Senso di giustizia e Neurobiologia

1.

Gran parte delle ricerche neurobiologiche realizzate con tecniche di brain imaging sono sterili. Esse non vanno al di là dell'evidenziare il fatto, peraltro ovvio, che le strutture cognitive e quelle emozionali sono differenziate anatomicamente e funzionalmente e, nello stesso tempo, correlate. Ma chi ha mai avuto dubbi riguardo a questo? Probabilmente, un progresso scientifico autentico su questo piano si potrebbe conseguire solo cercando di stabilire nessi più precisi tra il significato delle immagini e l'esperienza soggettiva. Anche per questa via, dato il carattere piuttosto globalistico delle tecniche neuroradiologiche, non si arriverebbe a molto. Si fornirebbero almeno le prove della sostanziale fondatezza delle ipotesi suggerite dagli approcci psicodinamici all'attività mentale umana, in particolare per quanto concerne il ruolo pervasivo delle emozioni.

Un certo imbarazzo nel valutare i dati neuroradiologici che sempre più spesso vengono pubblicati, discende dallo scarto tra i limiti delle tecniche adottate e gli obbiettivi che ingenuamente i neurobiologi si propongono, che riguardano, al di là delle malattie mentali, il pensiero astratto, la moralità, la creatività e addirittura la spiritualità.

Come ogni innovazione tecnologica, anche le tecniche di brain imaging hanno creato una sorta di effervescenza, che può essere utile a patto che sia assoggettata ad un vaglio critico. Che significa questo? Nulla di meglio che procedere sulla base di un esempio.

Sull'ultimo numero di Science è stat pubblicata una ricerca a firma di un gruppo di neurobiologi di Princeton. La ricerca riguarda il senso di giustizia che, in un'ottica tipicamente statunitense, viene testato sul terreno dell'economia.

Il test è questo. Si propone al soggeto A di avere gratuitamente una somma di dollari a patto che egli la divida con il soggetto B. A deve fare una proposta che può essere accettata o rifiutata da B. Se questi la rifiuta, però, rimangono entrambi senza nulla. Da un punto di vista utilitaristico, A dovrebbe proporre la quota più bassa per massimizzare il suo vantaggio economico, puntando sul fatto che B potrebbe essere indotto ad accettarla in nome del criterio utilitaristico per cui poco (e gratuito) è comunque meglio di nulla.

Ripetuto con vari soggetti, il risultato del test contraddice l'ipotesi utilitaristica. Le offerte inique sono respinte nel 50% dei casi. Ma esse sono minoritarie: più spesso A è indotto a fare delle proposte in una certa misura eque, che vengono accettate.

Le tecniche di neuroimaging dimostrano che il rifiuto delle offerte inique corrisponde all'attivazione di centri emozionali negativi, già da tempo correlati al disgusto fisico. L'attivazione lascia dunque pensare che essi abbiano una valenza "morale" concernente il senso di giustizia. Dato che si tratta di centri filogeneticamente antichi rispetto alla corteccia frontale, laddove sono rappresentati concettualmente i valori morali astratti, la conclusione degli autori è che esiste nell'uomo un senso innato di giustizia.

La griglia teorica della ricerca è sufficientemente chiara. La teoria economica classica e neoclassica, che pretende di poter dire una parola ultima sulla natura umana, parte dal presupposto che l'uomo si muove solo sulla base del suo interesse personale, egoistico. Di recente, questo presupposto è stato messo in discussione da economisti liberals, per esempio Amartya Sen (Etica e economia, i quali hanno sostenuto che, anche solo a livello di comportamento economico, l'uomo, nell'operare delle decisioni tiene conto anche di valori morali. La ricerca in questione sembra deporre a favore di questo secondo orientamento.

2.

Un'ipotesi "bizzarra" del genere, concernente un senso innato di giustizia, come forse sa qualche lettore, l'ho avanzata da molto tempo, ricavandola dalle esperienze terapeutiche e dallo studio dell'introversione, e ribadendola in tutte le opere fino a SMT, nel cui tessuto discorsivo occupa un posto centrale. Vederla accreditata da una ricerca neurobiologica non può che fare piacere, anche se sussistono pochi dubbi che, a breve, qualche altro ricercatore cercherà di dimostrare il contrario.

Certo, volendo spaccare il capello in quattro, il test utilizzato non appare univocamente significativo. Il rifiuto delle offerte inique, in particolare, potrebbe essere interpretato anche in termini di calcolo utilitaristico. Laddove si dà una competizione egoistica, come ben sanno le aziende in concorrenza tra loro, l'utilità può essere intesa sia in termini di vantaggio netto sia in termini di svantaggio che si può arrecare all'azienda rivale. Da questo punto di vista, il vantaggio di B potrebbe essere ricondotto alla soddisfazione di infliggere ad A un danno maggiore di quello che egli stesso subisce. Tale soddisfazione punirebbe l'egoismo di A incompatibile con quello di B. Anche in questo caso, si potrebbe risalire ad una motivazione equitaria, ma si tratterebbe di una motivazione reciprocamente egoistica.

Non mi sembra però il caso di sottilizzare. Se qualcuno si aspetta che la neuroradiologia, che verte su cervelli adulti impastati di cultura, possa rivelarci un giorno qualche verità ultima sulla natura umana, s'illude. Se esiste uno spiraglio inerente questa possibilità, esso rimane vincolato all'esplorazione dinamica della personalità. Non si può minimizzare il fatto però che la scienza neurobiologica si ponga problemi inerenti le motivazioni morali che sottostanno ai comportamenti. Ciò significa che sta maturando, in qualche misura, una certa insofferenza nei confronti di un modello antropologico, quello appunto utilitaristico, fondato sul calcolo razionale in termini di vantaggio egoistico, che il trionfo del capitalismo ha corroborato come non trascendibile.

Una riflessione pertinente a riguardo concerne la necessità di distinguere due concetti che spesso vengono confusi. L'equità è un concetto economico che riguarda la distribuzione del reddito. Il senso di giustizia implica invece il riferimento a diritti primari dell'individuo, quali la dignita, che non possono essere vioati senza che si mobiliti una reazione emozionale. Perché è importante questa distinzione? Perché, come ho detto altrove, equità è un concetto che riconosce diverse versioni alcune delle quali possono portare al paradosso per cui una ditribuzione del reddito ritenuta equa è nondimeno ingiusta.

Io credo che la neurobiologia possa ancora dire molto sull'uomo, a patto che, affrontando certi problemi, si attrezzi un po' meglio sul pinao filosofico.