TEAGE
Sommario

  Demodoco chiede consiglio a Socrate per superare le difficoltà nell'educazione del figlio e soprattutto per sapere come comportarsi circa il suo desiderio di diventare sapiente e di andare a scuola dai sofisti (I 121a-122b). Socrate è d'accordo, ma ritiene opportuno interrogare il giovane stesso, di nome Teage (II 122b-d). Qual è la scienza che Teage vuole apprendere, oltre tutto quello che già sa a seguito dell'educazione ricevuta da suo padre? (III 122d-123c). Teage la definisce "sapienza". Ma, obbietta Socrate, sapienza riguardo a che cosa? La scienza, risponde Teage, per cui si comanda agli uomini nella città, indipendentemente dall'arte in cui sono competenti (IV 123c-124b). E' la scienza, politica, dunque, che Teage desidera: ma quali sono i maestri, presso i quali mandarlo a scuola? (V 124c-125b). I maestri non sono i tiranni, secondo Teage, ma quei politici che comandano con la persuasione e non con la forza (VI 125b-126a). Ma gli uomini politici non sono buoni maestri (VII 126a-d). Perché Socrate, che è uno dei migliori cittadini, non prende Teage come discepolo? (VIII 126d-127b). Demodoco appoggia la richiesta del figlio (IX 127b-d). Ma come può Socrate essere maestro, lui che non sa nulla, al di fuori della scienza d'amore? (X 127d-128c). L'abituale voce del demone (XI 128d-129d). E' da questa voce che dipende se chi frequenta Socrate ne trae profitto o meno (XII 129e-130e). Conclusione: Teage metterà alla prova la voce del demone (XIII 130e-131a).

TESTO


I. DEMODOCO. Avrei bisogno, caro Socrate, di dirti in privato qualcosa, se hai tempo; e anche se hai qualche occupazione che non sia troppo importante, cerca di avere un po’ di tempo, per amor mio. SOCRATE. Senz’altro! Non ho nulla da fare e poi, per te, figurati che non farei! Orsù, se vuoi parlarmi, eccomi. DEM. Vuoi che ci tiriamo un po’ in disparte, qua sotto il portico di Giove Liberatore? [b] SOCR. Se credi. DEM. Andiamo allora, o Socrate! Pare quasi inevitabile che tutto quanto nasce, le piante della terra come gli esseri viventi, fra cui anche l’uomo, seguano lo stesso modo. Ecco, le piante per esempio: a noi che coltiviamo la terra la preparazione di ciò che è necessario per piantare e poi il piantare stesso è la cosa più facile; ma quando ciò che è stato piantato è in vita, allora la cura è lunga, difficile ed ardua. Lo stesso, si può dire, capita [c] con gli uomini: dalla mia esperienza immagino quella degli altri. Vedi, anche per me la piantagione o la procreazione - se così va chiamata - di questo figliolo qui è stata la cosa più facile del mondo, ma crescerlo è arduo e mi fa star sempre in ansia e timore per lui. Ora ci sarebbero tante altre cose da dirti, ma il desiderio che lo ha preso ora mi fa una grande paura: infatti è un desiderio non vile, ma pericoloso. Ecco egli, o Socrate, mi vuole diventare [d] - come dice lui - sapiente. Vedi, ho l’impressione che certi suoi coetanei del demo me lo confondano con dei discorsi ch’essi scendono in città ad ascoltare; lui ha preso ad invidiare questi discorsi e da un pezzo non mi dà pace dicendomi che mi debbo prender cura di lui e pagargli qualcuno dei sofisti che lo farà sapiente. A me ben poco importa del danaro, però credo che non sia poco il pericolo [122a] che egli affronta con ciò che è entusiasta di fare. Finora l’ho trattenuto con buone parole, ma dal momento che non sono più in grado di farlo, penso che il meglio sia dargli retta, affinché non mi si metta a frequentare qualcuno a mia insaputa e mi si guasti. Eccomi qui, proprio per questo, per affidarlo a qualcuno di codesti che passano per sofisti, e tu quindi ci sei apparso al momento giusto perché io vorrei consultarmi proprio con te su questa faccenda, ora che sto per prendere una decisione. Via, se dopo ciò che t’ho detto ti senti di darmi un consiglio, hai la [b] possibilità di farlo ed il dovere.

