e di determinare le loro cause immediate (cioè le condizioni interne e gli stimoli ambientali che inducono un animale a comportarsi in un certo modo in un certo momento) e remote, cioè le funzioni adattative che tali comportamenti hanno svolto nel periodo e nell'ambiente in cui una specie si è formata (l'ambiente d'adattamento evoluzionistico) e i processi mediante i quali è avvenuta la loro evoluzione (Alcock, 1998). Nozioni e spiegazioni etologiche sono state mutuate dalla psicologia a partire dagli anni '70 del '900, soprattutto grazie all'opera di J. Bowlby (1969), lo psichiatra inglese che richiamandosi all'etologia ha formulato la teoria dei legami affettivi che gode attualmente di maggior credito. Secondo Bowlby, alcuni comportamenti umani, particolarmente visibili nel bambino ma presenti anche negli adulti, come la ricerca della vicinanza con un particolare membro della propria specie, e la paura del buio, dei rumori intensi e improvvisi e di ciò che è estraneo, hanno avuto un ruolo fondamentale quando i nostri antenati dovevano proteggersi dai predatori e continuano a essere utili anche ai giorni nostri. La psicologia evoluzionistica è un programma di ricerca che si propone di identificare i tratti adattativi presenti nella mente umana e di delineare le pressioni selettive che li hanno modellati nel corso delle generazioni. Essa ha dunque diversi punti di contatto con l'etologia, ma si distingue da quest'ultima perché l'oggetto del suo interesse non sono i comportamenti, ma i meccanismi che ne sono alla base (chiamati anche, con diverse sfumature di significato, «organi mentali» o «moduli» (Pinker, 1997). Questi meccanismi, codificati nella struttura del sistema nervoso centrale, sono formati da rappresentazioni mentali, algoritmi di elaborazione dell'informazione e programmi di azione. La psicologia evoluzionistica si fonda sull'assunto che, al pari del corpo, anche la mente umana ha un'architettura complessa, che comprende una miriade di organi mentali distinti, ciascuno dei quali corrisponde a un progetto specifico, formatosi nel corso della selezione naturale e rivolto alla soluzione di uno dei problemi che i nostri antenati cacciatori-raccoglitori incontravano nel loro ambiente, rappresentato dalle savane africane del Pleistocene, da essi abitate in gruppi di poche decine di persone tra loro imparentate. L'esistenza e la funzione di alcuni di questi meccanismi possono essere poco evidenti, se ci si limita a considerare le interazioni che gli esseri umani hanno con l'ambiente e con le altre persone nelle società attuali. Per questo gli studi di paleoantropologia, o quelli etnologici sulle società di cacciatori-raccoglitori ancora esistenti, possono offrire alla psicologia informazioni di grande utilità. Con queste tesi, la psicologia evoluzionistica si propone come alternativa a ciò che i suoi esponenti chiamano il «modello standard delle scienze sociali», che ha pervaso la psicologia, la sociologia e l'antropologia del '900, secondo il quale la natura umana (ciò che è innato) consiste in un complesso di abilità generali di apprendimento che consentono di acquisire i particolari contenuti, preferenze, valori, comportamenti propri della cultura del gruppo in cui un individuo vive. Per identificare i tratti adattativi della mente umana, gli psicologi evoluzionistici utilizzano l'approccio adattazionista mutuato dalla biologia, e lo integrano con vari tipi di dati provenienti da altre discipline, come ad esempio quelli sui caratteri comuni a tutte le culture umane, raccolti dall'antropologia; sui circuiti neurali o sottosistemi cerebrali coinvolti in certe funzioni, offerti dalla neuropsicologia; o i dati, forniti dalla psicologia dello sviluppo, indicanti la precoce e rapida comparsa di certe conoscenze o abilità, come quelle di attribuire stati mentali alle persone e di comprendere e parlare la propria lingua (Pinker, 1994). I tratti adattativi proposti dagli psicologi evoluzionistici sono innumerevoli. Tra essi rientrano, ad esempio, i vari moduli di cui si compone l'abilità linguistica; emozioni come paura, rabbia, gelosia, disgusto, gioia, tristezza, inquietudine; il sentimento di giustizia; certe preferenze sessuali (ad esempio, nei maschi, per caratteristiche femminili di solito associate a buona salute e fecondità); vari insiemi di conoscenze o teorie «ingenue» o «intuitive» come quelle sui numeri, sulle proprietà degli oggetti fisici, su animali e piante, sugli stati mentali che distinguono le persone dagli oggetti inanimati. L'approccio evoluzionistico propone diverse spiegazioni anche dei tratti e dei comportamenti disadattativi, offrendo una nuova prospettiva allo studio della psicopatologia (Nesse e Williams, 1994). Ne presentiamo alcuni a titolo di esempio, senza la pretesa di offrire un elenco esaustivo. I tratti che in certi individui appaiono disadattativi potrebbero rappresentare semplicemente i valori estremi e poco frequenti (ad es. l'assenza di paura o un'esagerata paurosità) di un tratto adattativo (la disposizione a provare paura) che in una popolazione si distribuisce con gradazioni diverse. Certi disturbi, come ad esempio l'autismo, sembrano riflettere il malfunzionamento o l'assenza, negli individui che ne soffrono, di alcuni tratti adattativi (in questo caso, del modulo preposto alla comprensione degli stati