Cratilo ed Ermogene convengono nel far partecipare Socrate alla conversazione; tesi di Cratilo: i nomi e la loro esattezza sono per natura e non per convenzione. Perplessità di Socrate (I 383a-384c). Tesi di Ermogene: i nomi, e la loro esattezza, sono per convenzione e non per natura (II 384c-385b). Obbiezione di Socrate ad Ermogene: il discorso può essere o vero (se dice le cose come sono) o falso (se dice le cose come non sono): quindi anche le sue parti, cioè i nomi, saranno o vere o false. Ermogene ribadisce le sue convinzioni (III 385b-e). Socrate allora prende le mosse dalla dottrina di Protagora, per cui è vero ciò che a ciascuno sembra tale. Secondo questa dottrina è impossibile distinguere l'uomo buono, cioè assennato, dall'uomo malvagio, cioè dissennato (IV 385e-386d). Tale distinzione non è possibile neppure seguendo la dottrina di Eutidemo. Le cose hanno, invece, una loro essenza stabile che non dipende da noi, ed, una simile realtà oggettiva va riconosciuta anche alle azioni (V 396d-387b). Anche il denominare, il dare i nomi, è un'azione: esso non dipende quindi da noi, ma dal modo in cui natura vuole che le cose siano denominate (VI 387b-d). Il nome è lo strumento con cui denominiamo le cose e servendoci di esso noi insegnano, e sceveriamo le cose come sono (VII 387d-388b). Il nome, di cui si serve colui che insegna, è opera del legislatore, cioè di colui che possiede l'arte di dare i nomi alle cose, e non di qualsiasi uomo (VIII 388b-389a). Come il falegname, quando fabbrica una spola, guarda come modello alla "spola in sé", così il legislatore guarda all'idea del nome, anche se poi può esserci diversità di materiali - lettere e sillabe con cui egli dà forma ai nomi (IX 389a-390a). Il dialettico, cioè colui che sa interrogare e rispondere, è l'unico che può giudicare della bontà dell'opera del legislatore. I nomi, quindi, non sono per convenzione, ma per natura; ma in che cosa consiste la loro esattezza? (X 390b-391b). Poiché Ermogene è d'accordo che sarebbe incongruente cercare di saperlo dai sofisti, Socrate propone di consultare Omero ed i poeti. Dopo alcuni esempi di due nomi adoperati per indicare la stessa cosa, Socrate decide di prendere in esame i nomi di Scamandrio e Astianatte (XI 391b-392b). Maggiore esattezza del nome Astianatte, di cui viene messa in luce la parentela con quello di Ettore (XII 392c-393b). Al figlio è giusto dare il nome del padre e, in generale, alle cose che nascono secondo natura bisogna ridare lo stesso nome: e, purché il potere del nome, cioè la sua capacità di esprimere la natura delle cose, resti identico, poco importa che le sillabe varino (XIII 393c-394d). Le cose che invece nascono contro natura devono avere un nome che designa non la natura da cui si generano, ma la natura cui vengono ad appartenere. Analisi dei nomi di Oreste, Agamennone, Atreo, Pelope, Tantalo, Zeus, Crono e Urano (XIV 394d-396d). Necessità di esaminare i nomi: non i nomi degli eroi o degli uomini, che possono essere fuorvianti, ma quelli delle cose "che sono sempre ad un modo" e che così sono per natura (XV 396d-397c). Conviene quindi cominciare dai nomi degli dèi. Digressione di Socrate sui nomi, qeo¿j (dio), dai¿¿mwn (demone), hàrwj (eroe) (XVI 397c-398e). Continua la digressione: analisi dei nomi aãnqropoj (uomo), yuxh ¿ (anima), sw½ma (corpo) (XVII 398e-400c). Ermogene prega Socrate di tornare ai nomi degli dèi. E Socrate acconsente, precisando che questa analisi riguarderà solo le opinioni con cui gli uomini hanno dato i nomi agli dèi. Inizio dell'analisi dei nomi degli dèi: Estia (XVIII 400c-401e). Continua l'analisi dei nomi degli dèi: Rea, Crono, Teti, Posidone, Plutone (XIX 401e-403b). Continua l'analisi dei nomi degli dèi: ancora Plutone, Ade (XX 403b-404b). Continua l'analisi dei nomi degli dèi: Demetra, Era, Ferrefatta o Persefone, Apollo, Latona, Artemide (XXI-XXII 404b-406b). Continua l'analisi dei nomi degli dèi: Dioniso, Afrodìte, Pallade, Atena, Efesto, Ares, Ermes (XXIII 406b-408b). Si conclude l'analisi dei nomi degli dèi: Pan. Passaggio al nome degli astri e dei fenomeni naturali: hàlioj (sole), selh¿nh (luna), mei¿j (mese), aãstra (stelle), pu½r (fuoco) (XXIV 408b-409d). Prosegue l'analisi dei nomi degli astri e dei fenomeni naturali: ancora pu½r, uÀdwr (acqua), a¹h¿r (aria), ai¹Jh¿r (etere), wÂrai (stagioni), e¹niauto¿j, eÀtoj (anno) (XXV 409d-410e). Analisi dei nomi delle nozioni morali: eraclitismo latente nei nomi di queste nozioni. I nomi di fro¿nhsij (assennatezza), no¿hsij (intelligenza), swfrosu¿nh (saggezza), e¹pisth¿mh (scienza), sofi¿a (sapienza), a¹gaJo¿n (buono) (XXVI 411a-412c). Continua l'analisi dei nomi di nozioni morali: dikaiosu¿nh (giustizia) e di¿kaion (giusto) (XXVII 412c-413d). Continua l'analisi dei nomi di nozioni morali: a¹ndrei¿a (coraggio), aãrren (maschile), a¹nh¿r (uomo), gunh¿ (donna), Jh½lu (femminile), te¿xnh (arte) (XXVIII 413d-414e). Continua l'analisi dei nomi di nozioni morali: mhxanh/ (macchina), kaki¿an (vizio), deili¿a (viltà), a¹pori¿a (imbarazzo), a¹reth¿ (virtù), kako¿n (male), ai¹sxro¿n (brutto), kalo¿n (bello) (XXIX 414e-416d). Continua l'analisi dei nomi di nozioni morali: sumfe¿ron (conveniente), kerdale¿on (profittevole), lusitelou½n (utile), w¹fe¿limon (giovevole) (XXX 416d-417c). Continua l'analisi dei nomi di nozioni morali: blabero¿n (nocivo), zhmiw½dej (dannoso), de¿on (che lega, che si conviene) (XXXI 417c-419b). Continua l'analisi dei nomi di nozioni morali: h¸donh¿ (piacere), lu¿ph (dolore), a¹lghdw¿n (dolore), o¹du¿nh (afflizione), a¹xJhdw¿n (molestia), xa¿ra (letizia), te¿ryij (diletto), terpno¿n (dilettevole), eu¹frosu¿nh (gioia), e¹piJumi¿a (desiderio), Jumo¿j (animo), iÀmeroj (brama), po¿Joj (nostalgia), eãrwj (amore), do¿ca (opinione), oiãhsij (credenza), boulh¿ (decisione), a¹bouli¿a (indecisione), a¹tuxi¿a (insuccesso), e¸kou¿sion (volontario), a¹nagkai½on (necessario) (XXXII 419b-420c). Etimologia dei nomi oãnoma (nome), a¹lh¿Jeia (verità), oãn (ente), ou¹si¿a (essenza). Finora si sono esaminati dei nomi composti; ora bisogna risalire ai nomi primitivi, da cui quelli provengono (XXXIII 420c-422b). I nomi composti possono essere spiegati mediante nomi primitivi: ma questi? Anche i nomi primitivi devono far vedere la natura delle cose, imitandole, ma non come fa la musica o la pittura; è l'essenza delle cose che il nome deve imitare con le lettere e con le sillabe (XXXIV 422b-424a). Bisogna perciò distinguere gli elementi: le vocali, le mute, le semivocali; dopo di ciò, bisogna classificare bene le cose a cui si devono dare i nomi e ad esse si attribuirà ciascun elemento secondo la somiglianza: lettere e sillabe. Con le sillabe si formeranno nomi e verbi; con nomi e verbi si formerà il discorso. L'onomastica o retorica (XXXV 424a-425b). Difficoltà dell'analisi dei nomi primitivi e necessità di evitare ogni scappatoia, facendoli per esempio risalire agli dèi o ai barbari, ecc. (XXXVI 425b-426b). Analisi di alcune lettere: 'r' esprime il movimento; 'i' esprime la leggerezza; 'f', 'y', 's', j', 'z' , in quanto implicano aspirazione, esprimono agitazione; 'd ' e 't ' esprimono l'arresto; 'l' esprime lo scivolare; 'n' esprime l'interno; 'a' 'h' 'o' esprimono grandezza, lunghezza e rotondità. Per ciascuna cosa il legislatore ha creato un segno e un nome (XXXVII 426c-427d). Cratilo interviene nel dibattito: perplessità generale sulla ricerca fin qui condotta e necessità di riprenderla da capo. Cratilo è d'accordo con Socrate nel fatto che il nome deve dimostrare la natura della cosa e che esso è imposto in virtù di un'arte, quella propria del legislatore; contesta però che vi siano nomi "falsi": ciò che si chiama nome falso, non è un nome ma un vano suono (XXXVIII 427d-430a). Socrate insiste: come l'immagine pittorica può essere inesatta o non esattamente riferita, così anche il nome, che è immagine della cosa. Inoltre il nome, per essere veramente un'immagine, non deve essere un doppione della cosa, altrimenti avremmo due cose e non un nome e una cosa (XXXIX 430a-432c). Ancora su questo concetto. Cratilo accetta contro voglia che possano esserci dei nomi mal fatti. Tuttavia Socrate insiste: se il nome contiene tutti gli elementi appropriati, che lo rendono simile alla cosa, sarà ben fatto, altrimenti no (XL 432c-434b). Ripresa dell'analisi degli elementi: 'r' 's,j' 'l'; e poiché Cratilo introduce il concetto di uso e abitudine, Socrate non ha difficoltà a mostrare che con ciò si reintroduce il concetto di convenzione, a cui bisogna ricorrere anche tenendo fermo che i nomi debbono essere simili alle cose (XLI 434b-435d). I nomi, ribadisce Cratilo, insegnano: chi conosce i nomi conosce le cose. Contestazione di Socrate: c'è rischio ad ingannarsi sulle cose basandosi sui nomi; cosa garantisce che colui che per primo pose i nomi avesse delle cose una opinione giusta? Alcuni nomi che prima sembravano indicare moto: e¹pisth¿mh (scienza), be¿baion (saldo), i¸stori¿a (storia), ecc., sembrano ora invece indicare quiete (XLII 435d-437d). Colui che per primo pose i nomi lo fece basandosi non su altri nomi, che ancora non ne esistevano, ma neppure sulle cose, se è vero che sono i nomi che ce le fanno conoscere. Cratilo è imbarazzato da quest'ultima obbiezione. E non è possibile neppure pensare che i primi nomi risalgano ad una potenza sovrumana, perché non si sarebbe mai contraddetta. Le cose possono essere conosciute direttamente, e questa via è migliore di quella di conoscerle tramite i nomi che sono solo immagini delle cose (XLIII 437d-439b). Confutazione dell'eraclitismo latente nei nomi che indicano movimento e affermazione dell'esistenza di realtà stabili e sempre identiche a se stesse (il bene, il bello); se tutto divenisse, a nulla potrebbe esser dato un nome giusto, e nulla potrebbe essere conosciuto. Necessità di spingere a fondo l'esame, ma Cratilo si sottrae (XLIV 439b-440e).
CRATILO I . [383a] ERMOGENE. Allora, vuoi che mettiamo a parte del discorso anche Socrate, qui presente? CRATILO. Se ti pare. ERM. Cratilo, qui, sostiene questo, Socrate: che la correttezza del nome è per ciascuna delle cose che sono già predisposte per natura e che nome non è ciò con cui alcuni, che convengano di chiamare, chiamano, mettendo una parte della loro voce, ma è già predisposta una certa correttezza dei nomi per [b] Greci e per barbari, la stessa per tutti. Io gli domando, allora, se 'Cratilo' sia o meno il nome per lui secondo verità; e lui acconsente. "E quale per Socrate?", gli ho detto. " 'Socrate' ", ha risposto lui. "Dunque, anche per tutti gli altri uomini, proprio il nome con cui chiamiamo ciascuno, quello è il nome per ciascuno?" E quello: "Non è certo per te", disse, "il nome Ermogene, neanche se tutti gli uomini ti chiamano così". E come lo interrogo e mi mostro desideroso di sapere che cosa mai stia dicendo, non spiega nulla e si schermisce, fingendo di ragionare qualcosa fra sé e sé, quasi [384a] sapesse al riguardo cose che, se volesse esprimerle chiaramente, indurrebbero anche me a concordare e a dire quel che lui dice. Se dunque sei in grado di interpretare in qualche modo l'oracolo di Cratilo, ti ascolto con piacere; o, meglio, apprenderei con ancor più piacere come ti pare che stiano le cose a proposito della correttezza dei nomi, se vuoi. SOCRATE. Ermogene, figlio di Ipponico, un antico [b] proverbio dice che difficile è imparare come stiano le cose belle: e certo anche questa dei nomi non è una conoscenza di poco conto. Se io avessi già ascoltato da Prodico la lezione da cinquanta dracme, che, a quel che dice lui, permette a chi la ascolta di essere istruito su questo argomento, nulla ti impedirebbe di sapere immediatamente la verità sulla correttezza dei nomi; ma quella non l'ho udita, bensì solo la lezione da una [c] dracma. Dunque, non so come stia mai il vero intorno a tali questioni; comunque sono pronto a ricercare insieme con te e con Cratilo. Quanto al fatto che egli dice che Ermogene non sia il nome per te secondo verità, ho come il sospetto che egli stia scherzando: forse pensa che tu, pur mirando alle ricchezze, non riesci mai ad acquisirne. Ma, come dicevo or ora, è difficile sapere tali cose e dunque bisogna che noi, esprimendoci apertamente, vediamo se stiano come dici tu o come dice Cratilo.
II. ERM. E per il vero, Socrate, io, pur avendone discusso spesso con lui e con molti altri, non posso [d] convincermi che ci sia una qualche altra correttezza del nome se non la d convenzione e l'accordo. A me pare infatti che se qualcuno pone un nome a un oggetto, questo sia il nome corretto; e che se poi lo cambia con un altro e non chiama più l'oggetto con quello di prima, il nuovo nome non stia per nulla in modo meno corretto del vecchio, come accade quando noi cambiamo nome ai servi [il nome introdotto non è per nulla meno corretto del nome dato prima]: infatti non per natura già predisposto per ciascun oggetto è il nome - nessun nome per nessun oggetto -, bensì per legge e per uso di coloro che così usano e chiamano. [e] Se però le cose stanno in qualche altro e modo, io sono pronto a imparare e ad ascoltare non solo da Cratilo, ma da chiunque altro. SOCR. Forse dici qualcosa di valido, Ermogene; [385a] ma riflettiamo. Tu affermi che quel nome con cui qualcuno chiama ciascun oggetto è il nome per ciascun oggetto? ERM. Così a me pare. SOCR. Tanto nel caso sia un privato a chiamare quanto nel caso sia una città? ERM. Così dico. SOCR. Ma come? Se io chiamo una qualunque delle cose che sono, per esempio quella che adesso chiamiamo 'uomo', se io la denomino 'cavallo', e ciò che adesso chiamiamo 'cavallo', lo denomino 'uomo', allora la stessa cosa avrà nome 'uomo' in pubblico e 'cavallo' in privato? Ed un'altra a sua volta 'uomo' in [b] privato e 'cavallo' in pubblico? Così dici? ERM. Così a me pare.
III. SOCR. Su, allora dimmi questo: c'è qualcosa che chiami 'dire il vero e il falso'? ERM. Io sì. SOCR. Può esserci dunque discorso vero e discorso falso? ERM. Certo. SOCR. E quindi, quello che dice le cose che sono come sono è vero, mentre quello che le dice come non sono è falso? ERM. Sì. SOCR. E' dunque possibile dire con il discorso le cose che sono e quelle che non sono? ERM. Certo. SOCR. [c] Ma il discorso vero è vero per l'intero, mentre le sue parti sono non vere? ERM. No, anche le sue parti. SOCR. Ma come, le parti grandi sono vere e le piccole no, oppure lo sono tutte? ERM. Tutte, io credo. SOCR. C'è dunque un'altra parte del discorso che tu dici più piccola del nome? ERM. No, è questa la più piccola. SOCR. E quindi anche questa [il nome] si dice parte del discorso vero? ERM. Sì. SOCR. E vera, come tu dici. ERM. Sì. SOCR. E la parte del [d] discorso falso non è falsa? ERM. Così dico. SOCR. E' dunque possibile dire un nome falso e un nome vero, se ciò è possibile anche per il discorso. ERM. Come no? SOCR. Allora, quello che ciascuno dica essere il nome per una qualche cosa, è il nome per ciascuna cosa? ERM. Sì. SOCR. Forse anche tutti quanti quelli che qualcuno dica siano i nomi per ciascuna cosa, lo saranno proprio nel momento in cui li dice? ERM. Infatti, Socrate, io non ho altra correttezza del nome che questa: a me è possibile chiamare ciascuna cosa con un certo nome, che io ho posto, a te con un altro, che a tua volta tu hai posto. E così anche per quanto riguarda le città e [e] vedo nomi dati alle stesse cose da taluni in modo privato, da Greci in contrasto con gli altri Greci e da Greci in contrasto con i barbari.
