Presentazione a L'istituzione negata

In L'istituzione negata, Einaudi, Torino 1968

Il materiale raccolto in questo volume si presenta come un insieme di documenti e di appunti che vogliono essere l'espressione concreta di una realtà istituzionale in rovesciamento, con le contraddizioni in essa implicite.

La tinta polemica ed eversiva evidente nelle testimonianze (di malati, medici, infermieri e collaboratori) non è casuale, perché l'azione ha preso l'avvio da una realtà che non può che essere violentemente rifiutata: il manicomio. Il rovesciamento di una realtà drammatica ed oppressiva, non può dunque attuarsi senza una violenza polemica nei confronti di ciò che si vuol negare, coinvolgendo nella critica i valori che consentono e perpetuano l'esistenza di una tale realtà.

Per questo il nostro discorso antistituzionale, antipsichiatrico (cioè antispecialistico) non può mantenersi ristretto al terreno specifico del nostro campo d'azione. La polemica al sistema istituzionale esce dalla sfera psichiatrica, per trasferirsi alle strutture sociali che lo sostengono, costringendoci ad una critica della neutralità scientifica che agisce a sostegno dei valori dominanti, per diventare critica e azione politica.

Sarebbe forse più semplice restare nel proprio terreno d'azione e di studio, mantenendo la distanza — indispensabile all'analisi scientifica - fra indagatore e oggetto d'indagine. Il lavoro scientifico, finché si mantiene all'interno dei valori di norma, è serio e rispettabile in quanto si premunisce e si garantisce dal venir contraddetto e negato dalla realtà. Ma se un lavoro si fonda sulla realtà e sulle sue contraddizioni, senza voler costruire un modello che confermi e codifichi le proprie ipotesi, porta con sé il rimprovero di dilettantismo velleitario rispetto a tutto ciò che non è ancora incluso nella norma, e conduce alla contraddittorietà di una situazione dialettica, sempre in movimento.

Questa è l'azione di rovesciamento istituzionale che medici, psicologi, sociologi, infermieri e malati hanno proposto e provocato in un ospedale psichiatrico, contestando sul piano pratico la condizione manicomiale. Riferendosi anche ad esperienze straniere (in particolare a quella inglese di Maxwell Jones) si è proceduto - attraverso critiche successive -alla negazione della realtà manicomiale, mettendo in evidenza l'ambigua posizione di una comunità come microsocietà che vuole costituirsi su premesse pratiche e teoriche in opposizione ai valori dominanti.

Siamo giunti ad un momento che giustifica la messa in crisi di una situazione: la realtà manicomiale è stata superata - con tutte le sue implicazioni pratico-scientifiche - e non si sa quale potrà essere il passo successivo. Nelle esperienze straniere cui ci si è, all'inizio, riferiti, si riconoscono — anche se non denunciate — le stesse contraddizioni, le stesse incapacità. Le uniche alternative possibili, a noi quanto a loro, sono quelle di rinchiuderci nell'ambito istituzionale, con l'inevitabile involuzione di un movimento dinamico che si fissa e si cristallizza; o di tentare di estendere la nostra azione alla discriminazione ed esclusione che la società ha imposto al malato mentale. Come non risalire dall'escluso all'escludente? Come agire dall'interno di un'istituzione su ciò che la determina e la sostiene?

Le discussioni, le polemiche, gli appunti raccolti nel volume, hanno solo questo significato: l'analisi di una situazione che cerca un successivo superamento uscendo dal suo campo specifico e tentando di agire sulle contraddizioni sociali.

La condizione dello psichiatra è, nella nostra realtà, più evidente rispetto ad altre, nel senso che il contatto diretto con la vistosa condizione di violenze, sopraffazioni e soprusi, richiede la violenza al sistema che li produce e li permette: o si è complici, o si agisce e si distrugge.

Questo atteggiamento radicalmente critico di ciò che la scienza ha fatto del malato mentale, può essere considerato anarchico poiché rifiuta di etichettarsi da sé, utopico perché nega ogni definizione e classificazione; ma ci convince ad impiegare parole di «rivoluzione» e «avanguardia» che possono suonare come svuotate e consumate nel loro significato. È la durezza della realtà in cui si agisce che ci trasmette questa violenza e ci suggerisce e impone di usare questi termini, convinti come siamo di non fare della «letteratura rivoluzionaria».

Il senso del volume vuole essere soltanto l'analisi di una serie di problemi, che non sono problemi psichiatrici particolari, per dimostrare come un'azione - carica di tutte le sue contraddizioni - sia possibile all'interno di un'istituzione della violenza, e come quest'azione ci rimandi alla violenza globale del nostro sistema sociale.

È troppo facile all'establishment psichiatrico definire il nostro lavoro, come privo di serietà e di rispettabilità scientifica. Il giudizio non può che lusingarci, dato che esso ci accomuna finalmente alla mancanza di serietà e di rispettabilità, da sempre riconosciuta al malato mentale e a tutti gli esclusi.