INTRODUZIONE A B. RUSSELl

1.

La biografia di Russell, estesa lungo l'arco di quasi un un secolo, è una straordinaria testimonianza di fedeltà al libero pensiero e al potere critico della ragione.

Nato nel 1882 nel Galles, da una famiglia nobile, puritana ma di orientamento liberale, Russell si affranca a quindici anni dalla fede religiosa in virtù di una critica razionale dei principi teologici. A diciotto anni avvia gli studi di Matematica e di Filosofia, che lo orientano verso la Logica. Sviluppa contemporaneamente un vivo interesse per le problematiche sociali e politiche. Di principi liberali ma progressista - un socialista liberale ante litteram - Russell soggiorna in Germania nel 1895, per studiare la socialdemocrazia tedesca. Ai primi del '900, aderisce al movimento pacifista che diverrà, negli anni della prima guerra mondiale, la sua bandiera politica. Per il suo vigoroso rifiuto del nazionalismo e del bellicismo, viena allontanato dall'insegnamento e incarcerato per alcuni mesi nel 1918.

Nel 1920-21 visita l'Unione Sovietica e rimane negativamente colpito dal regime dittatoriale. Quest'esperienza si tradurrà in una critica radicale nei confronti del comunismo.

All'avvento del nazismo, Russell si schiera immediatamente nelle file degli antihitleriani, giudicando i nazisti "odiosi moralmente e intellettualmente". Nonostante l'orientamento pacifista, egli ritiene necessaria la seconda guerra mondiale contro la barbarie hitleriana. Negli anni di guerra, soggiorna negli Stati Uniti, ove però, nonostante l'apprezzamento di alcuni intellettuali, si scontra contro la componente oscurantista della società americana, che, in conseguenza delle sue prese di posizione sul matrimonio e sulla sessualità, gli impedisce l'insegnamento accademico accusandolo di essere un "corruttore" dei costumi.

Ciononostante, al ritorno in patria mantiene per alcuni anni un orientamento filo-americano, in chiara contrapposizione all'Unione Sovietica.

Nel 1950 viene insignito del premio Nobel per la letteratura.

Gli sperimenti atomici statunitensi, la "caccia alle streghe" maccartista, la condanna a morte dei coniugi Rosemberg lo inducono però ad assumere un atteggiamento fortemente critico nei confronti degli Stati Uniti. Il suo atteggiamento pacifista si radicalizza. Nel 1961 viene condannato a due mesi per disobbedienza civile; nel 1963 abbandona il Labour Party, non condividendone più l'orientamento filoamericano. Nonostante l'età, si definisce un "ribelle" non disposto "ad accettare con pazienza e remissività le ingiustizie e le violenze del mondo".

Nel 1966 dà vita al Tribunale contro i crimini di guerra americani in Vietnam. Per questo impegno, diventa una delle figure di riferimento del movimento sessantottino.

A tarda età, ancora estremamente combattivo e lucido, denuncia la politica di forza dello Stato ebraico, sostenendo che le atrocità subite dagli ebrei sotto il nazismo non giustificano i nuovi terrori.

Muore, contestato dall'establishment e osannato dalle nuove generazioni, nel 1970.

La bibliografia di Russell è vastissima. Oltre alle opere di logica matematica (Principia mathematica, Introduzione alla filosofia matematica), occorre ricordare una Storia della filosofia occidentale e dei suoi rapporti con le vicende politiche e sociali dall'antichità ad oggi (Longanesi, Milano 1966), l'Autobiografia (Longanesi, Milano 1969) e una serie di saggi di scienza, epistemologia, etica, politica, religione (L'ABC della relatività, La conoscenza del mondo esterno, Autorità e individuo, La conquista della felicità, Elogio dell'ozio, Le idee politiche, Matrimonio e morale, Misticismo e logica, Perchè non sono cristiano, Una filosofia per il nostro tempo) ristampati di recente da TEA, Milano.

2.

Tra i filosofi del '900, Bertrand Russell non è certo tra i maggiori per profondità di pensiero. Se si fa eccezione per le ricerche sulla logica, ambito in cui ha riversato le sue competenze matematiche, peraltro senza arrivare a risultati adeguati agli intenti originari di logicizzazione formale della matematica, è difficile collocare Russell in una corrente filosofica. Pensatore eclettico, dichiaratamente razionalista,, ma animato da un orientamento umanitaristico che valorizza anche i sentimenti, contrario ad ogni dogmatismo, egli si è concesso scorribande in tutti gli ambiti del sapere con l'obbiettivo esplicito di esercitare uno spirito critico "illuministico" a tutto campo. La sua opera eterogenea soffre dei limiti propri di ogni pensiero eclettico: a intuizioni profonde e stimolanti corrispondono non di rado divagazioni e argomentazioni non del tutto convincenti.