II. SOCR. Ma, certo, o Demodoco, c’è pure il detto che il consiglio è cosa sacra. E se mai altro consiglio è sacro proprio questo che tu vieni a chiedermi lo sarà, perché non c’è cosa intorno a cui ci si può consigliare più divina dell’educazione di se stessi e dei propri familiari. Quindi noi cominceremo, io e te, col metterci d’accordo su cosa mai crediamo che sia ciò su cui ci consigliamo, affinché non capiti ch’io intenda una cosa e tu una diversa e che poi nel corso della discussione ci si accorga della ridicolaggine [c] nostra se, mentre io consiglio e tu ti lasci consigliare, abbiamo in mente una cosa completamente diversa. DEM. Penso che tu abbia ragione, o Socrate. Bisognerà fare così. SOCR. Ragione sì, ma non completamente. Ecco, ho da fare una piccola modificazione. Perché può darsi che questo giovanotto non desideri ciò che noi si pensa che lui desi-[d] deri, ma altra cosa; e quindi penso che di nuovo saremmo ancora più assurdi nel prender consiglio intorno a qualcosa di diverso. La cosa più giusta mi sembra che sia cominciare da lui e chiedergli cos’è che vuole. DEM. Credo proprio che la tua proposta sia la cosa migliore.

III. SOCR. Ma intanto dimmi qual è il bel nome del giovanotto. Come lo chiameremo? DEM. Teage, o Socrate. SOCR. Un bel nome, o Demodoco, hai imposto a [e] tuo figlio e conveniente a persona seria. Bene, o Teage, spiegaci. Tu affermi che desideri diventare sapiente e pretendi che tuo padre ti trovi un uomo che, se tu lo frequenterai, ti farà sapiente. TEAG. Sì. SOCR. E chiami tu sapienti coloro che sanno, qualunque siano le cose che sappiano, o quelli che non sanno? TEAG. Quelli che sanno, si capisce. SOCR. E allora? Non t’ha tuo padre insegnato ed educato nelle cose in cui anche gli altri figli delle grandi famiglie sono educati, come per esempio a leggere e a scrivere a suonare la cetra a far la lotta e le altre gare? TEAG. Certo! SOCR. Eppure tu ancora pensi che ti manchi [123a] una certa scienza di cui tuo padre avrebbe il dovere di preoccuparsi. TEAG. Sì. SOCR. Qual è questa scienza? Dillo anche a noi, affinché ti possiamo accontentare. TEAG. Anche lui lo sa, o Socrate, perché gliel’ho detto mille volte; ma ti parla a bella posta come se non sapesse ciò che desidero. Come le altre volte: con me fa le solite scaramucce e non vuole affidarmi a nessuno. SOCR. Ma le parole fra te e lui erano finora dette, così per dire, senza [b] testimoni, ma ora prendi me per testimone e davanti a me dichiara qual è questa sapienza che tu desideri. Sù, rispondimi: se desiderassi quella sapienza che i piloti usano nel condurre le navi e se io mi trovassi a domandarti: "O Teage, di qual sapienza hai bisogno che continui a rimproverare tuo padre. perché non intende affidarti a coloro presso i quali diverresti sapiente?", che cosa mi risponderesti? Quale sarebbe, a tuo parere, questa sapienza? Per caso non la scienza nautica? TEAG. Sì, quella. SOCR.[c] E se tu desiderassi essere sapiente di quella sapienza che gli uomini usano nel condurre i carri, e se ancora tu ne rimproverassi tuo padre, alla mia domanda qual è questa sapienza, quale risponderesti che sia? Per caso non quella dell’auriga? TEAG. Sì, quella.

