Il perfezionismo come patologia psicologica misconosciuta
1. Il problema
Nella tradizione psichiatrica il perfezionismo (inteso come scrupolosità, senso del dovere eccessivo, pignoleria, rigidità morale, razionalizzazione e ritualizzazione del comportamento, ecc.) è riconosciuto solo come tratto di una personalità ossessiva, spesso amplificato sino a livello di sintomo nel corso delle "nevrosi" che sopravvengono frequentemente sulla base di essa. In psicoanalisi esso viene interpretato come espressione di una persistente dipendenza dell'Io da un Super-Io esigente e severo o di un'identificazione dell'Io con un ideale dell'Io elevato, entrambe le condizioni essendo riconducibili alla relazione con i genitori.
La scarsa importanza assegnata al perfezionismo nella letteratura specialistica corrente è comprovata dal fatto che nella peraltro eccellente Enciclopedia di Psicologia di Umberto Galimberti (Garzanti, Milano 2004), al lemma sono dedicate appena poche righe, che cito integralmente:
"Tendenza a chiedere a se stessi o agli altri delle prestazioni al massimo delle proprie o delle altrui disponibilità se non al di sopra delle rispettive capacità allo scopo di soddisfare delle aspirazioni che la psicoanalisi vede originate dalle ambizioni dei genitori (perfezionismo parentale) e poi introiettate dall'ideale dell'Io che si fa esigente nei confronti dell'Io, con la possibilità di generare una situazione conflittuale tra le mete prefissate e le possibilità a disposizione per attuarle." (p. 761)
La definizione è sufficientemente precisa, ma rende ben poco conto dell'incidenza di questa categoria dinamica all'interno di numerose esperienze psicopatologiche.
La valorizzazione di tale incidenza, per quanto mi concerne, risale alla metà degli anni '80, ed è documentata dall'articolo ad essa dedicato nel capitolo "Vissuti, sintomi, comportamenti" di Psicopatologia strutturale e dialettica. Ulteriori riflessioni, maturate nel corso degli anni, sono consegnate ai capitoli 11 e 12 di Star male di Testa.
Un'analisi più sottile e dettagliata del problema si impone perché, nonostante le numerose pagine già scritte, temo che sussistano numerosi dubbi per quanto riguarda sia i suoi aspetti dinamici e strutturali sia lo spettro di vissuti e di comportamenti attraverso cui si esprime sia, infine, le sue matrici socio-storiche e culturali.
Il metodo che seguirò è quello proprio dell'approccio struttural-dialettico: muovere dai sintomi, dai vissuti e dai comportamenti che permettono, sul piano della pratica terapeutica, di identificare il perfezionismo come modo d'essere psicopatologico, ricostruire le dinamiche e le logiche che lo sottendono, e, infine, cercare di definire i fattori ambientali, culturali, psicologici che lo generano.
Nel caso in questione, tale metodo urta contro una difficoltà preliminare. Pur essendo univocamente una dimensione psicopatologica, che sottopone l'Io ad una tensione estrema, il perfezionismo è vissuto da molti soggetti come una scelta di vita e, in un numero rilevante di casi, è apparentemente asintomatico. Il più spesso lo si ricostruisce partendo da uno scompenso psichico o da un disagio psichico che, apparentemente, non sembra avere alcun rapporto con esso. Anche in questi casi, è estremamente difficile indurre la presa di coscienza della vera causa del disagio. Arduo e drammatico, infine, ne è il superamento che richiede una ristrutturazione pressoché totale della visione del mondo soggettiva, dell'immagine interna conscia e inconscia e dei moduli comportamentali.
Questi aspetti singolari possono essere preliminarmente e globalmente interpretati partendo da una definizione piscodinamica generale del fenomeno.
Per perfezionismo intendo un regime interiore caratterizzato da un modello ideale elevatissimo sul piano sociale e morale con il quale l'Io, consciamente o inconsciamente, si identifica, e che assume come espressivo del suo bisogno di individuazione. Posta tale identificazione, l'Io devolve tutte le sue energie alla realizzazione di tale modello senza mai peraltro raggiungerlo e sperimentando, di conseguenza, un vissuto di inadeguatezza e di disvalore che rimane inalterato nonostante le eventuali conferme sociali che riesce a conseguire.
In breve, il perfezionismo comporta il tendere strenuamente verso un miraggio che rimane sul filo dell'orizzonte qualunque sforzo il soggetto faccia. In conseguenza di questo, egli misura dolorosamente lo scarto tra il suo essere e il dover essere, ricava da tale scarto la prova del suo disvalore e, nonostante le conferme sociali, vive nell'attesa di essere smascherato dagli altri e riconosciuto nella sua pochezza.
Tale definizione mutua dalla psicoanalisi il riferimento ad un modello ideale interiorizzato, ma, come si vedrà, comporta un'articolazione del concetto molto più ricca. Il nodo essenziale del discorso consiste nello spiegare come sia possibile che il soggetto scambi, consciamente o inconsciamente, un regime di schiavitù estremamente coercitivo e logorante con un sacrificio necessario per raggiungere l'autorealizzazione.
Un'analisi dei vissuti del perfezionismo permette di capire meglio di cosa si tratta. Qui naturalmente prenderò in considerazione solo i vissuti che si possono ritenere costanti e specifici.
2. Vissuti e comportamenti
Un primo vissuto è un senso di inadeguatezza radicale, che rimane persistente quali che siano le prestazioni che il soggetto giunge a fornire. L'interpretazione di tale vissuto è agevole. Per valutare se stesso, il perfezionista assume un metro di misura che potrebbe farlo sentire tranquillo solo se egli fosse certo di avere fatto tutto ciò che si sarebbe potuto e dovuto fare su di un determinato piano (studio, accudimento domestico, lavoro, ecc.). Questa certezza non viene mai raggiunta perché, in qualunque ambito di attività, è sempre possibile pensare che si sarebbe potuto o dovuto fare di più.
Adottando quel metro di misura, il perfezionista valuta sempre e solo ciò che manca, nel suo agire, alla perfezione. Ciò che manca invalida quanto di positivo c'è in quello che egli fa.
Che il limite rappresenti il confine di un valore oggettivato è del tutto estraneo alla logica perfezionistica, secondo la quale dove si dà limite si dà difetto.
Questa logica diventa sorprendente nei casi, piuttosto frequenti, in cui il valore viene sancito socialmente, vale a dire apprezzato dagli altri. Il perfezionista non è certo insensibile ai giudizi sociali positivi. Nel suo intimo, egli se ne rallegra e si sente sollevato. Il problema è che, sapendo di non avere fatto tutto ciò che avrebbe potuto o dovuto fare, egli semplicemente non può credere fino in fondo a quei giudizi. Di conseguenza, inesorabilmente giunge ad attribuirli al caso, alla fortuna o ad un'errata (se non addirittura ipocrita) valutazione da parte degli altri.
Complementare rispetto al vissuto d'inadeguatezza è ovviamente l'insoddisfazione. In conseguenza del riferimento costante a ciò che avrebbe potuto o dovuto fare, il perfezionista non riesce a sentirsi mai sufficientemente soddisfatto dalle prestazioni che fornisce (nonostante, in genere, siano superiori alla media). Ovviamente, in conseguenza del giudizio positivo degli altri, si può realizzare uno stato d'animo gratificato. Ma dura quanto la neve al sole.
La conseguenza dell'insoddisfazione per ciò che ha fatto, promuove naturalmente la necessità di mettersi nuovamente alla prova. Il perfezionista affronta la vita come una corsa ad ostacoli. Il problema è che l'ostacolo alle spalle, benché superato, non aumenta i livelli di sicurezza personale. Dato infatti che il superamento viene attribuito al caso o alla fortuna, è l'ostacolo da superare, quello che si ha davanti a porsi come prova del valore personale. In conseguenza di questo il perfezionista vive costantemente sotto esame, e vive ansiosamente perché ogni prova da affrontare si associa alla paura del fallimento.
Non comprendendo la matrice dell'ansia, vale a dire il modello di riferimento che la genera, il perfezionista adotta, per combatterla, strategie che sono in genere rimedi peggiori del male.
Il primo rimedio è l'iperefficienza, la tendenza ad aumentare la propria produttività, vale a dire ad imporsi livelli di attività sempre più elevati. Si tratta di una strategia assolutamente inefficace, perché il modello di riferimento funziona come un miraggio. Talora sembra che sia a portata di mano, di fatto risulta sempre spostato al di là dei risultati raggiunti. Oltre che inefficace, tale strategia è pericolosa poiché essa può produrre l'attivazione strisciante o repentina di valenze opposizionistiche in conseguenza delle quali l'attività diventa sempre più faticosa. L'opposizionismo funziona come una zavorra, ma, in difetto di consapevolezza sul suo significato, che consiste nel segnalare e nel boicottare il regime di autosfruttamento, il soggetto lo vive come una minaccia alla quale contrappone un cieco volontarismo.