IV. SOCR. Suvvia, Ermogene, vediamo se anche le cose che sono ti sembra stiano in tal modo, vale a dire che la loro essenza sia in modo privato per ciascuno, come diceva [386a] Protagora affermando che "di tutte le cose misura" è l'uomo - e cioè che quali le cose appaiano [essere] a me, tali siano per me e quali appaiano a te, tali siano per te - o se ti pare che esse da se stesse abbiano una qualche stabilità di essenza? ERM. Già una volta io stesso, Socrate, trovandomi in difficoltà, fui trascinato proprio verso ciò che afferma Protagora: ma non mi pare affatto che le cose stiano così. SOCR. Ma come? Sei già stato trascinato a ciò, al punto che non ti pare affatto che esista un uomo cattivo? [b] ERM. No, per Zeus, anzi ne ho fatto esperienza così spesso da sembrarmi che esistessero uomini molto cattivi, e assai numerosi. SOCR. Come? Di [uomini] molto buoni ti è parso che non ne esistessero ancora? ERM. E assai pochi. SOCR. Ma allora ti è parso? ERM. A me sì. SOCR. Allora come la metti con ciò? Forse così: che i molto buoni sono molto ragionevoli e i molto cattivi sono molto irragionevoli. [c] ERM. A me sembra così. SOCR. E allora, se Protagora diceva il vero e se la verità è questa, che quali le cose paiano a ciascuno tali anche sono, è possibile che alcuni di noi siano ragionevoli, altri irragionevoli? ERM. No, certo. SOCR. E certo questo, io penso, ti pare certamente: che sussistendo ragionevolezza e irragionevolezza non è affatto possibile che Protagora dica a vero; in nulla infatti per la verità qualcuno può essere più ragionevole di qualcun altro, [d] se ciò che a ciascuno pare sarà per ciascuno vero. ERM. E' così.
V. SOCR. Ma nemmeno, credo, ti pare, sulla scorta di Eutidemo, che per tutti tutte le cose siano allo stesso modo insieme e sempre: neppure così, infatti, potrebbero essere alcuni buoni e altri cattivi, se virtù e vizio fossero allo stesso modo per tutti e sempre. ERM. Dici il vero. SOCR. Se dunque né per tutti tutte le cose sono allo stesso modo insieme e sempre, né per ciascuno in privato è ciascuna cosa, allora è chiaro che le cose sono esse da [e] se stesse in possesso di una qualche stabile essenza, non relative a noi né da noi tratte in su e in giù per l'immagine che ne abbiamo, ma in se stesse in relazione alla loro essenza in possesso di un loro proprio modo di essere già predisposte. ERM. Così mi pare, Socrate. SOCR. Ma allora, le cose sarebbero così già predisposte, mentre le azioni corrispondenti non nello stesso modo? O non sono anche queste, le azioni, una specie delle cose che sono? ERM. [387a] Certamente anche queste. SOCR. Dunque anche le azioni si compiono secondo la loro natura, non secondo la nostra opinione. Per esempio, se noi ci apprestiamo a tagliare qualcuna delle cose che sono, ciascuna cosa è per noi da tagliare come vogliamo e con ciò che vogliamo, oppure, nel caso in cui vogliamo tagliare ciascuna cosa secondo la natura del tagliare e dell'essere tagliato e col mezzo che è a ciò già predisposto, taglieremo e ne trarremo vantaggio e compiremo ciò correttamente, mentre nel caso in cui taglieremo contro natura, sbaglieremo e [b] non compiremo nulla? ERM. A me sembra così. SOCR. E allora anche se ci apprestiamo a bruciare qualcosa, non si deve bruciare secondo qualunque opinione, ma secondo quella corretta? Ed essa è quella relativa al modo in cui era già predisposto l'essere bruciato di ciascuna cosa e il bruciare e al mezzo che era a ciò già predisposto? ERM. E' così. SOCR. E allora anche le altre cose andranno in questo modo? ERM. Certamente.
VI. SOCR. Dunque, non è anche il dire una fra le azioni? ERM. Sì. SOCR. Ma allora, qualcuno dirà correttamente se lo farà nel modo in cui a lui [c] paia si debba dire, oppure, nel caso in cui dica nel modo in cui è già predisposto il dire le cose e l'esser detto e il mezzo, approderà a qualcosa di buono e parlerà, mentre, nel caso contrario, sbaglierà e non approderà a nulla? ERM. Mi pare così come dici. SOCR. Dunque, parte del dire è il nominare? In effetti è impiegando vari nomi che in qualche modo si dicono i [d] discorsi. ERM. Certamente. SOCR. E, dunque, anche il nominare è una azione, se anche il dire era un'azione concernente le cose. ERM. Sì. SOCR. Ma le azioni ci erano sembrate non sussistenti in relazione a noi, ma in possesso per se stesse di una qualche propria natura? ERM. E' così. SOCR. E, dunque, si deve nominare nel modo in cui è già predisposto il nominare le cose e l'essere nominato e il mezzo, ma non alla maniera che vogliamo noi, se ogni caso deve essere accordato con i precedenti? E così approderemmo a qualcosa di buono e nomineremmo, altrimenti no? ERM. Mi sembra.
VII. SOCR. Su, allora: ciò che bisogna tagliare, va tagliato, diciamo, con qualcosa? ERM. Sì. SOCR. [e] E ciò che bisogna tessere, va tessuto con qualcosa? E ciò che bisogna perforare, va perforato con qualcosa? ERM. Certamente. SOCR. E finalmente ciò che bisogna nominare, va nomi nato con qualcosa? [388a] ERM. E' così. SOCR. Ma che cos'è ciò con cui si deve perforare? ERM. Il trapano. SOCR. E ciò con cui tessere? ERM. La spola. SOCR. E ciò con cui nominare? ERM. Il nome. SOCR. Dici bene. Quindi anche il nome è uno strumento. ERM. Certamente. SOCR. Allora, se io domandassi: "Quale strumento è la spola?". Non quello con cui tessiamo? ERM. Sì. SOCR. E tessendo che cosa operiamo? [b] Non distinguiamo la trama e i fili dell'ordito confusi insieme? ERM. Sì. SOCR. E, dunque, riuscirai a parlare in questo modo anche del trapano e degli altri oggetti? ERM. Certamente. SOCR. E riesci poi a parlare in questo modo anche del nome? Nominando con quello strumento che è il nome che cosa facciamo? ERM. Non riesco a dirlo. SOCR. Ma non ci insegnano qualcosa a vicenda e non distinguiamo le cose come stanno? ERM. Certamente.
VIII. SOCR. Quindi il nome è uno strumento atto a insegnare [c] qualcosa e a distinguere l'essenza, così come la spola il tessuto? ERM. Sì. SOCR. E dal canto suo la spola è uno strumento atto a tessere? ERM. Come no? SOCR. E allora chi è atto a tessere userà bene la spola, dove bene vuol dire in modo atto a tessere, mentre chi è atto a insegnare userà bene a nome, dove bene vuol dire in modo atto a insegnare. ERM. Sì. SOCR. Dunque, il tessitore, quando usa la spola, userà bene l'opera di chi? ERM. Quella del falegname. SOCR. Ma ognuno è falegname o chi possiede la tecnica? [d] ERM. Chi possiede la tecnica. SOCR. E il perforatore, quando usa il trapano, userà bene l'opera di chi? ERM. Quella del fabbro. SOCR. E dunque ognuno è fabbro o chi possiede la tecnica? ERM. Chi possiede la tecnica. SOCR. Bene. E l'insegnante, quando usa il nome, userà l'opera di chi? ERM. Non so neanche questo. SOCR. Non sai dire neppure questo, chi ci trasmette i nomi che usiamo? ERM. Evidentemente no. SOCR. Non ti pare sia la legge a [e] trasmetterceli? ERM. E' verosimile. SOCR. Quindi l'insegnante, quando usa il nome, userà l'opera del legislatore? ERM. Mi pare. SOCR. Ma ti pare che ogni uomo sia legislatore o chi possiede la tecnica? ERM. Chi possiede la tecnica. SOCR. Quindi non è cosa da ogni uomo, Ermogene, porre nomi, ma di un qualche artigiano [389a] del nome. E costui è, com'è verosimile, il legislatore, che invero è il più raro degli artigiani fra gli uomini. ERM. E' verosimile.
IX. SOCR. Su allora, esamina verso dove guarda il legislatore quando pone i nomi: riflettici, però, a partire dai casi precedenti. Verso dove guarda il falegname quando costruisce la spola? Non a quella tal cosa che è già predisposta a tessere? ERM. Certamente. [b] SOCR. E allora? Se la spola gli si rompe mentre la costruisce, ne farà di nuovo un'altra guardando a quella rotta, o a quella idea a cui guardava anche quando costruiva la spola che si è rotta? ERM. A quella, mi pare. SOCR. E quella, dunque, non potremmo chiamarla del tutto giustamente 'ciò stesso che è spola'? ERM. A me pare. SOCR. E dunque, quando si debba costruire la spola per vesti sottili o quella per vesti grosse o di lino o di lana o di qualsiasi altra fatta, da un lato bisogna che tutte le spole abbiano l'idea della spola, dall'altro occorre assegnare ad ogni concreta [c] esecuzione [scil.: ad ogni spola costruita] quella natura quale è già predisposta come ottima per ciascun impiego? ERM. Sì. SOCR. E allo stesso modo anche per gli altri strumenti: bisogna che chi individua lo strumento per natura già predisposto per ciascun impiego, lo assegni a quel materiale con cui lo costruisce, non quello che lui vuole, ma quello che è a ciò già predisposto. Così, il trapano già predisposto per natura per ciascun impiego, com'è verosimile, bisogna saperlo trasporre nel ferro. ERM. Certamente. SOCR. E la spola già predisposta per natura per ciascun impiego, nel legno. ERM. E' così. [d] SOCR. Infatti ciascuna spola, com'è verosimile, è per natura adatta a ciascun tipo di tessuto, e così gli altri strumenti. ERM. Sì. SOCR. Ma allora, ottimo, anche il nome già predisposto per natura per ciascun impiego quel legislatore deve saperlo trasporre nei suoni e nelle sillabe e, guardando a quel "ciò stesso che è nome", costruire e porre tutti i nomi, se deve essere un istitutore di nomi autorevole? Se poi i diversi legislatori non traspongono nelle stesse sillabe, questo non lo si deve affatto misconoscere. [e] Nemmeno i vari fabbri infatti traspongono nello stesso ferro, pur fabbricando lo stesso strumento per lo stesso impiego: ma ugualmente, purché assegnino la stessa idea, sia pure in altro ferro, [390a] ugualmente lo strumento sta in modo corretto, che lo si costruisca qui o fra i barbari. Non è così? ERM. Certamente. SOCR. E allora valuterai così anche il legislatore, quello di qui come quello dei barbari: purché assegni l'idea del nome conveniente a ciascun impiego in sillabe quali che siano, non sarà legislatore in nulla peggiore quello di qui o di qualunque altro posto. ERM. Certamente.
[b] X. SOCR. Ma chi è colui che saprà se la conveniente idea di spola si trovi in un qualsiasi legno? Chi l'ha costruita, il falegname, o chi la userà, il tessitore? ERM. Più verosimilmente, Socrate, chi la userà. SOCR. E chi è che userà l'opera del costruttore di lire? Non chi sia in grado di soprintendere al meglio all'opera di fabbricazione e sappia se l'oggetto fabbricato è stato fatto bene o no? ERM. Certamente. SOCR. E chi è? ERM. Il citarista. SOCR. [c] E chi userà l'opera del costruttore di navi? ERM. Il nocchiere. SOCR. E chi può soprintendere al meglio all'opera del legislatore e giudicare il prodotto, qui come fra i barbari? Non colui che la userà? ERM. Sì. SOCR. E questi non è, dunque, colui che sa interrogare? ERM. Certamente. SOCR. E quello che sa anche rispondere? ERM. Sì. SOCR. E colui che sa interrogare e rispondere lo chiami 'dialettico' o in qualche altro modo? ERM. No, così. SOCR. Il lavoro del falegname [d] consiste nel costruire il timone con la soprintendenza del timoniere, se il timone dev'essere buono? ERM. Sembra. SOCR. E certo quello del legislatore, com'è verosimile, consiste nel costruire il nome, con un uomo dialettico in qualità di soprintendente, se dovrà porre bene i nomi. ERM. E così. SOCR. C'è allora il rischio, Ermogene, che la posizione del nome non sia una sciocchezza, come credi tu, né cosa alla portata di uomini di poco conto o comuni. E Cratilo dice il vero quando afferma che le [e] cose hanno i nomi per natura e che non tutti sono artigiani dei nomi, ma solo quello che volge lo sguardo verso il nome che per natura ha ciascun oggetto, e ha la capacità di trasporre l'idea di quello nelle lettere e nelle sillabe. ERM. Non so come si debba contrastare quanto dici, Socrate. [391a] Comunque forse non è facile lasciarsi convincere così all'istante, ma credo che ti darei maggiormente retta in questo modo, vale a dire se mi indicassi quella che tu dici essere la correttezza per natura del nome. SOCR. Ma io, caro Ermogene, non ne affermo alcuna e certo ti sei dimenticato di quanto dicevo poc'anzi, che non sapevo ma avrei riflettuto insieme a te. E ora a noi, me e te, che indaghiamo, appare in modo assai diverso da prima che il nome è provvisto di una qualche [b] correttezza per natura e che non è da ogni uomo saperlo porre [bene] a una qualsiasi cosa: o no? ERM. Certamente.
XI. SOCR. E allora occorre cercare la conseguenza di ciò, se desideri sapere quale mai sia la sua correttezza. ERM. Ma certo che desidero saperlo. SOCR. Indaga, dunque. ERM. Ma come si deve indagare? SOCR. La più corretta delle indagini, amico, è quella che si avvale di coloro che sanno, pagandoli con denaro e conquistandosene i favori. E questi sono i sofisti, grazie ai quali anche tuo fratello, [c] Callia, sborsando molto denaro, ha fama d'essere sapiente. Ma poiché tu non sei padrone dei beni paterni devi tallonarlo e pregar lui di insegnarti la correttezza su tali questioni, che egli apprese da Protagora. ERM. Ma sarebbe ben strana da parte mia, Socrate, la preghiera, se, mentre da un lato non accolgo in nulla la Verità di Protagora, dall'altro accettassi benevolmente le cose dette in base a tale verità come degne di una qualche considerazione. SOCR. [d] Ma se nemmeno questo ti piace, occorre imparare da Omero e dagli altri poeti. ERM. E Omero che dice sui nomi, Socrate, e dove? SOCR. In molti luoghi; ma le cose più importanti e più belle le dice in quei passi nei quali distingue i nomi con cui gli uomini e gli dèi chiamano le stesse cose. O non credi che in quei luoghi egli dica qualcosa di importante e meraviglioso sulla correttezza dei nomi? E' infatti chiaro che, senza dubbio, quanto a correttezza gli dèi chiamano proprio con quelli che sono per natura nomi; [e] o tu non credi? ERM. Io so bene, certo, che, se mai gli dei chiamano, chiamano in modo corretto. Ma quali sono questi nomi di cui parli? SOCR. Non sai che del fiume di Troia, che duellò con Efesto, dice: " Ca¿nJoj Xàntos (Xanto) lo chiamano gli dèi e gli uomini Ska¿mandroj Skàmandros (Scamandro)"? ERM. Io sì. SOCR. [392a] E allora? Non credi che sia qualcosa di meraviglioso questa opportunità di conoscere come mai stia in modo corretto chiamare quel fiume Ca¿nJoj Xàntos piuttosto che Ska¿mandroj Skàmandros? Se vuoi, inoltre, a proposito dell' uccello, del quale dice che "xalki¿j chalkìs (calcide) chiamano gli dèi, ma gli uomini xu¿mindij chùmindis (ciminide)" ritieni che sia di poco conto la conoscenza della misura in cui è più corretto che lo stesso uccello sia chiamato chalkìs piuttosto che kymindis? E ancora Bati¿eia Batìeia (Batica) e Muri¿nh Myrìne [b] (Mirine), e molti altri in questo poeta così come in altri? Ma forse queste cose sono più grandi di quanto sia io sia tu possiamo individuare: invece intorno a Skama¿ndrioj Skamàndrios (Scamandrio) e (Astua/nac Astyànax (Astianatte) , che lui dice essere i nomi del figlio di Ettore, è più alla portata di uomini, a quanto mi sembra, e più facile indagare quale mai sia a suo dire la loro correttezza. Di certo conosci quei versi nei quali si trova ciò che dico. ERM. Certamente. SOCR. Dunque, quale dei due nomi, secondo te, Omero ritiene sia attribuito in modo più corretto al bambino, (Astua/nac Astyànax [c] o Skama¿ndrioj Skamàndrios? ERM. Non so dire.