IV. SOCR. Attento: quella che ti trovi a desiderare adesso è innominata o ha un nome? TEAG. Ha un nome, penso. SOCR. Qual è? Dìllo. TEAG. Qual altro nome mai le si potrebbe dare, o Socrate, se non quello di sapienza? [d] SOCR. E non è sapienza anche quella dell’auriga? O ti sembra ignoranza? TEAG. No, affatto. SOCR. Sapienza, allora? TEAG. Sì. SOCR. E qual è l’uso che ne facciamo? Non è quello per cui sappiamo comandare ai cavalli? TEAG. Sì. SOCR. E la nautica è sapienza? TEAG. Mi pare di sì. SOCR. Forse quella per cui sappiamo guidare le navi? TEAG. Proprio quella. SOCR. Ma la sapienza che tu desideri qual è? A che cosa sappiamo [e] comandare con quella? TEAG. Agli uomini, penso. SOCR. Agli uomini ammalati? TEAG. No. SOCR. Perché quella è la medicina, no? TEAG. Sì. SOCR. Ma è quella sapienza con la quale si comanda agli uomini che cantano nei cori? TEAG. No. SOCR. Perché quella è la musica, no? TEAG. Certo. SOCR. Ma è quella con la quale si comanda ai ginnasti? TEAG. No. SOCR. Perché quella è la ginnastica, no? TEAG. Sì. SOCR. Che fanno dunque gli uomini a cui sappiamo comandare con questa tua sapienza? Cerca di darmi una risposta come prima l’ho [124a] data a te. TEAG. Vivono nella città, penso. SOCR. Ma nella città non vi sono anche gli ammalati? TEAG. Sì, ma non mi riferisco solo a quelli, bensì anche agli altri che vivono nella città. SOCR. Forse capisco di quale scienza mi parli; perché non m’hai l’aria di riferirti a quella sapienza con la quale si comanda ai mietitori, ai vendemmiatori, ai piantatori, seminatori e trebbiatori, in una parola all’agricoltura, cioè la sapienza che detta norme a costoro. No? TEAG. Sì. SOCR. Neppure mi hai l’aria [b] di riferirti alla sapienza con la quale sappiamo comandare norme a coloro che segano, forano, piallano e torniscono; non è di questa che parli, perché questa è la carpenteria. TEAG. Sì. SOCR. Ma forse tu parli di quella sapienza con la quale sappiamo comandare a tutti costoro: ai contadini e falegnami, ed a tutti quelli attivi o inattivi in qualche arte e agli uomini e alle donne. TEAG. da un pezzo, Socrate, che intendo dire questa sapienza.

[c] V. SOCR. Mi sai ora dire: Egisto, l’assassino di Agamennone, forse che non comandava in Argo a questi che tu dici, uomini attivi e non attivi nelle arti, uomini e donne tutti insieme? O comandava su altri? TEAG. No. Su questi. SOCR. Continuiamo. E Peleo figlio di Eaco, in Ftia non comandava alla medesima gente? TEAG. Sì. SOCR. E di Periandro, il figlio di Cipsalo, che comandò in Corinto hai sentito parlare, no? TEAG. Sì. SOCR. E non comandava nella sua città, alle stesse persone? TEAG. [d] Sì. SOCR. E Archelao, figlio di Perdicca, quello che da non molto governa la Macedonia, non credi che comandi alle stesse persone? TEAG. Sì. SOCR. E Ippia, il figlio di Pisistrato, che fu capo della nostra città a chi credi che abbia comandato? Non alle stesse persone? TEAG. Certamente! SOCR. E mi potresti dire che nome hanno Bacide e Sibilla e il nostro compaesano Anfilito? TEAG. Quale altro, o Socrate, se non quello di ‘indovini’? [e] SOCR. Perfettamente. Cerca di rispondermi così anche per gli altri: che nome hanno Ippia e Periandro per via del loro potere di comando? TEAG. Tiranni, credo. Quale altro nome? SOCR. Dunque chi desidera comandare a tutti gli uomini che vivono nella città desidera quella signoria che ebbero quelli, cioè la tirannia e d’essere tiranni. TEAG. Sembra. SOCR. Dunque questo è il tuo desiderio? TEAG. Sì, da quanto t’ho detto. SOCR. O sciagurato! E’ [125a] forse il desiderio di essere tiranno su di noi che da un pezzo ti fa rimproverare tuo padre perché non ti manda a scuola di qualche maestro di tirannide? E tu, o Demodoco, non ti vergogni? Tu da un pezzo sai bene cos’è che costui desidera, ma pur sapendo dove mandarlo per farne un’artista nella scienza che desidera, ti opponi e non lo vuoi mandare? Ma ora - vedi? Poiché egli ti ha accusato davanti a me, io e te insieme, consigliamoci per vedere alla scuola di chi inviarlo e per merito di quale insegnamento possa divenire sapiente tiranno. DEM. Sì, per Giove! Consigliamoci, perché mi sembra proprio che su [b] questo problema ci sia bisogno di non poca riflessione.