La seconda strategia, complementare alla prima, è l'iperimpegno su più fronti. E' incredibile che persone affette dal perfezionismo, che comporta già rilevanti difficoltà nel realizzare una sola attività, siano costantemente alla ricerca di nuovi fronti su cui sperimentarsi. L'iperimpegno determina spessoun'organizzazione del proprio tempo che, in nome del principio supremo di non sprecarlo, fa sì che i perfezionisti si trovino a fare mille cose in un solo giorno. Ciò aumenta il loro affanno, perché la possibilità di non risultare all'altezza diventa un pericolo oggettivo. Anche di fronte al fatto di essere perennemente in ritardo e nonostante l'intuizione di pretendere da sé l'impossibile, essi però non cedono; di solito, addirittura, rilanciano il gioco.
Come interpretare un comportamento così irrazionale e così esposto al rischio di fare affiorare dei sintomi?
Il discorso, a questo punto, deve spostarsi dai vissuti coscienti a quelli inconsci. La realtà è che il perfezionista, oltre alla paura cosciente di fallire, convive con l'intuizione di potersi bloccare da un momento all'altro. Tale intuizione fa capo al registrare, più o meno coscientemente, tutta una serie di segnali che attestano l'attività delle valenze opposizionistiche. Tra questi segnali, il più costante è un'infinita stanchezza che talora affiora dal profondo, associata alla paura di rimanere preda di essa. In breve, è come se il perfezionista vivesse su di un tapis roulant e pensasse che, fermandosi, potrebbe precipitare nell'abisso che ha alle spalle, quello dell'inettitudine.
Questo indizio, spesso rappresentato a livello cosciente, porta ad un vissuto più radicale e più profondo: il senso di falsità. Il perfezionista convive con l'intuizione di non essere come appare. Coscientemente questo significa che egli si sente perennemente in difetto, non dà valore alle cose che fa e meno ancora ai giudizi sociali che riceve. C'è di più. In una qualche misura, per effetto dell'opposizionismo, egli non solo intuisce di albergare dentro di sé una parte che, se non controllata, potrebbe portarlo all'inettitudine, ma, in un numero rilevante di casi, anche che quella parte contiene la possibilità di uno stravolgimento totale della sua identità. In altri termini, chi ha il senso perfezionistico del dovere sociale, che implica un rispetto cieco nei confronti dell'autorità e un bisogno costante di ricevere conferme dagli altri, teme di diventare un ribelle, un irresponsabile, un asociale, se non addirittura un deviante; chi, viceversa, ha il senso perfezionistico del dovere morale, teme di precipitare in una situazione di anarchia e di disordine totale.
Queste paure sono facilmente interpretabili se si fa riferimento alla pressione dinamica di un Io antitetico, che, per segnalare il bisogno frustrato d'individuazione, utilizza la modalità comunicativa della ridondanza. In difetto di una consapevolezza di questa dinamica, ciò che il perfezionista, più o meno coscientemente, vive, è di albergare un'altra personalità, antitetica a quella che appare e che egli assume come propria.
Ciò permette di comprendere un altro vissuto costante e particolarmente spiacevole sotto il profilo soggettivo: la fobia dell'esposizione sociale. In presenza di altri, il perfezionista si sente vincolato all'esigenza primaria di risultare inappuntabile, normale o addirittura ipernormale. Il prezzo che paga per soddisfare tale esigenza è elevato. Di solito, egli riesce a dare un'immagine di sé conforme alle aspettative e alle norme sociali, ma al prezzo di un formalismo che lo irrigidisce, riduce la sua spontaneità e gli impedisce di essere autentico.
Il problema è che quell'esigenza è perpetuamente animata dalla paura di poter crollare agli occhi degli altri, vale a dire di smascherarsi, di agire comportamenti del tutto inadeguati, inopportuni, strani o addirittura illeciti. Il tenere sotto controllo questa paura impone una tale tensione che lo stare con gli altri diventa una pena, che si rinnova ad ogni esposizione sociale.
3. Perfezionismo e opposizionismo
Perché, nonostante un regime interiore così stressante, il perfezionista stenta a prendere coscienza che la sua condizione implica un disagio psichico?
Ciò che gli sfugge, solitamente, è che quel regime non si basa su di una libera scelta, bensì su di una coercizione interiore. Il comportamento perfezionistico è ritualizzato: esso deve realizzarsi secondo una procedura programmata per evitare l'insorgenza di un malessere angoscioso più o meno intenso. Dato che, solitamente, le attività attraverso le quali si esprime sono quelle proprie della vita quotidiana (studio, accudimento domestico, lavoro), non sorprende che il perfezionista, gratificato dai risultati, non abbia coscienza della sua schiavitù interiore. Egli però ha sempre coscienza che quello che fa è al di sotto di ciò che avrebbe potuto o dovuto fare. Il vissuto di essere inadempiente e inadeguato è l'indizio probante di un'esperienza perfezionistica.
C'è un dato costante che consente di capire il carattere mistificato del livello di coscienza proprio dei perfezionisti: la protesta inconscia di tipo opposizionistico che contrassegna la loro esperienza. I modi in cui si esprime tale protesta sono i più vari, e vanno dall'estremo di una perpetua stanchezza per cui la vita, nel tempo libero dai doveri, si riduce all'univoca esigenza di una "ricarica" energetica, all'estremo opposto di un "sabotaggio" che interferisce in misura più o meno rilevante con l'esecuzione dei doveri. Tra questi due estremi si danno spesso sintomi psicosomatici di ogni genere (cefalea, dolori cervicali e lombari, reumatismi, gastriti, coliti, ecc.).
Dato che il perfezionismo e l'opposizionismo sono psicodinamicamente le due facce di una stessa medaglia, il cui conio implica una scissione tra il bisogno di appartenenza e quello d'individuazione e quindi un conflitto tra Super-io e Io antitetico, è agevole capire che tale conflitto comporta uno spettro espressivo che va dall'estremo di una completa soggezione dell'Io cosciente al Super-io perfezionista all'estremo opposto di un'alleanza dell'Io cosciente con l'Io antitetico opposizionista. Lo spettro comporta indefinite combinazioni e varianti. Alcune di queste assumono un rilievo di un certo interesse.
Una variante paradossale, che finora non è stata sufficientemente valorizzata, è rappresentata dal perfezionismo inefficiente. In alcuni casi, meno rari di quanto si pensa, il regime coercitivo superegoico, subito, accettato e condiviso dall'Io cosciente, attiva, più o meno precocemente, un opposizionismo inconscio che interferisce sistematicamente sulla realizzazione dei doveri.
Il perfezionismo inefficiente è caratterizzato dal fatto che il soggetto formalmente e soggettivamente vive per adempiere i suoi doveri, ma questa tensione si traduce in un rendimento oggettivamente scarso o nullo. Una metafora di questa paradossale condizione è quella di un motore che gira a mille, ma a vuoto.
Si danno almeno due situazioni esemplari di questa dinamica.
Alcuni studenti sono irreprensibilmente dediti allo studio. Essi passano gran parte del tempo libero a tavolino, rinunciano ad uscire e a distrarsi, s'impegnano con grande costanza. Cionostante, il loro rendimento è mediocre, e lo sforzo basta appena, e neppure sempre, a raggiungere la sufficienza. La dedizione formale li pone al riparo dalle critiche esterne, ma comporta inesorabilmente una valutazione che verte sulla loro mediocrità. Tale valutazione coincide anche con ciò che i soggetti pensano di se stessi. E' ragionevole che lo pensino, perché la loro esperienza immediata sembra attestare qualità intellettuali molto scarse. Il problema, in particolare, è la memoria. Dopo due - tre ore passate sui libri, essi infatti constatano di aver trattenuto molto poco. Per memorizzare, devono assoggettarsi ad estenuanti esercizi di ripetizione. Spesso neppure questo basta, e si rende necessario mandare a memoria il testo, fotografarlo in maniera tale da poterlo restituire leggendolo nella propria mente.
Si tratta di esperienze penosissime, che spesso danno luogo a carriere scolastiche stentate.
