Nichilismo islamista e anarco-nichilismo globale. Che fare?

di Nicola Ghezzani

Psicoterapeuta, Roma

www.psyche.altervista.org

I cambiamenti storici sono annunciati e accompagnati tanto da vasti movimenti sociali, quanto da più o meno sottili slittamenti nell’ordine simbolico. Il simbolo è una “parola d’ordine” che comunica e promuove comportamenti, e il mutamento storico sarebbe impossibile senza intensi e forti appelli, in grado di mobilitare sentimenti e azioni.

Sarebbe pertanto un grave errore di analisi – sia in senso antropologico che politico – sottovalutare l’importanza che ha, nelle moderne evoluzioni storiche dell’Islam, il velo posto a coprire volto della donna. Che sia parziale o integrale, come il Chador, o che nasconda in un’unica ombra indistinta l’intero corpo femminile, come il Burqa, l’occultamento della donna allo sguardo dell’estraneo è un fattore simbolico e pratico di eccezionale importanza. In virtù dell’adozione del velo, la donna, non solo come essere umano concreto, ma anche come simbolo, si trova ad essere “segregata” all’interno di uno “spazio sacro”, sottratta alla possibile profanazione da parte dell’altro. Coperta, la donna non può interagire col mondo in altro modo che come forma visibile della proibizione: non può essere vista, non può parlare con uomini, non può muoversi in completa autonomia. Chiusa nella sua cella monastica portatile, essa è, dunque, l’oggetto simbolico maggiormente sottratto alla logica espositiva dello scambio. Avvolta nel suo velo, separata in virtù di esso come da un muro invalicabile, la donna non è riconosciuta come soggetto dotato di libero arbitrio. Di più: essa diviene il simbolo vivente della negazione del libero arbitrio, il quale, se è visibilmente negato a uno, è in realtà negato a tutti.

Spesso, anche in Occidente, si dice che le donne islamiche, in numero crescente e in modo del tutto spontaneo, stanno “scegliendo” di indossare il velo, sulla base di una consapevole volontà identitaria. Impossibile contestare l’affermazione in relazione a casi concreti; forse per alcune è davvero così. Di fatto però la libertà si misura sulla base del positivo e del negativo, cioè sulla base della possibilità di porre in atto scelte contrarie: se è vero che molte donne islamiche scelgono di indossare il velo, è pur vero che tutte coloro che scelgono di rifiutarlo sono, in alcuni di quei paesi, a rischio di perdere la vita.

Ma qual è, dunque, il significato simbolico di questa radicale e, per noi occidentali, impressionante segregazione del corpo femminile?

In senso psicologico e antropologico, in una cultura tribale patriarcale la donna rappresenta il “valore” generico dell’uomo, in quanto essa è il suo bene “universale”: ogni uomo ha diritto a una donna e a una discendenza. Questo diritto deve pertanto essere difeso col sangue, qualora il patto fra gli uomini per il quale ogni uomo ha diritto a una donna venga posto in discussione e minacciato. Una generica “cultura dell’onore”, propria di molte società mediterranee , poggia su un basamento tribale, il cui cardine è l’ordine che istituisce il possesso della donna da parte dell’uomo, il diritto da parte sua di ricavarne discendenza, piacere e lavoro. Senza questa “proprietà elementare” la società patriarcale non esiste.

Il mondo occidentale è invece fondato sul libero scambio delle merci, delle persone e dei valori. Si tratta di una necessità vitale per un ordine come il nostro: un ordine mercantilista, nato in Occidente ma esteso ormai ai due terzi del mondo globale.

Come il dialogo socratico e quello platonico hanno codificato il diritto-dovere alla dialettica, che è poi l’apostasia eretta a sistema, cioè il diritto-dovere di opporre le molteplici opinioni perché la verità più “forte”, ossia quella più inclusiva, possa infine imporre il suo dominio, allo stesso modo le persone sono dotate del diritto-dovere di aumentare la propria libertà individuale.

E’ in questo senso che si comprende la necessità vitale per il mondo occidentale di esplorare, sperimentare, scambiare idee, sviluppare tecniche per prendere possesso della natura, de-costruire la verità per costruirne una nuova, negare ogni assunto autoritario e dogmatico. Con la dialettica, la verità sconfitta e distrutta cede il suo potere (il “consenso”) alla verità vincente, che diviene più forte, ma senza potersi mai arroccare nella posizione inespugnabile del dogma autoritario, pena una giusta e tenace dissidenza.

In rapporto a questo dinamico sviluppo delle idee, le religioni arcaiche si secolarizzano, perdendo il “consenso acritico” tributato in passato alla loro dimensione “sacra” e cedendo di fatto il loro potere alla dialettica delle opinioni (la “laicità” filosofico-politica) e delle tecniche (la “scienza”). Allo stesso modo e per le stesse ragioni, le persone sono libere di esplorare, scrutare, cercare, mettere alla prova le conoscenze, inventare nuove tecniche, cambiare lingua, patria e religione, essere atee e, infine, “innamorarsi”, che significa invaghirsi di una persona sulla base di una scelta svincolata da qualsiasi criterio di opportunità sociale che possa limitare o negare del tutto la libertà soggettiva.

