Presentazione del rapsodo Ione. Socrate ne esalta l'arte e l'abilità (I 530a-c). Socrate, tuttavia, domanda a Ione come mai la sua arte e la sua competenza si limitino ad Omero e non si estendano anche ai poeti (II 530c-531d). Ma se è la stessa persona che sa distinguere chi parla meglio e chi peggio di una stessa cosa, Ione, dal momento che è esperto di Omero che parla meglio di tutti, sarà esperto anche di tutti gli altri poeti (III 531d-532b). Tuttavia poiché Ione insiste nell'affermare che è esperto solo in Omero, Socrate, mediante l'esempio della pittura, della scultura, ecc., fa vedere che se uno è esperto di una parte di una qualsiasi arte è esperto di quell'arte nella sua interezza (IV 532b-533c). Quella di Ione non è arte né scienza, ma una facoltà divina: analogia dell'ispirazione con la forza attrattiva del magnete. I poeti come strumenti dell'ispirazione che la divinità suscita in loro (V 533e-535a). I rapsodi come strumenti dell'ispirazione che la poesia suscita in loro (VI 535a-e). Gli ascoltatori e gli spettatori sono l'ultimo anello di questa catena (VII 535e-536d). Tra le molte cose di cui Omero parla, in quale il rapsodo è competente? I competenti nelle singole arti sono i soli in grado di giudicare se Omero parla bene o male, quando tratta cose che concernono la loro arte. Ogni arte ha il suo campo specifico (VIII 536d-538a). Attraverso una serie di passi di Omero, Socrate indica un certo numero di casi in cui i competenti di singole arti o scienze sono in condizione di giudicare meglio di un rapsodo se Omero parla bene o male (IX 538a-540d). L'arte del rapsodo sarà da identificare, come vuole Ione, con la strategia? (XI 540d-541b). Confutazione di Socrate e conclusione: Ione è un divino celebratore di Omero, non il competente di un'arte (XII 541b-542b).
[530a] I. SOCRATE. Salute, celebre Ione! Da dove sei venuto tra noi? Forse dal tuo paese, da Efeso? IONE. Nient’affatto, Socrate, ma da Epidauro, dalle feste in onore di Asclepio. SOCR. Gli Epidauri hanno forse istituito anche una gara di rapsodi in onore del dio? ION. Esattamente, e altre gare dedicate alle Muse. SOCR. E anche tu, dimmi, hai partecipato alla gara? e come ti è andato il concorso? [b] ION. Abbiamo vinto il primo premio, Socrate! SOCR. Benissimo! Cerca ora di vincere anche nelle Panatenee. ION. Ma sì che vinceremo, se il dio lo vuole. SOCR. Quante volte, Ione, ho invidiato voi rapsodi per la vostra arte! Sì, perché sono davvero da invidiare sia il vostro apparire in pubblico sempre in adorne vesti, degne dell’arte e bellissime all’aspetto, sia il vostro dover essere in continua dimestichezza con molti ed eccellenti poeti, e soprattutto con Omero, il supremo, il più divino, e comprenderne a [c] fondo il pensiero e non le parole soltanto. Non si può, senza dubbio, divenire buon rapsodo, se non si comprende quello che il poeta vuol dire: il rapsodo dev’essere agli ascoltatori interprete del pensiero del poeta ed è impossibile ch’egli riesca bene in questo, se non conosce quello che il poeta dice. Tutto ciò è degno d’invidia.