L'indizio che rivela la dinamica del perfezionismo inefficiente è spesso facilmente reperibile. In altre circostanze di apprendimento, svincolate dal dovere, i soggetti, particolarmente se si dedicano a qualcosa che li appassiona, non hanno alcuna difficoltà a concentrarsi e a memorizzare. La difficoltà evidentemente insorge solo quando lo studio si pone interiormente come un tu devi boicottato opposizionisticamente.
La seconda circostanza è legata ad alcune casalinghe che sono psicologicamente "maniache" dell'ordine e dell'igiene, ma la cui gestione domestica è deficitaria al punto che i conviventi si lamentano di continuo perché il frigorifero è spesso vuoto, il pranzo raramente pronto, la casa sporca e disordinata, i panni mal lavati e stirati. Queste proteste sono spesso accolte con un'indignazione totale. Le donne in questione non solo rivendicano di non fare altro che pensare alla casa, ma adducono come prova della loro dedizione la perpetua stanchezza che le attanaglia.
Sono ovviamente in assoluta buona fede. E' vero che esse, dalla mattina alla sera, sono assillate dal pensiero delle cose da fare. Il problema è che questo assillo, per effetto di un opposizionismo inconscio, si traduce in un affaccendamento mentale, al quale corrisponde un'efficienza reale ridotta o nulla. Sempre sull'orlo dell'esaurimento per il gran da fare, esse confondono la tensione mentale legata al tu devi con l'operatività.
Qualcosa del genere si può realizzare anche a livello di esperienza lavorativa. Un mio ex-paziente, commercialista, brillante, intelligente, colto, aveva un modo di rapportarsi ai potenziali clienti così accattivante e affidabile da riuscire a procurarsene in gran quantità. Egli si dedicava a tempo pieno al lavoro, incastrandosi in studio anche il sabato e la domenica fino a tarda ora. Ciononostante, per via di un sabotaggio opposizionistico, non riusciva a concludere nulla, si affaccendava tra un mare di pratiche affastellate senza alcun ordine, rimandava le scadenze fiscali (rimettendoci dei soldi) e, in occasione della remissione del mandato da parte dei clienti, che avveniva regolarmente dopo qualche tempo, viveva nell'incubo di dover trasferire a qualche collega libri contabili assolutamente sconclusionati. Il suo reddito era estremamente precario per via del continuo flusso tra clienti nuovi e clienti irrimediabilmente delusi.
Si tratta - è vero - di situazioni rare rispetto al "normale" perfezionismo iperefficiente, ma che meriterebbero maggior attenzione, perché esse possono facilmente comportare conseguenze molto serie sotto il profilo psicopatologico. Tranne i casi in cui l'inefficienza viene negata, perché il soggetto valuta come meritorio lo sforzo psicologico cui si sottopone e ha la coscienza tranquilla, l'inefficienza spesso dà luogo a vissuti più o meno intensi d'inadeguatezza che spesso esitano in crisi depressive piuttosto gravi.
Un'ulteriore variante, di grande significato sotto il profilo psicopatologico, è il perfezionismo trasgressivo. L'ossimoro ha una sua ragion d'essere. Esso concerne esperienze caratterizzate dal mascheramento del perfezionismo che si realizza, dall'adolescenza in poi, in virtù di comportamenti più o meno disordinati, trasgressivi e addirittura anarchici. Ovviamente non tutti i comportamenti di questo genere celano un'infrastruttura perfezionistica: alcuni però di sicuro. Da cosa si può dedurre questa differenza? Primo, dal fatto che i perfezionisti trasgressivi sono strapieni di sensi di colpa, che spesso si esprimono attraverso sintomi solitamente ansiosi e ancora più spesso somatizzati che vengono orgogliosamente minimizzati. Secondo, dal fatto che nell'organizzazione della loro vita e del loro comportamento è sempre agevole reperire dei tratti ossessivi, tipicamente perfezionistici. Terzo, dal fatto che, a differenza degli adolescenti o dei giovani trasgressivi i cui comportamenti si mantengono solitamente entro un range costante, i perfezionisti trasgressivi, per negare e soffocare i sensi di colpa, devono alzare sistematicamente il tiro imponendosi di agire comportamenti sempre più devianti.
Alvaro interagisce precocemente con il perfezionismo materno sviluppando fin da bambino un atteggiamento opposizionistico e negativistico. Tale comportamento regredisce un poco nel corso della scuola elementare, ove Alvaro rende abbastanza bene, e s'incrementa progressivamente con l'avvio dello sviluppo puberale. Il rendimento scolastico declina, il rapporto con gli insegnanti diventa provocatorio, quello con i genitori sfidante e aggressivo. L'abbandono della scuola avviene subito dopo l'avvio dell'esperienza liceale. Alvaro comincia la sua carriera di emarginato. S'intruppa in una comitiva aggregata dal culto della marijuana. Facendo ricorso al fumo maschera le sue paure e i suoi sensi di colpa. Ne incrementa l'uso fino ad anestetizzarsi e a sentirsi duro e senza sentimenti. Il conflitto con i genitori, che lo vedono avviato verso la devianza, diventa tesissimo e caratterizzato da scontri fisici violenti. Alvaro li disprezza, li ritiene piccoli borghesi e miserabili. Per alimentare i suoi vizi (il fumo e il consumismo) ruba in casa, fa qualche "traffico" fuori casa. Non ha più paura di niente e di nessuno, disprezza tutto e tutti. E' la fantasia di mettersi alla prova sniffando cocaina che attiva repentinamente un attacco di panico, che pone fine alla sua carriera.
Le angosce di morte che sperimenta perpetuamente sono sufficientemente indiziarie dei sensi di colpa accumulati nel corso degli anni di vita sciagurata. Ma si danno indizi ancora più probanti di un perfezionismo mascherato. Alvaro ha una cura assolutamente maniacale dell'abbigliamento, pulisce e mette in ordine ossessivamente la camera, ove gli oggetti devono essere sistemati sempre allo stesso modo, e fa il "pazzo" se qualcuno li tocca. Ha anche dei rituali, preesistenti all'attacco di panico, che egli ha considerato sempre dei tics.
Dopo due anni di terapia, Alvaro ricomincia a frequentare la scuola, e prende atto di essere un perfezionista. Sormontata la stagione della trasgressione, si tratta ora di risolvere il problema a monte.
Ripeto che non tutti i casi di esperienze giovanili devianti possono essere ricondotte ad una prevalenza dinamica dell'Io antitetico opposizionista e negativista sul Super-io perfezionista. Di sicuro però rientrano in quest'ambito tutte le esperienze caratterizzate da una coazione a trasgredire, tanto più se questa esita in un disagio psicopatologico.
Non si rileverà mai abbastanza l'importanza di questa variante in rapporto al mondo della devianza giovanile. Anche se essa non spiega tutte le esperienze, ne spiega di sicuro un numero consistente, il cui trattamento postula che il soggetto rientri nella sua pelle originaria, capisca che il perfezionismo si è impiantato su di una sensibilità molto viva, alienandola, e si appropri di essa valorizzandola.
Un'altra variante, anche questa poco riconosciuta, è rappresentata dal perfezionismo fasico, caratterizzato dal fatto che i comportamenti perfezionistici e quelli opposizionistici o antitetici si alternano con periodi che possono essere più o meno prolungati. In conseguenza di questo il soggetto vive con stili e valori profondamente diversi.
Silvana, che ha alle spalle una famiglia tradizionalista e la cui madre è fervidamente religiosa, ha un'evoluzione lineare che, fino a 18 anni, soddisfa in maniera ottimale le aspettative parentali. E' insomma seria, diligente, studiosa, timorata. Dopo il diploma di scuola media superiore, nel corso di un viaggio in Spagna, sopravviene una rottura comportamentale. Scopre repentinamente il gusto del fumo, dell'alcool e del sesso, concedendosi a vari ragazzi. Rientra in Italia e rimuove quasi del tutto l'esperienza spagnola. Torna, insomma, a vivere come prima, anche se qualche sogno rievoca le colpe commesse. Dopo sei mesi, la rottura si realizza nuovamente. Silvana riesce a celare ai suoi l'altra vita - disordinata - che conduce. Le fasi si ripetono per tre anni consecutivi, finché una notte "dimentica" di tornare a casa, i suoi intuiscono quello che sta accadendo, e lei crolla. E' come se prendesse coscienza repentinamente di un'esperienza strana, poco compatibile con i suoi valori coscienti. L'avvio dell'analisi pone in luce, in effetti, una quota imponente di sensi di colpa. Ciononostante, le fasi si ripetono ancora per due anni.