XII. SOCR. Ebbene considera questo. Se qualcuno ti chiedesse: chi credi che più correttamente chiami con i nomi, i più ragionevoli o i più irragionevoli? ERM. Chiaramente i più ragionevoli, direi io. SOCR. E allora, ritieni che nelle città siano più ragionevoli le donne o gli uomini, parlando del genere nel suo complesso? ERM. Gli uomini. SOCR. Sai che Omero dice che il figlioletto di Ettore è chiamato (Astua/nac Astyànax [d] dai Troiani; è chiaro, allora, che Skama¿ndrioj Skamàndrios era chiamato dalle donne, dal momento che gli uomini lo chiamavano appunto (Astua/nac Astyànax? ERM. E' verosimile, certo. SOCR. E anche Omero riteneva i Troiani più sapienti delle loro donne? ERM. Io credo di sì. SOCR. Allora credeva che (Astua/nac Astyànax fosse attribuito al bambino in modo più corretto di Skama¿ndrioj Skamàndrios? ERM. Sembra. SOCR. Ebbene, indaghiamo perché mai. Non ci fornisce egli stesso un ottimo indizio sul perché? [e] Dice infatti "egli solo ad essi difendeva le città e le lunghe mura". Per questo quindi, com'è verosimile, sta in modo corretto chiamare il figlio del salvatore (Astua/nac Astyànax, ossia 'signore della città' che suo padre salvava, come dice Omero. ERM. Mi sembra. SOCR. E perché mai? Io stesso per il vero non intendo ancora: tu invece intendi, Ermogene? [393a] ERM. Per Zeus, io no. SOCR. Ma allora, caro, a ÐEktwr Ektor (Ettore) il nome non l'ha posto lo stesso Omero? ERM. Come? SOCR. Perché mi pare che anche questo nome sia somigliante in qualcosa ad (Astua/nac Astyànax, ed essi sono verosimilmente nomi ellenici. Infatti aãnac ànax (signore) e eÀktwr èktor (che tiene forte) significano press'a poco la stessa cosa e sono entrambi nomi regali: [b] infatti di ciò di cui uno è aãnac ànax (signore) è sicuramente anche hèktor; è chiaro infatti che lo domina, lo ke¿kthtai kéktetai (possiede) e lo eãxei èchei (tiene). O ti pare che non stia dicendo nulla e, invece, senza accorgermene, stia immaginando di aggrapparmi a qualcosa come una traccia dell'opinione di Omero sulla correttezza dei nomi? ERM. Per Zeus, certo tu no, a quanto mi pare; al contrario, forse ti stai aggrappando a qualcosa.
XIII. SOCR. E' senz'altro giusto, a quel che mi sembra, chiamare 'leone' il nato da leone e 'cavallo' il nato da cavallo. Non mi riferisco al caso in cui da un cavallo nasce come un mostro qualcosa d'altro che un cavallo, ma al caso in cui il nato sia del suo [c] genere secondo natura: se un cavallo genera contro natura un vitello, che secondo natura nasce da un bue, non lo si deve chiamare puledro, ma vitello; e nemmeno, credo, se da un uomo non nasce prole d'uomo, il nato dev'essere chiamato uomo; e allo stesso modo per gli alberi e per tutte le altre cose. O non pare così anche a te? ERM. Pare anche a me. SOCR. Dici bene; ma bada a non lasciarti fuorviare da me in qualche modo. Infatti secondo lo stesso discorso anche un qualsiasi nato da re, [d] dovrebbe essere chiamato re; e se il nome significa lo stesso con queste o con altre sillabe, non importa; e nemmeno se si aggiunge o si toglie una lettera, neppure questo importa, purché predominante sia l'essenza della cosa mostrata nel nome. ERM. Come dici? SOCR. Nulla di complicato: è come per gli elementi. Tu sai che di essi noi pronunciamo nomi che però non sono gli elementi stessi, tranne che per la E e l’Y e l’O e l’W; per gli altri elementi, vocali o [e] afoni, sai che pronunciamo altre lettere da noi aggiunte, costruendone così i nomi: ma sta in modo corretto chiamare con quel nome ciò che esso ci mostra, purché di ciò poniamo dentro ben in mostra la forza. Prendiamo ad esempio il bèta (b-Bh½ta) : vedi che con raggiunta dell'èta [h-hÅta], del tàu [t-tau½ ] e dell'àlpha [a- aãlfa] non è stato affatto danneggiato tanto da non mostrare con l'intero nome la natura di quell'elemento che il legislatore voleva mostrare; così bene seppe porre i nomi alle lettere. ERM. Mi pare che tu dica il vero. SOCR. [394a] Dunque anche per il re lo stesso discorso? Sarà infatti re da re, e buono da buono, e bello da bello e così per tutte le altre cose, da ciascun individuo di un genere un altro nato siffatto, a meno che non nasca un mostro: perciò devono essere chiamati con gli stessi nomi. Si può però svaríare con le sillabe, cosicché può sembrare all'inesperto che siano diversi fra loro nomi che sono gli stessi: così come a noi i farmaci dei medici, svariati nei colori e negli odori, paiono diversi [b] quando invece sono gli stessi, mentre al medico, giacché considera la forza dei farmaci, paiono gli stessi e non si lascia confondere dagli elementi aggiunti. E così forse anche colui che sa intorno ai nomi considera la loro forza e non si lascia confondere se una qualche lettera è aggiunta o trasposta o tolta, o se in lettere completamente diverse sussiste la forza del nome. Come per ciò che dicevamo poco fa: (Astua/nac Astyànax ed ÐEktwr Ektor non hanno nessuna lettera in comune, [c] eccetto il tau½ tàu [t], eppure significano la stessa cosa. Anche )Arxe¿polij Archépolis (Archepolis - capo di città) quali lettere ha in comune con i precedenti? Eppure mostra la stessa cosa: e vi sono molti altri nomi che non significano null'altro che re; ed altri, a loro volta, stratego, come per esempio )=Agij Aghis (Agide) (condottiero), Pole¿marxoj Polémarchos (Polemarco - capo in guerra) ed Eu¹po¿lemoj Eupòlemos (Eupolo - abile in guerra). E ancora altri hanno un significato medico, come ©Iatroklh½j Iatroclés (Iatrocle - medico illustre) e )Akesi¿mbrotoj Akesìmbrotos (Acesimbroto - risanatore di mortali); e numerosi altri forse potremmo trovarne che suonano diversamente quanto alle sillabe e alle lettere, ma quanto alla forza enunciano la stessa cosa. [d] Così ti sembra o no? ERM. Ma certamente.
XIV. SOCR. Perciò agli esseri che nascono secondo natura si devono assegnare gli stessi nomi? ERM. Certamente. SOCR. E che cosa a quelli contro natura, che nascono in forma di mostri? Ad esempio quando da un uomo buono e pio nasce un empio, non è come nei casi precedenti, dove se un cavallo genera prole di bue, questa non doveva certo avere la denominazione di chi l'ha generata, ma del genere cui appartiene? ERM. [e] Certamente. SOCR. E anche all'empio nato dal pio si deve allora assegnare il nome del suo genere? ERM. E' così. SOCR. Non Qeo¿filoj Theòphilos (Teofilo - amico della divinità), com'è verosimile, né Mnhsi¿Jeoj Mnesìtheo (Mnesiteo - memore della divinità), né altro simile, ma uno che significhi l'opposto di questi, se proprio ai nomi tocca la correttezza. ERM. Nulla di più certo, Socrate. SOCR. Come pure può darsi che stia in modo corretto, Ermogene, anche il nome )Ore¿sthj Orèstes (Oreste), sia che glielo abbia posto un caso, sia un poeta, per indicare con il nome l'aspetto ferino, selvaggio e o¹reino¿n oreinòn [395a] (montanaro) della sua natura. ERM. Così sembra, Socrate. SOCR. Ed è pure verosimile che anche il padre di lui abbia un nome secondo natura. ERM. Sembra. SOCR. Pare, infatti, che )Agame¿mnwn Agamémnon (Agamennone) sia stato un uomo tale da impiegare grande energia e costanza nelle cose in cui credeva, portandole a termine con la sua virtù. E' segno appunto di resistenza e costanza la sua monh¿ monè (permanenza) presso Troia. Che quest'uomo è a¹gasto¿j agastòs (ammirevole) per la sua e¹pimonh¿ epimoné [b] (perseveranza) significa dunque il nome )Agame¿mnwn Agamémnon. Ma forse anche )Atreu¿j Atreùs (Atreo) sta in modo corretto. E invero l'uccisione di Crisippo da parte sua e quanto di crudele ha compiuto nei confronti di Tieste, sono tutte azioni dannose e a¹thra¿ aterà (sciagurate) rispetto alla virtù. Ora, la derivazione del nome sfugge un po' e resta nascosta, cosicché non a tutti mostra la natura dell'uomo; ma a chi sa intendere i nomi mostra a sufficienza ciò che vuol dire )Atreu¿j Atreùs. Infatti in base all' a¹teire¿j ateirés (indomabile), come in base all'àtreston (intrepido) o all' a¹thro¿n ateròn (sciagurato), [c] in ogni caso il nome gli è attribuito in modo corretto. E mi pare che anche a Pe¿loy Pélops (Pelope) il nome sia attribuito come su misura: infatti questo nome significa colui che vede le cose vicine' [è degno di questa denominazione]. ERM. E come? SOCR. Per esempio anche contro quest'uomo si dice che nell'uccisione di Mirtilo non sia stato capace di prevedere né di presentire nulla delle successive lontane conseguenze per tutta la sua stirpe, di quanta sventura l'avrebbe riempita, [d] giacché vedeva solo il vicino e il subito - cioè il pe¿laj pélas (presso) - quando desiderava ottenere in qualsiasi modo il matrimonio con Ippodamia. E anche a Ta¿ntaloj Tàntalos (Tantalo) ognuno può ritenere che fi nome sia stato posto correttamente e secondo natura, se è vero quanto si dice di lui. ERM. Che cosa? SOCR. Le molte e terribili sventure che, mentre era ancora in vita, gli capitarono, ultima delle quali la rovina completa della sua patria, e, una volta morto, nell'Ade, la talantei¿a talanteìa (sospensione) della pietra sulla testa, [e] sorprendente nella consonanza con il nome: e davvero pare come se qualcuno volendogli dar nome Ta¿ntaloj Tàntalos (il più infelice), gli abbia dato nome in forma dissimulata e abbia detto invece Tàntalos, ed in tal senso è verosimile che anche a lui abbia fornito il nome la sorte per cui va noto. Ma sembra che anche al padre di lui, [396a] che si dice fosse Zeus, il nome sia attribuito ottimamente: ma non è facile comprenderlo. Infatti il nome di Di¿oj Diòs è davvero come un discorso e, separandolo in due parti, alcuni di noi ne utilizzano una, altri l'altra - alcuni infatti lo chiamano Zh½na Zéna, altri Di¿a Dìa; le due parti messe insieme, a formare un'unità, mostrano la natura del dio, fi che è appunto quel che, noi diciamo, un nome dev'essere capace di fare. Infatti non v'è per noi e per tutti gli altri esseri qualcuno che sia causa dello zh½n Zèn (vivere) più di colui che comanda e regna su tutte le cose. A questi, dunque, [b] tocca essere nominato correttamente come il dio di' oÁn zh½n di òn zèn (per mezzo del quale il vivere) appartiene sempre a tutti gli esseri viventi; ma, come dicevo, il nome, pur essendo uno, è stato diviso in due, nel Dii¿ Diì e nello nel Zhni¿ Zenì. E che questi sia il figlio di Kro¿noj Krònos (Crono) può sembrare oltraggioso a qualcuno che lo senta dire così d'un tratto, mentre è ben detto che Di¿a Dìa sia progenie di una grande dia¿noia diànoia (intelletto): infatti significa ko¿roj kòros (bambino; opp. purezza) non nel senso di fanciullo, ma nel senso del kaJaro¿n katharòn (puro) che è in lui e dell' a¹kh¿raton akératon del nou½j noùs (integrità della mente). Ed egli è figlio di Ou¹rano¿j Ouranòs (Urano; opp. cielo), come dicono; d'altro canto sta bene che la visione verso l'alto sia chiamata con questo nome, [c] l’ou¹rani¿a ouranìa (celeste), o¸rw½sa ta Üaãnw oròsa tà àno (che guarda le cose in alto), e da qui appunto, Ermogene, i meteorologia dicono che provenga il kaJaroÜj nou½j katharòs noùs (mente pura) e che sia attribuito correttamente il nome all'ou¹rano¿j ouranòs. Ma se io ricordassi la genealogia di Esiodo, quali dica siano i progenitore ancora più antichi di questi, non smetterei di esporre passo passo come i nomi siano attribuiti ad essi in modo corretto, finché non avessi sperimentato fino in fondo cosa può fare, si sia esaurita o meno, [d] questa sapienza, che proprio ora mi è caduta addosso così all'improvviso non so da dove. ERM. E appunto, Socrate, mi pare davvero che tu, come coloro che sono invasati dalla divinità, stia vaticinando.
XV. SOCR. E per me, Ermogene, il massimo responsabile del fatto che mi sia caduta addosso questa sapienza è Eutifrone, del demo di Prospalta: sono stato con lui dall'alba e l'ho ascoltato attentamente. C'è il rischio, allora, che lui, invasato com'è, non mi abbia solo riempito le orecchie della divina sapienza, ma si sia attaccato anche all'anima.[e] Mi pare dunque che dobbiamo fare così: per oggi fare uso di questa ed esaminare quel che resta a proposito dei nomi, domani, invece, se pare anche a voi, faremo gli scongiuri per essa e ci purificheremo, quando avremo individuato qualcuno capace di tali cose, [397a] sia egli qualcuno dei sacerdoti o qualcuno dei sofisti. ERM. Ma io sono d'accordo: ascolterei infatti con molto piacere quel che resta a proposito dei nomi. SOCR. Allora si deve fare così. Da dove vuoi dunque che cominciamo ad indagare, dal momento che siamo entrati in un certo schema, per sapere se i nomi stessi ci testimonieranno che ciascuno di loro non è affatto stato attribuito così a caso, ma possiede [b] una qualche correttezza? I nomi che si dicono degli eroi e degli uomini forse ci potrebbero ingannare: molti di essi infatti sono attribuiti secondo la denominazione dei progenitori, che non si adatta affatto in alcuni casi, come dicevamo all'inizio; molti altri sono posti come augurio, quali Eu¹tuxi¿dhj Eutichìdes (Eutichide, fortunato) e Swsi¿aj Sosìas (Sosia, salvatore) e Qeo¿filoj Theòphilos (Teofilo, amico di dèi) e molti ancora. Mi pare dunque che si debbano lasciar stare tali nomi: verosimilmente troveremo, piuttosto, nomi attribuiti correttamente soprattutto fra le cose che stabilmente sono e sono già predisposte. [c] C'è da pensare, infatti, che soprattutto su di esse sia stata studiata seriamente la posizione dei nomi: e forse alcuni di essi furono anche posti da una forza più divina di quella degli uomini. ERM. Mi pare che tu dica bene, Socrate.
XVI. SOCR. Non è allora giusto cominciare dagli dèi, indagando come mai furono correttamente chiamati con questo stesso nome, qeoi¿ theòi (dèi)? ERM. E' verosimile. SOCR. Io al riguardo sospetto qualcosa del genere: mi sembra che i primi fra coloro che vissero nell'Ellade considerassero qeoi¿ theòi (dèi) solo quelli che oggi considerano tali [d] molti dei barbari: il sole, la luna, la terra, gli astri, il cielo. Poiché, dunque, li vedevano andare sempre tutti di corsa e qe¿onta thèonta (correnti), da quella natura del qei½n thèin (correre) li denominarono qeoi¿ theòi. Dopodiché, man mano che riconoscono tutti gli altri, li chiamano oramai con quel nome. E' probabile che sia vero ciò che dico, o no? ERM. Ma certo che è probabile. SOCR. Che cosa possiamo [e] dunque indagare dopo ciò? ERM. Chiaramente i dai¿monej dàimones (demoni). SOCR. E che cosa potrebbe mai intendere veramente il nome dai¿monej dàimones, Ermogene? Rifletti se ti pare che lo dica qualcosa di valido. ERM. Non hai che dirlo. SOCR. Sai quali sono i dai¿monej dàimones, a quanto dice Esiodo? ERM. Non l'ho in mente. SOCR. Neppure che dice sia stata d'oro la prima generazione di uomini? ERM. Questo, certo, lo so. SOCR. Di essa dunque dice: [398a] "ma dopo che questa generazione dalla Moira fu sepolta / demoni sacri, sotterranei essi sono chiamati / buoni, difensori dal male, custodi degli uomini mortali". ERM. E allora? SOCR. Io credo che la dicesse "generazione d'oro" non nel senso di "fatta di oro", ma nel senso di "buona e bella". Del resto, ne è prova per me il fatto che dice pure che noi siamo generazione di ferro. ERM. Dici il vero. SOCR. E, allora, pensi che anche dei contemporanei, se qualcuno è buono, direbbe di lui che [b] appartiene a quella generazione d'oro? ERM. E' verosimile. SOCR. Ma i buoni sono altro che ragionevoli? ERM. Sono ragionevoli. SOCR. Proprio questo, a quel che mi pare, intende dire in primo luogo con dai¿monej dàimones: poiché erano ragionevoli e dah¿monej daèmones (esperti), diede loro il nome di dai¿monej dàimones, e nella nostra lingua antica si trova appunto questo nome. Dice dunque bene lui e molti altri poeti, i quali affermano che, se muore qualcuno che sia buono, ottiene un grande destino e onore e diviene dai¿mwn dàimon (demone), traendo [c] la denominazione dalla ragionevolezza. In questa maniera, dunque, anch'io pongo che ogni uomo, che sia buono, è daimo¿nioj daimònios (demonico), da vivo come da morto, e correttamente si chiama dai¿mwn dàimon. ERM. E a me pare, Socrate, di essere pienamente concorde con te su questo. Ma lo hÀrwj hèros (eroe) che cosa sarebbe? SOCR. Ma questo non è affatto difficile da comprendere. Di poco infatti devia il loro nome, che mostra l'origine dall' eãrwj éros (amore). ERM. Come dici? SOCR. Non sai che gli eroi sono semidei? ERM. Ebbene? SOCR. [d] Tutti, senza dubbio, sono nati da un e¹rasqei¿j erasthèis (innamorato), o da un dio innamorato di una mortale o da un mortale innamorato di una dea. E se consideri anche questa parola secondo l'antica lingua attica, ci entrerai meglio dentro: infatti ti mostrerà come rispetto al nome di eãrwj èros, da cui sono nati gli hÀrwej hèroes, di poco si è deviato in vista di questo nome. Allora, o dice questo il nome hÀrwej hèroes, oppure che erano sapienti e abilissimi r¨h¿torej rètores (retori) e dialettica giacché erano capaci di e¹rwta½n erotàn (interrogare): eiÃrein eìrein, infatti, significa 'dire'. Come, dunque, dicevamo or ora, [e] detti nella lingua attica, gli hÀrwej hèroes si trovano ad essere r¨h¿torej rètores e e¹rwthtikoi¿ eroteticòi (interrogatori), cosicché la stirpe degli eroi diventa generazione di retori e di sofisti. Ma non questo è difficile da comprendere, bensì maggiormente il nome degli uomini, perché mai sono chiamati aÀnJrwpoi ànthropoi: tu me lo sai dire?