Cionondimeno, Russel ha esercitato, e, per alcuni aspetti, continua ad esercitare un'influenza profonda sull'opinione pubblica. I suoi libri divulgativi sono di continuo ristampati. La conquista della felicità è, forse per il suo titolo suggestivo, ancora un best-seller.

L'influenza di Russel si spiega tenendo conto del ruolo da lui assunto di filosofo calato nella realtà del suo tempo. A differenza però di altri filosofi impegnati, per esempio di Sartre, egli, anziché schierarsi tra i due blocchi della guerra fredda, ha sempre coltivato e mantenuto un'autonomia di giudizio, prendendo posizione, da laico illuminato, contro l'etica cattolica, il comunismo e, infine, il modello capitalistico e l'imperialismo degli Stati Uniti, vale a dire contro le tre grandi ideologie che colonizzavano popoli e coscienze alla sua epoca. Ha assolto, in breve, con estrema coerenza il ruolo del libero pensatore, che risponde alla propria coscienza prima e più che a qualsivolgia tradizione e ideologia. Per questo, egli è stato definito giustamente il Voltaire del XX secolo, anche se egli avrebbe presumibilmente gradito maggiormente di essere paragonati a Socrate. Di fatto, se il suo spirito critico è volteriano, il coraggio di sfidare, anche temerariamente, il potere è socratico.

La razionalità, affinata dagli studi di matematica superiore, è stato il riferimento costante del pensiero di Russell. A differenza di altri razionalisti, però, egli non ha mai ignorato le ragioni del cuore. Questo ha significato due cose: in primo luogo, attribuire all'uomo una vocazione alla socialità e alla solidarietà supportata da un naturale senso di giustizia, anche se ostacolata, ma non ineluttabilmente dalle passioni e dalle debolezze umane; in secondo luogo, riconoscere nel bisogno di felicità un'aspirazione primaria e irrinunciabile degli esseri umani, che non potrà essere appagata se non da un'ulteriore evoluzione storica verso una società più equa e solidale.

Razionalistico e umanitaristico, il messaggio di Russell, che riscuote ancora successo presso il pubblico, non è ormai molto apprezzato dagli intellettuali: da quelli di destra perché ritenuto ancora troppo radicale, da quelli di sinistra per il suo culto dei valori liberali. Si danno però anche altre ragioni, legate all'evoluzione storica.

I costumi e l'etica, soprattutto per quanto riguarda il matrimonio e la sessualità, sono profondamente cambiati. La rivoluzione preconizzata da Russell si è, almeno per alcuni aspetti, realizzata. Da questo punto di vista, le sue critiche al puritanesimo e all'ipocrisia borghese sembrano datate semplicemente perché sono state recepite. E' noto che quando principi sostenuti contro la corrente della cultura dominante vengono a fare parte di un nuovo senso comune, facilmente ci si dimentica dei prezzi pagati dai precursori.

Il comunismo sovietico, denunciato con vigore da Russell fin dal 1920, è tramontato, e pochi gli riconoscono un ruolo nell'avere anticipato questo tramonto.

Per quanto riguarda la religione e il capitalismo, che sono stati obbiettivi costanti della critica di Russell, il discorso è diverso.

Oggi nessuno più osa attaccare la teologia del Cristianesimo con il vigore e l'asprezza del pensatore gallese e accusarla di oscurantismo e di disumanità. Ciò, nonostante le posizioni ufficiali della Chiesa in materia di sessualità siano le stesse che Russell ha denunciato e provochino disastri soprattuttoa livello demografico. Il laicismo, in gran parte per motivi opportunistici, ha sancito con la Chiesa un patto di non belligeranza, riconoscendo il ruolo civilizzatore che essa ha svolto soprattutto nei paesi occidentali. Russell non ha mai negato questo ruolo: ha sempre sottolineato però i prezzi che, in termini di alienazione, esso è costato. Il tempo è destinato a dargli presumibilmente ragione.

Mutatis mutandis, lo stesso discorso vale per il capitalismo e per gli Stati Uniti. Russell, all'epoca, nonostante la sua fiera avversione nei confronti del comunismo, fu accusato di antiamericanismo: accusa che comportava un sospetto nei confronti della sua scelta di campo. Le sue critiche in realtà muovevano dal culto dei valori più elevati della civiltà occidentale: la razionalità, l'equità, il rifiuto della legge del più forte. E' probabile che, se fosse ancora vivo, Russell quelle critiche le muoverebbe ancora. Molti, come allora, stenterebbero a capire che la difesa di una civiltà, posto che questa non voglia porsi come stadio ultimo dell'evoluzione culturale, sociale e politica, postula una capacità di critica radicale.

 Dicembre 2003