Franco Angeli, Milano 2004
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1. E' difficile recensire il libro di un amico, che considero uno dei miei allievi più creativi, tanto più che egli, nell'introduzione, mi elegge, con Illich e Laing, tra i suoi "numi tutelari". Nel rispetto del comune riferimento al pensiero critico, cercherò di essere il più obiettivo possibile. Dico in anticipo che il libro tenta di illustrare ciò che dovrebbe ormai essere ovvio, agli studiosi se non all'opinione pubblica, ma non lo è: l'incidenza dei fattori ambientali, storico-culturali, mediati dalle istituzioni pedagogiche e dalle ideologie consce e inconsce rappresentate negli educatori, sullo sviluppo e sulla strutturazione, normale e patologica, della personalità in fase evolutiva. Secondo una lunga tradizione psicologista, che l'analisi ortodossa ha finito con il radicalizzare, l'evoluzione della personalità infantile è un fatto prevalentemente affettivo e comunicativo, che avviene attraverso la relazione interpersonale che il bambino intrattiene con coloro con cui interagisce. Le vicissitudini evolutive, in particolare quando esse esitano in un'esperienza precoce di disagio psichico, vengono dunque ricondotte in quest'ottica a disfunzioni affettive o ad interazioni comunicative sbagliate nelle quali si riflettono i problemi psicologici irrisolti degli educatori. Nulla è più estraneo allo psicologismo del considerare che, se è vero che i ruoli sociali vengono agiti da persone ciascuna delle quali ha la sua storia interiore e la sua personalità, essi sono nondimeno socialmente codificati; e che, se il rapporto tra genitori (o educatori) e figli ha un'indubbia e rilevante dimensione affettiva, esso è pur sempre finalizzato all'obiettivo, definito dalla società, di produrre cittadini capaci d'integrarsi in essa, adattandosi alle sue norme, regole, valori. Nulla infine è più estraneo del considerare che, se anche oggi l'allevamento avviene di solito in ambienti domestici avvolti da una fitta cortina di privacy o in ambienti istituzionali (asili, scuole) protetti e segregativi, gli uni e gli altri comunicano con l'ambiente secondo modalità complesse. Non esiste insomma nessuna dimensione privata che, nello stesso tempo, non sia immersa nel corso della storia. Il leit-motiv del libro è da individuare nel valorizzare al massimo grado quest'aspetto, nell'intento di dimostrare il peso che, nell'evoluzione e nella strutturazione della personalità evolutiva, hanno i fattori ideologici, vale a dire i desideri, le aspettative, gli obiettivi che gli educatori perseguono, con maggiore o minore consapevolezza, e che sono dettati non solo dalla loro esperienza personale ma anche e soprattutto dai valori culturali di riferimento che albergano a livello cosciente e inconscio, i quali definiscono i modi in cui essi agiscono in quanto attori sociali. Da questo punto di vista, ciò che accade nella relazione interpersonale tra educatori e figli, laddove questa relazione produce un disagio psichico precoce, richiede un'interpretazione a tre livelli: il primo concerne ciò che di fatto avviene a livello comunicativo conscio e inconscio; il secondo, ciò che avviene a livello soggettivo nella psiche infantile; il terzo, i fattori ideologici che caratterizzano il campo comunicativo, vale a dire i valori di riferimento presenti nella coscienza e nell'inconscio genitoriale. Secondo Ghezzani, i primi due livelli permettono di comprendere in termini relazionali e psicodinamici il disagio, la cui spiegazione, però, può avvenire solo tenendo conto del terzo. Quest'assunto giustifica il riferimento ad un mondo malato presente nel titolo. Tale riferimento si presta facilmente a degli equivoci. Un sistema sociale può essere - economicamente, politicamente, socialmente, culturalmente - più o meno funzionale, integrato, equilibrato, coeso, giusto, ecc. Adottare la metafora della malattia in riferimento alla società può significare solo due cose: o misurare il mondo reale alla luce di un modello ideale, o rilevare in esso degli indizi che attestano una qualche incompatibilità strutturale con la natura umana. Ghezzani chiaramente fa riferimento a questa seconda possibilità. L'incompatibilità egli la riconduce ad una confusione culturale intrinseca al nostro mondo e che caratterizza tutti i campi educativi e interpersonali. Tale confusione è dovuta alla "guerra delle ideologie" che vede in gioco tre potenti competitori: la religione, la cultura borghese classica, il neoliberismo. Mentre le prime due, profondamente diverse ma accomunate dalla concezione di un individuo inserito in un ordine gerarchico (trascendente o contrattuale), persistono, il neoliberismo, figlio degenere della civiltà