XVII. ERM. Come faccio a saperlo, caro? Ma se anche fossi in grado di trovare una risposta, non mi sforzerei, [399a] perché ritengo che tu la troverai meglio di me. SOCR. Ti fidi dell'ispirazione di Eutifrone, a quanto sembra. ERM. E' chiaro. SOCR. E correttamente ti fidi: perché anche adesso mi sembra di aver compreso qualcosa finemente e rischierò, se non sto in guardia, di essere almeno oggi più sapiente del dovuto. Considera quindi quel che dico. Innanzi tutto, infatti, questo bisogna comprendere dei nomi: spesso inseriamo lettere, oppure ne togliamo, quando formiamo nomi per ciò cui vogliamo riferirci, e mutiamo gli accenti. Per esempio, Diiì fi¿loj Diì phìlos (caro a Zeus): [b] affinché questo sia un nome, anziché una locuzione, leviamo da essa il secondo i¹w½ta iòta [i] e pronunciamo grave anziché acuta la sillaba centrale. In altri casi, al contrario, inseriamo lettere e pronunciamo <acute> sillabe gravi. ERM. Dici il vero. SOCR. E proprio uno di questi casi è successo anche al nome degli uomini (aÀnJrwpoi ànthropoi), per quel che mi pare. Infatti, da locuzione è diventato nome, tolta una sola lettera, l' aãlfa alfa [a], e resa grave la finale. [c] ERM. Come dici? SOCR. Dico questo: questo nome, aÀnJrwpoj ànthropos (uomo), significa che, mentre gli altri animali sulle cose che vedono non indagano nulla, non congetturano e non a¹naqrei= anathrèi (osservano attentamente), l' aÀnJrwpoj ànthropos (uomo) nel momento stesso che vede - e cioè o)/pwpe òpope (ha visto) - a¹naqrei½ anathrèi e ragiona su ciò che oãpwpen òpopen (ha visto). Di qui perciò all'uomo, unico fra gli animali, è stato correttamente dato nome aÀnJrwpoj ànthropos , in quanto a)naqrw=n a(\ o)/pwpe anathròn hà òpope (osserva attentamente ciò che ha visto). ERM. Che cosa viene dopo di questo? Potrei chiederti quel che mi piacerebbe sapere? SOCR. Certamente. ERM. Una cosa mi [d] pare venga senz'altro subito dopo queste. Infatti, proprie dell'uomo noi diciamo la yuxh¿ psychè (anima) e il sw½ma sòma (corpo). SOCR. E come no? ERM. Proviamo allora ad analizzare anche questi nomi come i precedenti. SOCR. Intendi dire di esaminare la yuxh¿ psychè, come appropriatamente gli è toccato questo nome, e poi a sua volta il sw½ma sòma? ERM. Sì. SOCR. Dunque, per dirla sul momento, penso che coloro che hanno dato tale nome alla yuxh¿ psychè pensassero qualcosa del genere, e cioè che essa, quando è presente nel corpo, [e] è causa della vita per esso, fornendogli la capacità di a¹napnei½n anapnèin (respirare) e a¹nafu½xon anapsùchon (rinfrescandolo); ma, non appena vien meno l' a¹nafu½xon anapsùchon, il corpo va in rovina e muore: perciò, appunto, mi pare che l'abbiano chiamata yuxh¿ psychè. Ma se vuoi... fermati un attimo, che mi pare di intravedere qualcosa che agli amici di [400a] Eutifrone risulterebbe più convincente. Quella spiegazione, infatti, a quel che mi pare, la disprezzeranno e la considereranno grossolana: vedi, allora, se questa piace anche a te. ERM. Non hai che dirla. SOCR. La fu¿sij phùsis (natura) di tutto il corpo, tale che esso viva e vada in giro, che cos'altro ti sembra eãxei èchei (la regga) e o¹xei½ ochèi (la porti), se non la yuxh¿ psychè? ERM. Niente altro. SOCR. E allora? Non credi con Anassagora che siano mente e yuxh¿ psychè a [b] ordinare e reggere anche la fu¿sij phùsis di tutte le altre cose? ERM. Io sì. SOCR. Starebbe bene, allora, denominare fuse¿xh physèche questa forza, che fu¿sin o¹xei½ physin ochèi ed eãxei èchei (porta e regge la natura). Ma si può anche dire, rendendolo elegante, yuxh¿ psychè. ERM. Certamente, e mi pare pure che questa spiegazione sia costruita meglio dell'altra. SOCR. E infatti è così; anche se appare, per il vero, ridicolo come fu posto il nome dato. ERM. Ma, via, come possiamo dire che stia il nome successivo a questo? SOCR. Intendi dire sw½ma sòma (soma)? ERM. Sì. SOCR. In molti modi, mi pare invero; e se lo si altera pure un po', anche in moltissimi. [c] Infatti alcuni dicono che esso sia sh½ma sèma (tomba [ma anche: segno]) dell'anima, come sepolta in esso nella vita presente; e per il fatto che la yuxh¿ psychè a sua volta shmai¿nei semàinei (significa) ciò che shmai¿nv semàine (significhi), anche per questo aspetto si chiama correttamente sèma. Tuttavia mi paiono in primo luogo i seguaci di Orfeo coloro che posero questo nome, come se l'anima, nello scontare la pena per ciò per cui appunto paga, abbia, affinché s%/zhtai sòzetai (si salvi, sia protetta), questo rivestimento a immagine di prigione: dell'anima questo è dunque, come è esso stesso nominato, sw½ma sòma (custodia), finché non estingua i debiti. E non si deve cambiare nemmeno una lettera.
[d] XVIII. ERM. Di questi mi sembra si sia detto in modo soddisfacente, Socrate; ma sui nomi degli dèi, non sapremmo esaminare allo stesso modo, come ad esempio dicevi or ora a proposito di Dio¿j Diòs (Zeus), in base a quale correttezza sono stati attribuiti i loro nomi? SOCR. Ma, per Zeus, Ermogene, quanto a noi, se abbiamo un po' d'intelligenza, disponiamo di un solo modo, il migliore: riconoscere cioè che degli dèi non sappiamo nulla, né intorno a loro, né intorno ai nomi, con i quali essi chiamino se stessi: è chiaro infatti che essi si chiamano con nomi veri. [e] C'è poi un secondo modo di correttezza: chiamare anche noi così come è norma per noi invocarli nelle preghiere, "chiunque essi siano e in qualunque modo piaccia loro essere chiamati", [401a] in quanto non sappiamo nient'altro: mi pare infatti che sia davvero una buona norma. Se vuoi, dunque, indaghiamo, ma come premettendo agli dèi che noi non ricerchiamo nulla riguardo ad essi - giacché non ci stimiamo in grado di indagare - ma ricerchiamo riguardo agli uomini con quale mai opinione abbiano posto loro i nomi: questo, infatti, è un modo che non suscita sdegno. [b] ERM. Ma mi pare, Socrate, che tu parli in modo misurato, e facciamo così. SOCR. Con che cos'altro cominciare, allora, se non con ((Esti¿a Estìa (Estia), com'è di norma? ERM. Giusto. SOCR. E che cosa si direbbe che pensasse colui che diede il nome ((Esti¿a Estìa, nel nominarla? ERM. Per Zeus, nemmeno questo credo sia facile. SOCR. Certo è probabile, buon Ermogene, che i primi a porre i nomi fossero non degli inetti, ma meteorologia e fini parlatori. ERM. Perché? SOCR. Mi sembra chiaro che la posizione dei nomi sia cosa da uomini di tal fatta, [c] e se qualcuno riconsiderasse i nomi stranieri, ritroverebbe non meno bene ciò che ognuno di essi vuol dire. Per esempio anche nel caso di ciò che noi chiamiamo ou¹si¿a ousìa (essenza), vi sono alcuni che lo chiamano e¹ssi¿a essìa, e altri a loro volta w¹si¿a osìa. Innanzi tutto, in base al secondo di questi nomi è ragionevole che l'ou¹si¿a ousìa delle cose sia chiamata (Esti¿a Estìa, e poiché invero pure noi diciamo e)/stin èstin (è) ciò che partecipa dell' ou¹si¿a ousìa, anche in base a ciò correttamente si può chiamarla (Esti¿a Estìa. E' verosimile infatti che anche noi anticamente chiamassimo e¹ssi¿a essìa l'ou¹si¿a ousìa. Ma ancora, chi ci rifletta anche in rapporto ai [d] sacrifici, potrà ritenere che così pensassero coloro che posero quei nomi: il fatto che si inizi a sacrificare innanzi tutto a (Esti¿a Estìa prima degli altri dèi si addice, infatti, a quelli che denominarono e¹ssi¿a essìa l'ou¹si¿a ousìa di tutte le cose. Quanti dal canto loro la chiamavano w¹si¿a osìa, avranno ritenuto anch'essi press'a poco come Eraclito che tutte le cose che sono vadano e niente permanga, e che pertanto la causa e il principio di esse sia l' w¹Jou½n othoùn (ciò che spinge): di qui appunto sta bene che a ciò sia stato dato nome w¹si¿a osìa. Ma questo sia detto in tal modo come da persone che [e] nulla sanno; e dopo (Esti¿a Estìa è giusto esaminare Re¿a Rèa (Rea) e Kro¿noj Krònos. Tuttavia del nome di Krònos abbiamo invero già trattato. Forse non dico nulla.
XIX. ERM. Perché, Socrate? SOCR. Caro, mi è venuto in mente uno sciame di sapienza. ERM. E com'è questo? SOCR. [402a] Molto ridicolo a dirsi, ma penso che abbia una qualche credibilità. ERM. Quale? SOCR. Mi pare di intravedere Eraclito che dice antiche sagge cose, addirittura dei tempi di Kro¿noj Krònos e di Re¿a Rèa, cose che diceva anche Omero. ERM. Come dici? SOCR. Eraclito dice che "tutte le cose si muovono e nulla permane" e, paragonando le cose che sono alla corrente di un fiume, dice che "non puoi entrare due volte nello stesso fiume". ERM. E' così. SOCR. E allora? [b] Ti sembra che pensasse diversamente da Eraclito colui che ai progenitori di tutti gli altri dèi pose il nome di Re¿a Rea e Kro¿noj Kronos? Credi forse che a caso costui abbia posto ad entrambi nomi di r¨eu¿mata reùmata (correnti)? Così come dal canto suo Omero dice " ¸Wkeano¿j Okeanòs (Oceano) origine degli dèi e ThJu¿j Tethùs (Teti) madre": e, credo, anche Esiodo. E in qualche luogo anche Orfeo dice che "per primo ¸Wkeano¿j kalli¿rrooj Okeanòs kallìrroos (dalla bella corrente) contrasse le nozze, [c] egli che sposò la sorella di uguale madre, ThJu¿j Tethùs". Considera dunque come queste affermazioni si accordino fra di loro e tendano a tutte le dottrine di Eraclito. ERM. Mi sembra che tu dica qualcosa di valido, Socrate; comunque non comprendo che cosa voglia dire il nome di ThJu¿j Tethùs. SOCR. Ma veramente questo per poco non lo dice da sé che è un nome di fonte in forma nascosta. Infatti il diattw¿menon diattòmenon (ciò che filtra) e l'h¹Jou¿menon ethoùmenon (ciò che cola) sono [d] immagini di fonte: e da entrambi questi nomi è composto il nome ThJu¿j Tethùs. ERM. Questa è elegante, Socrate. SOCR. E perché non dovrebbe? Ma che cosa viene dopo ciò? Di Di¿a Dìa (Zèus) abbiamo parlato. ERM. Sì. SOCR. Perciò diciamo dei suoi fratelli Poseidw½n Poseidòn (Poseidone) e Plou¿twn Ploùton (Plutone) e dell'altro nome con cui nominiamo quest'ultimo. ERM. Certamente. SOCR. Il nome Poseidw½n Poseidòn mi sembra gli sia stato dato [da colui che [e] per primo lo nominò], perché la natura del mare trattenne lui, che stava camminando, e non lo lasciò procedere, ma fu per lui come un desmo¿j tw½n podw½n desmòs ton podòn (legame dei piedi). Allora al dio che governa quella forza diede nome Poseidw½n Poseidòn , come fosse posi¿desmoj posìdesmos (legame ai piedi): e l’e vi si trova forse per bellezza. Ma può darsi che non voglia dire questo, e invece del si½gma sìgma [s] si dicevano prima due la¿bda làbda [l] [403a] , come se il dio fosse pollaÜ ei¹dw¿j pollà eidòs (sapiente molte cose). Ma forse dal sei¿ein sèiein (scuotere) è stato nominato o¸ sei¿wn hó sèion (lo scuotente): e vi sono in aggiunta il pei½ pèi [p] e il de¿lta dèlta [d]. Quanto a Plou¿twn Ploùton, questi fu denominato in base al dono del plou½toj ploùtos (ricchezza), perché dalla profondità della terra viene su il ploùtos; quanto a ÀAidhj Aides (Ade), mi pare che i più intendano che con questo nome ci si riferisca all' a¹ide¿j aidès (invisibile) e, avendo paura del nome, lo [b] chiamano Plou¿twn Ploùton.
XX. ERM. E a te come sembra, Socrate? SOCR. In molti modi a me pare che gli uomini si siano sbagliati sulla forza di questo dio e lo temano anche se non lo merita. E in effetti temono il fatto che ognuno di noi, una volta morto, sta sempre là e anche da questo sono spaventati, che l'anima, nuda del corpo, se ne va verso di esso; ma a me sembra che tutto tenda verso uno stesso punto, sia il dominio del dio sia il nome. ERM. Come dunque? [c] SOCR. Io ti dirò quello che sembra almeno a me. Dimmi, quale legame è più forte per un qualsiasi animale, tale da farlo restare dove sia: la necessità o il desiderio? ERM. Di molto superiore è il desiderio, Socrate. SOCR. Non credi, dunque, che molti fuggirebbero ÀAidhj Aides, se egli non legasse coloro che vanno là con il legame più forte? ERM. Ma è chiaro. [d] SOCR. Allora con un qualche desiderio li lega, come pare verosimile, se appunto li lega con il legame più grande e non con la necessità. ERM. Sembra. SOCR. E ancora, i desideri dal canto loro sono molti? ERM. Sì. SOCR. Allora con il più grande desiderio fra i desideri li lega, se vuole trattenerli con il legame più forte. ERM. Sì. SOCR. C'è dunque un desiderio più grande di quello che si prova quando si ritiene che, stando insieme ad un altro, si diverrà un uomo migliore? ERM. Per Zeus, in nessun modo, Socrate. SOCR. Per questo allora, Ermogene, diciamo che nessuno di quelli da lì vuole tornare qui, nemmeno le Sirene stesse, ma sono richiamate anche quelle come tutti gli [e] altri: così belli sono i discorsi che, come pare verosimile, sa dire ÀAidhj Aides ed è questo dio, come appunto risulta da questo discorso, perfetto sofista e grande benefattore di coloro che stanno presso di lui, che invero anche a chi sta quassù invia così grandi beni. Così sono molti i beni che laggiù lo circondano e da ciò Plou¿twj Ploùtos ebbe questo nome. E del resto il non voler stare insieme con gli uomini mentre sono provvisti di corpo, e invece trovarsi con essi [404a] allorquando l'anima sia pura di tutti i mali e i desideri che circondano il corpo, non ti pare sia cosa da filosofo e da chi abbia ben ponderato che così realmente può trattenerli legandoli con il desiderio di virtù, mentre quando hanno l'ardore e la follia del corpo nemmeno il padre Krònos potrebbe trattenerli con sé legandoli con i legami che di lui si raccontano? ERM. C'è la possibilità che tu dica qualcosa di valido, Socrate. SOCR. E certo il nome ÀAidhj Aides, [b] Ermogene, è ben lungi dall'esser derivato a partire dall' a¹ide¿j aidès (invisibile); ma piuttosto a partire dall' ei¹de¿nai eidénai (sapere) tutte le cose belle fu chiamato dal legislatore ÀAidhj Aides.
