Un modello cognitivo integrato di schizofrenia


Nonostante molti anni di ricerca e innumerevoli articoli scientifici, il costrutto della schizofrenia è ancora ricoperto di mistero. È una malattia unica o un conglomerato di numerose malattie differenti? Qual è la sua eziologia? Vi è un percorso comune o vi sono percorsi multipli per una piena espressione del disturbo? È stato stabilito bene che nessuna serie di anomalie biologiche o psicologiche è stata riscontrata esclusivamente nella schizofrenia (specificità) o comprende tutti i casi (sensibilità). Nonostante ciò, vi sono sufficienti aspetti comuni tra le caratteristiche cliniche, le anomalie neuroendocrine e le aberrazioni psicologiche da giustificare la formulazione di un provvisorio modello di percorsi evolutivi del disturbo o dei disturbi.

La presentazione clinica della schizofrenia include quattro serie separate di sintomi o comportamenti: deliri, allucinazioni, disturbo del pensiero/eloquio e sintomi negativi (John, Khanna, Thennarasu e Reddy, 2003). Nonostante le analisi fattoriali abbiano coerentemente dimostrato che le prime due serie si basano su un fattore comune, spesso denominato 'distorsione della realtà', è difficile discernere connessioni significative tra la serie di sintomi. Inoltre non è chiara la relazione di questi sintomi l'uno con l'altro, così come con la più ampia disfunzione cognitiva, ad esempio rispetto all'attenuato esame di realtà e ai deficit neurocognitivi. In questo capitolo proviamo ad affrontare le seguenti domande: quali processi possono giustificare la diversa, e apparentemente non connessa, sintomatologia, e la sua relazione con anomalie strutturali e neurofisiologiche? Vi è un comune denominatore tra la disfunzione cognitiva e i sintomi? Quali percorsi conducono allo sviluppo del disturbo? Noi esploriamo queste domande in termini di interazione di funzionamento cerebrale inadeguato; esperienze di vita avverse; reazioni psicofisiologiche eccessive e loro relazione con le anomalie cognitive, affettive e comportamentali caratteristiche della schizofrenia.

Solo recentemente i ricercatori hanno tentato di integrare le scoperte neurofisiologiche con un modello cognitivo della schizofrenia (Bentall et al., in corso di stampa; Broome et al., 2007a; Broome et al., 2005; Garety, Bebbington, Fowler, Freeman e Kuipers, 2007). In questo capitolo, proviamo a incorporare le più rilevanti scoperte neurocognitive nel nostro modello integrato. Nonostante le scoperte sperimentali siano, al momento, insufficienti a fornire una validazione del modello proposto di schizofrenia, una formulazione teorica può offrire una cornice per la comprensione della fenomenologia della schizofrenia, suggerire strade per la ricerca futura e fornire alcuni indizi sui modi in cui la terapia cognitiva per la schizofrenia può aiutare a migliorare i sintomi di questo disturbo. Di conseguenza, questo capitolo mette in risalto lo sviluppo, la sintomatologia e la terapia della schizofrenia da una prospettiva cognitiva e neurofisiologica. Quando sono disponibili, vengono fornite scoperte empiriche a supporto della terapia.

Riassunto del modello integrato

Precedenti studi hanno mostrato che specifiche regioni del cervello e specifiche funzioni (ad esempio, memoria a breve termine e funzione esecutiva) giocano un ruolo centrale, in particolar modo nella formazione dei sintomi negativi e nella disorganizzazione del pensiero (Heydebrand et al., 2004; Kems e Berenbaum, 2003); queste scoperte, comunque, non spiegano i deliri, le allucinazioni e la perdita di consapevolezza della malattia. Noi adottiamo il punto di vista secondo cui una prospettiva più ampia sulla schizofrenia può essere più illuminante di un'attenzione esclusiva su specifici domini funzionali o regioni cerebrali. Sebbene i test di attenzione, memoria, funzione esecutiva e flessibilità siano utili indicatori di deficit neurocognitivi, non misurano direttamente la distruzione nelle funzioni integrative complessive del cervello. Basati sull'analogia con la funzione cardiaca danneggiata, i concetti più ampi di 'insufficienza' cognitiva, 'decompensazione' e 'fallimento' possono essere applicati alla complessa interazione dei fattori predisponenti neurobiologici, ambientali, cognitivi e comportamentali nello sviluppo della schizofrenia. Implicita in questo costrutto è la nozione che la combinazione di due fattori (cioè, un eccessivo carico cognitivo) derivanti da convinzioni ipersalienti e risorse cognitive marginali (risultanti da una deficienza in molti domini della funzione cerebrale) interferisce con la valutazione adattiva e l'integrazione di esperienze interne ed esterne. Come mostrato nella Figura 14.1, la decompensazione delle funzioni cognitive vacillanti porta allo sviluppo dei sintomi specifici della schizofrenia.

L'esaurimento nervoso è presagito da un'iper-reattività allo stress, da impercettibili deficit cognitivi e da tendenze al ritiro dagli altri individui. Quando i fattori di stress si accumulano, la risultante cascata neuroendocrina ha un impatto tossico sulle funzioni cerebrali, portando, ad esempio, all'eccessiva attivazione di certe regioni cerebrali da parte della dopamina e, probabilmente, di altri neurotrasmettitori. Questa iperattivazione impone un carico significativo sulle risorse cognitive limitate. Così, la progressiva deplezione delle risorse cognitive marginali stabilisce la traiettoria dall'insufficienza cognitiva alla decompensazione cognitiva e, in casi gravi, al fallimento cognitivo. Questo andamento è manifestato clinicamente dalla comparsa di convinzioni deliranti e allucinazioni, da un lato, e da una diminuita capacità di valutarle realisticamente, dall'altro. Sebbene la progressione del disturbo sia caratterizzata da un'attenuazione delle risorse cognitive, i pazienti conservano riserve cognitive sufficienti per svolgere le operazioni meno impegnative della vita di tutti i giorni. Questa riserva è insufficiente, comunque, per le operazioni più complesse e faticose coinvolte nell'esame di realtà delle convinzioni ipersalienti e delle interpretazioni errate. I sintomi negativi possono essere dovuti, in parte, alle ridotte risorse per pianificare e svolgere le attività; possono anche servire come mezzo per proteggere le riserve cognitive. Il sistema di conservazione è rappresentato dalle aspettative negative, da una minore motivazione e dall'evitamento sociale, cosi come dalla generale riduzione dell'attività costruttiva (per una discussione sulla riserva cognitiva in altre condizioni, si veda Stern, 2002).

Gli errori cognitivi giocano un ruolo significativo nel passaggio da una vulnerabilità costituzionale a uno stato prodromico, fino alla psicosi manifesta. Le distorsioni cognitive che ne derivano portano a valutazioni estreme di situazioni di vita avverse, e alla conseguente formazione di schemi patogeni (che incorporano le convinzioni e le rappresentazioni distorte). Gli schemi cognitivi disfunzionali diventano ipersalienti e 'dirottano' il sistema di elaborazione dell'informazione, che pregiudica ulteriormente le interpretazioni delle esperienze della persona. Queste interpretazioni errate si conformano al contenuto delle convinzioni, incorporate all'interno degli schemi cognitivi. L'iperattivazione degli schemi (associata alla disregolazione neurochimica) porta a un pensiero aberrante incontrollato, che, a causa delle deficitarie risorse cognitive, non viene sottoposto a verifica. Le convinzioni ipersalienti e l'ideazione associata all'attivazione del sistema dopa- minergico, e probabilmente di altri neurotrasmettitori (ad esempio, il glutaminergico), vengono rappresentate in forma di deliri e allucinazioni; le attitudini fallimentari di vecchia data e le aspettative negative (associate alla deficienza della dopamina nella corteccia prefrontale) sono strumentali alla produzione dei sintomi negativi.