borghese, ha assunto negli ultimi anni una particolare virulenza al punto che "è lecito parlare di un'ideologia neoliberista implicata nella formazione e nella deformazione della psiche contemporanea, ideologia nella quale l'individualismo assoluto e l'esaltante sentimento d'infinite possibilità si coniuga con l'onnipresente angoscia di fallire e di non essere all'altezza." (p. 12) La conseguenza della guerra delle ideologie, le prime due vincolate al richiamo ai doveri sociali (sotto forma di amore del prossimo per quanto concerne il cristianesimo e di rispetto degli altri per quanto concerne la cultura borghese), la terza incentrata su di un'enfatizzazione dell'individuo come causa sui, sono, secondo Ghezzani, la matrice di un disagio psichico che, nei paesi occidentali, è costantemente in crescita negli ultimi venti anni, essendosi raddoppiato, e investe ormai ampiamente anche la fascia infantile e adolescenziale. I dati a riguardo, in effetti, sono inquietanti: "Nel mondo, il 20% dei giovani fino a quindici anni soffre di disturbi mentali, leggeri e gravi. Nel 2020 si prevede che i disturbi neuropsichiatrici saranno una delle 5 principali cause di malattia, morte e disabilità tra i bambini del mondo. Negli Stati Uniti, oltre il 3% dei bambini e più dell'8% degli adolescenti soffre di depressione. Dal 1964 il tasso di suicidi tra adolescenti e giovani è aumentato del 100% Sempre negli Stati Uniti il 13% dei giovani tra i nove e i diciasette anni soffre di disturbi ansiosi. Almeno il 33% degli adulti che presentano un disturbo ossessivo-compulsivo ha iniziato a svilupparlo nell'infanzia e nell'adolescenza. Lo 0,5-1% degli adolescenti maschi e femmine soffre di anoressia nervosa; il 12% di bulimia nervosa e lo 0,7-4% presenta disturbi di alimentazione compulsiva. Infine la sindrome maniaco- depressiva è presente nell'1% degli adolescenti statunitensi, e comincia a colpire anche l'infanzia." (pp. 12-13) Come interpretare questo disastro che incombe in soggetti in fase evolutiva, e rischia di determinare un'esistenza all'insegna del disagio psichico? Come agiscono, in pratica, i fattori ideologici assunti da Ghezzani come matrici primarie di questo disastro? La risposta è chiara: attraverso la mediazione delle istituzioni pedagogiche e degli educatori, che si portano dentro la confusione culturale di cui si è detto e che sempre più spesso assumono la concezione neoliberista dell'uomo come modello (casomai inconscio) di riferimento. 2. La prova di ciò viene fornita attraverso l'analisi approfondita di alcune esperienze cliniche, dall'infanzia alla tarda adolescenza. Non è il caso qui di riferire la densa trama di interpretazioni fornite da Ghezzani, che muovono dal sintomo o dal vissuto del paziente, ricostruiscono il conflitto psicodinamico sottostante, ne riconducono la genesi all'interiorizzazione delle contraddizioni personali e culturali dei familiari, e, infine, spiegano queste in rapporto alla storia sociale della famiglia e al contesto socioculturale. Il discorso è lucido, suggestivo e persuasivo. Ghezzani fornisce un'ennesima prova della potenza esplicativa della teoria struttural-dialettica riguardo ai fenomeni psicopatologici. Forse, selezionando i casi clinici, la fornisce in termini tali da indurre l'equivoco che ad essa corrisponda una pari efficacia terapeutica. In realtà tra le due dimensioni si dà uno scarto, più o meno notevole, su cui occorre continuare a riflettere. La trama delle interpretazioni riconosce come punto fermo il fatto che il disagio psichico, prodotto da un'interazione con l'ambiente che ostacola l'integrazione dei bisogni intrinseci (di appartenenza e d'individuazione) è riconducibile sempre e comunque ad un conflitto strutturale le cui polarità sono rappresentate da un richiamo ad essere ciò che si deve essere in nome dell'appartenenza sociale e dalla rivendicazione ad essere ciò che si deve essere in nome della vocazione scritta nel corredo genetico. Il primo richiamo si realizza per effetto dell'attività dinamica del super-io, che tende a colpevolizzare ogni espressione di inadempienza o di "tradimento"; il secondo, per effetto dell'io antitetico, che produce reazioni più o meno intense di rabbia quando viene ad urtare contro ostacoli che impediscono la differenziazione della personalità. I sensi di colpa e la vergogna per un verso e le rabbie e le fantasie di vendetta per un altro sono le emozioni costantemente in gioco nelle esperienze di disagio psichico. Ghezzani documenta quest'aspetto in maniera inconfutabile. La specificità e la qualità del libro non sta però nel resoconto delle esperienze cliniche, bensì nel numero di problemi che, a partire da esse, vengono affrontati. Sarebbe vano tentare di