XXI. ERM. Bene. E come diciamo di Dhmh¿thr Demèter e di ÀHra Era e di )Apo¿llwn Apòllon e di )AJhna½ Athenà e di ÀHfaistoj Efaistos e di ä Arhj Ares (Demetra, Era, Apollo, Atena, Efesto, Ares) e degli altri dèi? SOCR. Demetra sembra sia stata chiamata Dhmh¿thr Demèter in base al dono del cibo didou½sa didoùsa come mh¿thr mèter (che dà come madre); ÀHra Era (Era), invece, [c] è una e¹rath¿ eratè (amabile), ed infatti si dice che Zeus l'abbia in moglie in quanto e¹rasJei¿j erasthèis (innamorato) di lei. Ma forse, operando da meteorologo, il legislatore nominò ÀHra Era in forma nascosta l’a¹h¿r aèr (aria), ponendo alla fine ciò che è all'inizio: te ne accorgeresti se dicessi molte volte di seguito il nome ÀHra Era. E ora Ferre¿fatta Pherrèphatta: molti temono anche questo nome e quello di ¡Apo¿llwn Apòllon, per inesperienza, com'è verosimile, della correttezza dei nomi. Infatti mutandolo vi vedono Fersefo¿nh Phersephòne (Persefone) e sembra loro terribile: invece esso indica che la dea è [d] sapiente. Poiché le cose sono fero¿mena pheròmena (che si muovono), ciò che e¹fapto¿menon ephaptòmenon (si attacca) e e¹pafw½n epaphòn (tocca) ed è capace di seguirle sarà sapienza. Ferre¿fatta Pherrèphatta dunque potrebbe correttamente chiamarsi la dea per la sapienza e per l'e¹pafh¿ epaphé del fero¿menon pheròmenon (contatto con ciò che si muove), o qualcosa di simile - e sta con lei ÀAidhj Aides, che è sapiente, anche per il fatto che anch'essa è tale -; ma ora alterano il nome di lei, tenendo una buona pronuncia in maggior conto della verità, cosicché la [e] chiamano Ferre¿fatta Pherrèphatta. E ugualmente per quanto riguarda )Apo¿llwn Apòllon, come dicevo, molti sono impauriti dal nome del dio, come se indicasse qualcosa di terribile: non te ne sei accorto? ERM. Certamente, e dici il vero. SOCR. E invece questo nome, a quel che mi pare, è ottimamente attribuito alla forza del dio. ERM. Come? SOCR. Io proverò a dirti quello che a me sembra: [405a] non vi è nome infatti che si possa accordare meglio, da solo, alle quattro forze del dio, in maniera da attagliarsi a tutte e in un certo modo mostrarle: la musica, la divinazione, la medicina e l'arte dell'arciere. ERM. Dimmi, dunque: giacché mi sembra che dica che il nome è qualcosa di singolare.
XXII. SOCR. E ben accordato, visto che il dio è musico. Innanzi tutto, la purificazione e le pratiche purificatorie, sia nella medicina, sia nella divinazione, e le sulfurazioni con i farmaci medicinali e con quelli [b] divinatori e così i bagni in questi farmaci e le aspersioni, tutte queste pratiche produrranno un solo effetto, quello di rendere puro l'uomo, sia nel corpo, sia nell'anima. O no? ERM. Certamente. SOCR. Dunque il dio che purifica, a¹polou¿wn apoloùon (che lava) e a¹polu¿wn apolùon (che scioglie) da simili mali sarà questo? ERM. Certamente. SOCR. In base alle a¹polu¿seij apolùseis (scioglimenti) e alle a¹polou¿seij apoloùseis (lavacri), [c] in quanto egli è medico di tali cose, lo si potrebbe correttamente chiamare ¡Apolou¿wn Apoloùon; mentre in base alla divinazione e al vero e all' aÃploun aploun - giacché sono la stessa cosa correttissimo sarebbe chiamarlo come appunto lo chiamano i Tessali: tutti i Tessali, infatti, dicono questo dio ÃAploun Aploun. Inoltre, per il suo essere a¹eiì bolw½n aèi bolòn (sempre dei colpi) padrone con la sua arte di arciere, è ¡Aeiba¿llon Aeibàllon (che sempre colpisce). In relazione alla musica, poi, bisogna intendere che l'aãlfa àlfa [a] significa spesso o(mou homoù (insieme) [come in a¹ko¿louqoj akòlouthos (seguace) e in aãkoitij àkoitis (coniuge)] e in questo caso significa la o¸mou½ po¿lhsij omoù pòlesis (rotazione insieme), sia a proposito del cielo, per quelli che sono chiamati appunto po¿loi pòloi (poli), sia a proposito [d] dell'armonia del canto, che si chiama appunto sinfonia: poiché tutte queste cose, come dicono gli esperti di musica e astronomia, per una qualche armonia polei½ polèi (girano) tutte insieme. E questo dio presiede all'armonia o¸mopolw½n omopolòn (muovendo insieme) tutte quelle cose per gli dèi come per gli uomini. Come, dunque, abbiamo chiamato lo o¸moke¿leuqoj omokéleuthos (compagno di viaggio) e la o¸mo¿koitij omòkoitis (compagna di letto), rispettivamente, a¹ko¿louqoj akòlouthos (seguace) e aãkoitij àkoitis (coniuge), sostituendo l' a a al posto di o¸mo homo-, così abbiamo chiamato ¡Apo¿llwn Apòllon quello che era ¹Omopolw½n Omopolòn, inserendo un [e] secondo la¿bda labda [l], perché sarebbe stato omonimo di un nome tremendo. E proprio questo sospettano anche oggi alcuni poiché non considerano correttamente la forza del nome e lo temono come se significasse una qualche rovina: [406a] esso invece, come dicevo or ora, si attaglia a tutte le forze del dio, ad a¸plou½j aploùs, ad a¹eiì ba¿llwn aèi ballòn, ad a¹polou¿wn apoloùon, a o¸mopolw½n omopolòn. Alle Mou½sai Moùsai (Muse), poi, e in complesso alla mousikh¿ mousikè questo nome è derivato a partire dal mw½sqai mòsthai (aspirare), com'è verosimile, e dalla ricerca e dalla filosofia. Lhtw¿ Letò (Latona) dalla mitezza della dea, per il suo essere eqelh¿mwn ethelémon (benevola) in ciò di cui la si prega. Ma forse è come la chiamano gli stranieri - molti infatti la chiamano Lhqw¿ Lethò -: è dunque verosimile che sia stata chiamata Lhqw¿ Lethò da coloro che così la chiamano in riferimento alla non asprezza [b] dell' hÅqoj èthos (indole) e, anzi, alla mitezza e al lei½on leìon (dolcezza). ÃArtemij Artemis (Artemide), inoltre, sembra, per l'a¹rteme¿j artemès (intatto) e per il decoro, a causa del desiderio di verginità; ma forse a¹reth½j iÀstwr aretés ìstor (esperta di virtù) volle chiamare la dea colui che la chiamò e forse anche in quanto aã¹roton mish¿sasa àroton misèsasa (che odia il generare) da parte dell'uomo nella donna. O per qualcuno di questi motivi o per tutti questi, questo nome pose alla dea colui che lo pose.
XXIII. ERM. E Dio¿nusoj Diònusos (Dioniso) e ¡Afrodi¿thj Aphrodìtes (Afrodite)? SOCR. Grandi cose chiedi, figlio di Ipponico. Ma il carattere dei nomi di questi [c] dèi può esser detto sia in modo serio sia in modo scherzoso. Per quello serio, interroga qualcun altro; quello scherzoso, invece, nulla impedisce di trattarlo; infatti anche gli dèi amano lo scherzo. E allora Dio¿nusoj Diònusos (Dioniso) potrebbe essere chiamato per scherzo didou¿j to¿n oiÅnon didoùs tòn oìnon (colui che dona il vino), Did¿oi¿nusoj Didòinusos; e l'oiÅnoj òinos (vino), poiché fa oiãesqai òiesthai (credere) ai più fra coloro che bevono di avere nou½j noùs (intelligenza) pur non avendone, potrebbe essere chiamato giustissimamente oi¹o¿nouj oiònous. Su ¡Afrodi¿th Aphrodìte (Afrodite) non è bene contraddire [d] Esiodo, ma convenire che fu chiamata così per la sua nascita dall' a¹fro¿j aphròs (schiuma). ERM. Ma certamente, Socrate, giacché sei Ateniese, non ti dimenticherai di ¡AJhna½ Athenà (Atena), e nemmeno di ÀHfaistoj Ephaistos (Efesto) e ÄArhj Ares (Ares). SOCR. Non sarebbe certo conveniente. ERM. No, infatti. SOCR. Ebbene, il secondo nome di questa dea non è difficile dire per che cosa le è attribuito. ERM. Quale? SOCR. Palla¿j Pallàs (Pallade) la chiamiamo in qualche caso. ERM. E come no? SOCR. [e] Se riteniamo che questo nome fu posto dal danzare in armi, pensiamo correttamente, per quel che io credo: infatti il levare in alto se stesso o [407a] qualcos'altro da terra o nelle mani lo chiamiamo pa¿llein pàllein (tirare) e pa¿llesqai pàllesthai (balzare), o)rxei=n orchèin (far danzare) e o)rxei=sqai orchèisthai (danzare). ERM. Certamente. SOCR. In questa maniera pertanto abbiamo Pallàs. ERM. E certo in modo corretto. Ma che mi dici dell'altro? SOCR. Del nome di ¡AJhna½ Athenà (Atena)? [b] ERM. Sì. SOCR. Questo è più oneroso, amico. E' verosimile comunque che anche gli antichi reputassero ¡AJhna½ Athenà come gli odierni esperti di Omero. E fra questi, infatti, i più, interpretando il poeta, dicono che abbia fatto di ¡AJhna½ Athenà il nou½j noùs (intelligenza) stesso e la dia¿noia diànoia (intelletto); ed è verosimile che il costruttore dei nomi abbia pensato di lei qualcosa di simile, dicendo in modo ancora più pregnante qeou½ no¿esij theoù nòesis (pensiero di dio), come se dicesse che essa è a¸ qeono¿a ha theonòa (l'intelligenza divina), usando l'aãlfa alfa [a] al posto dell' hÅta éta [h] al modo degli stranieri ed eliminando lo i¹w½ta iòta [i] e il si½gma sìgma [s,j]. Ma forse non è nemmeno in questa maniera e, in quanto ta\ qei=a noou/sa tà thèia nooùsa (pensante le cose divine) meglio degli altri, la chiamò [c] Qeono¿h Theonòe. Ma nulla impedisce che volesse chiamarla (Eqono¿h Ethonòe, come se questa dea fosse h¸ e¹n t%= hãqei no¿esij hè en tò èthei nòesis (il pensiero nell'indole); ma, in seguito, lui stesso o altri dopo di lui, sviando il nome verso una forma - a quel che credevano - più bella, la chiamarono )AJhna¿a Athenàa. ERM. E poi di (/Hfaistoj Hèphaistos (Efesto), come dici? SOCR. Mi domandi del nobile fa¿eos iÀstwr phàeos ìstor (esperto di luce)? ERM. Pare. SOCR. Ebbene, non è chiaro a ognuno che costui, pur avendo tratto avanti a sé l' hÅta éta [h], è Fai½stoj Phàistos (luminoso)? ERM. Possibile, a meno che a te non sembri in qualche altro modo, com'è verosimile. SOCR. Affinché non sembri, domandami di )/Arhj Ares (Ares). ERM. Ti domando. [d] SOCR. Ebbene, se vuoi, )/Arhj Ares potrebbe essere in base all' aãrren àrren (maschile) e all' a¹vdrei½on andrèion (coraggioso); ma se, d'altro canto, fosse in base al duro e all'inflessibile, che appunto si chiama aãrraton àrraton (infrangibile), anche così sarebbe in ogni modo adatto ad un dio guerresco chiamarsi )/Arhj Ares (Ares). ERM. Certamente. SOCR. Ma ora, in nome degli dèi, mettiamo da parte gli dèi, perché io temo discorrere di loro: di altri, quelli che vuoi, proponimi di discorrere, "affinché tu veda quali sono i cavalli" di Eutifrone. [e] ERM. Allora farò così, anche se ti chiedo ancora una cosa su )Ermh½j Ermès (Ermes), dal momento che Cratilo dice pure che io non sono )Ermoge¿nhj Ermoghénes (Ermogene). Cerchiamo dunque di considerare che cosa intenda il nome )Ermh½j Ermès (Ermes), per sapere anche se egli dice qualcosa di serio. SOCR. Ma in effetti è verosimile che questo nome, )Ermh½j Ermès (Ermes), riguardi in qualcosa il discorso; d'altro canto, l'essere lo e¸rmhneu¿j ermenèus (interprete) e il messaggero e il ladresco e l'ingannatore nei [408a] discorsi e il commerciante, tutta questa attività riguarda la forza del discorso; dunque, come dicevamo anche in precedenza, l'eiãrein èirein (dire) è l'utilizzazione del discorso, mentre ciò di cui per esempio parla spesso anche Omero, quando dice "e¹mh¿sato emèsato (immaginò)", ciò è mhxanh¿sasqai mechanèsasthai (architettare). A partire da entrambi questi dati il legislatore ci impone questo dio come il mhsa¿menoj mesàmenos (colui che immagina) il dire e il discorso - il dire è appunto eiãrein èirein (dire) -, [b] come se ci dicesse: "O uomini, colui che eiãrein e¹mh¿sato èirein emèsato (immaginò il dire) giustamente può essere da voi chiamato Ei)re¿mhj Eirèmes"; ma oggi noi, abbellendo il nome, a quel che crediamo, lo chiamiamo ¡Hrmh½j Ermès. E anche )=Irij Iris (Iris) fu verosimilmente chiamata così dall'eiãrein èirein, poiché era messaggera.] ERM. Per Zeus, allora mi sembra dica bene Cratilo, che io non sono ¡Hrmoge¿nhj Ermoghènes: in effetti non sono certo bravo ad architettare discorsi.
XXIV. SOCR. E che Pa¿n Pàn (Pan) sia il figlio dalla duplice natura di ¡Hrmh½j Ermes (Ermes) ha la sua verosimiglianza, amico. [c] ERM. Come? SOCR. Sai che il discorso significa pa½n pan (tutto) e gira e va in giro sempre, ed è duplice, vero e falso? ERM. Certamente. SOCR. Ebbene, la parte vera di esso è dolce e divina e dimora su fra gli dèi, quella falsa giù fra i più degli uomini ed è aspra e tragiko¿n traghikòn (caprina [ma anche: tragica]): qui si trovano infatti la maggior parte dei miti e delle falsità, nella vita tragiko¿n traghikòn. ERM. Certamente. SOCR. Correttamente, allora, colui che indica pa½n pàn (tutto) e sempre a¹eiì polw½n aèi polòn (va in giro) sarà [d] Pa¿n ai¹po¿loj Pàn aipòlos (Pan capraio), figlio dalla duplice natura di ¡Hrmh½j Ermes (Ermes), dolce in alto, aspro e tragoeidh¿j tragoeidès (di forma caprina [o anche: tragica]) in basso. Ed è certo discorso o fratello di discorso Pa¿n Pàn (Pan), se è figlio di ¡Hrmh½j Ermes (Ermes): e non c'è nulla da meravigliarsi se un fratello assomiglia ad un fratello. Ma come dicevo io, caro, lasciamo da parte gli dèi. ERM. Questi qui, Socrate, se vuoi. Ma cosa ti impedisce di trattare di quegli altri, come ad esempio il sole, la luna, gli astri, la terra, il etere, l'aria, [e] il fuoco, l'acqua, le stagioni, l'anno? SOCR. Me ne metti davanti un gran numero, tuttavia, se ti fa piacere, acconsento. ERM. E certo mi farai piacere. SOCR. Quale vuoi per primo? Esaminiamo lo hÀlioj hèlios (sole), secondo l'ordine in cui li hai detti tu? ERM. Certamente. [409a] SOCR. E' verosimile che divenga più chiaro se si utilizzerà il nome dorico - i Dori infatti lo chiamano aÀlioj hàlios (sole) -; dunque potrebbe essere aÀlioj hàlios in base allo a¸li¿zein halìzein (adunare) gli uomini in uno stesso luogo quando sorge, ma, potrebbe esserlo anche per il suo ei¸lei½n i¹w¿n heilèin iòn (sempre girare andando) intorno alla terra, e verosimilmente anche perché, andando, variopinge le cose che nascono dalla terra: del resto variopingere e aio¹lei½n aiolèin (ornare con vari colori) sono la stessa cosa. ERM. E perché il nome selh¿nh selène (luna)? SOCR. Questo nome sembra mettere alle strette Anassagora. ERM. Perché? SOCR. Sembra mostrare come più antico ciò che quello diceva di recente, [b] e cioè che la luna trae la luce dal sole. ERM. E come? SOCR. In qualche modo se¿laj sèlas (splendore) e fw½j phòs (luce) sono la stessa cosa. ERM. Sì. SOCR. D'altra parte, in qualche modo, sempre ne¿on nèon (nuova) e eÀnon ènon (vecchia) è questa luce intorno alla luna, se gli Anassagorei dicono il vero: infatti girandole in qualche modo sempre intorno in cerchio ne getta sempre di nuova, mentre vecchia viene ad essere quella del mese precedente. ERM. Certamente. SOCR. Ma molti la chiamano Selanai¿a Selanàia . ERM. Certamente. SOCR. Perché ha se¿laj ne¿on sèlas nèon ed eÀnon a¹eiì ènon aèi (splendore nuovo e vecchio sempre) potrebbe chiamarsi col più giusto dei nomi Selaenoneoa¿eia Selaenoneoàeia [c], ma, contrattosi, si chiama Selanai¿a Selanàia. ERM. Ditirambico questo nome, Socrate. Ma del mh¿n mèn (mese) e degli aãstra àstra (astri) come dici? SOCR. Il mèis (mese) dal meiou½sqai meioùsthai (diminuire) potrebbe essere correttamente chiamato mei¿hj mèies, mentre gli àstra (astri) è verosimile che traggano la denominazione dall' a¹straph astrapè (lampo). E l' a¹straphÜ astrapè, poiché ta\ wÅpa a¹nastre¿fei ta òpa anastrèphei (fa volgere gli occhi), potrebbe essere a¹nastrwph¿ anastropè, ma ora, in forma abbellita, si chiama a¹straph¿ astrapè. ERM. E il pu½r pùr (fuoco) e l' uÀdwr ùdor (acqua)? [d] SOCR. Quanto al pu½r pùr (fuoco) sono in difficoltà: e c'è il rischio o che la musa di Eutifrone mi abbia abbandonato o che questo sia qualcosa di difficilissimo. Osserva bene, dunque, quale artificio introduco in tutte le occasioni del genere per le quali sono in difficoltà. ERM. Quale? SOCR. Io te lo dirò. Perciò rispondimi: sapresti dirmi per quale maniera il pu½r pùr (fuoco) si chiama così? ERM. Per Zeus, io certo no.
