Introduzione alla lettura di Luigi Anepeta

 

Nel secondo volume c'è l'eco dell'impresa cui Basaglia ha dedicato la sua vita: la critica teorico-pratica dell'istituzione manicomiale (e della pseudoscienza che l'ha fondata e gestita), che giunge a promuoverne l'umanizzazione, lo smantellamento, la ristrutturazione sotto forma di comunità e, infine, l'abolizione per legge.

Con questa impresa, realizzata in un arco di tempo piuttosto ristretto, Basaglia entra a pieno titolo nella storia della Psichiatria, concludendo la parabola avviata da Pinel con la liberazione dei malati di mente dalle catene e l'avvio del trattamento morale, sostanzialmente umanitaristico per quanto repressivo.

Basaglia va molto al di là di Pinel. La lotta contro l'istituzione manicomiale non è solo la rivendicazione dei diritti dei pazienti in quanto persone. Essa si configura abbastanza rapidamente come una contestazione radicale del rapporto tra normalità e follia sulla base di un'analisi sociopolitica a forte impronta marxista, che assume la follia come un prodotto di scarto dello sviluppo del capitalismo, il quale viene riciclato istituzionalmente per ricavarne un utile.

C'è indubbiamente del vero in questa impostazione. Basta tenere conto a riguardo dell'affanno con cui le industrie farmaceutiche tendono a promuovere un'assistenza psichiatrica fondata sulla somministrazione a vita ai pazienti gravi di una miscela di farmaci il cui costo medio quotidiano è di circa dieci euro per capire che questo progetto tende a trasformare una quota del 2-3% della popolazione (pazienti diagnosticati schizofrenici o affetti da disturbo bipolare), che è spesso invalidata lavorativamente, in una fonte di profitti che non ha confronto in alcun altro ambito della medicina.

La riduzione dei pazienti a meri consumatori di farmaci rientra a pieno titolo nei processi di mercificazione posti in luce da Marx.

Se il riciclaggio capitalistico dei malati di mente è indubbio, è pur vero che esso si realizza sulla base di esperienze umane che incappano in una diagnosi psichiatrica in conseguenza di uno o più comportamenti percepiti socialmente come strani. La psichiatria non entra in azione autonomamente, ma sulla base di uno screening normativo che avviene a livello sociale.

La denuncia basagliana della rozzezza della psichiatria nosografica, che utilizza con estrema disinvoltura la categoria normale/anormale, reificandola al fine di mantenere la normalità al riparo da ogni critica demistificante, è del tutto valida. Non c'è dubbio, peraltro, sul fatto che, nel nostro contesto storico-culturale, il modello di normalità è da ricondurre a quello che Fromm ha definito l'uomo mercantile, capace cioè, non solo sul piano economico, ma su quello più ampio dell'interazione sociale, di vendere se stesso e di competere egoisticamente con gli altri.

Il contesto capitalistico sicuramente concorre a definire quella che Basaglia chiama la faccia sociale del disagio psichico, vale a dire il suo essere definito e gestito sulla base della reificazione della normalità, di cui rappresenta un'implicita e inconsapevole contestazione.

La faccia sociale del disagio psichico è quella che sovrappone ai sintomi psicopatologici una pratica assistenziale repressiva, oggettivante e disumana che ne produce di solito l'aggravamento. L'aspetto sociologico del disagio, al di fuori del contesto manicomiale, è agevolmente riconducibile, al di là dell'intervento psichiatrico, a processi di emarginazione, isolamento, ecc. dovuti spontaneamente all'incidenza dei codici di normalizzazione.

Il discorso di Basaglia diventa pregnante, e al tempo stesso contestabile nel momento in cui egli, recuperando dalla sua originaria cultura fenomenologica il concetto di epoché, afferma che la faccia sociale del disagio è l'unica che conosciamo, l'unica contro cui si può e si deve lottare, mettendo tra parentesi ogni discorso teorico su cosa sia il disagio psichico in sé e per sé.

Egli scrive in Istituzioni della violenza e le istituzioni della tolleranza:

“In realtà noi tuttora non sappiamo nulla della malattia mentale. Le ipotesi sulla sua genesi sono rimaste ipotesi non verificate, così come non è verificata l'ultima interpretazione che se ne fa di tipo sociologico. Ciò che sappiamo è che abbiamo a che fare con dei malati e che siamo costantemente tentati di coprire la contraddizione che essi rappresentano ai nostri occhi, con un'ideologia per cercarne la soluzione. Ma ogni nuova ideologia non fa che ripetere il medesimo meccanismo: nasce come ipotesi da verificarsi e si tramuta in una definizione di carattere assoluto che chiude ogni contraddizione e ogni possibilità di sviluppo e di comprensione ulteriore.”