II. ION. Vero, Socrate! Proprio questo lavoro dell’arte mi è costato di più, ma oramai, credo di poter parlare di [d] Omero meglio di chiunque altro, sì che né Metrodoro di Lampsaco né Stesimbroto di Taso né Glaucone, nessuno dei passati interpreti di Omero ha avuto da esporre sì numerosi e bei pensieri su di lui quanti ne ho io. SOCR. Molto bene, Ione! E’ chiaro, dunque, che non vorrai negarmi di darmene una dimostrazione! ION. Cosa degna d’essere ascoltata è, Socrate, come bene ho abbellito Omero, per cui ritengo che i cultori di Omero dovrebbero decretarmi una corona d’oro. SOCR. Una volta o l’altra troverò certo il tempo di ascoltarti! Ma, per ora, rispondi a [531a] questo: sei divinamente bravo solo in Omero, o anche in Esiodo e in Archiloco? ION. No! solo in Omero, e mi sembra che basti. SOCR. E non vi sono dei passi in cui Omero ed Esiodo dicono le stesse cose? ION. Credo di sì, e molti! SOCR. Ma in quanti casi sapresti esporre meglio quel che dice Omero, o quello che dice Esiodo? ION. Direi, Socrate, che in questi casi saprei esporre nella [b] stessa maniera quel che dice Omero e quel che dice Esiodo. SOCR. Ma quando non dicono le stesse cose? Della divinazione, ad esempio, parla tanto Omero quanto Esiodo. ION. Esatto. SOCR. E allora, quello che della divinazione dicono questi due, tanto in accordo quanto in disaccordo, saresti capace di spiegarlo meglio tu o qualcuno dei buoni indovini? ION. Un indovino! SOCR. Ma se tu fossi un indovino, essendo capace di esporre ciò su cui vanno d’accordo, non sapresti anche dire ciò su cui non vanno d’accordo? MEN. Evidentemente sì. SOCR. [c] Come sta allora che sei divinamente bravo in Omero e non in Esiodo, non negli altri poeti? Forse che Omero parla di cose assolutamente diverse da quelle di cui trattano gli altri poeti? Non discorre egli, in generale, di guerra, di reciproche relazioni di uomini virtuosi e di malvagi, dì gente privata e di artigiani, dei rapporti che gli dèi hanno tra loro e con gli uomini, come avvengono tali relazioni, quali sono gli eventi celesti e quali quelli dell’Ade, delle generazioni degli dèi e degli eroi? Non sono forse questi i [d] contenuti di cui Omero ha fatto poesia? ION. E’ vero, Socrate!
III. SOCR. E gli altri poeti? Non parlano anch’essi delle stesse cose? ION. Sì, Socrate, ma non "come" fa Omero! SOCR. Cioè? Peggio? ION. Molto peggio. SOCR. E Omero, meglio? ION. Senz’altro meglio, per Zeus! SOCR. Dunque, o mio diletto capo, Ione, quando vi siano molte persone che parlano di numeri ed una che ne parli ottimamente, vi sarà qualcuno che riconoscerà chi ne parla bene? ION. Dico di sì. SOCR. E sarà la stessa persona [e] quella che riconoscerà chi ne parla male, o altra? ION. Senza dubbio la stessa. SOCR. Evidentemente sarà chi conosce l’arte dell’aritmetica! ION. Sì. SOCR. Ancora: se tra molti che discutono su quali siano i cibi sani, ci sia chi ne parla meglio degli altri, vi sarà forse uno che riconoscerà chi ne discorre meglio e un altro che riconoscerà chi ne parla peggio? o sarà sempre la stessa persona a riconoscere chi ne sa di più e chi ne sa di meno? ION. Non c’è dubbio ch’è la stessa persona. SOCR. E chi è? quale il suo nome? ION. Medico. SOCR. In poche parole, dunque, diremo che, tra molti che discorrono dello [532a] stesso soggetto, sarà sempre la stessa persona a riconoscere chi ne parla bene e chi male; e se non saprà riconoscere chi ne parla male, evidentemente neppure saprà riconoscere chi ne parla bene, qualora, appunto, si tratti dello stesso soggetto. ION. Proprio così! SOCR. Nell’uno e nell’altro caso, è, dunque, unica la persona che se ne intende? ION. Sì. SOCR. E tu sostieni che Omero e gli altri poeti, tra cui Esiodo ed Archiloco, discorrono delle stesse cose, solo che differiscono nel "come" ne parlano, l’uno bene e gli altri meno bene? ION. Quel che dico è vero. SOCR. Ma se riconosci chi ne discorre bene, dovresti anche saper [b] riconoscere chi, discorrendo meno bene, ne parla, appunto, non in maniera perfetta. ION. Sembrerebbe. SOCR. E allora, ottimo amico mio, dicendo che Ione è ugualmente bravo in Omero e negli altri poeti, non dovremmo andare errati, poiché lo stesso Ione è d’accordo nel sostenere che il più competente giudice di chi si occupa degli stessi argomenti è una sola persona, e che quasi tutti i poeti mettono in poesia i medesimi soggetti.