XXV. SOCR. Osserva bene, appunto, ciò che io sospetto al riguardo. [e] Penso infatti che i Greci, e in special modo coloro che vivono sotto dominazione dei barbari, abbiano preso molti nomi dai barbari. ERM. E allora? SOCR. Se qualcuno cercasse come questi nomi siano attribuiti in modo acconcio secondo la lingua greca, e non secondo quella dalla quale il nome si trova a provenire, sai che si troverebbe in difficoltà. [410a] ERM. Verosimilmente. SOCR. Guarda allora se anche questo nome pu½r pùr (fuoco) non sia barbarico. Questo, infatti, non è facile da adattare alla lingua greca, ed è manifesto che i Frigi lo chiamano così, pur alterandolo un po': e così uÀdwr hùdor (acqua), ku¿nej kùnes (cani) e molti altri. ERM. E' così. SOCR. Non bisogna quindi forzarli questi nomi, sebbene qualcuno potrebbe aver da dire qualcosa su essi. [b] E così respingo pu½r pùr (fuoco) e uÀdwr ùdor (acqua); ma l'a¹h¿r aèr (aria), Ermogene, si chiama aèr perché aiãrei aìrei (solleva) le cose da terra? O perché a¹ei½ r)ei½ aèi rèi (sempre scorre)? O perchè dal suo scorrere nasce il vento? Giacché i poeti talvolta chiamano i pneu¿mata pnèumata (venti) a¹h½tai aètai: dunque, forse, vuoi dire a¹hto¿rroun aetòrroun, come se dicesse pveumato¿rroun pneumatòrroun. Ai¹qh¿r aithèr, poi, l'intendo in questo modo: poiché a¹eiì qei½ aèi thèi (sempre corre) scorrendo intorno all' a¹h¿r aèr (aria) può essere giustamente chiamato a¹eiqeh¿r aeitheèr. Gh½ ghè (terra), però, quel che vuol dire lo significa meglio quando la si nomina col nome di [c] gai½a gàia: infatti gai½a gàia sarebbe stata chiamata correttamente gennh¿teira ghennèteira (genitrice), come dice Omero: e il suo gega¿asin ghegàasin (sono generati) dice appunto l'essere generati. Bene. Che cosa avevamo dopo questo? ERM. Le wÂrai hòrai (stagioni), Socrate, e l' e¹niauto¿j eniautòs e l' eÀtoj ètos (anno). SOCR. Certo, le wÂrai hòrai (stagioni) sono da pronunciare in attico antico, se vuoi sapere il verosimile: sono infatti HOPAI per il loro o¹ri¿zein horìzein (determinare) gli inverni e le estati, i venti e i frutti della terra. In quanto o¹ri¿zousai horìzousai (determinanti), possono [d] giustamente essere chiamate oÀrai hòrai. )Eniauto¿j eniautòs (anno) e l'eÀtoj ètos (anno) c'è il rischio che siano una cosa sola. Infatti ciò che spinge alla luce le cose che nascono e divengono, ciascuna a turno, e che le e¹n au¸t%½ e¹ceta¿zon ev hautò exetàzon (in se stesso ricerca), questo appunto - come in precedenza il nome di Di¿oj Diòs (Zeus), diviso in due, alcuni lo chiamavano Zh½na Zèna (Zèna) e altri Di¿a Dìa (Dìa), così anche in questo caso - alcuni lo chiamano e¹niauto¿j eniautòs, in quanto e¹n au¸t% en heautò (in sé), altri eÀtoj ètos, per il fatto che e¹ta¿zei etàzei (cerca). Ma l'intera espressione, questo e¹n e¹aut%½ e¹ta¿zon en heautò etàzon, è possibile che sia pronunciato in due volte, pur essendo uno, cosicché da una sola espressione sono nati due nomi, eniautòs ed eÀtoj ètos. [e] ERM. Ma davvero, Socrate, stai facendo progressi. SOCR. Già, credo, sembro avanzare verso la sapienza. ERM. Certamente. SOCR. Presto dirai di più.
[411a] XXVI. ERM. Ma dopo questa specie di nomi io con piacere starei a guardare con quale mai correttezza sono attribuiti quei bei nomi relativi alla virtù, come fro¿nhsij phrònesis (ragionevolezza), su¿nesij sùnesis (comprensione) e dikaiosu¿nh dikaiosùne (giustizia) e tutti gli altri del genere. SOCR. Tu svegli, caro, una specie di nomi di non poco conto; tuttavia, dal momento che ho indossato la pelle del leone, non devo spaventarmi, ma esaminare, come conviene, fro¿nhsij phrònesis , su¿nesij sùnesis, gnw¿mh gnòme (giudizio), e¹pisth¿mh epistème (scienza) e tutti quegli altri che tu dici bei nomi. [b] ERM. Certamente non dobbiamo ritirarci prima. SOCR. E certo, per il cane, non mi sembra di avere indovinato male quel che ho pensato or ora: che gli uomini antichissimi che posero i nomi, esattamente come i più fra gli attuali sapienti, per il loro girarsi frequentemente intorno ricercando come stiano le cose che sono, sono colti da vertigini, [c] e quindi a loro sembra che le cose girino e si muovano comunque. E spiegano che la causa di questa opinione non è la loro affezione interna e che, invece, le cose stesse sono già predisposte in modo tale che nessuna di esse sia ferma e stabile, ma scorrono e si muovono e sono piene di ogni movimento e generazione sempre. E parlo pensando appunto a tutti i nomi di poco fa. ERM. Come, Socrate? SOCR. Forse non hai capito quello che si è detto ora, e cioè che i nomi sono applicati alle cose in tutto e per tutto come se esse si muovessero e scorressero e si generassero? [d] ERM. Non me ne sono affatto accorto. SOCR. E in primo luogo quel nome che dicevamo per primo è in tutto e per tutto come se si riferisse a cose del genere. ERM. Quale? SOCR. La fro¿nhsij phrònesis (ragionevolezza) è infatti fora½j phoràs e r(ou½ no¿hsij roù nòesis (pensiero del movimento e del flusso). Ma si potrebbe intenderla anche come oãnhsij fora½j ònesis phoràs (vantaggio del movimento): ma comunque riguarda il muoversi. Se vuoi, poi, la gnw¿mh gnòme (giudizio) mostra in tutto e per tutto indagine e nw¿mhsij nòmesis gonès (considerazione della generazione): infatti "indagare" e "considerare" sono la stessa cosa. E se vuoi, la stessa no¿hsij nòesis (pensiero) è ne¿ou eÀsij nèou èsis (tendenza verso il nuovo), e l'essere nuovo per le cose che sono significa essere sempre in divenire: [e] che l'anima mira a ciò, dunque, indica colui che pose il nome neo¿esij neòesis. Infatti anticamente non era chiamata neo¿esij nòesis, ma al posto dell'hÂta èta [h] si dovevano dire due eiÅ èi [e]: noe¿esij noéesis. Swfrosu¿nh sophrosùne (saggezza) è swthri¿a soterìa (salvezza) di ciò su cui abbiamo riflettutto or ora, della fro¿nhsij phrònesis (ragionevolezza). [412a] E certo anche l’e¹pisth¿mh epistème (scienza) indica che l'anima, quella degna di considerazione, e¸pome¿nh epomène (segue) le cose in movimento, e né resta indietro né corre avanti: perciò si deve, introducendo l' eiÅ èi [e], darle nome e¸peisth¿mh epeistème. Su¿nesij Sùnesis (comprensione), dal canto suo, potrebbe sembrare che sia coni come sullogismo¿j sulloghismòs (ragionamento), ma allorquando si dice sunie¿nai suniènai (comprendere [ma anche: andare insieme]), si viene a dire in tutto e per tutto la stessa cosa di e¹pi¿stasqai epìstasthai (avere scienza): infatti il sunie¿nai suniènai vuol dire che l'anima va insieme alle cose. [b] E certo anche la sofi¿a sophìa (sapienza) significa e¹fa¿ptesqai fora½j ephàptesthai phoràs (attaccarsi al moto). Questo è un nome assai oscuro e straniero: ma dai poeti occorre richiamare alla mente che in molti luoghi, se si trovano a parlare di una qualsiasi delle cose che iniziano a procedere rapidamente, dicono e¹su¿qh esùthe (si slanciò). Ed anche un uomo di Laconia dalla buona fama aveva nome Sou½j Soùs: così infatti i Lacedemoni chiamano lo slancio rapido. La sofi¿a sophìa (sapienza) significa dunque e¹pafh\ epaphè (aggancio) a questo movimento, siccome tutte le cose che sono si muovono. [c] E certo quanto ad a¹gaJo¿n agathòn , questo nome vuole applicarsi all' a¹gasto¿n agastòn (ammirabile) della natura tutta. Infatti dal momento che le cose che sono vanno, vi è pertanto in esse velocità, ma vi è anche lentezza. Ora, non tutto il veloce, ma qualcosa di esso è a¹gasto¿n agastòn. Appunto l' a¹gasto¿n tou= qoou= agastòn toù thooù (ammirabile del veloce) ha questa denominazione, a¹gaJo¿n agathòn.
XXVII. Quanto a Dikaiosu¿nh Dikaiosùne (giustizia) poi, è facile congetturare che questo nome è attribuito per tou½ dikai¿ou su¿nesij toù dikàiou sùnesis (comprensione del giusto): ma è lo stesso di¿kaion dìkaion (giusto) che è difficile. E infatti è verosimile che fino a un certo punto ci sia accordo fra molti, ma poi c'è contesa. [d] Infatti quanti ritengono che tutto sia in cammino, credono che la maggior parte di esso sia qualcosa come un semplice muoversi e che, d'altra parte, attraverso questo tutto ci sia qualcosa che passa, tramite cui si genera tutto ciò che diviene; e che questo sia velocissimo e sottilissimo. E in effetti altrimenti non potrebbe andare attraverso tutto ciò che è, se non fosse sottilissimo, cosicché nulla lo trattenga, e velocissimo, così da trattare con le altre cose come se stessero ferme. [e] Dunque, poiché di¿aion diaiòn (attraversando) tutte le altre cose, le governa, correttamente fu chiamato con questo nome, dìkaion, con l'aggiunta della forza del ka¿ppa kàppa [k] per una buona pronuncia. Fin qui, dunque, come dicevamo or ora, [413a] c'è accordo fra molti che questo sia il dìkaion. Ma io, Ermogene, visto che sono tenace riguardo ad esso, sono venuto a sapere segretamente tutte queste cose: che questo dìkaion è anche la causa, - infatti ciò di ¦oÀ dì hò (tramite cui) qualcosa si genera, questo è la causa - e qualcuno disse che per questo motivo sarebbe stato corretto chiamarlo Di¿a Dìa (Zeus). Ma quando, nondimeno, udite queste cose, li interrogo tranquillamente di nuovo: "Che cos'è mai, carissimo, il giusto, se la cosa sta così?", già sembra che io domandi più [b] del conveniente e salti oltre il tracciato. Dicono, infatti, che io ne ho saputo abbastanza e, volendo saziarmi, cominciano a dire chi una cosa, chi un'altra, e non concordano più. E allora uno dice che questo è il di¿kaion dìkaion, il sole, giacché solo questo, diai+w¿n diaiòn (attraversando) e ka¿on kàon (bruciando), governa le cose che sono. E quando, contento di avere udito qualcosa di bello, dico ciò a qualcuno, quello, sentendomi, ride di me e chiede se io creda che non ci sia nulla di di¿kaion dìkaion fra gli uomini dopo [c] il calar del sole. Quando, allora, insisto affinché questi a sua volta dica il suo parere, egli dice: il fuoco; ma questo non è facile da comprendere. E un altro dice che non è il fuoco stesso, ma quello stesso caldo che è dentro al fuoco. E un altro, ridendo di tutte queste cose, afferma che il di¿kaion dìkaion è ciò che dice Anassagora, cioè intelligenza: dice infatti che questa, essendo indipendente e non mescolata a nulla, ordina tutte le cose andando attraverso tutte loro. E allora, amico, io sono in difficoltà molto più di prima, quando cercavo di apprendere che cosa mai fosse il di¿kaion dìkaion [d]. Ma comunque questo nome, in vista del quale indagavamo, sembra che gli sia attribuito proprio per queste ragioni. ERM. Ho l'impressione, Socrate, che tu queste cose le abbia udite da qualcuno e non le improvvisi tu stesso. SOCR. E le altre? ERM. No, certo.
XXVIII. SOCR. Ascolta, allora: giacché forse anche sulle rimanenti potrei ingannarti, come se parlassi senza aver udito. Cosa ci resta, dunque, dopo la dikaiosu¿nh dikaiosùne (giustizia)? Dell' a¹ndrei¿a andrèia (coraggio) credo che non abbiamo ancora trattato. ¹Adiki¿a adikìa (ingiustizia), da un lato, è chiaro che è impedimento per [e] ciò che è come diai+w¿n diaiòn (attraversante), a¹ndrei¿a andrèia (coraggio), dall'altro, ha significato in quanto l' a¹ndrei¿a andrèia abbia tratto la sua denominazione in battaglia - e nient'altro che e¹navti¿a r)oh enantìa roè (corrente contraria) è la battaglia per ciò che è, se davvero r)ei rèi (scorre) -; se dunque si toglie il de¿lta dèlta [d] dal nome dell' a¹ndrei¿a andrèia, il nome 'a¹ndrei¿a andrèia' indica questo fatto stesso. E' chiaro comunque che l' a¹ndrei¿a andrèia non è la corrente contraria a ogni corrente, ma solo a quella che [414a] scorre contro il giusto: non sarebbe infatti lodata l' a¹ndrei¿a andrèia. E l' aãrren àrren (maschile) e l'a¹nh¿r anèr (uomo) si applicano a qualcosa di simile a questo: alla aãn% r)oh¿ àno roè (corrente in su). Gunh¿ Gunè (donna) mi sembra voglia essere gonh¿ gonè (generazione). Il qh½lu thèly (femminile) mi sembra venga denominato dalla qhlh¿ thelè (mammella): e la qhlh¿ thelè, Ermogene, non forse perché fa teqhle¿nai tethelènai, (germogliare), come ciò che è innaffiato? ERM. E verosimile, Socrate. SOCR. E invero lo stesso qa¿llein thàllein (germogliare) mi sembra raffigurare la crescita dei giovani, in quanto avviene [b] rapida e istantanea. E proprio una tal cosa si è imitato con il nome, componendo il nome con il qei½n thèin (correre) e con lo aÀllesqai hàllesthai (saltare). Ma non ti accorgi che io sono come portato fuori pista appena mi trovo sul liscio: ce ne rimangono, però, molte di cose che paiono serie. ERM. Dici il vero. SOCR. E fra queste una è anche vedere che cosa mai voglia essere te¿xnh tèchne (tecnica). ERM. Certamente. SOCR. Questo dunque non significa eÀcij nou èxis noù (possesso di intelligenza) per chi toglie il tau½ tàu [t] e inserisce un ouÅ où [o][c] tra il xei½ chèi [x] e il nu½ nù [n] e tra il nu½ nù [n] e l'hÅta èta [h]? ERM. Sì, ma proprio a malapena, Socrate. SOCR. Caro, non sai che i primi nomi posti sono stati ormai seppelliti da coloro che volevano teatralizzarli, aggiungendo e levando lettere in vista di una gradevole pronuncia e rivoltandoli in ogni modo, e per abbellimento e per il tempo? Perché in ka¿toptron kàtoptron (specchio) non ti sembra sia strano l'inserimento del r)w ½rò [r]? [d] Ma tali cose, credo, le fanno coloro che non si preoccupano della verità e modellano la pronuncia, al punto che, inserendo molte cose nei primi nomi, finiscono per far sì che nessun uomo comprenda che cosa mai volesse dire il nome: così come anche la Sfi¿gc Sphìnx (Sfinge), invece di Fi¿c Phìx, la chiamano Sfi¿gc Sphìnx, e ugualmente molti altri. ERM. E' così, Socrate. SOCR. D'altro canto, se si lascerà che chiunque introduca e tolga quel che vuole dai nomi, ci sarà molta facilità e si potrà adattare ogni nome ad ogni cosa. ERM. Dici il vero. [e] SOCR. Il vero, sicuramente. Ma tu, credo, da sapiente guida devi difendere la giusta misura e il conveniente. ERM. Vorrei.