Predisposizione e sviluppo della schizofrenia

Il modello diatesi-stress (Zubin e Spring, 1977) per molte decadi ha guidato gli studi sullo sviluppo della schizofrenia. Un'ampia letteratura rende testimonianza della diatesi nella schizofrenia. Varie combinazioni di fattori contributivi stabiliscono la vulnerabilità costituzionale: avversità genetiche, prenatali e postnatali, fattori di stress psicosociali e problemi neuroevolutivi e neuroendocrini nell'adolescenza e nella prima età adulta (Walker, Kestler, Bollini e Hochman, 2004). Un danno all'ippocampo è stato individuato non solo come contributo alla vulnerabilità, ma anche come fattore nella precipitazione e nel mantenimento della psicosi (Walker et al.). Anche la perdita di materia grigia, dovuta alla riduzione (McGlashan e Hoffman, 2000) e alla disregolazione dei sistemi di neurotrasmettitori (Walker e Difo- rio, 1997), sembra giocare un ruolo nella predisposizione e nel mantenimento della psicosi. Alcuni studi hanno documentato l'impatto dei disturbi dell' attività del circuito neurale sulle componenti della percezione, cognizione e comportamento (Jarskog e Robbins, 2006). Tali disturbi sono manifestati da misurabili problemi cognitivi della funzione esecutiva e della memoria di lavoro, così come dalla formazione di sintomi della schizofrenia. L'effetto cumulativo di questi problemi, e di altri non ancora identificati, contribuisce evidentemente alla riduzione dell'insieme disponibile di risorse cognitive (Nuechterlein e Dawson, 1984).

Nonostante la prevalenza della schizofrenia sia stata stimata approssimativamente intorno all'1% della popolazione generale, sono state identificate prevalenze più alte di sintomi psicotici isolati (5% di prevalenza) o di esperienze psicotiche più ampiamente definite (15% di prevalenza) (Cougnard et al., 2007). Studi prospettici (ad esempio, Owens e Johnstone, 2006; Cougnard et al., 2007) hanno fornito prove per un modello interattivo di sviluppo della psicosi. Inoltre, il trauma psicologico, in generale, è stato associato allo sviluppo della psicosi (Spauwen, Krabbendam, Lieb, Wittchen e van Os, 2006). Cougnard et al. (2007) hanno rilevato che le espressioni non cliniche di sporadiche esperienze psicotiche interagivano con specifici fattori di rischio ambientali per la psicosi (uso di cannabis, trauma nell'infanzia e vita urbana) nel causare la persistenza anomala di sintomi psicotici nei partecipanti, ed eventualmente la necessità di un trattamento. I fattori di rischio ambientali agivano ulteriormente sulla produzione di psicosi clinica. Questi problemi e sintomi esistono chiaramente in forma subclinica in individui vulnerabili allo sviluppo del disturbo, ma fanno la loro comparsa più florida solo in una proporzione di casi relativamente piccola, specialmente quelli esposti a esperienze traumatiche.

Diverse prove supportano l'ipotesi della continuità. Studi epidemiologici, ad esempio, mostrano un continuum tra segni subclinici e sintomi negli individui ad alto rischio e sintomi pienamente manifestati nei soggetti con il disturbo conclamato. Altri studi mostrano che certi tratti, come il nevroticismo e l'attribuzione delle voci ad agenti esterni, predispongono un individuo alla psicosi (Escher, Romme, Buiks, Delespaul e van Os, 2002a). Inoltre, vi sono prove che l'accumulo di condizioni stressanti#minori possa far precipitare il disturbo, o esacerbare i sintomi, durante un periodo quiescente.

Un modo per determinare in generale la diatesi della psicosi, e nello specifico della schizofrenia, è investigare se vi sono caratteristiche fenotipiche e genotipiche di questo disturbo negli individui con sintomi subclinici (come nel disturbo schizotipico), nei parenti di questi individui e nei pazienti. Una rassegna di Myin-Germeys, Krabbendam e van Os (2003) presenta prove convincenti di una continuità tra i sintomi psicotici subclinici nella popolazione generale e i sintomi nei pazienti clinicamente diagnosticati con psicosi (si veda anche Lincoln, 2007; Schurhoff et al., 2003). Questi autori presentano anche prove di una continuità eziologica tra gli individui della popolazione generale e i pazienti con psicosi, così come similarità tra la schizo- tipia e la psicosi. Le stesse dimensioni cliniche (sintomi positivi, negativi e disorganizzati) caratterizzano sia la schizotipia sia la psicosi. Inoltre, fattori psicosociali, come abuso infantile e scarso adattamento all'aumentato livello di stress di vita urbana, sono associati con entrambe le sindromi. L'uso della cannabis è associato sia alla schizotipia sia alla psicosi. Gli individui schizo- tipici che fanno uso di cannabis mostrano una disinibizione attentiva simile a quella riscontrata in pazienti con la dimensione positiva della psicosi.

Anche il nevroticismo, caratterizzato da un'esagerata reattività allo stress, una propensione all'ansia, sintomi depressivi e labilità autonomica è un fattore di rischio per la psicosi in età adulta. I pazienti con psicosi, e i loro parenti di primo grado, sono caratterizzati da aumentati livelli di nevroticismo. Inoltre, il nevroticismo sembra contribuire al rischio di sviluppare sintomi simil-psicotici. Anche studi genetici sembrano supportare l'ipotesi di una continuità. Gli studi sui gemelli e sui gruppi familiari di psicopatologia hanno mostrato una significativa trasmissione genetica e familiare della dimensione tipica dei sintomi negativi e della disorganizzazione. Inoltre, i sintomi positivi, in pazienti con psicosi non affettiva, sono correlati alla schizotipia positiva nei loro parenti, e i sintomi negativi sono predittivi della schizotipia negativa nei loro parenti. Le caratteristiche neuroevolutive e neuropsicologiche dei pazienti con schizofrenia sono state riscontrate anche in individui con schizotipia, così come nei parenti di primo e secondo grado dei pazienti (Schurhoff et al., 2003). Varie anomalie psicologiche, quali l'aumentata conduttanza cutanea e i precoci deficit del filtro sensoriale, sono state trovate sia nella schizofrenia pienamente manifestata sia nella schizotipia. Infine i sintomi negativi, negli individui ad alto rischio e nei pazienti schizofrenici, mostrano lo stesso tipo di atteggiamenti fallimentari (si veda il capitolo 5).

Riassumendo, vi è un'ampia continuità nella predisposizione alla schizofrenia degli individui non trattati e dei parenti dei pazienti nella comunità, così come nei pazienti a cui è stata diagnosticata la schizofrenia, che coinvolge: sintomi simil-psicotici; fattori eziologici, ambientali e demografici; nevroticismo; atteggiamenti disfunzionali; genetica; problemi neurocognitivi; aberrazioni psicofisiologiche.

Fattori di stress e iper-reattività neuroendocrina

La relazione tra stress e psicosi è stata studiata da molti ricercatori. I risultati generali hanno indicato che l'andamento della psicosi è influenzato meno da grandi eventi di vita, relativamente rari, e più dall'insieme di piccoli eventi, molto più diffusi, che si verificano nella vita quotidiana (Malia e Norman, 1992). Lo stesso può essere vero per i fattori di stress che portano al primo episodio psicotico. Monroe (1983) ha riportato che, in generale, gli eventi giornalieri minori hanno un impatto sui sintomi psicologici. Mal- la, Cortese, Shaw e Ginsberg (1990) hanno riferito un'associazione tra gli eventi di vita minori e i tassi di ricaduta nella schizofrenia, e Norman e Malta (1991) hanno mostrato la relazione tra eventi di vita minori e stress soggettivo in questi pazienti. Inoltre, Myin-Germeys, van Os, Schwartz, Stone, e Delespaul (2001) hanno rilevato cambiamenti nell'umore dei pazienti con psicosi, e nei loro parenti di primo grado, dopo uno stress minore.