Il velo imposto alle donne impedisce, dunque, la libertà dell’amore: la possibilità di una scelta arbitraria, basata sulle opportunità aperte del libero incontro. La donna non può scegliere – se comunica con un uomo è accusata di adulterio o di prostituzione e, secondo le leggi locali più dure, minacciata di lapidazione – e, allo stesso modo, non può essere scelta – l’uomo che la osserva o le rivolge la parola, soprattutto se straniero, può a sua volta essere incarcerato e ucciso. Sulla base di queste procedure normative, si blocca, ai fini della sopravvivenza del regime tribale patriarcale, la libera circolazione di una metà del genere umano. Ma ancora di più: si finisce per inibire il principio stesso della libera circolazione delle persone, su cui si basa l’ordine mercantile degli scambi, l’ordine filosofico scientifico della verifica dei dogmi e l’ordine sentimentale dei legami d’amore.

Nondimeno, il mondo va ormai globalmente nella direzione disegnata dalla filosofia greca, dal diritto romano, dall’impresa tecnico-scientifica e dal “romanticismo” amoroso. La poderosa onda antropologica nata sulle spiagge greche del quinto secolo avanti Cristo, la cui sintesi economica è il capitalismo, va annullando le strutture antropologiche tribali, coi loro correlati sistemi economici. L’aumento vertiginoso delle libertà e delle potenzialità individuali e il parallelo disfarsi delle reti familiari, mentre in Occidente è stato contenuto – almeno fino a ieri – da un simmetrico sviluppo dei poteri dello Stato, altrove, dove lo Stato non è mai esistito, non trova ostacoli alla progressiva esplosione dei legami tradizionali. Da qui nascono, da una parte la disgregazione anomica dell’Africa, dall’altra la resistenza opposta dai paesi di religione islamica poco o punto secolarizzati, nei quali si è sviluppata una versione radicale dell’Islam sconosciuta ai paesi islamici più vicini alle tradizioni occidentali.

Sulla base di questa mia succinta analisi, penso di poter fare una previsione di lungo respiro e di ordine generale. Mentre i paesi simil-occidentali come la Turchia, il medio Oriente, il Maghreb, l’Iran e lo stesso Pakistan evolveranno in direzione di nazionalismi impastati di radicalismo islamico, ma di fatto abbastanza integrati nel sistema degli scambi internazionali; i paesi islamici a bassa rete di infrastrutture andranno incontro a processi di disgregazione sociale e politica, come quelli già in atto in Afghanistan, Iraq e in gran parte dell’Africa, producendo una miriade di movimenti anarco-nichilistici incapaci di integrazione, affascinati da una dogmatica della superiorità morale o razziale sul resto del mondo, proprietari della sola vita dei propri membri. Agevole immaginare il rischio che ciò comporterà per gli equilibri del mondo futuro.

Il velo sul volto delle donne significa, allora, che l’interiorità degli uomini che le possiedono si sottrae al mondo; nasconde i propri pensieri dietro una cortina impenetrabile; oppone frontalmente la atemporalità del sacro e della morte – la sottrazione allo scambio – alla dinamica trasformativa della storia.

Altra plausibile previsione: il nichilismo islamista diverrà sempre più un movimento globale, fornendo così un modello d’azione a gruppi di opposizione, più o meno armata, al mercato mondiale.

La prospettiva è a tal punto inquietante che, forse, il mondo a modello occidentale dovrebbe cominciare a porsi la domanda capitale circa i motivi dell’odio che esso va generando in una quota crescente della popolazione mondiale. La risposta a questa domanda non è remota o inaccessibile. E’ un dato di fatto che il mondo a modello occidentale, soprattutto in questa fase di vorticosa e caotica espansione, non solo va sradicando le culture autoctone, per sostituire prodotti industriali di consumo a beni conviviali tradizionali; ma, allo stesso tempo, va distruggendo le reti parentali e civiche locali; va portando ovunque una generalizzata “riduzione in schiavitù”, nella quale anche il ricco si riconosce ormai ricco di soli beni di produzione industriale; va fomentando un individualismo cinico e sfruttatore; va espropriando i popoli di se stessi, nella misura in cui esporta non già democrazia, ma mercato, cioè privazione sistematica di quei beni naturali costituiti un tempo dalle risorse endogene e dai legami parentali tradizionali.

Forse il mondo a modello occidentale dovrebbe rallentare la sua corsa e mirare a creare una economia di relazioni piuttosto che una economia di soli oggetti. Poiché la distruzione delle solidarietà conviviali è – assieme alla distruzione ecologica – il costo più grave che impone al mondo, è proprio da lì che esso dovrebbe ripartire, dotandosi del coraggio di correggere per tempo il proprio modello. E nel farlo potrebbe giungere persino a una mediazione con quello che, in questa fase storica, appare come il suo “peggior nemico”: il mondo islamico che, a titolo di esperienza di punta, potrebbe essere incoraggiato a creare organizzazioni internazionali e reti locali intese al microcredito, all’economia solidale, alla realizzazione di infrastrutture, alla promozione culturale, alla creazione di micro-economie locali funzionanti. Incoraggiato, dunque, a ricreare in piena autonomia quelle reti di ricchezza locale conviviale che il mercato globale ha distrutto, sottraendosi così alla sirena mortale dell’anarco-nichilismo.

L’Islam ha tutte le caratteristiche positive per uscire da una logica nichilista e fare una buona concorrenza alle organizzazioni solidali cristiane o laiche del mondo occidentale.

Ammetto che questa mia idea possa apparire ingenua; in realtà è solo una messa in prospettiva futura di piccole realtà locali già presenti qua e là nel mondo.