F. NIETZSCHE

LA MIA VITA. SCRITTI AUTOBIOGRAFICI 1856 - 1869

Adelphi, Milano 1977

1.

Quale peso si può assegnare alla biografia nell'analisi dell'opera di grandi autori? I pareri a riguardo sono controversi. C'è chi sostiene che l'opera ha un'oggettività che prescinde dalle vicissitudini biografiche, e tutt'al più richiede una conoscenza approfondita del contesto storico-culturale all'interno del quale essa è stata prodotta. Qualcun altro sostiene che, anche se l'opera non può essere spiegata a partire dalla biografia e dalla storia interiore dell'autore, essa ne è inesorabilmente influenzata e in qualche misura la riflette. probabilmente ci si approssima di più alla verità ipotizzando che l'oggettività dell'opera e la soggettività dell'autore sono due variabili che vanno considerate entrambe, ma il cui peso non è lo stesso. In alcuni autori l'oggettività dell'opera sembra avere un correlato piuttosto esiguo con le vicissitudini soggettive; in altri, un correlato piuttosto denso.

L'opera di Nietzsche, a mio avviso, rientra in quest'ultima categoria. Una prova a riguardo è fornita dagli scritti autobiografici in questione che prendono avvio quando Nietzsche dodicenne avverte l'esigenza di "affidare alla memoria tutto ciò che di triste o di lieto colpisce" (p. 3) il suo cuore e si concludono quando egli, venticinquenne, viene congedato dal servizio militare, in seguito ad una caduta da cavallo e può tornare agli studi letterari e filosofici che ormai assorbono totalmente il suo interesse.

In questo intervallo di tempo, per quanto eterogenei, gli scritti autobiografici testimoniano un cambiamento radicale della visione del mondo: l'abbandono di una fede religiosa vissuta e praticata per alcuni anni con intensa partecipazione e l'apertura alla ricerca di una verità affrancata dal dogma, dalla superstizione, dal luogo comune, dalla consolazione dei buoni principi. Nella misura in cui quest'apertura, destinata ad arrivare all'identificazione con l'Anticristo, segna tutta l'opera di Nietzsche, è difficile sottovalutarla.

L'adesione partecipe alla religione non è solo, come Nietzsche penserà all'epoca dell'abiura, un condizionamento culturale. Di certo la sua famiglia è religiosa: il padre, che verrà meno quando egli ha quattro anni, è un pastore protestante. La madre, la sorella, la nonna paterna e le due zie con le quali Nietzsche trascorre l'infanzia sono religiose, per quanto in un modo tradizionale che egli giudicherà sempre mediocre. L'apertura alla religione, come quella alla cultura e alla natura, è determinata anche da un tasso d'introversione che si manifesta precocemente. Il quattordicenne Nietzsche scrive: "Alla mia giovane età avevo già sperimentato molto dolore e tanti affanni, e non ero vivace e sfrenato come sono di solito i ragazzi. I miei compagni solevano canzonarmi per questa mia gravità. ma ciò non accade solo alla scuola elementare, no, anche inseguito, all'istituto e perfino al liceo. fin da bambino io ricercavo la solitudine, e mi ritrovavo meglio là dove potevo abbandonarmi indisturbato a me stesso" (p. 15). l'abbandono concerne la natura, con la quale Nietzsche stabilisce un legame intimo destinato a durare per sempre, la poesia, la musica e per l'appunto la religione.

Nonostante il livello d'istruzione religiosa sia "miserando" (p. 57), la religione, come accade spesso agli esseri introversi, penetra profondamente nell'anima di Nietzsche. A quattordici anni scrive: "Ho vissuto tante esperienze, lieti e tristi, che mi hanno rasserenato e afflitto, ma in ogni cosa Iddio mi ha guidato sicuro, come un padre il suo debole fanciullino. parecchi dolori Egli mi ha inflitto, ma ovunque riconosco con venerazione la Sua maestà, che sovranamente manda ogni cosa ad effetto. Ho preso nel mio intimo la salda decisione di dedicarmi per sempre al Suo servizio. Il buon Dio mi conceda la forza necessaria al mio progetto e mi protegga lungo il cammino. io mi affido come un bimbo alla Sua grazia: Egli ci guarderà tutti quanti, perché nessuna sciagura venga a turbarci. ma sia fatta la Sua volontà! Tutto ciò che mi assegnerà lo accoglierò con gioia, fortuna e sventura, ricchezza e povertà, e guarderò arditamente in faccia alla morte, che un giorno ci raccoglierà tutti nella gioia e nella beatitudine sempiterna. Sì, mio Signore, fa che il Tuo volto risplenda sopra di noi in eterno. Amen!" (p. 39).