VI. SOCR. Aspetta, mio caro. Vediamo prima di sapere con precisione che cosa pensa lui. DEM. Domanda pure. SOCR. Che diresti, o Teage, se ci servissimo un po’ di Euripide? Euripide da qualche parte dice: "Frequentando i sapienti son sapienti i tiranni". Ora, se qualcuno domandasse a Euripide: "O Euripide, tu dici che i tiranni sono sapienti se frequentano i sapienti, ma, chiedo, sapienti in [c] che?". Come se egli avesse detto: "frequentando i sapienti son sapienti i contadini", e gli chiedessimo: "frequentando i sapienti in che?", cosa ci risponderebbe? Non ci risponderebbe: "frequentando i sapienti in agricoltura"? TEAG. Certo, così. SOCR. E per continuare, se avesse scritto: "frequentando i sapienti son sapienti i cuochi", e gli domandassimo: "frequentando i sapienti in che cosa?", che ci risponderebbe? Non ci risponderebbe: "frequentando i cuochi?". TEAG. Sì. SOCR. E poi, se avesse detto "frequentando i sapienti son sapienti i lottatori" e gli domandassimo: "frequentando i sapienti in che cosa?" forse non ci risponderebbe: "frequentando i sapienti nella [d] lotta"? TEAG. Sì. SOCR. Ma poiché ha detto: "frequentando i sapienti son sapienti i tiranni", alla nostra domanda: "frequentando i sapienti in che intendi, o Euripide?" che cosa direbbe? Che razza di sapienza, direbbe? TEAG. Per Giove! Non lo so. SOCR. Vuoi che te lo dica io? TEAG. Sì, se vuoi. SOCR. E’ la sapienza che Anacreonte attribuiva a Callicrite. La conosci quell’ode? TEAG. Sì. SOCR. Desideri anche tu frequentare qualcuno che sia compagno d’arte di Callicrite, la figlia di Ciane, [e] e che "conosca l’arte della tirannide" per dirla con il poeta cosicché tu possa diventare tiranno nostro e della città? TEAG. E’ un pezzo, Socrate, che ti burli e ti fai gioco di me. SOCR. Oh, perché? Non è questa la sapienza che dici di desiderare con la’ quale poter comandare a tutti i cittadini? E facendo ciò che altro saresti se non un tiranno? TEAG. Mi augurerei, sì, di diventare tiranno di [126a] tutti gli uomini e, se no, almeno della maggior parte: e anche tu, almeno lo penso, come del resto anche tutti gli altri uomini - e ancor più forse farei voto di diventare un dio. Ma non è questo che dicevo di desiderare. SOCR. Ma cos’è allora ciò che desideri? Non dici che desideri comandare ai cittadini? TEAG. Sì, ma non con la forza, né come fanno i tiranni, ma con il consenso dei cittadini, come altri illustri uomini della nostra città. SOCR. Vuoi dire uomini come Temistocle e Pericle e Cimone e quanti furono espertissimi di politica TEAG. Per Giove, proprio quelli!

VII. SOCR. Vediamo: se il tuo desiderio fosse di diven-[b] tare sapiente nell’ippica, da chi andresti con l’idea di diventare espertissimo cavaliere? Da altri forse che dai cavallerizzi? TEAG. Per Giove, non da altri. SOCR. Ma appunto da quelli che in questa arte sono esperti e che hanno cavalli e sanno servirsi dei propri come di quelli altrui quando sia il caso. TEAG. Evidentemente. SOCR. Andiamo avanti. Se tu volessi diventare sapiente nel lancio del giavellotto, non penseresti che andando da coloro che ne sono esperti ne diverresti sapiente? Questi hanno giavellotti e sanno servirsi di quelli degli altri e dei loro quando ne sia il caso. TEAG. Credo di sì. SOCR. Dimmi ora. Poiché tu vuoi diventare sapiente in politica, da chi andrai con l’idea di diventare sapiente? Da chi altri se non dagli [c] uomini di stato? E questi sono espertissimi di politica e sanno servirsi della loro città e delle altre e poi sono in relazione con gli stati greci e barbari. O ti pare che frequentando altri e non essi sarai sapiente nelle cose in cui essi lo sono? TEAG. Vedi, o Socrate, io ho sentito [d] dire di certi discorsi che tu fai, secondo i quali i figli di codesti statisti non valgon nulla più di quelli dei calzolai; e da quanto posso essermene fatto una idea credo che tu dica la verità pura. Sarei dunque uno scervellato se credessi che uno di costoro potesse sì trasmettere la sua sapienza a me, ma non potesse avvantaggiarne il figliolo, posto che in qualche modo potesse avvantaggiarne chiunque altro.