XXIX. SOCR. Ed io lo voglio con te, Ermogene. [415a] Ma non sottilizzare troppo, divino, "affinché tu non svilisca la mia forza". Sarò infatti al culmine di ciò che ho detto quando, dopo te¿xnh thècne, avremo esaminato mhxanh¿ mechanè (artificio). Mhxanh¿ mechanè mi sembra esser segno dell' aãnein e¹piì polu ànein epì polù (arrivare molto distante): infatti il mh½koj mèkos (lunghezza) significa in qualche modo il polù (molto); dunque da entrambi questi nomi, mh½koj mèkos e aãnein ànein, è costituito il nome mhxanh¿ mechanè. Ma, come ho affermato or ora, si deve giungere al culmine di quanto detto. Bisogna ricercare, infatti, che cosa vogliono dire i nomi a¹reth¿ aretè (virtù) e kaki¿a kakìa (vizio). [b] Uno dei due ancora non lo inquadro, mentre l'altro mi sembra chiaro. Si accorda infatti con tutti i precedenti. Dal momento che le cose iãonta iònta (vanno), tutto il kakw½j iãon kakòs iòn (ciò che va male) sarà kaki¿a kakìa (vizio): ma soprattutto quando questo, il kakw½j i¹e¿nai kakòs iènai (andare male) nei confronti delle cose, sia nell'anima, assume la denominazione dell'intero, quella di kaki¿a kakìa. E che cosa mai sia il kakw½j i¹e¿nai kakòs iènai mi sembra lo mostri anche nella deili¿a deilìa (viltà), che non abbiamo ancora trattato e abbiamo invece tralasciato, mentre bisognava considerarla dopo il coraggio: del resto, mi sembra che abbiamo tralasciato molte altre cose. [c] Ebbene, la deili¿a deilìa (viltà) significa che c'è un potente legame dell'anima: infatti il li¿an lìan (troppo) è una qualche potenza. Dunque il desmo¿j desmòs (legame) li¿an lìan (troppo, eccessivo) e grandissimo dell'anima potrebbe essere la deili¿a deilìa: come certo anche l'a¹pori¿a aporìa (difficoltà) è male, e, verosimilmente, tutto ciò che sia di impedimento allo i¹e¿nai iènai (andare) e al poreu¿esqai porèuesthai (camminare). Questo, allora, sembra mostrare il kakw½j i¹e¿nai kakòs i¹e¿nai iènai (andare male): il poreu¿esqai porèuesthai trattenuto e impedito; e quando ciò possegga appunto l'anima, essa diviene piena di kaki¿a kakìa (vizio). Ma se per tali cose è il nome 'kakìa', il suo contrario potrebbe essere 'a¹reth¿ aretè' (virtù), in quanto significa innanzi tutto eu¹pori¿a euporìa (facilità), [d] e poi che la r)oh¿ roè (corrente) dell'anima buona è sempre sciolta, cosicché l' a¹eiì r)e¿on aèi rèon (ciò che scorre sempre) irresistibilmente e irrefrenabilmente prese come denominazione, com'è verosimile, questo nome; e sta in modo corretto chiamarlo a¹eirei¿th aeirèite [ma forse vuol dire ai¸reth¿ airetè (preferibile) in quanto è ai¸retwta¿th hairetotàte (preferibilissima) questa disposizione], ma si è contratto e si chiama 'aretè'. Forse dirai che io a mia volta invento: [e] ma io dico che, se il nome di cui ho parlato in precedenza, kaki¿a kakìa (vizio), sta in modo corretto, sta in modo corretto anche questo, a¹reth¿ aretè (virtù). [416a] ERM. E dunque 'kako¿n kakòn' (cattivo), attraverso cui hai spiegato molti dei casi precedenti, che cosa potrebbe intendere questo nome? SOCR. Mi sembra qualcosa di strano, per Zeus, e difficile da comprendere. E allora applico anche a questo nome quell'artificio. ERM. Quale? SOCR. Quello di dire che anche questo nome è barbarico. ERM. Ed è verosimile che tu parli correttamente. Ma se ti pare, lasciamo stare queste cose, e cerchiamo invece di vedere in qual modo siano ben detti 'kalo¿n kalòn' e 'ai¹sxro¿n aischròn'. SOCR. Ebbene, 'ai¹sxro¿n aischròn' mi sembra proprio chiaro ciò che intende: [b] giacché anche questo si accorda con i dati precedenti. Infatti colui che pose i nomi mi sembra biasimi totalmente ciò che impedisce e arresta nella corrente le cose che sono e, di conseguenza, all’a¹eiì iãsxon toÜn r)ou½n aèi ìschon tòn roùn (ciò che sempre arresta il flusso) pose questo nome: 'a¹eisxorou=n aeischoroùn'; ma ora, avendolo contratto, lo chiamano 'ai¹sxro¿n aischròn'. ERM. E il kalo¿n kalòn? SOCR. Questo è più difficile da intendere. Eppure lo dice da sé: solo nel suono e nella lunghezza dell' ouÅ où [o] è stato modificato. [c] ERM. Come? SOCR. E' verosimile che questo nome sia una qualche denominazione della dia/noia diànoia (intelletto). ERM. Come dici? SOCR. Suvvia, che cosa tu credi che sia la causa del klhqh½nai klethènai (essere chiamato) per ciascuna delle cose che sono? Non è forse ciò che ha posto i nomi? ERM. Senz'altro. SOCR. Ebbene, questo potrebbe essere la dia/noia diànoia (intelletto) degli dèi o degli uomini o di entrambi? ERM. Sì. SOCR. Ebbene, il kale¿san kalèsan (ciò che ha chiamato) le cose e il kalou½n kaloùn (ciò che chiama) sono la stessa cosa, la dia/noia diànoia? ERM. Sembra. SOCR. Ebbene, ciò che venga prodotto dall'intelligenza e dalla dia/noia diànoia è [d] lodevole, ciò che no, biasimevole? ERM. Certamente. SOCR. Dunque, ciò che è medico produce cose mediche e ciò che è proprio del costruire produce cose relative al costruire? O come dici? ERM. Io così. SOCR. E allora il kalou½n kaloùn (ciò che chiama) cose kala¿ kalà (belle)? ERM. Deve, certo. SOCR. E questo è invero, come diciamo, dia/noia diànoia? ERM. Certamente. SOCR. Correttamente allora è questa, kalo¿n kalòn, la denominazione di una ragionevolezza, che produce cose tali che noi, dicendole appunto kala¿ kalà (belle), salutiamo favorevolmente. ERM. Sembra.
XXX. SOCR. Che cosa ci resta ancora di tali nomi? [e] ERM. Questi concernenti il buono e il bello: [417a] giovevole, vantaggioso, utile, lucroso e i loro contrari. SOCR. Ebbene, il sumfe¿ron sumphéron (giovevole) lo potresti in qualche modo già trovare considerando a partire dai casi precedenti. Sembra infatti qualcosa come un fratello della scienza. In effetti non mostra altro che la aÀma fora¿ àma phorà (moto insieme) dell'anima con le cose, e le cose compiute da ciò è verosimile si chiamino sumfe¿ronta sumphéronta (giovevoli) e su¿mfora sùmphora (convenienti) dal sumperife¿resqai sumperiphéresthai (muoversi insieme attorno); e dal ke¿rdoj kérdos (guadagno) il kerdale¿on kerdaléon (lucroso). Ke¿rdoj kérdos , poi, mostra quel che vuol dire a chi restituisca al nome il nu½ nù [n] al [b] posto del de¿lta délta [d]: nomina, infatti, in un modo diverso, il buono. Infatti poiché kera¿nnutai kerànnutai (si mescola) a tutte le cose attraversandole, il nome fu posto per denominare questa sua forza; inserito il de¿lta délta [d] al posto del nu½ nù [n], si è pronunciato ke¿rdoj kérdos. ERM. E il lusitelou½n lusiteloùn (vantaggioso)? SOCR. Verosimilmente, Ermogene, mi pare che il [c] lusitelou½n lusiteloùn esprima qualcosa non al modo in cui lo usano i bottegai, allorquando ripaga la spesa. Ma poiché il bene, essendo il più veloce in ciò che è, non lascia star ferme le cose, né lascia che il movimento, raggiunto un te¿loj télos (compimento), si fermi e smetta di muoversi, ma se un qualche te¿loj télos tenti di ingenerarsi in esso sempre lo lu¿ei lùei (scioglie) e rende il moto incessante e immortale, per questo motivo mi sembra che del bene sia stato detto lusitelou½n lusiteloùn: infatti il lu¿on to\ te¿loj (ciò che scioglie il compimento) del movimento è stato chiamato lusitelou½n lusiteloùn. )Wfe¿limon Ophélimon (utile) poi è nome straniero, del quale fa uso in molti luoghi anche Omero con il verbo o¹fe¿llein ophéllein (esser utile): e questa è una denominazione dell'accrescere e del produrre.
[d] XXXI. ERM. E allora con i contrari di questi come la mettiamo? SOCR. I nomi che sono negazioni di quelli non occorre trattarli, per quel che mi sembra. ERM. Quali sono questi? SOCR. ))Asu/mforon Asùmphoron (non giovevole), a¹nwfele¿j anophelès (inutile), a¹lusitele¿j alysitelès (svantaggioso) e a¹kerde¿j akerdès (non lucroso). ERM. Dici il vero. SOCR. Ma blabero¿n blaberòn (dannoso) e zhmiw½dej zemiòdes (lesivo), sì. ERM. Sì. [e] SOCR. E certo il blabero¿n blaberòn (dannoso) esprime l'essere bla¿pton toÜn r)ou½n blàpton tòn roùn (ciò che danneggia il flusso), e il bla¿pton blàpton (ciò che danneggia) significa a sua volta boulo¿menon boulòmenon hàptein aÀptein hàptein (ciò che vuole annodare). Del resto aÀptein hàptein (annodare) e legare sono la stessa cosa, qualcosa di biasimevole comunque. Dunque il boulo¿menon aÀptein r)ou½n boulòmenon hàptein roùn (ciò che vuole annodare il flusso) sarebbe in modo assai corretto boulapterou½n boulapteroùn, ma mi sembra si chiami blabero¿n blaberòn in forma abbellita. ERM. Variopinti ti riescono i nomi. E in effetti ora, mentre pronunciavi questo nome, boulapterou½n boulapteroùn, mi è sembrato che provenisse dalla tua bocca un suono come di flauto che intona un preludio dell'inno di Atena. [418a] SOCR. Non sono io, Ermogene, la causa, ma coloro che posero i nomi. ERM. Dici il vero; ma, ora, lo zhmiw½dej zemiòdes (lesivo) cosa potrebbe essere? SOCR. Cosa potrebbe mai essere lo zhmiw½dej zemiòdes? Guarda, Ermogene, se io dico il vero dicendo che coloro che aggiungono o tolgono lettere alterano fortemente gli intendimenti dei nomi, tanto che con stravolgimenti assai piccoli fanno talora significare il contrario. [ b] Come per esempio in de¿on dèon (ciò che lega; ma anche: il necessario): questo mi è venuto in mente e me lo ha fatto ricordare quel che stavo per dirti poco fa, e cioè che la nostra così bella lingua nuova ha rivolto de¿on dèon e zhmiw½dej zemiòdes ad indicare proprio il contrario, oscurando ciò che intendono, mentre la lingua antica mostra per ambedue i nomi quel che vogliono dire. ERM. Come dici? SOCR. Te lo spiegherò. Sai che i nostri antichi usavano moltissimo lo i¹w½ta iòta [i] e il de¿lta dèlta [d], e specialmente [c] le donne, le quali soprattutto conservano la lingua antica. Ora invece sostituiscono allo i¹w½ta iòta l'eiÅ èi [e] o l'hÅta èta e al de¿lta dèlta [d] la zh½ta zèta [z], come se fossero più signorili. ERM. E come? SOCR. Per esempio, la h¸me¿ra hemèra (giorno) i più antichi la chiamavano i¸¸me¿ra himèra, alcuni, e h¸me¿ra hemèra, altri; mentre oggi diciamo h¸me¿ra hemèra. ERM. E' così. SOCR. Sai dunque che fra questi solo il nome antico mostra l'intendimento di colui che lo pose? Infatti diedero nome i¸¸me¿ra himèra per il fatto che dall'oscurità sorgeva la luce per gli uomini lieti e [d] i¸mei¿rontej himèirontes (bramosi). ERM. Sembra. SOCR. Ora, teatralizzato com'è il nome, non potresti capire che cosa vuol dire h¸me¿ra hemèra. Tuttavia alcuni credono che, poiché la h¸me¿ra hemèra rende le cose h¸me¿ra hèmera (miti), per questo sia stata nominata così. ERM. Mi pare. SOCR. E sai che gli antichi chiamavano duogo¿n duogòn lo zugo¿n zugòn (giogo)? ERM. Certamente. SOCR. E zugo¿n zugòn non mostra nulla, mentre invece giustamente veniva denominato duogo¿n duogòn a causa [e] del legame dei du¿o dùo (due) all'a¹gwgh¿ agoghè (traino): ma ora si dice zugo¿n zugòn. E così è per moltissimi altri nomi. ERM. Sembra. SOCR. Come questi, dunque, il de¿on dèon (ciò che lega; ma anche: il necessario), detto così, significa dapprima il contrario rispetto a tutti i nomi che concernono il bene: infatti, pur essendo idea del bene, il de¿on dèon sembra essere un desmo¿j desmòs (legame) e un ostacolo per il movimento, come fosse fratello di blabero¿n blaberòn (dannoso). ERM. Per davvero, Socrate, sembra così. SOCR. Ma non se usi il nome antico, che verosimilmente è stato attribuito [419a] in modo molto più corretto di quello attuale; anzi si accorderà ai precedenti nomi dei beni, qualora tu invece dell'eiÅ èi [e] assegni lo i¹w½ta iòta [i], come in antico: infatti diio¿n diiòn (che va attraverso), e non de¿on dèon, significa il bene, che il nome appunto loda. E così non contraddice se stesso colui che pone i nomi, anzi de¿on dèon, %¹fe¿limon ophèlimon (utile), lusitelou½n lysiteloùn (vantaggioso), kerdale¿on kerdalèon (lucroso), a¹gaJo¿n agathòn (buono), sumfe¿ron symphèron (giovevole) ed euãporon èuporon appaiono la stessa cosa, significando con nomi diversi che è elogiato ciò che dispone in ordine e va dovunque, mentre ciò che arresta e lega è biasimato. [b] E perciò anche zhmiw½dej zemiòdes (lesivo), se assegni secondo la lingua antica il de¿lta dèlta [d] invece della zh½ta zèta [z], ti sembrerà che sia il nome attribuito al dou½n toÜ i¹o¿n doùn tò iòn (ciò che lega quel che va), giacché era denominato zhmiw½dej zemiòdes.