Basaglia è consapevole che, con affermazioni del genere, si espone al rischio di essere identificato come colui che nega l'esistenza della malattia mentale, e risponde alla critica, ne La maggiornza deviante, in questi termini:

“Nessuno sostiene che la malattia mentale non esiste, ma la vera astrazione non è nella malattia cosi come può manifestarsi, ma nei concetti scientifici che la definiscono senza farvi fronte come fatto reale. Che cosa significa schizofrenia, psicopatia o devianza, se non l'assolutizzazione di una nostra mancata comprensione della contraddizione che siamo noi e che è la malattia? Che cosa sono le definizioni se non il tentativo di risolvere in concetti astratti queste contraddizioni, che si riducono soltanto a merce, etichetta, nome, giudizio di valore che serve a confermare una differenza?”

In poi aggiunge:

“Se si vuole affrontare il problema della marginalità e della devianza dobbiamo affrontarlo in rapporto alla struttura sociale, alla divisione innaturale sulla quale tale struttura si fonda e non come fenomeni isolati che si pretende di far passare quali semplici anomalie individuali, cui una certa percentuale della popolazione ha la sfortuna di essere soggetta.

Questo non significa che non esista la malattia mentale e non esista la devianza: cioè che non esista il diverso come fenomeno umano e che la trasformazione dell'assetto sociale sia sufficiente a cancellarlo. Il problema sta proprio nell'incorporazione di questo concetto: la necessità di cancellare il diverso come se la vita non lo contenesse e quindi la necessità di eliminare tutto ciò che può incrinare la falsa acontraddittorietà di questa facciata tersa e pulita, dove tutto andrebbe bene se non ci fossero le pecore nere.”

Infine, in Crimini di pace scrive:

“Ciò che deve mutare per poter trasformare praticamente le istituzioni e i servizi psichiatrici (come del resto tutte le istituzioni sociali) è il rapporto fra cittadino e società, nel quale si inserisce il rapporto fra salute e malattia. Cioè riconoscere come primo atto che la strategia, la finalità prima di ogni azione è l'uomo (non l'uomo astratto, ma tutti gli uomini), i suoi bisogni, la sua vita, all'interno di una collettività che si trasforma per raggiungere la soddisfazione di questi bisogni e la realizzazione di questa vita per tutti. Ciò significa capire che il valore dell'uomo, sano o malato, va oltre il valore della salute o della malattia; che la malattia, come ogni altra contraddizione umana, può essere usata come strumento di appropriazione o di alienazione di sé, quindi come strumento di liberazione o di dominio; che ciò che determina il significato e l'evoluzione di ogni azione è il valore che si riconosce all'uomo e l'uso che si vuol farne, da cui si deduce l'uso che si farà della sua salute e della sua malattia; che in base al diverso valore e uso dell'uomo, salute e malattia acquistano o un valore assoluto (l'una positivo, l'altra negativo) come espressione dell'inclusione del sano e dell'esclusione del malato dalla norma; o un valore relativo, in quanto avvenimenti, esperienze, contraddizioni della vita che si svolge tra salute e malattia. Quando il valore è l'uomo, la salute non può rappresentare la norma se la condizione umana è di essere costantemente fra salute e malattia.”

Dietro queste affermazioni c'è una ben identificabile visione del mondo e della vita. L'uomo è un essere contraddittorio, sempre in bilico tra salute e malattia. La malattia identificata dagli psichiatri è semplicemente l'espressione delle contraddizioni umane quando esse non sono compatibili con la normalità che pretende di reprimerle e celarle.

Ma quali sono, infine, le contraddizioni che fanno affiorare un disagio psichico conclamato? A riguardo, le opere basagliane sono praticamente mute. Il termine contraddizioni è di chiara matrice marxiana, ma mentre a livello socio-economico esso è facilmente definibile (per esempio sotto forma di una promessa ugualitaristica che il sistema capitalistico fa, non può realizzare), a livello psico-sociologico e psicologico, la sua pregnanza è molto meno attendibile.

Basaglia peraltro tende ad escludere che esso sia immeditamente sovrapponibile al concetto di conflitto psicodinamico sia nella sua versione lainghiana che in quella psicoanalitica tradizionale.

In Crimini di pace, egli scrive riguardo a Laing:

“Se si vuole trasformare la realtà - e la realtà di cui disponiamo è questa e solo questa - resta sempre il problema della contemporanea trasformazione di noi stessi, e il discorso vale ovviamente per tutti. Ma la trasformazione dell'uomo è la più difficile, impregnati come siamo di una cultura che ci porta a chiudere ogni contraddizione - comprese le nostre, individuali - attraverso la razionalizzazione e il rifugio nell'ideologia che ne enfatizza e ne prende in considerazione un solo polo.

In questi ultimi anni, ci siamo trovati ad agire su piani diversi e insieme analoghi, con Ronald Laing - entrambi impegnati, se pur con modalità e con strumenti diversi, in una lotta concreta per questa trasformazione.