L'interesse del perfezionismo fasico è di porre in luce il fatto che le due funzioni in conflitto a livello inconscio - il super-io e l'io antitetico - sono soggettività strutturate. Nella fase in cui una di esse subordina l'io, lo spinge non solo ad agire determinati comportamenti, ma anche a sentire e a pensare secondo logiche e valori diversi.
Un'ulteriore variante si realizza nel corso delle esperienze fobico-ossessive che s'impiantano su di una personalità perfezionista, allorché il conflitto sottostante s'intensifica al punto tale da determinare comportamenti di segno opposto quasi contemporaneamente.
L'esempio più tipico è legato all'esecuzione dei rituali, che talora risulta oltremodo laboriosa perché la procedura prescritta dal super-io viene costantemente sabotata dall'io antitetico che induce il soggetto a distrarsi o a non ricordare più se ha fatto correttamente quello che deve fare. Il sabotaggio costringe il soggetto a ricominciare la procedura. In conseguenza di questo, l'esecuzione di un rituale può occupare un tempo smisurato.
Altre volte il conflitto si esprime a livello mentale.
Rita, una ragazza di 25 anni, cattolica fervente, si reca in chiesa ogni mattina per pregare Dio che la liberi dai cattivi pensieri che, da qualche tempo, affollano la sua mente e l'angosciano. Mentre prega devotamente, le parole si distorcono: Padre nostro diventa Padre mostro, Ave Maria diventa Cave Maria, ecc. Come se non bastasse, ogni tanto la preghiera è interrotta da un'atroce bestemmia.
L'importanza di queste varianti consiste nel mettere in luce il fatto che ogni conflitto psicodinamico comporta non già una ma numerose possibilità di espressione sul piano dei vissuti, dei sintomi e del comportamento, che nel loro insieme definiscono il suo spettro fenomenologico. Tale spettro dipende dalle varie combinazioni dinamiche che si possono stabilire tra le polarità conflittuali.
Il concetto di spettro permette di ordinare e spiegare i fenomeni psicopatologici riconducendoli ad un numero limitato di conflitti. Uno di questi è per l'appunto il conflitto tra perfezionismo e opposizionismo, vale a dire tra volontà altrui interiorizzata ma non assimilata e volontà propria attestata sul registro dell'antitesi.
Il problema è che esso è riconosciuto praticamente solo nella cornice della teoria struttural-dialettica. La psicoanalisi lo ignora, perché interpreta i fenomeni dovuti all'opposizionismo come espressioni di pulsioni rimosse. Ad essa sfugge del tutto che quei fenomeni, quale sia la forma in cui si manifestano, riconoscono la loro matrice primaria in una rivendicazione di libertà che, non trovando modo di dispiegarsi in conseguenza del regime superegoico, necessariamente s'infinitizza e si distorce.
4. Perfezionismo morale e perfezionismo sociale
In Star Male di Testa ho scritto che si danno essenzialmente due tipologie perfezionistiche, a seconda che il sistema di valori cui il soggetto fa riferimento è di ordine morale o sociale. Nel primo caso, prevale l'obbligo della vita virtuosa, che va dall'ascetismo all'altruismo sacrificale; nel secondo, viceversa, il dovere di essere iperefficienti e produttivi al fine di raggiungere il successo sociale.
Si tratta di due tipologie distinguibili solo per quanto riguarda le loro manifestazioni estreme. Un adolescente scrupoloso impegnato quotidianamente a tenere a freno i pensieri cattivi e le fantasie perverse per non sentirsi in colpa, o una casalinga la cui dedizione alla casa e ai figli esclude pressoché qualunque frequentazione sociale sono i rappresentanti di un perfezionismo morale che non ha apparentemente alcun referente sociale. Uno studente ossessionato dalla necessità di primeggiare nello studio e un lavoratore impegnato a raggiungere livelli sempre maggiori di successo e di prestigio sono, viceversa, i referenti di un perfezionismo sociale che può non avere alcuna valenza morale, e implicare un rapporto univocamente competitivo con gli altri.
Se si adotta un orientamento psicodinamico queste distinzioni tendono però a sfumare.
L'adolescente perfezionisticamente moralista deve, nel foro interno, della sua coscienza continuamente preservare la sua identità agli occhi di Dio o degli altri, i quali, se venissero a conoscenza di ciò che gli passa nell'anima, lo rifiuterebbero o cambierebbero opinione nei suoi confronti. La casalinga perfezionista, nonostante sostenga che dedicarsi alla casa e ai figli rappresenta un suo bisogno, in realtà vive nell'incubo di un fantomatico ispettore che, entrando in casa, potrebbe trovare gli indizi di un modo di essere disordinato. Lo studente che non può tollerare qualunque flessione delrendimento scolastico associa ad essa un crollo verticale della sua immagine sociale, che lo porterebbe di colpo nella categoria degli inetti, privi di senso del dovere. Il lavoratore perfezionista identifica il successo e il prestigio con una condizione che attesta le sue competenze, il suo valore e anchela capacità di sacrificio.
In altre esperienze, la distinzione tende addirittura a sfumare. Alcune donne perfezionistiche, soprattutto quelle che cucinano bene, hanno bisogno di avere continuamente ospiti in casa per sentirsi apprezzate. Alcuni lavoratori perfezionistici definiscono il dovere di darsi perpetuamente da fare come una virtù: essi perseguono il prestigio sociale, ma quasi mai il successo economico. Altri, particolarmente in ambito pubblico, s'impegnano totalmente in nome di valori morali o ideologici che prescindono dall'utilità personale.
Il perfezionismo è dunque uno spettro di comportamenti eterogeneo. Il fattore unificante, di ordine dinamico, è l'incapacità di autoregolazione, che implica la negazione dei limiti umani. Sia a livello organismico che psicologico, l'esperienza umana è caratterizzata da bioritmi, vale a dire da fluttuazioni che, in un determinato range, si possono definire normali. Il tono muscolare oscilla: si danno giorni in cui un soggetto si sente in forma, altri in cui si sente giù di forma. Anche l'attività psichica oscilla: talora il pensiero fluisce, la concentrazione è ottimale, la memoria vivace; talaltra il pensiero è un po' opaco, la concentrazione scarsa, la memoria pigra. Il bioritmo si riflette nelle prestazioni fisiche e psichiche, le quali dunque non possono mantenersi sempre alla stessa altezza.
Questa verità elementare, che governa l'esperienza umana, è semplicemente ignorata dal perfezionista, che pretende sempre il massimo da sé.
Un paziente, lavoratore eccellente ma angosciato dall'idea di perdere il posto in conseguenza di una flessione del rendimento, sollecitato a riflettere sulla dimensione bioritmica, afferma che sarebbe comunque rassicurante funzionare come una macchina. Il problema è che egli lavora con i computers, e quindi sa che anche le macchine possono andare in tilt.
Che cosa distingue il desiderio umano di dare il meglio di sé dal perfezionismo? Semplicemente il fatto che, nel primo caso, lo sforzo di autorealizzazione si allenta via via che il soggetto riesce ad esprimere e ad oggettivare le sue qualità, mentre nel secondo esso, quali che siano i risultati conseguiti, si associa costantemente ad un'insoddisfazione più o meno grave e alla necessità di darsi da fare sempre di più. Sembra poco, e invece questa differenza non solo implica due diversi regimi di vita - impegnato ma relativamente sereno l'uno, stressato e tormentoso l'altro -, ma anche una diversa visione del mondo di cui i soggetti non sono assolutamente consapevoli.
La visione del mondo che sottende il perfezionismo è assolutamente dicotomica. Essa suddivide l'umanità in due sole categorie. Se è in gioco il perfezionismo morale, la distinzione si pone tra esseri virtuosi e esseri preda degli istinti; se è in gioco il perfezionismo sociale, essa si pone tra esseri efficienti e esseri inetti. Si tratta di categorie che, nel vissuto del perfezionista, si contrappongono a filo netto per cui si appartiene all'una o all'altra, senza alcuna possibilità intermedia. E' questa visione del mondo che determina una tensione perpetua per rimanere appartenenti alla categoria degli esseri virtuosi o efficienti, l'alternativa configurandosi come intollerabile.
Si tratta di una visione del mondo del tutto priva di realismo. Il soggetto che l'alberga però ne è preda.
Una studentessa di 17 anni, da sempre prima della classe, la cui escalation perfezionistica ha già prodotto un'anoressia, s'impone l'obiettivo di mantenere la media del nove. Un giorno una versione di latino meno eccellente del solito viene valutata dall'insegnante con un otto meno. E' il voto più alto della classe, ma la ragazza si dispera, si chiude in camera per la vergogna e decide di non andare più a scuola, perché pensa di non potere affrontare il giudizio dei coetanei e dell'insegnante.