la religiosità di Nietzsche assume addirittura una valenza mistica. Egli scrive a quindici anni: "Io contemplo sempre in spirito l'infinito Tutto; quant'è mirabile e sublime la terra, quant'è grande, tanto che nessun uomo può conoscerla per intero; ma che cosa provo quando vedo le innumerevoli stelle e il sole, e chi mi garantisce che questa immensa volta celeste con tutte le sue costellazioni non sia che una piccola parte dell'universo, e dove ha fine quest'universo? E noi, uomini miserevoli, vogliamo comprendere il creatore, noi che non riusciamo neppure a concepire le sue opere!" (p. 56).

L'apertura mistica all'infinito coincide anche con una sete insaziabile di sapere. Ancora a quindici anni, Nietzsche stila un elenco degli interessi che sente il bisogno di coltivare. C'è di tutto: geologia, botanica, astronomia, musica, poesia, pittura, architettura, mitologia, letteratura, lingue. Ma "sopra ogni altra cosa la Religione, baluardo di ogni sapere" (p. 81).

A 17 anni, Nietzsche s'imbatte nel problema del caso e del fato, vale a dire delle circostanze favorevoli o sfavorevoli di vita che, non corrispondendo che raramente ai meriti e ai demeriti, hanno rappresentato sempre un problema imbarazzante per la religione. All'epoca, egli non nutre alcun dubbio sull'"innato impulso dell'uomo verso il bene" (p. 97) e sulla Provvidenza divina: "Solo a un Essere buono, e precisamente ad un principio di bontà, può ricondursi la ripartizione dei destini, e noi non dobbiamo tentare temerariamente di sollevare il velo che avvolge il potere che guida le nostre sorti... Ciò che accade non accade a caso, un Essere superiore governa secondo ragione e criterio tutto quanto il creato" (pp. 98 - 99).

Il problema però si è posto e, nel giro di pochi mesi, dà luogo ad un cambiamento radicale della visione del mondo. Il cambiamento è affidato all'abbozzo di un saggio su Fato e storia, che merita una citazione:
"Se potessimo guardare con occhio libero e spregiudicato alla dottrina cristiana e alla storia della chiesa, non potremmo non enunciare certe opinioni contrarie alle idee generali. Ma così, costretti come siamo fin dai primi giorni della nostra vita nel giogo dell'abitudine e dei pregiudizi, impediti nello sviluppo naturale del nostro spirito e determinati nella formazione del nostro temperamento dalle impressioni dell'infanzia, crediamo di dovere considerare quasi come un delitto la scelta di un più libero punto di vista, che potrebbe permetterci di pronunziare un giudizio imparziale e adeguato ai tempi sulla religione e sul cristianesimo. Un tentativo del genere non è l'opera di qualche settimana bensì di una vita...

Quante volte tutta la nostra filosofia passata mi è sembrata una torre di Babele: attingere al cielo è la meta di tutte le grandi aspirazioni; il regno dei cieli in terra significa quasi la stessa cosa.

Una sconfinata confusione intellettuale nel popolo è il desolante risultato; grandi sconvolgimenti sono imminenti, una volta che la massa abbia capito che l'intero cristianesimo si fonda su ipotesi: l'esistenza di Dio, l'immortalità, l'autorità della Bibbia, l'ispirazione e altre cose rimarranno sempre problematiche. Io ho cercato di negare tutto; ahimè, abbattere è facile, ma costruire! E persino l'abbattere sembra più facile di quanto non sia; noi siamo a tal punto determinati nel nostro intimo dalle impressioni dell'infanzia, dall'influsso dei genitori, dall'educazione, che quei pregiudizi così profondamente radicati non si lasciano facilmente estirpare con argomenti razionali o con la mera volontà. La forza dell'abitudine, il bisogno di qualcosa di superiore, la rottura con tutto l'esistente, la dissoluzione di tutte le forme della società, il dubbio che l'umanità per duemila anni si sia lasciata indurre in errore da una chimera, il senso della propria presunzione e temerarietà: tutto ciò determina un conflitto senza esito, finchè da ultimo esperienze dolorose e tristi eventi riconducono il cuor nostro all'antica fede dell'infanzia." (pp. 109 -110).