IV. ION. Ma allora, Socrate, qual è mai la ragione per [c] cui io, quando qualcuno discute di un altro poeta, non riesco a stare attento né so intervenire con qualche osservazione di valore, ma nientemeno sonnecchio; mentre se uno ricorda appena Omero, sùbito mi sveglio, sto attento e mi si scioglie la lingua? SOCR. Non è difficile indovinarlo, compagno: è a chiunque chiaro che tu non sei capace di parlare di Omero per arte e per scienza. Se tu sapessi parlare di Omero per arte sapresti ad un tempo parlare di tutti i poeti, poiché la "poietica" è un tutto unico. O no? ION. Sì. SOCR. Ma se prendessimo un’altra qualsivoglia [d] arte nel suo complesso, il modo con cui si dovrebbe procedere nell’indagine non dovrebbe essere usato lo stesso per tutte le arti? Capisci quel che voglio dire, Ione, o desideri ascoltare me? ION. Oh sì, per Zeus, Socrate! Con piacere ascolto voi competenti! SOCR. Volesse il cielo, Ione, che ti potessi dire la verità! Competenti davvero siete voi, i rapsodi, i dicitori, voi, i cantori dei poemi; io no, io altro non dico che una qualche verità, com’è na-[e] turale in un profano. Ma sì, anche quello di cui or ora ti domandavo, guarda quanto è semplice, terra terra, e come tutti possano comprendere quello che intendevo dire, e, cioè, che uno solo dovrebbe essere il tipo d’indagine, qualora si prenda un’arte nel suo complesso. Discutiamone un po’: la pittura non è un’arte unica? ION. Sì. SOCR. Ma non vi sono anche e vi sono stati molti pittori, buoni e cattivi? ION. Senza dubbio. SOCR. Sai di qualcuno che, capace di spiegarti quali tra le opere di Polignoto di Aglaofonte siano dipinte bene e quali no, non sappia, invece, farlo per le altre pitture? e che quando si trovi [533a] dinanzi alle opere degli altri pittori sonnecchi, sia impacciato e non abbia nulla da dire, mentre quando debba esporre il proprio giudizio su Polignoto o su qualsivoglia altro pittore, purché sia quel certo, unico pittore, allora si sveglia, è tutto attenzione e gli si scioglie la lingua? ION. No, per Zeus, mai saputo! SOCR. E che? in scultura, sai di qualcuno che capace di render conto di ciò che bene hanno fatto Dedalo di Metione o Epeo di Panopeo o Teo-[b] doro di Samo o qualche altro singolo scultore, di fronte alle opere degli altri statuarii si trovi in impaccio, sonnecchi e non abbia nulla da dire? ION. No, per Zeus, mai veduto neppur questo! SOCR. Ma allora, credo, nemmeno nell’auletica, nemmeno nella citaristica, nemmeno nell’arte di accompagnare con la cetra il canto, neppure nella recitazione rapsodica, sai di qualcuno che capace di render conto di Olimpo o di Tàmiri o di Orfeo o di Femio, [c] il rapsodo di Itaca, su Ione di Efeso resti in impaccio e non sappia dire quando rapsodicamente reciti bene e quando no. ION. Su questo, nulla da obbiettare, Socrate. Ma ciò di cui sono convinto è che su di Omero parlo meglio di ogni altro, ho un’infinità di cose da dire, e che all’unanimità si dice che ne parlo a dovere, mentre sugli altri poeti no. Ad ogni modo vedi un po’ tu di comprenderne il perché!