La visione dicotomica intrinseca al perfezionismo, profondamente radicata a livello inconscio, ma talora rappresentata e ideologizzata anche a livello cosciente, costituisce un ostacolo formidabile al cambiamento, anche quando, in analisi, i termini del problema sono del tutto acquisiti. Essa infatti, finché non avviene una ristrutturazione ideologica, pone di fronte il soggetto ad una scelta tra due soli possibili modi d'essere: pregevole l'uno, spregevole l'altro. E' la fobia della debolezza, intesa nel senso più lato possibile, la matrice dinamica che costringe il soggetto a difendersi da essa negandola.
Se in tutte le esperienze terapeutiche è possibile, ad un certo punto, identificare dietro i vissuti, una serie di convinzioni ideologiche, per quanto riguarda il perfezionismo si tratta di una verità inconfutabile. Il problema è capire come si producono queste convinzioni.
5. Genesi del perfezionismo
La genesi del perfezionismo riconosce una predisposizione e due diverse circostanze ambientali che lo attivano.
La predisposizione non è specifica, ma generica. Solo le persone dotate di elevate potenzialità emozionali e intellettive diventano perfezioniste: primo, perché esse sono molto sensibili alle influenze ambientali; secondo perché il perfezionismo soddisfa, alienandolo, il loro bisogno di autorealizzazione, che è sempre piuttosto spiccato.
Le circostanze ambientali, come sempre accade in psicopatologia, sono diametralmente opposte. Nella maggioranza dei casi, il perfezionismo è indotto dall'ambiente familiare e dagli insegnanti. A livello familiare, accade spesso che un genitore, lo sappia o no, ha un orientamento perfezionistico: in questo caso, l'induzione si basa sull'imitazione o sull'interiorizzazione dei valori trasmessi dal genitore. Questa circostanza è talora messa in dubbio dal fatto che il figlio sviluppa un perfezionismo di gran lunga più radicale rispetto a quello genitoriale. Ma ciò si può spiegare tenendo conto di due fattori. Il primo è che la ricezione delle aspettative e dei valori genitoriali avviene sulla base della sensibilità individuale, per cui essi possono essere amplificati. Il secondo fattore è da ricondursi al fatto che, di generazione in generazione, la dinamica perfezionistica attiva un opposizionismo sempre maggiore che finisce con il costringere il soggetto a darsi sempre di più da fare per non crollare nell'inettitudine.
Accade non meno spesso che il genitore non sia affatto perfezionista, ma avanzi nei confronti dei figli delle aspettative perfezionistiche deputate a soddisfare le sue frustrazioni. In questo caso, il figlio sensibile si sente obbligato a rispondere ad esse. Al di là del comportamento globale infantile, per cui alcuni bambini manifestano precocemente un comportamento da "piccoli ometti", è l'esperienza scolastica che incide sull'orientamento perfezionistico. Gli insegnanti, alcuni dei quali sono perfezionisti, tendono tutti ad adottare una logica pedagogica per cui richiedono a tutti gli alunni il massimo nella segreta speranza di riuscire ad avere almeno il minimo. Investiti da tale logica, alcuni bambini avvertono nel loro intimo come un dovere assoluto di dare il massimo.
In una minoranza di casi, laddove i genitori menano una vita piuttosto disordinata, caotica e contraddittoria, un figlio può imboccare la via del perfezionismo per differenziarsi radicalmente da loro, per non fare la stessa fine e, consapevolmente e inconsapevolmente, per dare loro una lezione e fargli vedere come si vive.
Se le influenze ambientali sono sempre in gioco nell'indurre il perfezionismo, occorre riconoscere che esso, un volta indotto, si mantiene e si autoalimenta per conto suo. La tensione cui il soggetto si sottopone è, infatti, tale da dare luogo costantemente a compensi inconsci che si realizzano sotto forma di stati d'animo, fantasie, emozioni e desideri antitetici. Questo significa, in pratica, che se il perfezionista è preda della virtù, esso intuisce il pericolo di cadere nel disordine e nel vizio, se è preda dell'efficienza di cadere in uno stato di abulia, di pigrizia, di paralisi.
Dato che il soggetto, non è in grado di decodificare i compensi inconsci come messaggi che tendono a sottolineare la sregolatezza del perfezionismo e a promuovere un'autoregolazione, ed è indotto a percepirli come pericoli reali la cui realizzazione stravolgerebbe l'immagine cosciente che ha di sé e quella sociale che riesce a dare agli altri, la conseguenza è che quei compensi vanno arginati, contrastati e scongiurati con un'accentuazione dell'orientamento perfezionistico. Anziché autoregolarsi, il perfezionista è spinto sempre più verso una sregolatezza nella pratica della virtù o nell'assolvimento dei suoi doveri che egli non coglie mai come tale. S'instaura, pertanto, tra la coscienza, abbarbicata al suo modello perfezionistico, e l'inconscio proteso a sabotare tale modello, un circolo vizioso dinamico destinato, prima o poi, a tradursi in una sintomatologia franca.
Al di là della genesi, riesce evidente che, se si prescinde dall'attribuire all'uomo un bisogno di onnipotenza, il perfezionismo, in tutte le sue tipologie, non potrebbe darsi senza un humus culturale specifico.
La diffusione del perfezionismo nella nostra società va ricondotta al fatto che, solo in essa, sono venute a confluire due ideologie che, sia pure per motivi del tutto diversi, tendono a negare i limiti inerenti la natura umana: il cristianesimo e il capitalismo.
Tutte le religioni propongono un modello di virtù. Solo il Cristianesimo comporta però la sollecitazione ad essere perfetti come è perfetto Dio; solo esso, eleva a modello da imitare un Dio che sacrifica la sua vita per gli esseri umani, dando l'esempio di un altruismo radicale; solo esso, infine, implica la possibilità che un uomo raggiunga lo stato eccelso della santità.
La letteratura agiografica cristiana è patetica nella misura in cui essa ricostruisce esperienze umane che, sia pure per effetto di uno sforzo estremo di migliorare se stessi, sembrano affrancarsi da ogni contraddizione e comportare un'assoluta coerenza nella virtù.
I perfezionisti morali, anche se non hanno mai letto un'agiografia, sembrano irretiti da questo modello mistificante.
Il capitalismo, se si dà credito a Weber, nasce esso stesso sulla base di questo modello, modificandolo. La virtù, nella sua ottica, è la capacità di sacrificio nel lavoro, la parsimonia, l'accumulazione del denaro. Vera o meno che sia quest'origine, è certo che il capitalismo si fonda sul principio di uno sviluppo illimitato della ricchezza, che implica uno sviluppo illimitato delle capacità umane produttive. L'autorealizzazione viene pertanto a coincidere con lo sfruttamento al massimo grado di tali capacità.
In entrambi i modelli culturali, insomma, è evidente la negazione del limite e il miraggio dell'onnipotenza. In entrambi ad un polo positivo (il santo, l'uomo di successo) corrisponde un polo negativo (il peccatore, il miserabile).
Il perfezionismo è la dimensione psicopatologica che, più di tutte le altre, rivela i nessi tra esperienze soggettive e storia sociale o, meglio, tra soggettività e inconscio sociale.
E' quasi superfluo rilevare che, se la cultura propone un modello perfezionistico e alcuni soggetti, tra i più dotati, l'adottano, questo fenomeno deve avere un significato. In effetti, l'affrancamento dai limiti propri della condizione umana e l'azzeramento dello scarto tra il finito e l'infinito si può ritenere una tentazione immanente ad ogni organizzazione sociale e ad ogni esperienza soggettiva. Tale tentazione si realizza sulla base dell'angoscia di morte e della paura dell'impotenza. E' evidente che essa è minima a livello di società semplici, nelle quali il soggetto sente di appartenere ad un gruppo e ad una comunità che sopravviverà alla sua fine, tal che la morte assume il significato di consentire ad un essere virtuale di occupare il posto vacante, e nelle quali lo sviluppo della cultura si fonda sul rispetto delle leggi della natura.
Via via che la società diventa complessa, l'individuo tende a sentirsi sempre più differenziato e distinto dagli altri, avverte la suggestione e il peso della sua realizzazione personale e partecipa di una cultura che fa dello sviluppo un obiettivo illimitato.
In conseguenza di questa enfatizzazione dell'individualità, il soggetto è forzato a farsi carico di valori morali e sociali elevati e a tentare di realizzarli nella direzione di una pienezza dell'essere che è un miraggio. Facendo leva sulla sua intrinseca debolezza, vale a dire sulla difficoltà di accettare i limiti costitutivi dell'esperienza umana, quei valori lo schiavizzano nella misura in cui egli intende autorealizzarsi.