Una serie di articoli supporta la nozione che gli individui ad alto rischio di psicosi manifestano un'iper-reattività allo stress (Myin-Germeys, Delespaul e Van Os, 2005; Walker, McMillan e Mittal, 2007). Tale iper-reattività continua, attraverso la fase prodromica, fino al periodo psicotico pienamente attivo, e può contribuire alle ricadute. Le prove empiriche dell'iper-rea- zione fisiologica allo stress nella psicosi hanno un supporto considerevole in letteratura (ad esempio, Corcoran et al., 2003; Walker e Diforio, 1997). Gli individui schizotipici, ad esempio, mostrano problemi di pensiero analoghi a quelli riscontrati nella schizofrenia e, allo stesso tempo, iper-reagiscono fisiologicamente allo stress (Walker, Baum e Diforio, 1998). Inoltre, valutazioni di minaccia sociale sono correlate a un eccessivo rilascio di cortisolo (Dickerson e Kemeny, 2004).

Un importante studio di Myin-Germeys et al. (2005) ha usato l'esperienza di un metodo di campionamento per studiare l'associazione tra eventi di vita minori e sintomi psicotici. I ricercatori hanno rilevato che la presenza di fattori di stress minori è chiaramente associata all'intensità delle esperienze psicotiche, con un livello più alto della media di predisposizione alla psicosi, in due gruppi: i pazienti con una diagnosi di psicosi in uno stato di remissione e i parenti di primo grado dei pazienti con una diagnosi di disturbi psicotici. Poiché i risultati erano basati su analisi a sezione trasversale dei dati, non è stato possibile stabilire una relazione causale. Comunque, un'interpretazione plausibile è che i fattori di stress minori causano un aumento nell'intensità dei sintomi psicotici. Gli autori propongono che la sensibilizzazione in relazione allo stress ambientale potrebbe essere interpretata alla luce dell'ipotesi della sensibilizzazione della dopamina dei sintomi psicotici; sottolineano l'iper-responsività dei neuroni della dopamina a stimoli ambientali, in cui persino l'esposizione a moderati livelli di stress è associata a un'eccessiva dopamina.

Corcoran et al. (2003) riassumono le scoperte a supporto di un'ipotesi proposta da Walker e Diforio (1997), secondo cui l'asse hpa costituisce un fattore di rischio del sistema endocrino-neuronale nell'inizio e nell'andamento della psicosi schizofrenica. Un aumento nei livelli del cortisolo (presumibilmente dovuto all'impatto dello stress sull'asse hpa) è stato associato all'esordio della psicosi. Vi è anche una correlazione tra l'età media di esordio dei disturbi psicotici e l'aumento nei livelli del cortisolo durante l'adolescenza e la giovane età adulta, fornendo prova circostanziale alla teoria di Walker e Diforio (1997) sulla relazione tra lo stress e. il cortisolo e la psicosi. Walker et al. (2007) riportano sempre maggiori prove che il sistema hpa-ippocampale sia sregolato nei pazienti con schizofrenia e altri disturbi psicotici, e che questo, almeno in parte, sia dovuto a fattori ambientali. Basano in parte la loro tesi su scoperte fatte su gemelli monozigoti discordanti. Riferiscono che il danno hpa-ippocampale precede l'esordio del disturbo clinico. Inoltre, nei pazienti giovani al primo episodio, mai stati trattati, il volume dell'ippocampo è ridotto e il cortisolo elevato. Infine, il volume ip- pocampale continua a diminuire non appena il disturbo diventa più cronico (Velakoulis et al., 2006).

Questo schema di scoperte è coerente con la tesi secondo cui il disturbo indotto dallo stress nel sistema hpa-ippocampale può influenzare l'espressione della psicosi negli individui vulnerabili. La sottoregolazione dello stress cronico dell'asse hpa, che non riesce a moderare la secrezione di cortisolo, porta alla morte cellulare nell'ippocampo. Walker et al. (2007), inoltre, mostrano che l'attività della dopamina è aumentata dal rilascio del cortisolo, e che questo può rendere conto delle apparenti esacerbazioni dei sintomi psicotici durante l'esposizione allo stress. Ulteriori prove supportano la teoria di Walker e Diforio (1997). Ad esempio, un aumento dei livelli di cortisolo si verifica prima della ricaduta psicotica. Inoltre, i livelli baseline di cortisolo hanno una correlazione con la gravità dei sintomi al follow-up (Walker, 2002). Evidentemente, lo stress, come indicato dai livelli di corti- solo, è un precursore, e non una conseguenza, della psicosi.

Riassumendo, basandosi su un ampio numero di studi (riassunti in Broome et al., 2007b; Garety et al., 2007), è possibile formulare un plausibile percorso neurofisiologico verso la psicosi. La riduzione del volume ippo- campale, come risultato di qualunque combinazione di eventi ambientali prenatali e postnatali (Walker et al., 2004), predispone l'individuo a un eccessivo rilascio di cortisolo e allo stress correlato. L'ipercortisolismo può ridurre ulteriormente il volume ippocampale. Dato che l'ippocampo controlla il sistema dopaminergico mesolimbico, il danno porta a una sensibilizzazione della dopamina. L'iper-reattività del sistema dopaminergico è un fattore cruciale nella precipitazione della psicosi. Questa progressione è favorita dalla disfunzione del circuito corticolimbico, che genera una ridotta frenata dell'attività della dopamina da parte dei lobi prefrontali. L'idea che lo stress, il cortisolo elevato e il danno ippocampale siano correlati è stata applicata anche a una teoria dell'eziologia della schizofrenia come conseguenza di un trauma dell'infanzia/ptsd (Read, van Os, Morrison e Ross, 2005).

il ruolo della valutazione nelle reazioni di stress

Gran parte della ricerca sulle risposte biologiche allo stress degli individui tendenti alla psicosi postula una sequenza diretta dalla diatesi ali 'evento stimolante fino alla risposta neuroendocrina. La letteratura, comunque, indica che la risposta allo stress è mediata dalla valutazione dell'evento; cioè, un evento diventa un fattore di stress in virtù del significato a esso attribuito (Pretzer e Beck, 2007; Lazarus, 1966).

Dickerson e Kemeny (2004) approfondiscono i modi in cui le valutazioni cognitive influenzano la fisiologia, attivando specifici processi cognitivi e le loro basi del sistema nervoso centrale. Il talamo e i lobi frontali (ad esempio, la corteccia prefrontale), in primo luogo, integrano e valutano la rilevanza o il significato del potenziale fattore di stress. Valutazioni di minaccia e di incontrollabilità, ad esempio, possono portare a risposte emotive, attraverso ampie connessioni dalla corteccia prefrontale al sistema limbico. Le strutture limbiche (ad esempio, l'amigdala e l'ippocampo), che si connettono all'ipotalamo, servono come percorso primario per l'attivazione dell'asse hpa. Quest'ultimo è avviato dal rilascio ipotalamico dell'ormone che libera corticotropina (crh), che stimola la ghiandola pituitaria anteriore a rilasciare l'ormone adrenocorticotropina (acth). Quest'ormone, a sua volta, stimola la corteccia adrenale a secernere il cortisolo nel flusso sanguigno. Dickerson e Kemeny (2004) concludono, sulla base di un'ampia meta-analisi, che le condizioni sperimentali che più coerentemente attivano l'asse hpa (valutazione e incontrollabilità) sono rilevanti per le valutazioni della minaccia. Queste scoperte sperimentali sono congruenti con il rapporto di Horan et al. (2005), secondo cui la valutazione di incontrollabilità degli eventi di vita era più stressante per i pazienti con schizofrenia. La Figura 14.2 illustra il percorso delle valutazioni disfunzionali degli eventi di vita verso i cambiamenti neurofisiologici, fino all'impatto tossico sulle funzioni cerebrali.