enumerare tali problemi e l'analisi che ne viene fornita. Cercherò dunque di raccoglierli in arre tematiche. Una prima area tematica concerne la critica dell'ideologia organicistica per un verso e della psicoanalisi ortodossa per un altro. L'ideologia organicistica ha la funzione di azzerare ogni riferimento alle influenze ambientali e di ricondurre univocamente il disagio psichico a fattori genetici che producono un disadattamento. Incisiva a riguardo è l'analisi demistificante di Ghezzani del disturbo cerebrale minimo e dell'HDHD, che ormai egemonizza le diagnosi statunitensi dei comportamenti disturbati infantili. L'ideologia psicoanalitica rimane essa stessa, paradossalmente, preda di un pregiudizio genetico nella misura in cui non riesce ad affrancarsi dal riferimento ad un'aggressività innata che sarebbe più spiccata nei soggetti che sviluppano un disagio psichico. Opportunamente Ghezzani, in più punti del libro, stigmatizza la confusione tra l'aggressività e la rabbia, la quale ultima può anche tradursi in comportamenti aggressivi, ma in sé e per sé è un'espressione di protesta incentrata sul senso di giustizia. E' dunque l'aspetto più specifico e differenziale della psiche umana rispetto a quella di altri animali. Se dovessi fare un rilievo a riguardo, rileverei che Ghezzani non fa cenno al fatto che il senso di giustizia innato negli esseri umani ha una configurazione originariamente astratta, che può essere pericolosa in sé e per sé. Essa, infatti, comportando il riferimento ad un mondo ideale che non coincide con il mondo storico, e associandosi nei bambini ad un'attribuzione agli adulti di una piena consapevolezza e intenzionalità, può esasperare la percezione delle contraddizioni reali, e mobilitare una rabbia che è fondata ma poco comprensiva. Un'altra area tematica concerne la natura umana, vale a dire la "materia prima" sulla quale si esercitano le pratiche educative per ricavarne un individuo e un cittadino. Questo tema viene affrontato da angolature diverse in più capitoli. Il dato di fondo è tratto dalla neurobiologia, che ha ormai messo in luce la plasticità della natura umana alle influenze ambientali come pure i limiti intrinseci ad essa. La plasticità è il fondamento dell'educabilità, della predisposizione dell'infante ad acquisire sistemi di valore e moduli di comportamento maturati attraverso l'esperienza storica. Secondo Ghezzani, la confusione culturale propria del nostro mondo eccede i limiti della plasticità adattiva, dando luogo ad un effetto paradossale: "Nella fase storica attuale, gli esseri umani adulti, impegnati nello sforzo di adattarsi al sistema sociale, danno chiari segni di essere giunti ad un punto critico, tanto da sviluppare numerose e gravi psicopatologie, trasgressioni e perversioni. Si rendono così sempre più inadatti alla conformità sociale, che pure nel mondo contemporaneo si riduce ad uno schema elementare: alla mera capacità di ricezione dei messaggi, di condivisione delle mete e infine di consumo. Per ovviare al grave stato d'incertezza e d'instabilità provocato dalla defezione di quote crescenti di popolazione adulta, si è individuata una nuova classe di "cittadini" perfetti, i bambini Essi sono divenuti di conseguenza il target (il "bersaglio", come si dice in gergo militare) di genitori, educatori e mass media impegnati nell'ossessiva replicazione e nella maniacale espansione della cultura dominante." (p. 38) Il problema è che tale cultura, sia per quanto concerne il peso dei valori religiosi, sia, soprattutto, per quanto concerne la pressione dei valori neoliberisti, è divenuta una cultura fondamentalista che, per un verso o per un altro, violenta la natura umana: in alcuni bambini e adolescenti promuove un orientamento perfezionistico morale, incentrato sull'altruismo radicale, che comporta le negazione dei bisogni individuali; in altri, enfatizza il diritto dell'individuo di espandere il suo io fino al limite dell'ipertrofia, del narcisismo e dell'indifferenza nei confronti del socius. Giustamente Ghezzani rileva che entrambi questi orientamenti alienano il significato della sensibilità sociale, il tratto più specifico della natura umana, che comporta nello stesso tempo, sia pure in forme diverse, la percezione della dignità e dei diritti individuali e, attraverso l'identificazione, l'attribuzione della stessa dignità e degli stessi diritti all'altro. In questa ottica, i soggetti infantili e adolescenziali più esposti al rischio di sviluppare un disagio psichico sono coloro dotati della maggiore sensibilità, quindi sulla carta i migliori, vale dire gli introversi: "I bambini introversi sono appartati e silenziosi, mentre la scolarizzazione e, non di rado, le stesse famiglie risiedono