V. SOCR. Lo vedo, Ione, e cercherò di spiegarti quale, [d] secondo il mio parere, ne sia il perché. Il fatto si è che codesto tuo sempre parlare bene di Omero, non è, come già dicevo, un’arte, ma un divino potere, un divino potere che ti muove, come nella pietra che Euripide chiamò Magnete e che volgarmente viene detta pietra di Eraclea. Tale tipo di pietra, infatti, non solo attrae direttamente gli anelli di ferro, ma trasmette il proprio potere agli anelli stessi, che a loro volta assumono il potere di fare quello che fa [e] la pietra, cioè di attrarre altri anelli, sì da formare talvolta una lunghissima catena di ferro e di anelli pendenti l’uno dall’altro; ma in tutti il potere non proviene che da quella pietra. Così anche la Musa: solo la Musa forma gli ispirati; e attraverso questi si costituisce una catena di altri, invasi da divina ispirazione. Tutti i buoni poeti epici, non per arte, ma perché ispirati e invasati dalla divinità, esprimono tutti quei loro bei canti, sì come i buoni poeti melici; e come gli agitati da coribantico furore, perso ogni freno razionale, danzano; così i melici, perso ogni freno [534a] razionale, compongono quelle loro belle poesie. Non appena colgono un’armonia e un ritmo, si agitano tutti di bacchico furore invasati dalla divinità; e come baccanti che attingono dai fiumi miele e latte, quando sono invasate dalla divinità, avendo oramai perso ogni senno, così l’anima dei poeti melici compie quello ch’essi stessi dicono. Dicono che da fonti di miele, scorrenti da certi giardini, dalle valli selvose delle Muse, portano a noi come api i [b] loro canti, così, come api, a volo. E dicono il vero. Il poeta infatti è un essere leggero, alato, sacro, che non sa poetare se prima non sia stato ispirato dal dio, se prima non sia uscito di senno, e più non abbia in sé intelletto. Chi possegga intelletto è incapace di poetare e di vaticinare. Poiché, dunque, non per arte cantano e dicono molte e belle [c] cose su vari soggetti, come tu su di Omero, ma per divina sorte, ciascuno di loro sa comporre bene solo ciò cui la Musa lo spinge, chi ditirambi, chi encomi, chi iporchemi, chi canti epici, chi giambi; mentre negli altri ciascuno di loro non conta proprio nulla. Non, dunque, per arte cantano, ma per un qual certo potere divino, ché se per arte sapessero parlare bene di un solo argomento, ugualmente bene saprebbero parlare di tutti. Ecco perché [d] il dio li priva dell’intelletto, e li usa come suoi tramiti, i poeti, i vati, i divinatori, sì che noi ascoltandoli, si sappia che non essi sono coloro che dicono cose di sì alto valore, privi di ogni intelletto, ma è lo stesso dio che le dice, che a noi parla attraverso loro. La miglior prova di questo si ha con Tinnico di Càlcide, il quale non compose mai alcuna poesia degna d’essere ricordata, se non quel peana che tutti cantano, forse uno dei canti più belli, una pura, [e] come egli stesso lo chiama, "invenzione delle Muse". A me sembra che soprattutto con questo esempio il dio, perché non rimanessimo in dubbio, ci abbia voluto mostrare come questi bei poemi non siano umani, non frutto di uomini, ma divini, frutto di dèi, e come i poeti non altro siano che interpreti degli dèi, invasati ciascuno da quel certo dio che li ispira. E fu appunto per dimostrare questo che il dio, di proposito, compose uno dei carmi più belli [535a] per bocca d’uno dei poeti di minor valore. O non ti sembra, Ione, ch’io dica la verità? ION. Sì per Zeus! Le tue parole, Socrate, mi toccano l’anima, e davvero mi sembra che i buoni poeti, non so per quale divina sorte, a noi siano interpreti degli dèi.
VI. SOCR. Ma allora, voi, i rapsodi, siete a vostra volta, interpreti dei poeti? ION. Anche questo è vero. SOCR. Voi, dunque, siete interpreti di interpreti? ION. Senza [b] dubbio. SOCR. Un momento, Ione, dimmi questo e non nascondermi nulla di quello che ti chiedo. Quando reciti a perfezione dei versi e dal profondo convinci gli ascoltatori, declamando o di Ulisse, che di un balzo oltrepassa la soglia, e, svelandosi ai Proci, scaglia ai propri piedi le frecce, o di Achille che inesorabile avanza contro Ettore, o declami i lamenti di Andromaca, d’Ecuba, di Priamo, in quei momenti sei in senno o sei fuori di te e l’anima tua crede d’essere presente a quegli avveni-[c] menti che narri essere accaduti in Itaca, o a Troia, o dove mai dicano i versi? ION. Oh! Socrate, quale convincente prova hai saputo presentarmi! Nulla voglio nasconderti. Quando declamo qualche episodio degno di compassione, di lacrime mi si empiono gli occhi; e quando un fatto pauroso o terribile, per lo spavento mi si rizzano i capelli e forte il cuore mi batte. SOCR. E allora? Diremo, [d] Ione, che sia in senno un uomo che, adorno di splendida veste dai molti colori, con aurea corona sul capo, pianga durante una festa, tra sacrifici solenni, senza aver nulla perduto di tali ornamenti, o tremi di paura, pur trovandosi in mezzo a oltre ventimila persone ben disposte verso di lui, senza che nessuno lo spogli o gli faccia offesa? ION. No per Zeus, Socrate! no certo, non può essere in senno, se vogliamo dire la verità. SOCR. Ma sai che voi producete i medesimi effetti sulla maggioranza degli spettatori? [e] ION. Lo so benissimo! Tutte le volte, dall’alto del palco, li vedo piangere e tutti insieme minacciosamente guardare e insieme spaventarsi alle mie parole. E debbo seguirli con la massima attenzione, perché se li faccio piangere, sarò io a ridere per il denaro che prenderò, e se li faccio ridere, sarò io a piangere per i quattrini che ci rimetterò.