Gli individui predisposti alla psicosi valutano certe situazioni innocue in modo idiosincratico e, presumibilmente, si sentono più minacciati e stressati della persona comune. Freeman, Garety, Bebbington et al. (2005), ad esempio, riportarono che gli individui che ricevevano alti punteggi su una scala della paranoia tendevano a interpretare i personaggi del computer (avatar), in una scena di realtà virtuale, come ostili e cospiranti verso di loro. In questo studio, la tendenza ad attribuire un significato personale con sfumature paranoiche alle scene, che erano obiettivamente neutre, dimostra il focus auto-centrato dell'individuo e il pregiudizio paranoico, che converte una scena innocua in un'esperienza stressante. Uno studio successivo di Valmaggia et al. (2007) ha ottenuto risultati simili con un gruppo di individui ad alto rischio.

Transizione alla psicosi

Vi sono ovviamente numerosi percorsi che possono condurre alla schizofrenia. Molto spesso, i cambiamenti soggettivi più precoci coinvolgono alterazioni percettive, che possono comprendere modifiche nell'esperienza di sé e/o del mondo (Klosterkotter, 1992). Di solito, gli individui vulnerabili sperimentano anche una disfunzione neurocognitiva, prima dell'esordio dei sintomi psicotici (Walker, 2002). Gli individui a rischio, così come i pazienti, mostrano una serie di danni specifici rilevati nei test neurocognitivi: problemi attentivi, memoria di lavoro danneggiata, e funzione esecutiva difettosa (Walker et al., 1998; Nuechterlein e Dawson, 1984). Questi indici di insufficienza cognitiva impediscono l'adattamento accademico e sociale di questi individui e, quando combinati con l'ipersensibilità allo stress, creano condizioni rilevanti per lo sviluppo della schizofrenia. Tale disfunzione cognitiva sembra influenzare il loro funzionamento psicologico e la socializzazione, come manifestato da una diminuita motivazione (Cornblatt, Lencz e Kane, 2001). Evidentemente, la combinazione di queste difficoltà neurocognitive, psicologiche e sociali interferisce con lo sviluppo di abilità sociali fondamentali per l'età (si veda Broome et al., 2005) e la prestazione sociale e accademica. Tali problemi producono atteggiamenti negativi verso se stessi e gli altri, portando ad ansia sociale e depressione. A un certo punto, questi individui si ritirano volontariamente dalle interazioni sociali o sperimentano isolamento sociale da parte degli altri.

L'importanza del deficit cognitivo nella spiegazione sia delle scoperte di laboratorio sia di quelle cliniche nei pazienti con deliri paranoici è dimostrata dalle scoperte di Bentall et al. (2008), secondo cui i test sul deficit neurocognitivo in corso sono associati all'anticipazione della minaccia e alle convinzioni paranoiche. La rilevanza dell'anticipazione della minaccia è sintomatologicamente rappresentata da un'ansia eccessiva, dal progressivo senso di sconfitta sociale e accademica e dalla depressione.

Alcuni studi hanno mostrato che l'ansia e la depressione precedono frequentemente lo sviluppo della psicosi. Escher et al. (2002a) hanno scoperto che la combinazione di ansia e depressione è associata allo sviluppo di sintomi psicotici minori, durante il periodo prepsicotico, e Cannon, Caspi et al. (2002) hanno rilevato che i bambini preschizofrenici sperimentano eccessiva depressione e ansia sociale. Non appena l'individuo si avvicina all'esperienza della psicosi vi è un'alta probabilità di almeno un chiaro episodio di depressione nell'anno precedente l'ospedalizzazione (an der Heiden e Hafner, 2000).

Un fattore cruciale nella progressione verso la psicosi è lo sviluppo di schemi cognitivi disfunzionali che facilitano l'esordio di esperienze aberranti, quali allucinazioni e deliri. Le condizioni stressanti portano a convinzioni disfunzionali (ad esempio, "Sono inferiore", "Le persone sono contro di me") e, di conseguenza, a valutazioni cognitive disfunzionali di esperienze specifiche e comportamenti maladattivi (ad esempio, ritiro sociale). Questi problemi evocano esperienze più awersive che, a loro volta, consolidano le convinzioni e i comportamenti disfunzionali. Gli atteggiamenti di avversione sociale possono condurre a sospetto e a idee strane sulle altre persone, caratteristiche del disturbo schizotipico. Le ripetute valutazioni disfunzionali che derivano dai pregiudizi cognitivi aumentano la quantità di stress psicofisiologico. In ultimo, la combinazione tra i fattori di stress che attivano atteggiamenti disfunzionali e l'impatto che ne deriva sull'asse hpa, e la disregolazione del sistema dopaminergico guida la progressione verso uno stato psicotico.

Atteggiamenti fallimentari inerenti la performance portano alla perdita di motivazione, a interessi ridotti e a tristezza, caratteristici della depressione, o possono essere integrati in una struttura di personalità e manifestarsi come disturbo di personalità schizoide. Uno studio di Perivoliotis et al. (2008), ad esempio, ha mostrato che individui ad alto rischio, con atteggiamenti fallimentari inerenti la performance, tendevano a mostrare una bassa motivazione. Queste caratteristiche premorbose si cristallizzano nei sintomi negativi tipici della schizofrenia.

Come si sviluppano le convinzioni persecutorie e anomale e, in ultimo, i deliri a partire dalle rappresentazioni disfunzionali, come quelle caratteristiche della depressione e dell'ansia? La ricerca precedente ha mostrato che gii individui tendenti alla depressione hanno core belief negativi su se stessi, incorporati in schemi cognitivi (Beck, 1967). I pazienti ad alto rischio di schizofrenia sembrano avere simili credenze negative su se stessi. Barrowcloug et al. (2003), ad esempio, hanno scoperto che i pazienti con schizofrenia mostrano una bassa autostima, che si correla con i sintomi positivi. A differenza della depressione 'pura', comunque, la schizofrenia incorpora core belief negativi sugli altri e su se stessi (Smith et al., 2006). Il contenuto preciso dei deliri è correlato alla natura delle rappresentazioni di sé (ad esempio, vulnerabile, impotente o forte), e le rappresentazioni degli altri (ad esempio, maligni, intrusivi o controllanti). I deliri di persecuzione, ad esempio, sembrano derivare dalle convinzioni di vulnerabilità personale e da forti convinzioni riguardo un'intenzione maligna negli altri. I deliri di influenzamento (deliri anomali o di controllo) sembrano essere basati su rappresentazioni di sé come impotenti, e degli altri come potenti. La stessa disparità di potere sembra essere intrinseca al sistema di convinzione nei casi di allucinazioni uditive.

I contenuti di questi deliri persecutori e anomali hanno alcuni temi in comune con quelli dell'ansia, della depressione e della schizofrenia. L'impatto dei due concetti di minaccia (ansia) e sconfitta sociale (depressione) sullo sviluppo del sistema di convinzioni porta a rappresentazioni degli altri come minacciosi, rifiutanti o dominanti, e di sé come vulnerabili e impotenti. Queste due componenti concettuali (minaccia e sconfitta) del sistema di convinzione si consolidano, quando si accumulano esperienze awersive (ad esempio, prendere in giro, abusare, fare il prepotente, manipolare). Prese nell'insieme, le scoperte cliniche suggeriscono che, quando il funzionamento intellettivo è danneggiato, si verifica questa sequenza di eventi: gli individui sono inclini a mantenere l'errore fondamentale di attribuzione (Heider, 1958; Gilbert, 1991), che, automaticamente, attribuisce le esperienze di vita a cause esterne. A differenza degli individui normali, che respingono automaticamente le attribuzioni esterne errate, gli individui tendenti al delirio hanno grande difficoltà nel valutare le attribuzioni come pensieri, piuttosto che come rappresentazione accurata di una realtà esterna. Poiché molti di questi errori attribuzionali riguardano la minaccia, eccessivi ricordi di minaccia hanno più probabilità di essere incorporati nel sistema di rievocazione (Bentall et al., 2008). Inoltre, tali ricordi sono accoppiati ad aspettative di futura minaccia (Bentall et al., 2008). Questa fissazione sulla minaccia ha conseguenze patologiche.