e impongono disponibiltà continua alla relazione sociale e il valore assoluto della comunicatività. Sono sensibili e rfilessivi, mentre il mondo scolare e quello sociale in genere sponsorizzano personalità ompetitive, orientate al successo e, dunque, adattate ai valori di forza e d'insensibilità propri della "casta dominante". Sono fantasiosi ("distratto"), quindi disadattati rispetto ad un mondo sociale che esige pragmatismo e risultati rapidi e efficaci. Non è artificioso dedurre da ciò che il bambino introverso sia oggetto di una vera e propria discriminazione quando a non addirittura di una persecuzione." (p. 101) Se questo è vero, non c'è da sorprendersi che essi, più di tutti gli altri, giunti all'adolescenza corrano il rischio di implodere o di esplodere. Un'altra area tematica importante, complementare alle prime due, è quella della critica sociale. Da questo punto di vista, nel libro non si dà nulla di nuovo rispetto alla tradizione di una sociologia o psicosociologia critica che, ancora oggi, riconosce come suo punto di riferimento la scuola di Francoforte (e, attraverso questa, Marx). E' rilevante però l'impegno di aggiornare quella critica in rapporto agli sviluppi della storia contemporanea e, in particolare, alla deriva della società occidentale sotto la spinta dell'ideologia neoliberista, i cui codici culturali (adultomorfo, claustrofobico, rupofobico, anestetico) sono univocamente patogeni. 3. Se dovessi criticare un'opera nella quale sarebbe difficile non riconoscere una matrice di idee comuni che Ghezzani elabora e approfondisce per conto proprio, mi verrebbe solo da dire che essa, forse, è troppo pessimistica. Per quanto il giudizio sullo stato di cose esistente nel mondo, in questa fase storica, non possa essere che negativo nella misura in cui - economicamente, politicamente e culturalmente - esso è dominato da valori neoliberisti che sono alienanti e disumani, occorre pur sempre considerare che di una fase storica si tratta. Il criterio per cui non si dà nessuna esperienza umana, per quanto negativa, che sia solo tale, va applicato a maggior ragione ai fenomeni storici e culturali. I valori neoliberisti rappresentano l'espressione estrema della rivolta individuale, nata con la Rivoluzione francese, contro un'oppressione secolare esercitata dal gruppo e dalle gerarchie politiche e religiose: sono insomma l'espressione di un bisogno d'individuazione lungamente frustrato, che solo lentamente ha trovato modo di affiorare e di essere riconosciuto. Certo, il radicalismo che essi hanno assunto nella nostra società negli ultimi venti anni è paradossale nella misura in cui i diritti dell'individuo si pongono contro o in opposizione all'appartenenza comunitaria. Questo non solo toglie ad essi il significato rivoluzionario che avevano agli esordi (laddove rappresentavano il fondamento dell'ugualitarismo e della fraternità), ma rischia di alimentare un individualismo ridicolo: mutilato della socialità cui esso attinge e rattrappito in uno sterile egocentrismo. Anziché intravedere nel neoliberismo il complotto di una minoranza privilegiata contro l'umanità, è più opportuno considerare che esso attesta la difficoltà, comune alla cultura non meno che alla psicologia individuale, di trascendere il principio dell'antitesi costitutivo della psiche umana nei suoi aspetti più profondi. Se questo è vero, non c'è da dubitare che i valori neoliberali daranno luogo ad una fluttuazione di segno opposto, finché (quando è difficile dirlo) si arriverà ad un'integrazione dialettica tra comunitarismo e individualismo. Il problema per chi analizza i fatti umani, compresi quelli psicopatologici, in un'ottica storica è di capire perché la soluzione intrinseca, depositata nella natura umana sotto forma di un bisogno di appartenenza e di un bisogno d'individuazione, stenti a realizzarsi. Per quanto inquietante, questo problema non deve portare ad un cupo pessimismo. Non stento a capire lo stato d'animo del dottor Ghezzani. Il contatto continuo con la sofferenza sterile e gli inutili sacrifici che la società impone ai suoi esseri migliori, a partire dall'infanzia, può produrre una gamma di emozioni che va dall'indignazione all'esasperazione. Nell'analisi dei fatti storici e psicosociologici però bisogna, se non bandire, mettere da parte queste emozioni, e chiedersi semplicemente perché le cose stanno come stanno e non come potrebbero o dovrebbero essere. La risposta è che l'umanità avanza per tentativi ed errori: sia gli uni che gli altri hanno senso, anche se, riguardo ai secondi, è amaro constatarlo. Un mondo fatto a misura d'uomo, quando verrà fuori, risulterà inesorabilmente costruito al prezzo di un numero indefinito di vittime. Maggio 2004 |