VII. SOCR. E ora sai anche che lo spettatore è l’ultimo di quei tali anelli che, dicevo, dalla pietra di Eraclea [536a] assumono il proprio potere gli uni dagli altri? L’anello di mezzo sei tu, rapsodo e attore; l’anello primo è lo stesso poeta. Il dio, mediante costoro, trascina l’anima umana dove vuole, trasmettendo il potere dall’uno all’altro. E come da quella pietra, così dal poeta pende una lunga catena di coreuti, di maestri e istruttori di cori, obliquamente attaccati agli anelli sospesi alla Musa. E un poeta pende da una Musa, altro da altra - noi denominiamo ciò ‘esser posseduto’ kate/xetai [katéchetai] che in linea di massima significa [b] la stessa cosa: ‘essere tenuto’ e)/xetai [échetai] -; e da questi primi anelli, dai poeti, pendono e ricevono il divino afflato i successivi, chi dall’uno chi dall’altro, chi da Orfeo chi da Museo; la maggioranza è posseduta e tenuta avvinta da Omero; ecco perché quando qualcuno declami un carme di un altro poeta ti viene sonno e non sai che dire, mentre quando si declami un qualche canto di Omero, sùbito ti svegli e l’anima tua sussulta e ti si scioglie la lingua: poiché [c] non per arte, non per scienza dici di Omero quello che dici, ma per divina sorte, per esaltazione divina; come gli agitati dal furore coribantico sono sensibili solo al canto di quel dio da cui sono posseduti e per quel canto sanno avere abbondanza di figurati atteggiamenti, abbondanza di eloquio, mentre degli altri non si curano affatto; così tu, Ione, quando si ricorda Omero, ti si scioglie la lingua, mentre, quando si tratta di altri, resti senza parola. Tu me ne chiedevi la [d] causa; ebbene la causa di questo, e cioè che quando si tratti di Omero sei tutto un gran parlare, mentre resti muto quando si tratta degli altri poeti, è che non per arte, ma per divina sorte sei uno straordinario cultore di Omero.
VIII. ION. Giusto, Socrate! Eppure mi stupirei se con le tue parole riuscissi a persuadermi che quando intesso le lodi di Omero io sono come un posseduto, sono come in uno stato di pazzia. Penso che tu mi sentissi parlare di Omero, neppure a te sembrerei pazzo. SOCR. Certo, voglio ascoltarti, non però prima che tu abbia risposto a [e] questa mia domanda: quale degli argomenti cantati da Omero, è quello di cui sai parlare bene? Non di tutti, credo. ION. Per tua norma, Socrate, di tutti so parlare. SOCR. No certo, comunque, di quegli argomenti che tu per caso ignori e di cui Omero parla. ION. E quali mai sono questi argomenti di cui Omero parla e che io non conosco? [537a] SOCR. Ma Omero non parla forse, in molti passi e spesso, anche di arti? ad esempio, del saper manovrare le briglie; se ricordo i versi, li declamerò. ION. Li dirò io: li ricordo perfettamente. SOCR. Dimmi i versi dove Nestore parla al figlio Antiloco, avvertendolo di stare attento alla mèta nella corsa dei cavalli durante i funerali di Patroclo. ION.
[b] Inclina - dice -, non poco, nel cocchio ben lavorato,
la tua persona sulla sinistra; ma il cavallo di destra
gridando sferza, e a lui tutte allenta le redini.