La nostra civiltà, insomma, è caratterizzata da un processo d'individuazione perverso, tale per cui l'autorealizzazione avviene in funzione di valori morali e sociali che negano i limiti, e fanno sì che l'individuo li sperimenta come intollerabili e squalificanti. In conseguenza di questa confusione, il perfezionista è come un levriero che insegue ciecamente la lepre meccanica che non raggiungerà mai.
6. L'interazione con il mondo sociale
Dopo avere analizzato il perfezionismo sotto il profilo psicodinamico e psicopatologico, occorre riflettere sull'incidenza di questo fenomeno nei rapporti privati e nell'ambito della vita sociale.
Il discorso, a questo punto, è particolarmente complesso perché le variabili da considerare sono molteplici. Occorrerà dunque necessariamente limitarlo all'essenziale, vale a dire ad alcuni spunti di riflessione.
Per quanto riguarda il perfezionismo adolescenziale, che implica solitamente una dedizione totale allo studio e un comportamento conforme alle aspettative degli adulti, non c'è molto da dire. Si tratta di ragazzi che, per alcuni aspetti, appaiono più seri e maturi della media dei coetanei. Nella misura in cui ciò corrisponde ad una strutturazione della personalità sul registro di un falso io adultomorfo -, essi di solito intrattengono una relazione appena formale con i coetanei e non hanno tempo da dedicare alla pratica degli affetti. Sono sostanzialmente isolati nel loro singolare modo di essere, il cui unico obiettivo è mantenere un rapporto confermativo con la classe degli adulti.
Non di rado, essi appaiono antipatici ai coetanei per via del loro comportamento manierato e troppo ossequioso nei confronti dell'autorità, e per via di un atteggiamento che viene colto come espressivo di un sentimentoo sprezzante di superiorità. Talvolta sulla base di quest'antipatia si realizzano a livello scolastico vere e proprie "persecuzioni" ai loro danni, la cui conseguenza è di attivare una rabbia indifferenziata contro il mondo ñ degli adulti che pretendono troppo, e dei coetanei che agiscono come selvaggi ñ che, se non dà luogo ad una catastrofe psicopatologica, peraltro frequente, determina una tendenza persistente all'isolamento anche da adulti.
Questa circostanza porta a riflettere su di una tipologia abbastanza definita.
Alcuni perfezionisti adulti non hanno una vita privata, non costruiscono mai rapporti significativi. Ciò può essere dovuto a tre motivi: il primo è quello di cui si è parlato poc'anzi, vale a dire una percezione sostanzialmente negativa del mondo sociale.
Il secondo è un senso d'inadeguatezza e di vergogna a tal punto radicale che essi non osano mai mettersi in condizione di essere smascherati. In pratica, danno per scontato che, superata una certa soglia d'intimità comunicativa, non sarà loro possibile mantenere la maschera che adottano in rapporto alla vita sociale quotidiana. In conseguenza di questa convinzione, non si abbandonano mai agli affetti. In questi casi, la solitudine affettiva è spesso compensata con una dedizione totale al lavoro. Se è in gioco il perfezionsimo sociale, ciò da luogo spesso al successo; se è in gioco il perfezionismo morale, si realizza solitamente un paradosso. Le persone si ritrovano infatti a svolgere attività (vita religiosa, insegnamento, volontariato, ecc.) che simulano una grande apertura nei confronti degli altri. Di fatto, esse riversano in tali attività qualità umane rilevanti, ma solo perché i ruoli che assumono le tengono al riparo dall'intimità.
Il secondo motivo è riconducibile, invece, al riversare nei rapporti affettivi le loro aspettative perfezionistiche, vale a dire nel cercare un partner ideale che non trovano mai. Questa tipologia è caratterizzata da un'apertura affettiva che, a volte, può apparire addirittura esasperata. Essa però è insistentemente riferita ad un rapporto fusionale, di totale armonia, fortemente idealizzato. L'amicizia e l'amore, da questo punto di vista, si definiscono come relazioni che si possono mantenere solo a patto che l'altro ne sia degno, vale a dire che non commetta mai alcun errore e non riveli mai alcuna contraddizione.
In questo caso, la negazione delle debolezze e dei limiti umani, che il perfezionista applica a se stesso, viene proiettata sull'altro. In conseguenza di questo, basta un nonnulla a produrre una cocente delusione che fa repentinamente morire l'investimento affettivo.
Un'altra tipologia, viceversa, è caratterizzata da una propensione spiccata per la famiglia. Uomini o donne, i perfezionisti esercitano spesso una forte attrazione sull'altro sesso, perché danno univocamente l'impressione di persone serie, affidabili, oneste. Di fatto lo sono, ma unicamente in rapporto alla capacità di agire alla perfezione i ruoli che assumono.
Quando sopravviene il matrimonio, i perfezionisti formalmente sono ottimi partners e ottimi genitori. Essendo tendenzialmente conservatori, essi organizzano di solito rapporti all'interno dei quali la distribuzione dei ruoli è tradizionale. Tranne casi piuttosto rari, gli uomini vivono come assoluto il dovere di provvedere al mantenimento della famiglia, le donne quello di dedicarsi alla casa e ai figli per assicurare un menage ottimale.
Il problema è che, spesso, il senso del dovere, riferito per l'appunto ai ruoli assunti, non implica un'adeguata capacità affettiva.
I perfezionisti che si dedicano a mantenere la famiglia sono macchine da lavoro implacabili. L'assicurare al partner e ai figli un tenore di vita buono o elevato esaurisce la loro affettività. Sotto il profilo comunicativo, essi sono praticamente assenti. A modo loro, amano, ma non riescono mai ad abbandonarsi all'empatia quanto occorre per stabilire relazioni interpersonali significative. Stimati socialmente per la loro dedizione, essi sono vissuti dai familiari come robots. In casi del genere, lo scarto tra l'immagine sociale e quella privata è veramente sorprendente. Il partner e i figli avvertono una cortina di formalismo impenetrabile, un senso di freddo, di vuoto e di macchinosità. Quando il problema viene fatto presente da uno dei membri della famiglia, i soggetti cadono dalle nuvole perché non hanno alcuna percezione delle loro carenze affettive. Essi credono in buona fede che fare il proprio dovere rappresenti la massima espressione degli affetti. Non riescono a capire che cosa significhi l'empatia, vale a dire la capacità di leggere nell'anima degli altri, di sintonizzarsi con loro, di avere quelle attenzioni che fanno sentire il partner o il figlio una persona riconosciuta nel suo essere e non solo nel suo ruolo.
Una ragazza che ho avuto in cura affermava che il padre aveva oggettivamente fatto per lei tutto ciò che era necessario, ma, nel suo intimo, essa aveva sempre sentito che lo avrebbe fatto per chiunque si fosse trovato al suo posto. Implicitamente, questa stessa critica l'ho colta nello stato d'animo di parecchi figli affetti da un disagio psichico.
Per quanto riguarda le mogli, ho conosciuto infinite donne esasperate dal fatto che il loro partner, ritenuto da tutti un marito modello, nella vita di relazione privata manifestava un'insensibilità e una rozzezza che loro sentivano senza essere in grado di esplicitarla.
Non di rado i perfezionisti dediti al lavoro trasportano all'interno della famiglia le loro implacabili aspettative. Essi hanno bisogno di ordine e di efficienza dappertutto, e questo li trasforma, talora implicitamente, in muti controllori e giudici dei comportamenti dei familiari. All'incompetenza affettiva, si somma spesso l'oppressione del controllo. In rapporto a loro, i familiari si sentono costantemente sotto il tiro di un giudizio che raramente viene esplicitato, ma che, di fatto, non concede alcuno spazio alle debolezze, ai limiti e alle contraddizioni umane.
Le donne che si dedicano perfezionisticamente alla casa e ai figli finiscono con il dare problemi agli altri solo quando il loro perfezionismo è spiccato. Entro certi limiti, infatti, esse assicurano una protezione, una sicurezza, un ambiente confortevole che viene apprezzato. C'è una soglia, però, al di là della quale il perfezionismo domestico diventa un problema. Tale soglia è caratterizzata dal fatto che l'amore dell'ordine, della pulizia e dell'igiene diventa un valore che i conviventi giungono a sentire come oppressivo, perché li induce a muoversi con circospezione in casa, con la perenne paura di sbagliare e di essere rimproverati. Superata quella soglia, di fatto, sembra che le donne, pur convinte di fare il loro dovere per soddisfare i bisogni del marito e dei figli, tengano più alle cose (mobili, oggetti d'arredo, abbigliamento, ecc.) che alle persone. Esse, per esempio, non sopportano che gli oggetti non vengano messi al loro posto (al posto che esse ritengono giusto), accorrono con il panno ogniqualvolta un mobile viene toccato e attentato nel suo splendore dalle "ditate". Al limite, esse impediscono ai familiari di sedersi sui divani per non lasciare le impronte.