VIII. SOCR. Come ti comporteresti allora, o carissimo, [e] se tu avessi un figlio che ti desse tali noie e, da una parte dicesse che egli desidera diventare un bravo pittore e rimproverasse te, suo padre, dicendo che non vuoi spendere del denaro per lui a questo scopo, mentre dall’altra non avesse alcuna stima dei pittori e rifiutasse di apprendere da essi? O, desiderando di divenire flautista, disprezzasse i flautisti? Sapresti tu come trattarlo e dove inviarlo altrove giacché non vuole imparare da costoro? TEAG. Per Giove, no! SOCR. Ora tu, che fai la stessa cosa con [127a] tuo padre, ti meravigli e lo rimproveri se non sa che fare di te né dove mandarti? Poiché ti affideremo a chiunque tu voglia dei grandi statisti d’Atene, e questi starà teco per nulla: e mentre non spenderai nulla, d’altra parte diventerai più famoso presso la gente che se tu stessi con chiunque altro. TEAG. Che dici, o Socrate? Non sei anche tu uno dei grandi uomini? Perché se tu sei disposto a prendermi con te, mi basta e non vado in cerca dì nessun [b] altro. SOCR. Che dici, o Teage?

IX. DEM. Non ha davvero torto, o Socrate, e nello stesso tempo mi farai un favore. Perché non c’è cosa ch’io riterrei maggior guadagno di questa, che mio figlio se ne stesse contento della tua compagnia e tu volessi prenderlo teco. La verità è che ho quasi vergogna di dirti quanto lo desidero. Ecco, vi prego ambedue insieme: te d’essere disposto a prendertelo teco, e te di non cercare alcun altro con cui stare se non Socrate. Così mi libererete d’un monte dì paure ed ansie. Perché ora sono pieno di paura per il ragazzo che non mi s’imbatta con qualcun altro e [c] mi si guasti. TEAG. Non aver più timore per me, babbo, se sai persuadere Socrate d’accettarmi in sua compagnia. DEM. Benissimo! E adesso, o Socrate, non mi resta che parlare a te. Ecco io sono pronto, per dirla franca, ad offrire me e le mie cose, quanto ho di più caro a tua [d] disposizione, se prendi ad amare il mio Teage e a aiutarlo in quel che sai.