I ricordi e le anticipazioni di minaccia conducono direttamente al sospetto e all'ansia (Freeman, 2007) e ad impostare interpretazioni errate di situazioni innocue come minacciose (Bentall et al., 2008). Gli individui vulnerabili diventano ¿pervigili verso le potenziali minacce sociali, e cercano segnali di intenzioni malevole, espressi in forma di sospetto. Le preoccupazioni che gli altri possano volerli danneggiare o controllare portano a un accumulo di 'prove', che presumibilmente supportano questa nozione. Più interpretano erroneamente il comportamento innocente degli altri, più forte diventa la convinzione che gli altri li hanno presi come bersaglio, e desiderano far loro del male o ferirli in qualche modo. I concomitanti atteggiamenti positivi verso gli altri, come la fiducia, tendono a diminuire. Alla fine, le rappresentazioni di sé come vittime e degli altri come carnefici si consolidano in deliri di persecuzione o di influenzamento. La modalità paranoica coopta il sistema di elaborazione dell'informazione al punto che eventi casuali, irrilevanti e insignificanti vengono interpretati come personalmente significativi. Quando più eventi sono interpretati in questo modo, i confini dei deliri si estendono, così che un numero crescente di situazioni viene percepito come diretto contro il paziente. Alla fine, questo focus egocentrico diventa così pronunciato che quasi tutti gli stimoli (rumori nella stanza accanto, veicoli che passano, o i giornalisti del telegiornale) portano messaggi diretti al paziente. Allo stesso modo, le interpretazioni delle esperienze soggettive (sofferenze e dolori, ronzii nell'orecchio ed esperienze anomale) possono essere attribuite alle azioni di entità esterne.

Le aspettative sulle intenzioni invadenti degli altri (così come l'immagine di sé dei pazienti come impotenti e la permeabilità della mente) giocano un ruolo centrale nella formazione dei deliri, a causa del loro profondo impatto sull'elaborazione dell'informazione. All'inizio, queste convinzioni rendono l'individuo sospettoso delle intenzioni altrui: "mi stanno criticando? Vogliono controllarmi?". Come risultato del loro sospetto, i pazienti tendono a interpretare erroneamente i comportamenti degli altri come non amichevoli, e così le convinzioni sulle intenzioni negative degli altri si consolidano. Il comune denominatore dei deliri di controllo e di influenzamento e delle allucinazioni patogene è la percezione di sé come permeabile o manipolato da potenti entità esterne (voci o agenti deliranti).

L'elaborazione distorta delle informazioni impone il tipo di pregiudizi evidenziato nelle ricerche di depressione, ansia e altri disturbi: pregiudizi attentivi verso eventi congruenti con le convinzioni patogene, astrazione selettiva di questi eventi, distorsione ed esagerazione del loro significato, ed esclusione di spiegazioni alternative. Questi processi concorrono a sostenere la convinzione delirante (pregiudizio confermatorio). Il contenuto dell'interpretazione distorta e la conclusione riflettono naturalmente il contenuto delle convinzioni deliranti. Nel tempo, la convinzione non solo diventa fissa, ma si estende a una sempre più vasta gamma di eventi interni ed esterni, in un processo simile alla generalizzazione dello stimolo.

Quando si verifica il primo episodio di schizofrenia, gli schemi che incorporano queste convinzioni negative diventano ipersalienti; dominano l'elaborazione delle informazioni, producendo così interpretazioni altamente distorte del comportamento degli altri. Queste distorsioni, inoltre, mandano feedback e rinforzano gli schemi centrali. Quando questi schemi diventano iperattivi, le convinzioni incorporate diventano più estreme, non controllate dal normale esame di realtà, che opera nei disturbi non psicotici. Questa 'escalation' nel contenuto delle convinzioni può progredire, in un caso tipico, da "le persone non si curano di me" a "non sono amichevoli" a "vogliono perseguitarmi".

Riassumendo, il dirottamento dell'elaborazione delle informazioni, da parte delle convinzioni deliranti, porta ai pregiudizi che sono stati ampiamente dimostrati: un focus autoreferenziale, causale, attentivo, pregiudizi esternalizzanti, attribuzionali e confermatori. Processi simili possono essere identificati in altri tipi di pensiero paranormale e delirante.

La relazione dei deliri e della depressione con le allucinazioni

Una delle questioni più interessanti per gli studiosi è l'alto grado di associa- zone tra le allucinazioni e i deliri (Lincoln, 2007; Peralta, de Leon e Cuesta, 1992). Questo, all'inizio, appare inspiegabile, perché le allucinazioni sono esperite nel dominio sensoriale o percettivo, mentre i deliri implicano meccanismi cognitivi e concettuali. Quest'associazione è osservata non solo nei pazienti con schizofrenia, ma anche nelle popolazioni non cliniche (Stefanis et al., 2002; Lincoln, 2007). Allucinazioni che si presentano all'età di undici anni, ad esempio, che si verificano in circa l'8% dei bambini, è verosimile che progrediscano in pensiero delirante entro i ventisei anni, se le valutazioni iniziali delle voci assegnano la loro origine all'esterno, in una persona non amichevole, o nei loro genitori (Escher et al., 2002a). Allo stesso modo, Krabbendam e Aleman (2003) hanno riscontrato che i deliri sembrano in- terporsi tra le allucinazioni e la schizofrenia. Nel nostro lavoro con i pazienti ambulatoriali con schizofrenia, 30 su 34 pazienti con allucinazioni avevano anche deliri, mentre solo due pazienti avevano esclusivamente deliri.

La sequenza di allucinazioni, seguita in un momento successivo da depressione, costituisce un robusto fattore di rischio per la psicosi (Krabbendam et al., 2005). Come suggerito da Krabbendam e colleghi, la sensazione di essere intrappolati da un soggetto potente porta a un sentimento di impotenza. La convinzione della propria impotenza è un'importante caratteristica della depressione, e si riflette anche nel sentimento di impotenza del paziente nell'affrontare le voci onnipotenti. Così, l'attribuzione dell'esperienza allucinatoria a un'entità potente porta ai deliri cruciali delle allucinazioni, cioè che esse sono generate esternamente e sono incontrollabili (si veda anche Birchwood e Chadwick, 1997).

Il filo comune che attraversa il contenuto delle allucinazioni e dei deliri è c^e i pazienti sono oggetto di forze esterne, al di là del loro controllo. Le convinzioni patogene sul potere delle voci sono analoghe ai deliri di essere controllati, spiati e perseguitati. I pazienti con allucinazioni attribuiscono onnipotenza e onniscienza alle voci. Nel suo campione di pazienti con una lunga storia di schizofrenia, Lincoln (2007) ha scoperto che la tendenza alle allucinazioni era soprattutto in correlazione con i deliri di controllo, i deliri di influenzamento e le convinzioni sulla lettura del pensiero, inserzioni, eco e diffusione. Allo stesso modo, Kimhy et al. (2005) hanno scoperto che i deliri di controllo erano in correlazione con le allucinazioni, ma che non lo erano i deliri autoreferenziali e di persecuzione.