mentali) . Alcuni tratti disadattativi potrebbero essere degli effetti collaterali di tratti adattativi a cui sono associati per il fatto di derivare dagli stessi geni (pleiotropia) o per altre cause che devono essere identificate volta per volta. Questa spiegazione viene offerta per il disturbo bipolare e la schizofrenia, che sono correlati a un'elevata creatività. Alcuni disturbi diffusi nelle società odierne derivano dalle enormi differenze tra le condizioni di vita attuali e quelle dell'ambiente originario di adattamento evoluzionistico della nostra specie. Un primo effetto di queste differenze è che alcuni tratti che erano adattativi nell'ambiente ancestrale hanno ora delle conseguenze negative. Ad esempio, la predilezione per i cibi dolci, grassi o sapidi spingeva i nostri antenati alla ricerca di nutrimenti scarsamente disponibili in natura e apportatori di sostanze vitali. Ai giorni nostri, nelle società in cui la disponibilità di questi cibi è pressoché illimitata, questa predilezione favorisce invece la diffusione di obesità e malattie cardiovascolari. Un'altra conseguenza delle differenze tra l'ambiente ancestrale e quello attuale è che nelle società odierne si possono presentare circostanze per le quali l'evoluzione non ha avuto il tempo di costruire i tratti adattativi volti a fronteggiarle. E ad esempio il caso del disturbo posttraumatico da stress, che insorge molto più spesso in conseguenza di traumi connessi alle moderne tecnologie (incidenti d'auto, disastri aerei) che non di catastrofi naturali come terremoti, alluvioni o tornadi. La nozione di adattamento (nelle accezioni sia di processo sia di prodotto) costituisce, secondo R. Lewontin (1977), una trasposizione in biologia e nelle scienze sociali della visione teologica di un universo creato da un Dio, che prima ha posto in essere il mondo fisico e poi ha modellato gli esseri viventi in modo che potessero abitarlo. Secondo S. J. Gould (1991), la nozione di adattamento non consente di distinguere tra l'origine storica di un tratto e la sua utilità attuale. Non tutti i tratti fisici o comportamentali che caratterizzano attualmente una specie sono adattativi (ovvero prodotti della selezione naturale) e non lo sono neppure tutti quelli che aumentano di fatto l'idoneità di un organismo in relazione al proprio ambiente. Un tratto che al presente ha conseguenze utili potrebbe aver prodotto risultati diversi nell'ambiente ancestrale ed essere stato selezionato da pressioni selettive ora non più operanti, o essersi formato in seguito a processi evolutivi non selettivi. Gould propone perciò di usare il termine neutro di «attamento» (dal latino aptus) per denominare i tratti utili e distinguerli da quelli che non lo sono, e di operare un'ulteriore distinzione al loro interno, tra quelli che derivano da un processo di adattamento, e possono perciò essere chiamati adattamenti (tratti adattativi) e quelli che derivano da un processo di cooptazione, per cui un tratto evolutosi con una certa funzione, o originato da processi non selettivi, viene impiegato per un uso diverso. Per questi tratti Gould propone il termine exaptation (exattamento), per indicare che l'idoneità attuale è una conseguenza di (ex) proprietà formatesi perché hanno assolto ad altre funzioni rispetto alle attuali. Per i tratti utili che non derivano dal processo d'adattamento ma ne costituiscono un prodotto collaterale, Gould propone la metafora del pennacchio (spandrel, tradotto in italiano talvolta come «lunetta»), presa a prestito dall'architettura, dove indica le strutture triangolari veliformi che si formano dove una cupola si appoggia a degli archi a tutto sesto. Mentre cupola e archi derivano da scelte operate dall'architetto (e hanno perciò funzioni precise), i pennacchi sono soltanto una conseguenza di queste ultime. Secondo Gould, i «pennacchi» evolutivi sono molto più numerosi degli adattamenti veri e propri, e nella specie umana comprendono molti dei suoi tratti più tipici: un cervello di grandi dimensioni ed elevata complessità si sarebbe sviluppato nei nostri antenati grazie alla selezione naturale, per svolgere una serie di funzioni sulle quali possiamo tutt'al più fare delle congetture; sono invece pennacchi, o sottoprodotti di questa complessità, una serie di capacità che nell'ambiente ancestrale non sarebbero state di alcuna utilità e che sono state successivamente exattate per compiti che rivestono ora una funzione centrale nella nostra cultura, come leggere, scrivere o cantare un'opera di Mozart. Anche il linguaggio per Gould (come per Chomsky) sarebbe l'exattamento di un pennacchio. La frequenza dei pennacchi e il loro ruolo centrale nel rendere possibili attività essenziali nelle società contemporanee condannano secondo Gould all'insuccesso il «programma adattazionista» e le discipline in cui esso figura come principale strategia di ricerca. Le tesi di Gould hanno suscitato due principali reazioni: da una parte la negazione che abbia senso distinguere tra adattamenti e exattamenti (Dennett, 1995); dall'altra, l'accoglimento della nozione di exattamento (e della metafora del pennacchio), accompagnato però dalla convinzione che le strategie di ricerca impiegate per identificare gli adattamenti consentano anche di distinguerli dai pennacchi (Andrews, Gangestad e Matthews, 2002). ANNA EMILIA BERTI |