L'ossessione della casa diventa talora un vincolo estremamente pesante per quanto concerne l'esercizio del tempo libero. Alcune donne perfezionistiche impongono regolarmente ai parenti dei compiti da svolgere. Esse odiano la pigrizia, e non sopportano che gli altri se ne stiano sdraiati in poltrona a fare nulla.. In casi del genere, la dimora abitativa diventa una sorta di caserma.
Per allontanarsi da essa, è necessario che tutto sia perfettamente in ordine. In conseguenza di questo le uscite, le gite, i viaggi divengono autentici drammi.
Anche in questi casi, lo scarto tra l'immagine sociale e quella privata è rilevante. Le casalinghe perfezionistiche realizzano agli occhi degli altri lo stereotipo dell'angelo del focolare. Coloro che vivono con esse intuiscono, invece, la loro ossessione univoca e, per quanti vantaggi possano ricavare dall'essere accuditi, avvertono un disagio più o meno grave, perché è come se l'uso dello spazio domestico fosse assoggettato a regole implacabili.
Negli ambienti di lavoro, l'incidenza del perfezionismo varia a seconda del ruolo e del potere di cui il soggetto dispone. I perfezionisti sono in genere lavoratori eccellenti per quanto riguarda la produttività. Se sono dipendenti, si realizza ñ mutatis mutandis ñ la stessa situazione descritta per gli studenti. Anche se spesso profittano della loro disponibilità e della loro assidua presenza, i colleghi tendono nel loro intimo a disprezzarli. Il loro standard di rendimento, sempre adeguato alle aspettative dei capi, finisce infatti con l'essere assunto da questi come esempio, e si riverbera sul rendimento meno efficiente degli altri sotto forma di implicita critica delle loro qualità o della loro abnegazione.
I lavoratori perfezionisti dipendenti, in realtà, non hanno alcuna difesa nei confronti delle richieste dei capi. In nome del principio per cui si può e si deve fare sempre di più, essi infatti ritengono che quelle richieste, per il solo fatto di essere state formulate, non possono essere impossibili. Il non farcela a rispondere ad esse risuona dentro di loro come un'inadeguatezza personale.
Per quest'aspetto, riesce chiaro che i lavoratori perfezionisti, quale che sia la carriera personale che li ha ingabbiati nel perfezionismo, sono i lavoratori ideali nell'ottica di un sistema come quello capitalistico che fa delle energie umane uno strumento univoco di produzione e ritiene che esse non abbiano limiti.
Tra i lavoratori dipendenti, occorre distinguere una categoria che dispone, anche al livello più basso della carriera, di un grande potere: gli insegnanti. Un insegnante perfezionista, dalle elementari all'Università, anche se agisce il suo ruolo con grande dedizione e in perfetta buona fede, può incidere sulla psicologia e sulla vita degli allievi talora in maniera decisiva. A livello di scuola elementare essa può indurre rapidamente, in conseguenza delle richieste eccessive e di una grande severità, una demotivazione che può fare avvertire lo studio come una pena senza senso. A tutti i livelli di scolarizzazione, essa può indurre un sentimento di disistima nell'anima degli allievi che talora è destinato a durare per sempre.
A ciò occorre aggiungere che l'insegnante perfezionista determina l'interiorizzazione, nei soggetti predisposti per sensibilità e intelligenza, del codice perfezionistico. Si tratta insomma di una schiavitù inconsapevole che tende a riprodursi. L'interiorizzazione implica che l'allievo è sollecitato a valutare se stesso non nei termini di quello che fa, bensì di quello che avrebbe dovuto o potuto fare. In conseguenza di questo, il soggetto è inibito nella sua capacità di autovalutazione realistica, e affronta gli esami, anche a livello universitario, sulla base di un vissuto proiettivo per cui l'esaminatore è sempre un cerbero incline non già a capire quello che il discente sa, ma a cercare e a mettere il dito sulla piaga dei limiti della preparazione.
E' indefinito il numero di studenti di valore che ho conosciuto la cui carriera universitaria è stata penosissima o addirittura inibita dall'influenza esercitata sulla loro personalità da un insegnante perfezionista con cui essi hanno interagito in precedenza.
I lavoratori perfezionisti più pericolosi socialmente in assoluto sono quelli che ricoprono ruoli che assegnano ad essi un grande potere su di un certo numero di dipendenti. Si tratti di funzionari pubblici, di managers, commercianti o liberi professionisti, essi agiscono univocamente in maniera tale da mantenere i dipendenti sul filo dello stress. Non sono mai soddisfatti delle prestazioni fornite, tendono a chiedere sempre di più, non gratificano mai i dipendenti perché, qualunque cosa essi facciano, non fanno altro che il loro dovere, per cui sono pagati. Sono peraltro estremamente severi: impietosi nel rilevare gli errori che non sopportano, e talora, in virtù del loro potere che non può essere facilmente contrastato, irascibili e maltrattanti.
Attribuire ad essi lo stress lavorativo che pervade il nostro mondo è improprio. Schiavi del perfezionismo, associato ad ambizioni personali e motivazioni di successo molto elevati, sono essi stessi semplicemente una ruota dell'ingranaggio di un sistema che riduce la vita umana al lavoro e il tempo da vivere al lavoro produttivo. Cionondimeno, la loro incidenza sociale è una iattura della nostra società.
7. Lo spettro psicopatologico
Tenendo conto di questi vissuti, non ci vuole molto a capire che il perfezionismo non solo è una dimensione d'esperienza psicopatologica in sé e per sé, ma che essa contiene molteplici possibilità di sviluppo psicopatologiche.
In alcuni casi, il perfezionismo comporta il vivere una situazione costante di stress psicosomatico, associato ad una componente di ansia catastrofica, riferita alla possibilità di non essere all'altezza e di crollare agli occhi degli altri, e ad una componente depressiva, riferita all'insoddisfazione permanente e all'investimento univoco delle energie nella direzione della produttività.
In altri casi, esso può dare luogo con facilità all'affiorare di una sintomatologia psicosomatica da stress (cefalea, stanchezza e dolori muscolari, gastralgia, gastrite, colite spastica, stitichezza ostinata, ecc.), a episodi depressivi franchi con una componente inibitoria più o meno marcata, e ad attacchi di panico più o meno invalidanti. Tenendo conto dello sforzo e della tensione cui il perfezionista si sottopone, sia la sintomatologia psicosomatica che quella depressiva hanno semplicemente il significato di esprimere la situazione di stress e di tentare di compensarlo, inducendo rispettivamente il soggetto a prendersi cura di sé o costringendolo all'inattività. La genesi degli attacchi di panico è più complessa.
Essa si riconduce al fatto che, lo sappia o meno, ogni perfezionista sente che il mondo sociale lo opprime intollerabilmente con le sue richieste e lo fa vivere in un regime di schiavitù. In conseguenza di questo, periodicamente sviluppa delle fantasie, consce o inconsce, incentrate sul mandare tutti a quel paese e di cambiare completamente vita. Significate come espressive della sua natura profonda antisociale, e di fatto irrealizzabili, tali fantasie attivano nondimeno un meccanismo di colpevolizzazione che si esprime attraverso gli attacchi di panico e che "risocializza" suo malgrado il soggetto inducendolo a sentire il bisogno di aggrapparsi a qualcuno.
In altri casi ancora, si definiscono situazioni psicopatologiche più serie, che vanno dal disturbo ossessivo-compulsivo al delirio.
Il disturbo ossessivo-compulsivo esprime compiutamente la dinamica che sottende il perfezionismo. Da una parte infatti le spinte dell'Io antitetico si traducono in fantasie, pensieri e spinte comportamentali che sono univocamente anarchiche, amorali, immorali e antisociali. Per un altro il Super-io frena la possibilità (remota) che tali fantasie si realizzino in virtù di un rigido controllo interiore, assicurato spesso dai rituali, e di un controllo esterno sotto forma di fobia sociale, che, al limite estremo, si configura come paura, nel caso di una perdita di controllo, di finire emarginato, internato o incarcerato.