Sembra esservi un percorso speciale verso le allucinazioni in quegli individui che alla fine transitano nella psicosi, che hanno un'incidenza particolarmente alta di traumi infantili (Fowler, 2007). Perché c'è una tendenza sia alle allucinazioni sia ai deliri? Alcune volte, i pazienti hanno deliri senza allucinazioni, ma raramente esistono allucinazioni verbali nella schizofrenia senza convinzioni deliranti su di esse. (In effetti, l'esistenza di convinzioni deliranti sulle voci contribuisce a etichettare le allucinazioni come sintomo psicotico). I deliri e le allucinazioni nella schizofrenia hanno un comune orientamento interpersonale: il paziente è concentrato sul ricevere (in realtà interpretare) messaggi dall'esterno come sprezzanti, perseguitanti, invadenti e così via. Nei deliri, queste interpretazioni sono basate, da parte dei pazienti, sulle osservazioni del comportamento degli altri (ad esempio, i gesti, le espressioni facciali, la direzione dello sguardo o l'eloquio hanno un significato specifico e simbolico). Il loro mondo delirante è tanto reale quanto quello percettivo. La loro sensibilità al contenuto interpersonale si riflette nelle loro rappresentazioni di altri che parlano a loro (allucinazioni), su di loro (idee di riferimento), e li influenzano (deliri di controllo, interferenza, persecuzione). Nelle allucinazioni uditive, la comunicazione prende una forma verbale, che suggerisce che lo stesso meccanismo che abbassa la soglia dei pazienti per le interpretazioni persecutorie (esterne), abbassa anche la soglia per le voci.

Eventi traumatici durante l'infanzia sono a volte rappresentati nelle allucinazioni. L'esperienza traumatica, forse intrecciata ad altri eventi avversivi interpersonali dell'infanzia, fissa un'immagine di sé come impotente e degli altri come onnipotenti. Non solo l'abuso durante l'infanzia, ma anche l'esperienza della depressione sembra facilitare la persistenza delle allucinazioni (Escher et al., 2002b). È possibile discernere le stesse caratteristiche delle voci nella depressione e nel trauma infantile. Il contenuto della voce è diretto a disprezzare il paziente, e le stesse voci sono onnipotenti. Così, lo schema seguente si incentra sulla totale subordinazione del paziente agli altri. Le voci sintetizzano spesso i reali eventi traumatici, riproducendo le parole sia dei carnefice sia della vittima, come illustrato nel caso che segue.

Un uomo di venticinque anni affetto da schizofrenia sentiva due voci che parlavano a lui e di lui facendo generalmente commenti sprezzanti, quali 'frodo', 'femminuccia' o 'finocchio'. Una voce era quella di un bambino di dodici anni e l'altra di un bambino di sei anni. Prima dell'esordio della psicosi, il paziente era stato sottoposto a due ospedalizzazioni per depressione. Nell'intervista il paziente rivelò che, quando aveva sei anni, era stato sessualmente aggredito da un ragazzino di dodici anni. È interessante il fatto che non vedesse alcuna connessione tra questa esperienza e le voci. Come risultato di un trauma dell'infanzia, il paziente aveva un'immagine di sé come impotente e degli altri come più potenti. Quest'immagine portava il paziente a sentirsi vulnerabile e impacciato in presenza di altri. Interpretava le sue esperienze attraverso il modello (o schema) della subordinazione sociale. Tendeva a esagerare le esperienze negative e a interpretare quello che poteva essere un evento accidentale o incidentale come qualcosa diretto contro di lui. Alla fine, questa iper-reattività ai fattori di stress della vita quotidiana, così come ad altri più intensi (incluse le svalutazioni reali), portò a ospedalizzazioni per depressione e, successivamente, per deliri e allucinazioni. Il contenuto delle voci incorporò la prima immagine dell'infanzia, e riprodusse il significato che lui aveva attribuito a quell'esperienza, cioè che era non solo debole, ma anche spregevole (un 'finocchio'). Read, Perry, Moskowitz e Connolly (2001) hanno proposto che, come risultato dello stress, dell'aumentato cortisolo, e (principalmente) del danno ippocampale derivante da un trauma, aspetti di ricordi collegati al trauma possono rimanere non integrati o decontestualizzati. Ad esempio, un adulto con schizofrenia (con una storia di traumi nell'infanzia) può esperire una voce ostile, che è realmente un frammento ricordato di un'esperienza di abuso. Ma, poiché la traccia di memoria è decontestualizzata (cioè, disconnessa da altri aspetti/ricordi dell'esperienza), la persona esperisce solo una voce ostile, che può facilmente interpretare come una voce ostile esterna.

Il prototipo delle spiegazioni deliranti delle voci (cioè, il pregiudizio esternalizzante preventivo) esiste apparentemente prima di sentire le voci. Quando i pazienti sentono una voce per la prima volta, generalmente si guardano intorno per accertarsi della sua origine (possono controllare la reazione di altre persone e scoprire che queste non sentono le voci). Invece di prendere in considerazione che le allucinazioni uditive possano essere un fenomeno mentale, questi individui si fissano sulla convinzione che hanno una causa esterna (perché questo pregiudizio esplicativo si è già formato). La spiegazione esterna del fenomeno da parte dei pazienti sembra derivare dalle prime rappresentazioni di sé come oggetti passivi che subiscono l'influenza esterna di un altro potente. Tale concezione porta i pazienti a un singolare modo di dare spiegazioni causali: le esperienze interne sono causate da forze o entità esterne. I pazienti applicano questa modalità esplicativa per spiegare una varietà di esperienze paranormali, oltre alle allucinazioni: furto del pensiero, lettura della mente, inserzione del pensiero e così via. In effetti, l'intera gamma di ciò che viene etichettato come deliri di interferenza, di controllo o persecutori può essere compresa in termini di rappresentazioni di sé e degli altri, che rivolgono a cause esterne l'elaborazione delle informazioni. È interessante il fatto che i pazienti possono attribuire molto più potere alle voci stesse, che al loro presunto agente. Un uomo si sentiva totalmente subordinato alle voci allucinatorie di suo fratello, ma non si sentiva così impotente quando suo fratello gli parlava nella realtà.

Sebbene vi siano scarse prove, vi sono indicazioni di dati clinici secondo cui gli individui prepsicotici hanno già l'idea che gli altri li stanno controllando e osservando, e tendono a considerare se stessi come il bersaglio delle intrusioni 'intenzionali' dell'altro. Questa concezione si riflette nelle loro idee sulle allucinazioni, sui pensieri intrusivi e sui deliri.

La tendenza a fare attribuzioni esterne è certamente una caratteristica della popolazione in generale. Heider (1958) per primo ha spiegato questo fenomeno, ed è stato descritto a lungo da Gilbert (1991). Gli individui tendenti alla psicosi, presumibilmente a causa delle esperienze di vita avverse, hanno probabilità di iperinvestire in queste attribuzioni e, a causa del deficit cognitivo, sono meno in grado di valutarle e scartarle. Come mostrato nella Figura 14.3, la sequenza delle rappresentazioni negative e la conseguente elaborazione parziale delle informazioni portano alla formazione di deliri e allucinazioni.

Considerazioni teoriche e conclusioni

Le basi causali del limitato insight cognitivo e del pensiero disorganizzato della schizofrenia sembrano essere diretta conseguenza delle disfunzioni del sistema neurale. Il concetto dell'interazione tra una limitata capacità cognitiva (dovuta a deficit neurali) e lo stress aiuta a spiegare l'espressione dei sintomi, ma anche le difficoltà dei pazienti nel valutare e correggere le idee irrealistiche. Sebbene l'obiettivo sulle funzioni difettose, localizzate e specializzate del cervello, abbia, in anni recenti, dominato la ricerca su più alte funzioni cerebrali nella schizofrenia, Phillips e Silverstein (2003) fanno notare che queste funzioni localmente specializzate devono essere integrate dai processi che le coordinano, e propongono che il deficit di questi processi coordinanti possa essere centrale nella schizofrenia. Suggeriscono che quest'importante classe di funzioni cognitive può essere implementata da meccanismi come le connessioni a lungo raggio all'interno e tra le regioni corticali che attivano canali sinaptici e sincronizzano l'attività neurale oscillatoria nel cervello. Le capacità intellettive che questi meccanismi forniscono si sono dimostrate deficitarie nella schizofrenia.