Lo scetticismo religioso non elimina, d'altro canto, i problemi che la religione ha tentato di risolvere: qual è il senso dell'universo, della storia, del fato e dell'individuo? A problemi del genere, è chiaro che un ragazzo di 18 anni, sia pure geniale, non può dare risposte esaurienti. Cè già però tutto Nietzsche nella rivendicazione del valore dell'individualità e della volontà libera: "Nella libertà della volontà si trova per l'individuo il principio della separazione, del distacco dalla totalità, della assoluta illimitatezza; ma il fato rimette l'uomo in collegamento organico con lo sviluppo complessivo e lo costringe, in quanto cerca di dominarlo, ad un libero sviluppo di energia che si oppone al fato; la libertà assoluta della volontà senza il fato farebbe dell'uomo Dio, il principio fatalistico lo ridurrebbe ad una automa" (p.117). E ancora tutto Nietzsche c'è in un pensiero del novembre 1862: "Essere indulgente verso gli altri, tutt'al più compiangerli, non arrabbiarsi a causa loro, non entusiasmarsi per chicchessia, ma considerare tutti solo come esistenti per noi, per servire ai nostri fini. chi sa meglio dominare, sarà sempre anche il miglior conoscitore degli uomini. ogni azione imposta dalla necessità è giustificata, ed è necessaria ogni azione che sia utile. Immorale è ogni azione che procuri senza necessità danno e dolore agli altri... Tutte le nostre azioni possono essere: solo conseguenze dei nostri istinti senza la ragione, della nostra ragione senza gli istinti e della nostra ragione e dei nostri istinti insieme" (p.130).

2.

Il grassetto, mio, non è casuale. Anche se il travaglio del distacco dalla religione non è restituito dagli scritti autobiografici, esso deve essere stato direttamente proporzionale all'intensità con cui Nietzsche ha interiorizzato e fatte proprie le influenze educative. L'intensità di tale travaglio è attestata indirettamente dalla consapevolezza ch'egli ha della suggestionabilità e della plasticità della mente infantile in rapporto a quelle influenze.

Ciò che Nietzsche non sa è che i cambiamenti adolescenziali della visione del mondo, se avvengono troppo repentinamente, attestano solo il potere che l'io cosciente ha di scegliere un diverso sistema di valori rispetto a quello preesistente, il quale può andare incontro ad una repressione in seguito alla quale continua a funzionare a livello inconscio. Da questo punto di vista, tutto il pensiero di Nietzsche nelle sue linee di fondo può essere ricondotto ad uno strenuo tentativo di criticare, ribaltare, estirpare i valori religiosi depositati a livello inconscio. Animato da uno spirito critico assolutamente geniale, sotteso da un Io antitetico radicale, quel tentativo ha prodotto effetti paradossali. L'uno, positivo, è il contributo rivoluzionario che Nietzsche ha dato alla cultura, elevando l'uomo a misura di tutte le cose e avallando un laicismo che non deve arretrare di fronte a nessuna verità, per quanto sgradevole. La trasmutazione di tutti i valori che egli ha promosso conserva ancora oggi un grande significato, a patto che essa sia intesa come un momento dialettico di antitesi al di là del quale si dà la necessità di una sintesi.

L'effetto negativo è stato di ordine psicopatologico. Non è un caso che Nietzsche sia crollato psichicamente dopo avere scritto L'Anticristo, vale a dire una delle più violente contestazioni del pensiero cristiano che siano mai state scritte. Psicodinamicamente, non è per nulla azzardato pensare che si sia trattato di un crollo dovuto a sensi di colpa inconsci. E' noto infatti da tempo in analisi che un Super-Io impregnato di valori religiosi, per quanto rimosso, mantiene un potere terribile di colpevolizzazione. Il fato insomma è stato più forte della libera volontà.

Su questa tematica mi riprometto di tornare dopo l'analisi delle opere del Nietzsche maturo.