X. SOCR. Non mi meraviglio, o Demodoco, della tua grande preoccupazione se credi che io possa giovare in modo particolare a tuo figlio, perché non so di che cosa si possa di più preoccupare un uomo ragionevole, se non del proprio figlio e del fatto che diventi il migliore possibile. Però mi chiedo molto meravigliato di dove t’è venuta questa idea che io sia in grado di aiutare tuo figlio a divenire buon cittadino più di quanto lo possa tu e come mai costui si sia messo in testa che io possa giovargli più [e] di te. Tanto per cominciare tu sei più anziano di me e poi hai già retto molte ed altissime cariche in Atene e sei tenuto in grandissima stima dal demo di Anagirunte e dal resto della città, non meno di alcun altro, ma in me né tu né il tuo ragazzo potete vedere niente di simile. D’altro canto se il nostro Teage disprezza la compagnia degli uomini politici e cerca altre persone che si professino capaci di educare i giovani, c’è qui Prodico di Ceo, c’è [128a] Gorgia di Leontini e c’è Polo di Agrigento e molti altri così sapienti da poter andare di città in città e persuadere i più nobili e ricchi dei giovani - ai quali sarebbe facile stare senza spese in compagnia di quello fra i loro cittadini che più volessero - e persuaderli dunque ad abbandonare la compagnia di tutti e frequentare solo loro e a versare in più fortissime somme in compenso con i ringraziamenti per giunta. Sarebbe naturale che tu e tuo figlio sceglieste uno di loro, ma non me. Perché io non so nulla delle loro scienze beate e belle, e pur lo vorrei! [b] Ma certo vado anche sempre dicendo che io mi trovo a non saper nulla - per dirla franca - tranne forse in una certa piccola scienza, quella d’amore. Per dir la verità, in questa presumo dì essere il più esperto di tutti gli uomini, passati e presenti. TEAG. Lo vedi, babbo? Ho l’impressione netta che Socrate non voglia affatto prendermi con sé. E tutto da parte mia è pronto, se lui volesse, ma, parlando come fa, si prende gioco di noi. Perché io [c] so bene di miei compagni un po’ più avanti di me che prima di stare con lui non valevano nulla; dopo che lo frequentarono in pochissimo tempo appaiono migliori di tutti quelli di cui prima erano peggio. SOCR. E tu sai cos’è questo, o figlio di Demodoco? TEAG. Sì, per Giove, lo so io: basta che tu voglia ed anch’io sarò in grado di diventare tale e quale sono anche quelli.

[d] XI. SOCR. No, mio caro. Tu non sai cos’è e te lo dirò io. Vedi è un segno demonico che, per sorte divina, mi accompagna fin dalla fanciullezza; è una voce, che quando viene, mi fa sempre segno di distogliermi da ciò che intendo fare, ma mai mi volge a fare qualcosa. E se un amico mi chiede consiglio e la voce viene, è sempre la stessa cosa, distoglie e non permette di agire. E di ciò [e] vi citerò testimoni: per esempio, Carmide, il figlio di Glaucone, voi lo conoscete che s’è fatto così bello. Una volta venne a consigliarsi meco perché intendeva esercitarsi alla corsa nello stadio a Nemea, e subito, appena quello cominciò a dire che intendeva allenarsi, la voce venne ed io glielo proibii e dissi: "Mentre stavi parlando ho udito la voce demonica. Non ti allenare". "Forse - Carmide rispose - ti fa segno che io non vincerò; ma anche se non dovrò vincere, trarrò almeno giovamento dagli esercizi durante tutto questo tempo". Con questa risposta si mise ad allenarsi. Merita proprio farselo dire da lui che cosa gli capitò per via di quell’alienamento. E se volete, domandate a Clitomaco fratello di Timarco, che [129a] cosa gli disse Timarco quando s’avviava a morire per aver disubbidito al demone egli ed Evatlo, il corridore, che aveva accolto Timarco in fuga, e Clitomaco vi dirà che egli disse... TEAG. Cosa? SOCR. "O Clitomaco - gli disse - me ne sto andando, adesso, a morte, perché non volli dar retta a Socrate". E perché mai Timarco disse questo? Ve lo dirò. Quando s’alzò dal simposio, e con [b] lui era Filemone di Filemonide, per andare ad uccidere Nicia, di Eroscamandro, e il complotto era noto solo a loro due, Timarco, alzatosi, mi disse: "Che ne pensi, o Socrate? Mentre voi - disse - continuate a bere, io debbo andare in un posto. Tornerò presto, se mi va bene". E mi venne la voce e gli dissi: "No, non alzarti. Mi è venuto il solito segno demonico". Ed egli rimase. Lasciò passare un po’ di tempo e poi di nuovo si apprestava ad [c] andarsene e disse: "Ecco, ora vado, o Socrate".. Di nuovo venne la voce e di nuovo lo costrinsi a restare. La terza volta, volendo passar inosservato, si alzò, senza dirmi niente e di nascosto, cogliendomi che ero distratto: così se ne andò e compì quello che poi lo condusse a morire. Ecco perché Timarco disse al fratello, come ora io lo dico a voi, che andava a morire per non avermi dato ascolto. In verità sui fatti di Sicilia potrete ancora udire da molti ciò che io andavo dicendo sulla distruzione dell’esercito. [d] Le cose passate sono udibili dalla bocca di chi le conosce, ma ora è possibile darvi la prova della veridicità del segno. Perché alla partenza di Sannione il bello per la guerra mi venne il segno ed ora egli è via con Trasillo sulla via di Efeso e della Ionia. Ed io penso che egli o morrà o lo colpirà qualcosa di simile, ed anche per l’esercito sono pieno di paura.