Questa formulazione di Phillips e Silverstein (2003) suggerisce una concezione più ampia dei problemi nell'elaborazione cognitiva di alto livello nella schizofrenia, considerandoli non semplicemente come una conseguenza di deficit specifici, ma anche come un deficit delle funzioni integrative del cervello. La diminuita integrazione può essere rappresentata, a livello anatomico, come un pruning eccessivo, durante l'adolescenza, delle connessioni sinaptiche (McGlashan e Hoffman, 2000), o come un'ipofunzione dei recettori nmda (modulatori) (Olney e Farber, 1995). Studi su parenti non ammalati dei pazienti con schizofrenia suggeriscono anche che gli individui tendenti alla psicosi sono geneticamente dotati di competenze cognitive limitate (Gur et al., 2007), forse in conseguenza di un volume cerebrale più piccolo, specialmente nell'ippocampo (Boos et al., 2007). Il deficit non solo riduce le risorse per affrontare lo stress e le conseguenti valutazioni errate della realtà, ma aumenta anche la sensibilità alle esperienze di vita avverse, portando a convinzioni e comportamenti disfunzionali.

Avere una visione globale sul deficit della funzione integrativa totale del cervello può fare un po' di luce sui modi in cui si sviluppa la schizofrenia. Date le limitazioni della capacità cognitiva del cervello, i fattori di stress esterni aumentano il carico cognitivo, deviano le risorse per respingere l'impatto eccessivo dei fattori di stress e, di conseguenza, riducono le risorse disponibili per il mantenimento della flessibilità cognitiva. Sebbene certe funzioni cognitive, quali il vocabolario e l'apprendimento procedurale, possano essere preservate, il relativo deficit nelle funzioni psicologiche complesse, che richiedono maggiori risorse (come l'autoriflessività, l'automonito- raggio, il cambio di prospettiva basato sui cambiamenti nel contesto, la correzione delle interpretazioni errate e la reattività ai feedback correttivi degli altri) rimuove la barriera (cioè, un adeguato esame di realtà) allo sviluppo delle convinzioni disfunzionali (specialmente i deliri), e impedisce lo sviluppo di abilità interpersonali complesse.

I pazienti con schizofrenia, di solito, sono in grado di utilizzare con successo le loro abilità cognitive nel valutare le idee relativamente neutre o le idee errate di altre persone, ma mancano della capacità cognitiva di applicare quelle abilità alle proprie valutazioni altamente cariche, specialmente quelle associate alle convinzioni deliranti. Tale carenza porta ai concetti clinici di 'insight deficitario' e 'deficit nell'esame di realtà'. La capacità deficitaria di riconoscere le idee deliranti come irrealistiche (insight cognitivo) e, quindi, come sintomi di un disturbo sottostante (insight clinico), fornisce un indice per la diagnosi di schizofrenia.

Questa combinazione di carenza cognitiva e condizioni stressanti che ne derivano fornisce un percorso per il passaggio dallo stato prodromico alla decompensazione cognitiva, evidente nella sintomatologia della schizofrenia: l'iperattivazione degli schemi disfunzionali, insieme a un ridotto esame di realtà, è evidente nei deliri e nelle allucinazioni, 0 risparmio di risorse lo è nei sintomi negativi, e il crollo della struttura semantica organizzata è evidente nel disturbo formale del pensiero. La perdita di contesto descritta nei pazienti con disturbo del pensiero (Chapman e Chapman, 1973a) e con allucinazioni (Badcock, Waters e Maybery, 2007) può essere in parte attribuita alla relativa insufficienza di risorse disponibili per la memoria a breve termine, per l'aderenza alle regole di una comunicazione coerente, e per l'inibizione dell'intrusione di idee inappropriate. Il profondo disimpegno manifestato dall'alogia, dall'appiattimento affettivo e dal- l'anergia (la sindrome negativa) può essere visto come il risultato di un risparmio di risorse. Tale risparmio è evidente anche nella predilezione a fare associazioni facili ma erronee ai suggerimenti verbali (Chapman e Chapman).

Un simile indebolimento dell'inibizione cognitiva compare nel disturbo del pensiero, caratterizzato da deragliamento, perdita di riferimenti e così via, specialmente quando il paziente sta sperimentando uno stress esterno o sta discutendo un argomento emotivamente saliente. La disorganizzazione può essere vista anche come risultato di un rapido cambio tra i circuiti. Cioè, la mancanza dell'abilità integrativa nel cervello porta alla formazione di circuiti transitori relativamente casuali (Wright e Kydd, 1986; Gordon, Williams, Haig, Wright e Meares, 2001). In quest'ottica, la disorganizzazione è la disfunzione centrale nella schizofrenia, e gli altri sintomi rappresentano le compensazioni a questo deficit centrale. Ad esempio, Gordon et al hanno rilevato che il fattore 'distorsione della realtà' era associato a un au- meritata attività gamma (iperelaborazione) e alla formazione di stabili, ma aberranti, reti corticali ('foci parassitari'; Hoffman e McGlashan, 1993) che possono portare alle allucinazioni e ai deliri in risposta a stimoli target; il fattore 'povertà psicomotoria' è associato a un processo di 'chiusura' compensatoria, caratterizzato da una diminuita risposta a stimoli target (sottoelaborazione); ma il fattore 'disorganizzazione' era correlato a una diminuita risposta a stimoli non target. Queste scoperte suggeriscono che la disorganizzazione rappresenta il fallimento più profondo dell'integrazione. La disorganizzazione non è compensata da una coerente iper- o sotto-elaborazione, e si pensa che la natura rapida e transitoria dei circuiti che sono formati produca sintomi 'ebefrenici', quali disturbo del pensiero, movimenti insoliti e così via. Nella nostra formulazione, l'impoverimento delle risorse cognitive, associato alla schizofrenia, impedisce all'individuo di essere in grado di valutare accuratamente la natura dei sintomi positivi, causati da aberranti ma stabili circuiti, o le convinzioni fallimentari, associate alla chiusura riscontrata nei sintomi negativi.

Vi è un supporto sperimentale alla nostra formulazione clinica, visto che la ricerca ha dimostrato che, sotto un carico cognitivo, il funzionamento cognitivo dei pazienti con schizofrenia si deteriora (Nuechterlein e Dawson, 1984; Melinder e Barch, 2003). Le risposte pupillari difettose (mancanza di dilatazione; Granholm, Morris, Sarkin, Asarnow e Jeste, 1997) e le reazioni antisaccade (Curtis, Calkins, Grove, Feil e Iacono, 2001) sono proposte come prove indirette di risorse cognitive attenuate. Un indice più specifico della capacità integrativa del cervello è l'abilità di individuare il pensiero erroneo e riformulare le sue risposte. La Beck Cognitive Insight Scale misura indirettamente il deficit delle funzioni di livello superiore nella schizofrenia (Beck e Warman, 2004). L'alto grado di fiducia nelle interpretazioni irrealistiche di un soggetto e la mancanza di auto-riflessione sono indicativi di risorse cognitive limitate. Il processo di distanziarsi da convinzioni fortemente sostenute, valutarle e applicare regole di evidenza e logica presuppone un impiego sostanziale alle risorse cognitive. Questi processi richiedono l'integrazione di una serie di funzioni complesse rappresentate in diverse regioni del cervello. L'attenuazione delle risorse nella schizofrenia e il ridotto funzionamento integrato intralciano l'elaborazione necessaria all'esame di realtà delle convinzioni deliranti ipersalienti. La riduzione nella funzione esecutiva rappresenta un marker della ridotta abilità a testare la realtà delle convinzioni. Un modo per studiare il percorso dalla funzione esecutiva deficitaria ai deliri è esaminare la relazione tra l'insight cognitivo, la funzione esecutiva e i deliri. L'indice di eccessiva sicurezza ('fiducia in sé') nella realtà di esperienze insolite, e della capacità di considerarle in prospettiva ('autoriflessione'), come misurato dalla Beck Cognitive Insight Scale (Beck e Warman, 2004), si è rivelato utile nel dimostrare un legame tra la funzione ese- cutiva e i deliri. Nello specifico, la fiducia in sé è correlata con entrambe le forme di patologia, ed è un mediatore tra di esse (Grant e Beck, 2008a). Abbiamo anche riscontrato una moderata correlazione tra la funzione esecutiva deficitaria e la deficitaria auto-riflessione.