Si dà però anche la possibilità che i sensi di colpa operino proiettivamente. In questo caso il soggetto sente, talvolta anche allucinatoriamente, che gli altri lo giudicano negativamente e parlano male di lui. L'attenzione morbosa di cui si sente investito serve anche ad assicurare un controllo sociale, di cui, inconsciamente, sente di avere bisogno.
La matrice perfezionistica ha dunque uno spettro espressivo psicopatologico molto ampio, in gran parte riconducibile all'intensità del conflitto tra Super-io e Io antitetico e alle capacità di rimozione o, raramente, di mediazione dell'Io cosciente.
Che questa matrice non sia minimamente presa in considerazione dai neopsichiatri e non sia considerata oltremodo importante anche dagli psicoanalisti è uno dei motivi per cui spesso le terapie sia farmacologiche che psicoterapeutiche vanno incontro a fallimenti.
Il perfezionismo, sia esso sociale o morale, è una condizione di disagio psichico in sé e per sé, anche se il disagio può risultare inapparente agli occhi degli altri e minimizzato, negato o rimosso dal soggetto stesso.
Nelle forme più lievi, tale disagio si riconduce ad una situazione di stress pressoché costante, sotteso da un vissuto d'inadeguatezza e d'inadempienza che induce il soggetto, anziché ad autoregolarsi, a pretendere sempre più da se stesso. In conseguenza di questo, il perfezionista, che di solito soffre didisturbi psicosomatici inequivocabili (cefalea, gastralgia, dolori addominali, mialgia, dolori "reumatici", ecc.), può andare facilmente incontro a veri e propri "esaurimenti", vale a dire ad episodi depressivi che lo costringono al riposo ma vengono elaborati drammaticamente come espressione di una intollerabile debolezza o, addirittura, colpevolizzati nella misura in cui rendono il soggetto oggettivamente inadempiente.
In altre forme, il perfezionismo attiva delle valenze opposizionistiche inconsce che possono ridurre drasticamente e bruscamente le prestazioni soggettive. La conseguenza dell'opposizionismo è un'inibizione funzionale che può riguardare la memoria, la concentrazione, la sequenzialità dei comportamenti finalizzati, le competenze acquisite, ecc.
Tristemente noto è il caso di studenti perfezionisti che, da un giorno all'altro, precipitano in una condizione di apatia, di abulia e di deconcentrazione che impedisce loro di stare sui libri o comunque di apprendere. Se in questi casi non interviene un aiuto valido, si realizzano forme progressive di insabbiamento. Il soggetto, sotto la spinta del perfezionismo, di solito insiste a studiare. I risultati però sono mediocri se non addirittura nulli. In conseguenza di questa inadempienza, egli sviluppa uno stato d'animo drammatico, sotteso dalla vergogna e dal senso di colpa. Queste emozioni si traducono spesso in un ritiro dalla scuola e dal mondo, che viene comunemente interpretato dai neopsichiatri come l'avvio di un processo psicotico.
Meno noto, ma non meno inquietante, è il caso di soggetti perfezionisti, solitamente giovani, nei quali l'attivazione dell'opposizionismo non si riduce a produrre inibizioni funzionali, bensì promuove, più o meno repentinamente, cambiamenti radicali di vita e di comportamento. In conseguenza di questo, un ragazzo o una ragazza fino allora inappuntabili, diventano arroganti, volgari, trasgressivi. Anche in questo caso, se il viraggio non viene interpretato nel suo significato di cieca protesta contro il regime perfezionistico, esso può procedere verso una qualunque forma di "devianza". Spesso questa marcia verso la libertà anarchica, che comporta non pochi pericoli, viene arrestata da una depressione profonda o da un attacco di panico, che pongono in luce i sensi di colpa accumulatisi a livello inconscio.
Uno sviluppo oggi più che mai rilevante del perfezionismo è l'anoressia. La coesistenza tra questo disturbo del comportamento alimentare e tratti di personalità perfezionistici è a tal punto frequente che non sfugge a nessuno. Non si tratta però di un'associazione casuale, bensì dinamica. Il perfezionismo preesiste sempre all'anoressia, e questa, con le regole rigidissime che il soggetto si impone non solo a livello di dieta ma anche di stile di vita (iperattività cognitiva, ginnica, ecc.), non fa altro che rivelarlo.
Anche la bulimia risulta associata spesso al perfezionismo. Essa esprime una rivendicazione di libertà anarchica la cui matrice è il rigido regime interiore che il soggetto si impone. Il vissuto di profonda vergogna con cui convivono i soggetti bulimici, del tutto opposto all'orgoglio delle anoressiche, è l'indizio evidente di un disagio che fa riferimento alla perdita di controllo su di sé, intollerabile in quanto il perfezionismo implica l'ipercontrollo.
Uno sviluppo psicopatologico non meno frequente del perfezionismo è il disturbo ossessivo-compulsivo (la nevrosi ossessivo-fobica del passato). L'insorgenza della sindrome è quasi sempre dovuta all'attivazione di valenze opposizionistiche che determinano, a livello inconscio, la paura di perdere il controllo su di sé. Tale paura si esprime sotto forma di rituali che non per caso vanno eseguiti alla perfezione perché l'ansia si allenti. La valenza opposizionistica è rivelata dalle ossessioni impulsive, vale a dire da pensieri o fantasie vissute come parassitarie che hanno quasi sempre carattere trasgressivo.
Quando si associa ñ ed è piuttosto frequente ñ ad una struttura ossessiva di personalità, il perfezionismo può esitare con facilità in un'esperienza psicotica. La struttura ossessiva di personalità, la cui descrizione è reperibile nel capitolo sulle strutture psicopatologiche de La Politica del Super-io, implica sempre una scissione tra un modo di essere apparente socialmente inappuntabile e un mondo interiore ove, per effetto della repressione del bisogno d'individuazione, si accumulano fantasie, emozioni e pensieri ridondanti di tipo anarchico, asociale, antisociale, immorale, ecc. nei casi in cui, questo mondo interiore è percepito o anche solo intuito dall'io, esso concorre a rafforzare difensivamente la maschera cosciente d'ipernormalità. Nei casi in cui, viceversa, rimane del tutto rimosso rispetto alla coscienza, esso può facilmente tradursi in una psicosi ossessiva o in una sindrome paranoica.
8. Il perfezionismo nella pratica psicoterapeutica
Ho accennato al fatto che, sul piano della pratica psicoterapeutica, il perfezionismo è molto difficile da sormontare. I motivi essenzialmente sono due. Il primo è che l'Io cosciente perfezionistico risulta non solo costantemente alleato del Super-Io e dell'Ideale dell'Io, fino al punto di identificare con essi la sua identità. Da questo punto di vista, la difficoltà consiste nell'indurre nel soggetto la consapevolezza che il superamento del perfezionismo è una liberazione, e non una prova del suo disvalore o l'accettazione definitiva di una presunta mediocrità.
Il secondo motivo è che il cambiamento di regime interiore non può avvenire che utilizzando il potenziale opposizionistico, sempre presente a livello inconscio, e identificando in esso una protesta rivendicativa di libertà personale veicolata dall'Io antitetico. Il passaggio però non è indolore,perché comporta, in misura più o meno rilevante, una sospensione del regime perfezionistico, con la conseguenza di una perdita di tensione emozionale e prestazionale, che, al limite, può arrivare all'estremo opposto dell'inattività, del disordine, della dispersione, ecc.
Queste due difficoltà richiedono, più forse che in ogni altro ambito psicoterapeutico, l'acquisizione di strumenti interpretativi adeguati a decifrare la propria condizione.
Nell'ambito del perfezionismo, infatti, lo statuto mistificato dell'Io cosciente, che può giungere a sentirsi pienamente padrone di se stesso laddove la sua identità è del tutto subordinata alla dipendenza da un Super-io o da un Ideale dell'Io che lo costringono a sacrificarsi in nome di valori morali e sociali alienati, è di una evidenza talora drammatica. Altrettanto evidente è la dissociazione dell'Io cosciente rispetto all'Io antitetico, che rivela la sua funzione di difensore dei diritti e dei bisogni individuali contro la pressione dei doveri sociali.
Nella pratica psicoterapeutica corrente, laddove la categoria del perfezionismo è riconosciuta ma senza alcuna adeguata riflessione teorica, il problema è affrontato in termini meramente psicologisti, tal che l'obiettivo di fondo si riduce nella sollecitazione rivolta al paziente di pensare un po' più a sé.
In realtà, il perfezionismo pone in luce la drammatica tensione che si dà, a livello inconscio, tra essere per gli altri e essere per sé, tra doveri sociali e diritti individuali, tra ruoli e persona in carne ed ossa che li agisce.