[e] XII. T’ho spiegato tutto questo perché la potenza di questo segno demonico può tutto anche verso gli amici che si accompagnano meco. Perché a molti esso s’oppone e non è possibile a costoro di frequentarmi e di avere alcun giovamento, cosicché non posso accompagnarmi con essi. Con molti non mi impedisce di stare, ma frequentandomi non ottengono alcun giovamento. Ma coloro che la potenza demonica aiuta nello stare con me sono quelli di cui anche tu ti sei accorto. Ché subito ricavano profitto. Ma di questi alcuni ricavano vantaggio sicuro e durevole; [130a] altri, che sono i molti, fino a quando sono con me, progrediscono meravigliosi, ma appena si allontanano ritornano quello che erano. Ciò è capitato a Aristide, figlio di Lisimaco e nipote di Aristide. Frequentandomi fece grandi progressi in poco tempo, poi partecipò ad una spedizione e s’imbarcò. Al suo ritorno trovò che s’accompagnava meco Tucidide figlio di Melesio e nipote di Tucidide. Il giorno prima costui s’era lasciato prendere dall’ira contro di me [b] durante una discussione. Dunque appena Aristide mi vide, dopo gli abbracci e le prime parole: "Sento - disse - che Tucidide è pieno di boria, o Socrate, contro di te, e insolentisce come fosse chi sa chi". "E’ così", risposi. "Come mai? - continuò Aristide - Non sa che razza di schiavo era prima che fosse teco?". "Pare di no, per gli dèi", dissi io. "Ma ora anch’io - riprese - mi trovo in una situazione ridicola, o Socrate." "Come mai?" chiesi. [c] "Perché - rispose - prima di imbarcarmi ero capace di entrare in dialogo con qualsiasi uomo e di non apparire inferiore a nessuno nella conversazione, tanto che andavo in cerca della compagnia degli uomini più istruiti. Ma ora, se sento che uno è colto, lo scanso tanta è la vergogna che provo per la mia pochezza". "Ma - ripresi io questa capacità t’ha abbandonato d’un tratto o a poco a poco?". "A poco a poco" rispose. "E allorché - conti-[d] nuai - sorse in te questa capacità, forse sorse perché imparasti qualcosa da me, o in altro modo?". "Ti dirò - disse - o Socrate una cosa incredibile, per gli dèi, ma vera. lo non ho mai imparato niente da te, come tu stesso sai, ma progredivo quando stavo teco anche se ero semplicemente nella stessa casa e non nella stessa stanza. E maggiore era il progresso quando ero nella stessa stanza, e mi sembrava che fosse molto maggiore quando, nella stessa stanza, mentre parlavi, io tenevo gli occhi fissi su di te piuttosto che guardare altrove; ma soprattutto straordinario era il progresso ogni volta che ti sedevo accanto [e] e ti toccavo. Ma ora - concluse - tutta quella capacità è svanita."

XIII. Tale è dunque la nostra compagnia, o Teage. Se il dio aiuta, grandissimo e rapido sarà il progresso, se no, niente. Attento dunque che non sia per te più sicuro essere educato da qualcuno di quelli che sono padroni del vantaggio che arrecano agli uomini piuttosto che venire da me ad affidarti al caso. TEAG. Sento davvero che è meglio [131a] per noi, o Socrate, di fare così, e di mettere alla prova questo segno demonico cominciando a stare insieme io e te. E se ci consente di stare insieme, sarà bellissimo. Se no, ci consiglieremo subito sul da farsi, se cioè stare con un altro o se tentare di placare il segno divino che è in te con preghiere, sacrifici e qualsiasi altro mezzo gli indovini ci indichino. DEM. Non obbiettare più nulla al ragazzo, o Socrate. Teage ha ragione. SOCR. Ebbene, se pensate che così si debba fare, così facciamo.