Altri studi (ad esempio, Beck et al., 2004) hanno trovato una correlazione tra la funzione esecutiva e i deliri in un campione di pazienti ospedalizzati, ma non nel gruppo dei pazienti ambulatoriali. Inoltre, la fiducia in sé è correlata, in maniera significativa, sia con il disturbo del pensiero sia con le allucinazioni (Grant e Beck, 2008a). Queste scoperte mostrano che l'ipersa- lienza delle convinzioni deliranti sommerge il debole esame di realtà, o che l'attenuato esame di realtà permette alle credenze di ottenere gradi accresciuti di convinzione. I sintomi negativi, dall'altro lato, sembrano essere basati su atteggiamenti fallimentari causati da esperienze negative, che derivano dall'impatto deleterio del deficit cognitivo sulla performance sociale e accademica (Grant e Beck, in corso di stampa).

L'insufficienza cognitiva, ovviamente, varia nel tempo ed è frequentemente migliorata, o compensata, dalla farmacoterapia, che riduce il carico cognitivo prodotto dai deliri e dalle allucinazioni. Gli individui predisposti alla schizofrenia spesso tentano di compensare i loro deficit; ad esempio, si proteggono dalle situazioni stressanti attraverso l'isolamento sociale (ad esempio, Lencz et al., 2004). Cionondimeno, le situazioni stressanti o le sostanze neurotossiche come i cannabinoidi possono, direttamente o indirettamente, diminuire le risorse cognitive accessibili e portare a una decompensazione cognitiva e alla ricomparsa dei sintomi.

Integrando le scoperte di ricerca degli individui schizotipici, quelli ad alto rischio di schizofrenia, le famiglie degli individui schizotipici e i pazienti con schizofrenia possono fornire una descrizione dei percorsi (o 'episodi') che portano ad almeno un sottotipo di schizofrenia. Il percorso descritto nella ricerca sui pazienti e le loro famiglie indica una predisposizione innata a sviluppare schizotipia positiva e negativa. Le scoperte su un impercettibile deficit cognitivo e sulla disorganizzazione subclinica nei membri della famiglia, così come negli individui con manifesta schizotipia, suggeriscono che queste caratteristiche cliniche hanno una base genetica. L'attrazione verso idee paranormali (ad esempio, lettura del pensiero, pensieri invadenti) riscontrata nei parenti dei pazienti con schizofrenia si riflette nei pazienti, che non solo credono nei fenomeni paranormali, ma li sperimentano realmente. Questo sottotipo schizotipico è caratterizzato meglio in termini di sintomi schneideraini di primo rango (Schneider, 1959).

L'altro percorso è la graduale riduzione delle risorse cognitive dovuta ai cambiamenti maturazionali (ad esempio, pruning delle connessioni in adolescenza), all'impatto dello stress nell'infanzia e nell'adolescenza (Read et al., 2001), e alla derivante "cascata neurochimica" (Corcoran et al., 2003;-

Il primo percorso può spiegare le idee bizzarre e il ritiro, e il secondo le difficoltà nel sottoporle all'esame di realtà.

Studi recenti di terapia cognitiva aggiuntiva al trattamento della schizofrenia indicano che è possibile migliorare i maggiori sintomi attivando 'le più alte funzioni cognitive' dei pazienti, quali distanziarsi dalle interpretazioni disfunzionali, valutare le prove ed esplorare spiegazioni alternative: sono tutte componenti essenziali dell'"insight cognitivo" (Beck e Warman, 2004). Granholm et al. (2005), ad esempio, hanno rilevato che l'insight cognitivo migliorava nei pazienti che ricevevano terapia cognitiva, ma non in coloro che ricevevano il 'solito trattamento'. Lo stesso tipo di tecniche introspettive è anche utile nell'identificare e modificare le convinzioni disfunzionali sottostanti. L'efficacia della terapia cognitiva nel migliorare le funzioni di più alto livello è di particolare interesse, perché sembra essere incoerente con la nozione che le convinzioni patogene sono rigide a causa delle loro basi neurali. Noi riteniamo che la terapia cognitiva attinga alla riserva cognitiva dei pazienti (Stern, 2002), attivando strutture cerebrali alternative o reti che, di solito, non sono impegnate. Landa (2006) e D. A. Silbersweig (comunicazione personale, 26 maggio 2006) hanno prove preliminari secondo cui la terapia cognitiva riduce la reattività dell'amigdala nei pazienti con schizofrenia paranoica cronica.

In conclusione, la schizofrenia può essere vista come un risultato dell'interazione ciclica tra una ridotta capacità di elaborazione, un'indebolita capacità integrativa neurale, eventi ambientali stressanti e conseguenti convinzioni e interpretazioni disfunzionali. Sebbene la terapia cognitiva possa non incidere sulla diatesi neurofisiologica di base (vulnerabilità) implicata nella schizofrenia, può modificare le convinzioni disfunzionali che ne derivano, proteggendo in tal modo dallo stress, dall'associata cascata fisiologica di effetti tossici e dalle esacerbazioni dei deficit neurocognitivi. I trattamenti psicoterapeutici, così come quelli farmacologici, possono diminuire gli schemi cognitivi iperattivi e rendere così disponibili le risorse per un ulteriore esame di realtà (compensazione cognitiva). L'osservazione che i pazienti possono essere allenati a modificare le convinzioni erronee che contribuiscono e aggravano i deliri, le allucinazioni e i sintomi negativi, suggerisce che la terapia è in grado di ridurre il carico cognitivo imposto dai sintomi deliranti e, di conseguenza, rende disponibili le risorse cognitive per affrontare ulteriormente i vari sintomi. La terapia cognitiva può anche ridurre il livello di attivazione e, quindi, indirettamente, rendere disponibili le risorse cognitive.

Molte proposizioni teoriche in questo libro sono facilmente dimostrabili. E già stato fatto qualche progresso nell'identificare certi core belief associato ai deliri di persecuzione (Fowler et al., 2006), alle allucinazioni e ai sintomi negativi (Grant e Beck, in corso di stampa). Uno studio potrebbe, ad esempio, esaminare la continuità dei core belief, durante la fase prodromi- ca e dopo la transizione in psicosi. Un altro studio potrebbe analizzare la relazione tra il contenuto dei pensieri automatici dei pazienti e le allucinazioni. Infine, gli studi di imaging cerebrale potrebbero mettere a confronto i cambiamenti relativamente alla combinazione di terapia cognitiva e farmacoterapia, e relativamente alla sola terapia cognitiva o farmacoterapia.

Inoltre, può essere valutata l'interazione tra risorse attenuate, indebolita capacità integrativa, atteggiamenti e valutazioni disfunzionali ed eventi di vita salienti nello sviluppo e nel mantenimento delle sfere dei maggiori sintomi, nella schizofrenia. Se la terapia cognitiva può rendere disponibili risorse latenti, il funzionamento di risorse aggiuntive dovrebbe essere evidente nel miglioramento che si riscontra sia nei test che misurano la capacità cognitiva, sia nella valutazione dell'abilità integrativa, come quelle che coinvolgono l'elaborazione del contesto o gli indici ìmri di connettività funzionale (Foucher et al., 2005; Zhou et al., 2007b; Liang et al., 2006). Nell'insieme, l'azione combinata di ricerca neuropatologica e psicologica, così come le osservazioni cliniche dei pazienti con schizofrenia, dovrebbero non solo migliorare la comprensione di questo complesso disturbo, ma fornire nuove e più efficaci modalità di trattamento.