Il cavallo a sinistra, poi, presso la mèta si accosti,
sì che quasi il mozzo dell’agile ruota sembri sfiorarla,
ma guardati bene dall’urtare la pietra.[c] SOCR. Basta. Chi saprà meglio, Ione, se in questi versi Omero dice cose giuste o no, un medico o un auriga? ION. Senza dubbio un auriga. SOCR. Perché possiede l’arte dell’auriga, o per altra ragione? ION. No, perché sa l’arte. SOCR. A ciascuna delle arti fu, dunque, data dal dio la capacità di conoscere un determinato campo di lavoro? Senza dubbio, ad esempio, quel che conosciamo con l’arte nautica non lo potremo conoscere anche con la medicina. ION. Evidentemente no! SOCR. Né con la medicina quel che conosciamo con l’arte delle costruzioni. [d]. ION. Eh no! SOCR. Lo stesso si ripeta per le altre arti: quello che conosciamo mediante l’una non potremo conoscerlo con l’altra. Ma prima rispondi a questa mia domanda: secondo te l’una e l’altra arte sono diverse tra di loro? ION. Sì. SOCR. Distinguendo come distinguo io? anche tu dài ad un’arte un certo qual nome, ad altra altro nome, quando l’una implichi la conoscenza di un certo oggetto e l’altra quella di un oggetto diverso? Anche tu fai [e] in questo modo? ION. Sì. SOCR. Già, perché se l’una e le altre avessero per fine la scienza degli stessi oggetti, perché dovremmo dire che l’una arte è diversa dall’altra, quando sarebbe possibile apprendere lo stesso oggetto per mezzo di ambedue? Io riconosco, ad esempio, che cinque sono queste dita, e tu, come me, riconosci che sono appunto cinque; se ora io ti domandassi se tu ed io riconosciamo la stessa cosa con la stessa arte, con l’aritmetica o con altra arte, certamente risponderesti: con la stessa arte. ION. Sì. SOCR. Vuoi ora rispondere a ciò che [538a] dianzi stavo per domandarti, se ritieni che la stessa cosa sia per tutte le arti, e cioè che necessariamente si conoscano i medesimi oggetti mediante la stessa arte, e mediante un’altra altri oggetti diversi dai primi, ché se diversa è l’arte necessariamente deve avere ad oggetto della propria conoscenza cose diverse. ION. Proprio così, mi sembra, o Socrate.
IX. SOCR. Ma allora, chi non ha in mano un’arte, non potrà giudicare a dovere ciò che si dice o si opera mediante [b] quest’arte? ION. Vero! SOCR. Ebbene, relativamente ai versi che hai declamato, chi saprà meglio se Omero dice bene o no, tu o un auriga? ION. Un auriga. SOCR. Perché tu sei rapsodo, non auriga. ION. Certo! SOCR. Ma l’arte del rapsodo non è diversa da quella dell’auriga? ION. Sì. SOCR. E se diversa, è anche scienza di contenuti diversi. ION. Sì. SOCR. E quando Omero racconta che a Macaone ferito, Ecamede, la concubina [c] di Nestore, porge da bere il miscuglio, press’a poco con queste parole:
nel vino di Pramno - dice - grattò sopra formaggio pecorino
con una grattugia di bronzo; ed una cipolla, eccitante al bere, vi aggiunse,
se Omero descrive bene questo, oppure no, chi può saperlo meglio, chi conosce la medicina o chi conosce la rapsodia? ION. La medicina! SOCR. E quando Omero [parlando di Iride] dice:
[d] ella calò verso il fondo, simile ad amo di piombo
che, immesso nel corno di agreste bove, giù tra
i voraci pesci discenda a portarvi strage;
diremo che spetti piuttosto all’arte del pescatore che non a quella del medico giudicare quello che dice, e se lo dice bene, oppure no? ION. Evidentemente, Socrate, all’arte del pescatore. SOCR. Ma vedi un po’: se tu, interrogandomi, mi domandassi: "Poi che tu, Socrate, tra le varie arti cui Omero accenna, trovi quale sia l’oggetto che a [e] ciascun’arte spetta giudicare, sù via! trovami anche quello che si riferisce all’indovino e all’arte della divinazione, quali siano gli oggetti che l’indovino può rendersi conto se siano stati detti bene o male"; vedi un poco quanto facilmente e secondo verità io ti risponderei, poiché già lo stesso Omero più volte ne parla, sia nell’Odissea, là dove, ad esempio, [539a] l’indovino Teoclimeno, della gente dei Melampi, rivolto ai Proci, dice:
miseri, quale mai caso funesto vi tocca patire! Di tenebraavvolte sono le vostre persone dal capo ai ginocchi, urlo di dolore dentro vi arde, già di pianto sono rigate le guance; e pieno d’ombre è il protiro, pieno d’ombre il cortile, ombre che già scendono all’Erebo, sotto la tenebra; scomparso[b] è il sole dal cielo, e su di voi incombe triste nube di morte;
sia, più volte, nell’Iliade, come, ad esempio, dove descrive la battaglia sotto le mura, dicendo:
sopra di loro, bramosi di passare all’assalto, un uccello comparve,
un’aquila, dall’alto volo, a sinistra lasciando l’esercito,
[c] e tra gli artigli portava, enorme, un drago, sanguigno,
ancora vivo, ancora guizzante; ancora pronto alla lotta,
tanto che, rovesciandosi indietro, l’aquila, che prigioniero [lo aveva, colpì tra il petto e il collo,sì che, vinta dal dolore, essa lo scagliò a terra, lontano da sé,
lo scagliò in mezzo alla folla e, forte stridendo,
[d] nel soffio del vento, via se ne fuggì a volo.
Questi, dico, e altri passi simili, debbono essere esaminati e giudicati da un indovino. ION. E’ vero, Socrate.
X. SOCR. Ed in questo, anche tu, Ione, sei nel vero. E ora, come io ho scelto per te, sia dall’Odissea sia dall’Iliade, quei luoghi dove si tratta dell’indovino, del medico, del [e] pescatore, così, anche tu, poiché hai una pratica di Omero più vasta della mia, scegli per me i passi che hanno per oggetto il rapsodo e l’arte della rapsodia, o Ione, quei passi che, più che a ogni altro, spetta, appunto, al rapsodo esaminare e giudicare. ION. Tutti, Socrate, rispondo io. SOCR. No, Ione, non puoi dire: tutti. Sei così smemorato? In realtà un rapsodo non dovrebbe essere smemorato! [540a] ION. Ma cosa scordo? SOCR. Non ti rammenti di avere affermato che l’arte del rapsodo è diversa da quella dell’auriga? ION. Lo rammento. SOCR. E non eri rimasto d’accordo nel sostenere che, essendo diversa, conosce cose diverse? ION. Sì. SOCR. E allora, tenendo fede alle tue parole, se l’arte del rapsodo non potrà conoscere tutto, neppure lo potrà il rapsodo. ION. Forse, Socrate, tranne le cose di cui hai parlato. SOCR. Ma con [b] ciò sostieni che devi fare eccezione di ciò che forma oggetto delle altre arti. Cosa conoscerà allora, poiché non sa tutto? ION. Penso si tratti di quali cose conviene dire all’uomo, e quali alla donna, di quali al servo e di quali all’uomo libero, di quali a chi comanda e di quali a chi obbedisce. SOCR. Secondo te, allora, il rapsodo meglio del nocchiero saprà cosa convenga dire a chi comanda la nave in mezzo alla tempesta? ION. No! questo lo sa meglio il nocchiero. SOCR. Ma, forse, ciò che convenga [c] dire a chi abbia in cura un ammalato, lo saprà il rapsodo meglio del medico? ION. Neppure questo. SOCR. Pensi, allora, quello che conviene dire a un servo? ION. Sì. SOCR. Ciò che, dunque, debba dire un servo addetto ai buoi per calmare le vacche inferocite, lo saprà il rapsodo ma non il bovaro? ION. No certo! SOCR. Forse quello che convenientemente può dire del proprio lavoro una serva addetta alla filatura? ION. No. SOCR. Saprà allora [d] cosa convenga dire a uno stratega per infondere coraggio ai propri soldati? ION. Sì, proprio questo sa il rapsodo.