La pratica e la teoria di Laing tendono a mettere a fuoco e a privilegiare - pur mantenendo presenti gli altri piani del discorso - il momento della trasformazione soggettiva; così come noi tendiamo a privilegiare, pur mantenendo presenti gli altri piani del discorso, quello della trasformazione sociale. La pratica e la teoria di Laing tendono cioè a smuovere dall'interno l'inerzia dell'uomo, nel rapporto con se stesso e con l'altro; così come noi tendiamo a smuovere, attraverso la nostra azione in uno specifico particolare, l'inerzia del mondo sociale.

Ma privilegiare non deve significare assolutizzare, perché questi due momenti - il soggettivo e il sociale - sono due facce di una sola realtà, dato che nell'uomo esse coesistono e da esse egli è contemporaneamente determinato.”

Ancora in Crimini di pace, egli poi squalifica in questi termini la psicoanalisi e la psicoterpia dinamica:

“Per quanto riguarda la malattia, psicoterapia e psicoanalisi sono le branche della scienza che si mettono a disposizione del malato che vi può accedere, alla ricerca delle motivazioni inconsce del suo comportamento anomalo. Non lo si accetta come naturale e irriducibile. In alcuni casi può anche rivelarsi tale, ma se ne indaga la storia, l'evoluzione, si approfondiscono i momenti del processo: si tenta quanto è possibile. Ma l'analisi dell'inconscio e le elaborazioni che ne conseguono sui complessi e sui conflitti, si muovono all'interno di una cultura e di un insieme di valori da cui proletariato e sottoproletariato non sono neppure sfiorati. Inoltre occorre la padronanza di un linguaggio cifrato a questi sconosciuto. Da noi, la piccola borghesia e il proletariato piccolo-borghese che tendono ai valori della borghesia, cominciano appena ad esserne intaccati, ma la stessa imposizione o incorporazione di questa cultura, estranea alla loro e estranea ai loro bisogni, non può che agire come ulteriore elemento di dominio, non certo come strumento di liberazione. Il fatto che un sottoproletario, ricoverato in manicomio, possa o meno presentare un complesso di Edipo irrisolto suona ridicolo anche ad un profano. Ma quali altre ricerche sulle motivazioni del comportamento anomalo vengono effettuate sui malati che popolano i nostri manicomi? Perchéi sintomi devianti dei borghesi dovrebbero avere giustificazioni e spiegazioni? Perché se ne indagano e chiariscono al paziente le motivazioni inconsce, mentre per gli internati dei manicomi - proletari e sottoproletari - la malattia continua ad essere un fenomeno naturale ed irriducibile e il malato viene automaticamente identificato nel suo sintomo? Come possiamo conoscerne le motivazioni profonde, se tutta la psichiatria manicomiale si fonda sulla destorificazione dell'individuo?”

L'epoché basagliana, inibendo ogni teorizzazione sui nessi tra storia sociale e soggettività individuale, ha prodotto disastri, vale a dire una pratica territoriale che, nell'attesa che la società produca un nuovo sapere sui problemi della salute e della malattia mentale, si attiene al verbo per cui l'assistenza ha come obiettivo primario indurre il paziente a vivere con la malattia e a tutelarlo da processi di istituzionalizzazione, isolamento e segregazione sociale.

Il problema è che non si vede come si possa convivere con un delirio persecutorio, una serie subentrante di episodi di eccitamento maniacale, con una psicosi ossessiva che impone di passare la vita ad eseguire rituali o anche solo con attacchi di panico che si ripetono ogni giorno.

Sarebbe ora di superare il tabù antiteorico basagliano, chiaramente rivolto verso la Psichiatria accademica.

Io ritengo che ciò sia possibile muovendo dal presupposto che la contraddizione fondamentale dell'essere umano è riconducibile alla sua doppia natura di animale radicalmente sociale dotato della sua consapevolezza di essere distinto da tutti gli altri. Questa contraddizione, poi, affonda le sue matrici nei due problemi universali presenti nello strato più profondo dell'essere umano: l'angoscia della solitudine e l'angoscia della sostanziale insignificanza dell'esperienza soggettiva. Lo sviluppo dell'essere sociale è l'unica risposta funzionale al primo problema e passa attraverso la logica dell'appartenenza. Lo sviluppo dell'individuo in ciò che esso ha di unico e irripetibile è la risposta funzionale al secondo problema, che implica la logica dell'individuazione.

Il conflitto tra queste due logiche può essere assunto come la matrice generale di tutti i disturbi psicopatologici, che hanno il loro fondamento nell'interazione tra un determinato corredo genetico e un determinato ambiente sociale e storico-culturale.

L'analisi dei conflitti, che passa attraverso la ricostruzione della vita interiore di un soggetto, può essere, per questa via, facilmente ricondotta ai codici di normalizzazione attivi in una determinata società, che, nella nostra, sono di sicuro attinenti il sistema capitalistico.

Non c'è alcuna incompatibilità tra la teoria psicodinamica struttural-dialettica e il marxismo; c'è, tra di essi, la possibilità di un reciproco arricchimento.

Basaglia non avrebbe mai accettato un'affermazione del genere. Ciò significa che anche i Mastri possono avere una loro macula cieca...