XI. SOCR. Ma come! L’arte della rapsodia e l’arte dello stratega sono identiche? ION. Sì! io saprei dire come debba parlare uno stratega! SOCR. Perché, forse, Ione, sei anche un abile stratega. E se per caso tu fossi, insieme, un intenditore di cavalli e un citarista sapresti riconoscere quali cavalli sono cavalcati bene e quali male. Ma se ti [e] domandassi: "Mediante quale arte, Ione, riconosci i cavalli che sono ben cavalcati? in quanto intenditore di cavalli o in quanto citarista?"; cosa mi risponderesti? ION. In quanto intenditore di cavalli. SOCR. E se, dunque, tu sapessi riconoscere anche chi suoni bene la cetra, ti renderesti conto che sapresti riconoscerlo appunto perché citarista e non in quanto intenditore di cavalli. ION. Sì. SOCR. E allora, poiché t’intendi d’arte militare, te ne intendi in quanto stratega o in quanto buon rapsodo? ION. [541a] Secondo me non c’è alcuna differenza. SOCR. Come? Dici proprio che non c’è differenza? Dici davvero che una sola è l’arte del rapsodo e quella dello stratega e non due? ION. Secondo me, una sola. SOCR. Chi, dunque, è buon rapsodo, sarà anche un buon stratega? ION. Esattamente, Socrate. SOCR. E viceversa, chi è buon stratega, è anche buon rapsodo? ION. Questo no! non mi sembra. SOCR. [b] Eppure non credevi che un buon rapsodo fosse anche un buon stratega? ION. Certamente. SOCR. E non sei il miglior rapsodo esistente tra i Greci? ION. E quanto migliore! SOCR. Ma allora, Ione, sei anche il migliore stratega dei Greci? ION. Eccome, Socrate! e l’ho imparato da Omero.
XII. SOCR. Per tutti gli dèi, Ione, e perché allora, dal momento che sei il miglior rapsodo e il migliore stratega dei Greci, vai girando per la Grecia facendo il rapsodo e non prendi il comando di un esercito? Credi forse che i [c] Greci abbiano gran bisogno di un rapsodo con tanto di corona d’oro in testa, e nessun bisogno d’uno stratega? ION. La nostra città, Socrate, è sotto il vostro governo e guerreggia sotto la vostra guida e, perciò, non ha bisogno d’avere uno stratega, e, d’altra parte, né la vostra città né quella degli Spartani mi sceglierebbe in qualità di stratega, perché ritenete di poter fare da voi. SOCR. Ottimo Ione, non conosci Apollodoro di Cizico? ION. Chi è? SOCR. Un tale che gli Ateniesi hanno più volte eletto a proprio stratega, pur essendo straniero. E [si [d] ricordi] Fanòstene di Andro ed Eraclide di Clazòmene, ai quali, benché forestieri, avendo dato prove d’essere uomini di valore, la nostra città ha messo in mano comandi militari ed altre cariche. Non dovrà, dunque, eleggere stratega ed onorare Ione di Efeso, se lo riterrà uomo di valore? E poi, [e] voi di Efeso non siete originari di Atene? e Efeso non è inferiore a nessuna città! Ma tu, Ione, se è vero, come sostieni, che sei capace d’intessere le lodi di Omero per arte e per scienza, mi fai un torto, poiché dopo aver dichiarato di sapere dire su Omero molte e belle cose ed avermi promesso di darmene una prova, manchi di parola e sei ben lungi dall’avermi dato un saggio del tuo sapere, tu che neppure vuoi dirmi quali siano questi argomenti sui quali sei divinamente bravo, nonostante tutte le mie insistenza; anzi, sì come Proteo, assumi infiniti differenti aspetti, andando in sù e in giù, finché mi sfuggi riapparen-[542a] domi alla fine in veste di stratega, pur di non mostrarmi la tua mirabile bravura nella conoscenza di Omero. Se, dunque, come or ora dicevo, puoi parlare di Omero in quanto possiedi le tecniche di tali questioni, e dopo avermi promesso di darmene un saggio, m’inganni, sei colpevole; se, invece, non sei un tecnico, ma per divina sorte, ispirato da Omero, pur senza nulla sapere, puoi dire tante belle cose su di lui, come io parlando di te, allora sei esente da colpa. Scegli, dunque, se vuoi essere ritenuto da noi ingiusto [b] o divino. ION. C’è una bella differenza, Socrate! E’ meglio sì, e molto, essere ritenuto divino! SOCR. Tale qualità, che a te sembra migliore, te la concediamo, Ione, d’essere sì un divino lodatore di Omero, ma non un tecnico.