XXXII. ERM. E h¸donh¿ hedonè (piacere), lu¿ph lùpe (dolore), e¹piJumi¿a epethymìa (desiderio) e quelli simili, Socrate? SOCR. Non mi sembrano molto difficili, Ermogene. Infatti la h¸donh¿ hedonè (piacere), l'azione che tende a h(onh=j heònesis (il vantaggio), è verosimile che abbia questo nome - vi è inserito il de¿lta dèlta [d], cosicché si chiama h¸donh¿ hedonè anziché h¸onh¿ heonè - [ c] e la lu¿ph lùpe (dolore) è verosimile che sia denominata a partire dalla dia¿lusij diàlysis (indebolimento) del corpo, che sotto questa passione il corpo subisce. E l'a¹ni¿a anìa (afflizione), poi, è ciò che impedisce lo i¹e¿nai iènai (andare). E l'a¹lghdw¿n alghedòn (sofferenza) mi sembra qualcosa di straniero, un nome formato a partire dall’a¹lgeino¿n algheinòn (che reca sofferenza). ¸Wdu¿nh odùne (profondo dolore), invece, è verosimile sia stata chiamata dalla eãndusij èndysis (entrar dentro) del dolore. ¹Axqhdw¿n achthedòn (peso, molestia), inoltre, è chiaro a ognuno che è il nome costruito ad immagine del ba/roj bàros (pesantezza) del movimento. Xa¿ra charà (gioia) è verosimile sia stata chiamata così per la dia¿xusij diàchysis (diffusione) e la [d] facilità della r)oh¿ roè (corrente) dell'anima. Te¿ryij tèrpsis (diletto), invece, dal terpno¿n terpnòn (dilettevole): e il terpno¿n terpnòn dalla eÀryij hèrpsis (serpeggiarnento) attraverso l'anima è stato così chiamato, essendo raffigurato come una pnoh¿ pnoè (soffio); di giusto dovrebbe chiamarsi eÀrpnoun hèrpnoun, ma con il tempo ne è derivato terpno¿n terpnòn. Eu¹frosu¿nh Euphrosùne (allegria), poi, non ha affatto bisogno che se ne dica il perché: a ognuno infatti è chiaro che prese questo nome dall' euÅ sumfe¿resqai èu sumphèresthai (muoversi bene insieme) dell'anima con le cose, e invero il giusto nome sarebbe eu¹ferosu¿nh eupherosùne; invece la chiamiamo eu¹frosu¿nh euphrosùne. Neanche e¹piJumi¿a epithymìa (desiderio) è difficile: è chiaro infatti che fu chiamata con questo nome per la forza [e] e¹piì toÜn qumoÜn i¹ou½sa epì tòn thymòn ioùsa (che va verso l'animo). Qumo¿j thymòs (animo) potrebbe avere questo nome dalla qu¿sij thùsis (smania) e dal ribollire dell'anima. E altresì iÀmeros hìmeros (brama) fu certo così denominata per la r)ou½j roùs (corrente) che massimamente trascina l'anima: poiché infatti [ 420a] i¸e¿menoj r)ei ½ hièmenos rèi ed e¹fie¿menoj (impetuoso scorre) e e¹fie¿menoj ephièmenos (teso) verso le cose e così tira fortemente l'anima per la eÀsij th=j r(oh=j èsis tès roès (tendenza della corrente), per tutta questa forza, dunque, fu chiamato iÀmeros hìmeros. E po¿Joj pòthos (rimpianto) a sua volta si chiama così in quanto significa che esso non è di cosa presente, ma di aãlloqiì pou oãn àllothì pou òn e a¹po¿n apòn (ciò che è altrove e lontano): di qui fu denominato po¿Joj pòthos quel che, quando è presente ciò verso cui si tende, si chiama iÀmeros hìmeros (brama). Scomparso tale oggetto, invece, questo stesso sentimento si chiama po¿Joj pòthos. ãErwj èros (amore) poi, per il fatto che ei¹srei½ eãcwqen eisrèi èxothen (scorre dentro dall'esterno) e questa r)oh roè (corrente) stessa non è propria di colui che l'ha, [b] ma è introdotta dall'esterno attraverso gli occhi, per questi motivi dall'e¹srei½n esrèin (scorrere dentro) fu chiamato, almeno in antico, eãsroj èsros - veniva infatti usato ouÅ où [o] anziché dell’wÅ o [w] -, mentre oggi si chiama eãrwj èros per la sostituzione dell’ wÅ o [w] al posto dell’ouÅ oú. Ma che cosa dici di indagare ancora? ERM. Do¿ca Dòxa (opinione) e i nomi simili come ti paiono? SOCR. Ebbene, do¿ca dòxa è stata denominata o per la di¿wcij dìoxis (inseguimento) che l'anima conduce diw¿kousa diòkousa (inseguendo) il sapere come stanno le cose, oppure per la bolh¿ bolè del to¿con tòxon (lancio dell'arco). Più verosimilmente per quest'ultima. [c] Infatti almeno la oiãhsij òiesis (credenza) concorda con ciò. Infatti sembra mostrare l'oiÅsij òisis (trasporto) dell'anima verso ogni cosa, per sapere quale sia ciascuna delle cose che sono, come certo anche boulh¿ boulè (decisione) significa in qualche modo bolh¿ bolè (lancio) e il bou¿lesqai boulèuesthai (volere) significa l' e)fi/esqai ephìesthai (tendere verso) e così il bou¿lesqai boulèuesthai (decidere): tutti questi nomi, che seguono do¿ca dòxa, sembrano immagini della bolh¿ bolè (lancio), come dal canto suo anche il contrario, a¹bouli¿a aboulìa (indecisione) sembra essere a¹tuxi¿a atychìa (insuccesso), come di uno non balw¿n balòn (che non colpisce) né tuxw¿n tychòn (né coglie) ciò a cui eãballe èballe (mirava) e che e¹bou¿leto eboùleto (voleva) e intorno a cui e¹bouleu¿eto eboulèueto (decideva) e verso cui e)fi/eto ephìeto (tendeva). [d] ERM. Queste cose, Socrate, mi sembra che ormai tu le stia aggiungendo con ritmo più serrato. SOCR. Infatti corro ormai verso la fine. ¹Ana¿gkh anànche (necessità), dunque, voglio ancora studiare bene, poiché viene subito dopo questi nomi, e lo e¸kou¿sion hekoùsion (volontario). Ebbene, quanto allo e¸kou¿sion hekoùsion , potrebbe essere stato mostrato con questo nome l' eiÅkon èikon (ciò che cede) e ciò che non oppone resistenza, ma, per così dire, eiÅkon t%= i¹o¿vti èikon tò iònti (cede a ciò che va), a ciò che avviene secondo la volontà; l'a¹nagkai½on anankàion (necessario), invece, e quel che oppone resistenza, che è contro la volontà, riguarderà l'errore e l'ignoranza, ed è costruito ad immagine del cammino lungo gli aãgkh ànche (gole), [e] poiché questi, essendo impraticabili, aspri e selvosi, trattengono dall'andare. Di qui, dunque, fu forse chiamato a¹nagkai½on anankàion, per il suo essere costruito ad immagine del cammino attraverso l'aãgkoj ànkos. Ma finché c'è forza, non lasciamola andare: e anche tu, non lasciare, ma chiedi.
XXXIII. ERM. Chiedo allora quanto di più grande e più bello, [421a] l'a¹lh¿Jeia alètheia (verità), lo yeu½doj psèudos (falsità) e l’oãn òn (ciò che è) e ciò stesso intorno a cui verte ora il nostro discorso, oãnoma ònoma (nome), perché ha questo nome. SOCR. Dunque, c'è qualcosa che chiami mai¿esqai màiesthai (cercare). ERM. Io sì, lo zetei=n zetèin (cercare). SOCR. oãnoma ònoma (nome) assomiglia ad un nome ricavato per contrazione da un'espressione che dice che oãn òn (ciò che è) è ciò intorno a cui si fa ricerca. Meglio lo potresti riconoscere in ciò che diciamo o¹nomasto¿n onomastòn (nominabile): qui infatti dice in modo evidente [b] che esso è oãn ou ma¿sma e¹sti¿n òn hoù màsma estìn (il ciò che è, intorno a cui c'è ricerca). )Alh¿Jeia Alètheia (verità), poi, somiglia anch'esso agli altri nomi [nell'esser contratto]: infatti è verosimile che con questa locuzione sia stata chiamata una qei¿a fora¿ thèia phorà (divino movimento) di ciò che è, come fosse qei¿a aãlh thèia àle (divina agitazione). Lo yeu½doj psèudos (falsità) è il contrario alla fora¿ phorà (movimento): infatti di nuovo si torna a biasimare ciò che è trattenuto e necessitato a stare in quiete, ed è costruito ad immagine dei kaqeu¿dontej kathèudontes (dormienti); lo yei½ psèi [y], aggiunto, nasconde la volontà del nome. L' oãn òn (ciò che è) e l'ou¹si¿a ousìa (essenza) si accordano con il vero, prendendo lo i¹w½ta iòta [i]: [c] infatti significa i¹o¿n iòn (ciò che va), e l' ou¹k ouk oãn (ciò che non è) a sua volta significa ou¹k i¹o¿n ouk iòn (ciò che non va), come pure alcuni lo pronunciano. ERM. Mi sembra, Socrate, che questi nomi tu li abbia scomposti con molta bravura: ma se qualcuno ti chiedesse di questo i¹o¿n iòn (ciò che va) e del r)e¿on rèon (ciò che scorre) e del dou½n doùn (ciò che lega) quale correttezza abbiano questi nomi… SOCR. "Che cosa gli risponderemmo?" dici? O no? ERM. Certamente. SOCR. Una via l'avevamo pur trovata poco fa, tale che rispondendo sembriamo dire qualcosa di valido. ERM. Qual è? SOCR. Dire che ciò che non conosciamo è barbarica. [d] Può essere che qualcuno di questi nomi sia per davvero tale, ma può anche essere che per l'antichità i primi nomi siano introvabili. Visto che i nomi vengono rivoltati in tutti i sensi, non c'è nulla da meravigliarsi se la lingua antica rispetto a quella odierna non differisce affatto da una barbarica. ERM. E certo non dici nulla fuori luogo. SOCR. Infatti dico cose verosimili. Ma non mi sembra una disputa che ammette pretesti; anzi bisogna mettersi d'impegno ad esaminare queste cose. Ma riflettiamo: [e] se qualcuno ci interrogherà sulle locuzioni attraverso le quali venga espresso un nome, e poi si informerà su quelle attraverso le quali siano state espresse a loro volta quelle locuzioni, e non smetta di fare ciò, non sarà allora necessario che chi risponde finisca per dire di no? ERM. [422a] Mi sembra. SOCR. E quando smetterebbe giustamente colui che, dicendo di no, rinuncia? Forse non quando giunga a quei nomi che siano come elementi delle altre espressioni o degli altri nomi? Questi infatti, se sono tali, non è più giusto che appaiano composti da altri nomi. Per esempio dicevamo poco fa che l'a¹gaJo¿n agathòn (buono) è composto dall'a¹gasto¿n agastòn (ammirabile) e dal qoo¿n thoòn (veloce), e forse potremmo dire che il qoo¿n thoòn è composto da altri, e questi da altri; [b] però se mai cogliamo ciò che non è più composto da alcun altro nome, potremmo giustamente dire che ci troviamo ormai di fronte ad un elemento e che questo non dobbiamo più ricondurlo ad altri nomi. ERM. A me sembra che tu dica correttamente. SOCR. E non sarà forse che anche ora tu mi chiedi, appunto, di nomi che si trovano ad essere elementi e che ormai si deve esaminare in un qualche altro modo quale sia la loro correttezza? ERM. E' verosimile. SOCR. Sì che è verosimile, Ermogene; sembra infatti che [c] tutti i nomi precedenti si risolvessero in questi. Ma se è così, come a me pare che sia, esamina di nuovo qui con me, affinché io non mi metta a delirare dicendo quale deve essere la correttezza dei primi nomi. ERM. Hai solo da parlare, poiché io, per quanta capacità è in me, esaminerò con te.
XXXIV. SOCR. E allora, che una sola sia la correttezza di ogni nome, sia primo sia ultimo, e che per nulla differisca, quanto all'esser nome, nessuno di questi, credo che anche tu ne convieni. ERM. Certamente. SOCR. Ma invero, [d] almeno di quei nomi da noi trattati poco fa, la correttezza voleva esser tale da riuscire a mostrare quale è ciascuna delle cose che sono. ERM. Come no? SOCR. E questo, allora, nulla di meno, devono avere sia i primi nomi sia i posteriori, se appunto saranno nomi. ERM. Certamente. SOCR. Ma i posteriori, com'è verosimile, erano in grado di mettere in opera ciò per mezzo dei precedenti. ERM. Sembra. SOCR. Bene. Ma allora i primi nomi, ai quali non fanno da supporto ancora altri, in quale modo, [e] per quanto è possibile, ci renderanno massimamente evidenti le cose che sono, se hanno proprio da essere nomi? Ma rispondimi a questo: se non avessimo voce né lingua, ma volessimo mostrare l'un l'altro le cose, non cercheremmo forse di significare, come ora i muti, con le mani e la testa e il resto del corpo? ERM. E in effetti come altrimenti, Socrate? [423a] ERM. Se, almeno credo, volessimo mostrare ciò che è in alto e leggero, alzeremmo verso il cielo la mano, imitando la natura stessa della cosa; se, invece, le cose che sono in basso e pesanti, verso la terra. E se volessimo mostrare un cavallo che corre o un qualche altro animale, sai che renderemmo i nostri corpi e le nostre movenze quanto più simili a quelli loro. ERM. Mi sembra che sia necessariamente come dici. SOCR. Così infatti, credo, ci sarebbe atto ostensivo di qualcosa: [b] quando il corpo, com'è verosimile, imita quella cosa che vuole mostrare. ERM. Sì. SOCR. Ma poiché vogliamo mostrare con la voce e con la lingua e con la bocca, ciò che viene da queste non darà luogo forse ad un atto ostensivo di ciascuna cosa allorché per mezzo di queste sia atto imitativo di qualche cosa? ERM. Necessariamente, mi sembra. SOCR. Allora il nome è, com'è verosimile, [c] atto imitativo con la voce di quel che si imita e colui che con la voce imita nomina ciò che imita. ERM. Mi sembra. SOCR. Per Zeus, ma a me non pare ancora che sia detto bene, amico. ERM. E perché? SOCR. Saremmo costretti a concordare che coloro che imitano le pecore, i galli e gli altri animali nominano ciò che imitano. ERM. Dici il vero. SOCR. Ti sembra dunque che vada bene? ERM. A me no. Ma che imitazione può essere il nome, Socrate? SOCR. Innanzi tutto, credo, non mi sembra che nomineremmo [d] se imitassimo le cose nel modo in cui le imitiamo con la musica (invero anche in questo caso imitiamo con la voce); e nemmeno se imitassimo anche noi le stesse cose che la musica imita. Dico appunto questo: le cose hanno, ciascuna, voce e figura e, molte, colore? ERM. Certamente. SOCR. E’ verosimile che si abbia tecnica onomastico non qualora qualcuno imiti queste cose, e nemmeno riguardo a queste imitazioni si hanno infatti la tecnica musicale, in un caso, e quella pittorica, nell'altro: non è così? ERM. Sì. [e] SOCR. E che dici di questo? Non ti pare che ciascuna cosa abbia anche un'essenza, così come un colore e ciò che dicevamo or ora? E per primi il colore e la voce, non hanno una essenza ciascuna di queste e di tutte quelle altre cose che sono considerate degne di questo appellativo, l’ essere? ERM. A me pare. SOCR. E allora, se qualcuno potesse di ciascuna cosa imitare con lettere e con sillabe proprio questo, l'essenza, [424a] non mostrerebbe per ciascuna cosa ciò che è? O no? ERM. Ma certamente. SOCR. E che cosa diresti che sia colui che fosse capace di ciò? Per i precedenti dicesti che l'uno era musico, l'altro pittore: e questo, che cosa? ERM. A me sembra, Socrate, che questo, che è proprio colui che cerchiamo da tanto tempo, potrebbe essere l'onomastico.
XXXV. SOCR. Dunque, se ciò è vero, sembra ormai che si debba esaminare intorno a quei nomi, dei quali tu chiedevi, r)oh¿ roè (corrente), i¹e¿nai iènai (andare) e sxe¿sij schèsis (l'arrestare), se egli con le lettere e con le sillabe coglie di esse quel che sono sì da [b] imitarne l'essenza, oppure no? ERM. Ma certamente. SOCR. Suvvia, vediamo, allora, se questi soli sono i primi nomi o anche molti altri. ERM. Io credo anche altri. SOCR. Infatti è verosimile. Ma quale può essere il modo per distinguere ciò a partire da cui colui che imita inizia ad imitare? Poiché limitazione dell'essenza avviene con sillabe e lettere, la cosa più corretta sarà differenziare in primo luogo gli elementi, così come coloro che [c] si occupano dei ritmi differenziano in primo luogo i valori degli elementi, poi delle sillabe, e così giungono a considerare infine i ritmi, ma non prima? ERM. Sì. SOCR. Allora anche noi dobbiamo così distinguere in primo luogo le vocali, poi, degli altri, per specie gli elementi afoni e muti - all'incirca così dicono gli esperti in queste faccende - e ancora quelli che non sono vocali, ma nemmeno muti? E fra le stesse vocali [d] quante hanno specie differenti tra loro? E dopo aver distinto questi elementi, dobbiamo nuovamente per tutte le cose che sono, alle quali bisogna imporre i nomi, distinguere bene se ve ne siano di quelle a cui tutte si riconducono, come agli elementi, e dalle quali è possibile vedere esse stesse e scorgere se fra esse vi siano specie, allo stesso modo che negli elementi. Esaminate bene tutte queste cose, bisogna saper riportare ciascun elemento secondo la somiglianza, sia che occorra riportarne uno solo ad una sola cosa, sia molti mescolati insieme, come i pittori quando vogliono fare un ritratto somigliante a volte riportano solo la porpora a volte qualsiasi altro colore, ma talora molti mescolati insieme, per esempio quando preparano un [e] colore carneo o qualcun altro del genere - a seconda, credo, del colore che sembri occorrere a ciascuna immagine -; così dunque anche noi riporteremo gli elementi alle cose, ora uno solo ad una sola cosa, quello che sembri occorrerle, ora molti insieme, formando ciò che appunto chiamano sillabe, [425a] e ponendo insieme a loro volta le sillabe, dalle quali sono composti i nomi e le locuzioni; e ancora dai nomi e dalle locuzioni comporremo infine qualcosa di grande, di bello e di complesso: come là l'essere vivente per la pittura, qui il discorso per l'onomastica, la retorica o quale che sia la tecnica. O meglio, non noi; nel parlare mi sono lasciato trasportare. Infatti li composero così come sono costituiti gli antichi; quanto a noi, se sapremo considerarli tutti in modo tecnico, dobbiamo, così [b] differenziando, osservare in tal modo se i primi nomi e i posteriori siano stati attribuiti a modo oppure no: congiungere diversamente bada che non sia cosa sciocca e fuori strada, caro Ermogene. ERM. Forse, per Zeus, Socrate.
CRATILO (Segue…)
XXXVI. SOCR. Ebbene? Tu confidi di essere capace di differenziare così queste cose? Giacché io no. ERM. E io allora ne sono ben lungi. SOCR. Lasceremo stare, dunque, o vuoi che, così come possiamo, anche se [c] fossimo in grado di scorgere solo piccol cosa di esse, ci diamo da fare, premettendo, come poc'anzi nel caso degli dèi, che, nulla sapendo della verità, rappresentiamo le opinioni degli uomini intorno ad esse? E così anche ora vuoi che andiamo avanti dicendo a noi stessi che se occorresse che noi o chiunque altro le differenziassimo, per un buon risultato occorrerebbe distinguerle in quel modo, ma ora dovremo applicarci ad esse per quel che, come si dice, è nelle nostre forze? Oppure come dici? ERM. Certamente, [d] mi sembra proprio così. SOCR. Sembrerà ridicolo, credo, Ermogene, che le cose imitate con lettere e sillabe divengano manifeste; tuttavia è necessario. Infatti non abbiamo nulla di meglio a cui risalire intorno alla verità dei primi nomi, a meno che tu non voglia che, così come i tragediografi quando si trovano in difficoltà fanno ricorso agli artifici tirando su dèi, anche noi ce la caviamo dicendo questo, che i primi nomi furono gli [e] dèi a porli e perciò sono corretti . Forse anche per noi è questo il più forte dei discorsi? O quello secondo cui li abbiamo ricevuti da certi barbari e i barbari sono più antichi di noi? O che per l'antichità [426a] è impossibile esaminarli, come pure i nomi barbarici? Queste, infatti, sarebbero tutte scappatoie ed anche abili per chi non vuole rendere ragione di come i primi nomi siano stati attribuiti correttamente. Eppure chi non conosce in un qualche modo la correttezza dei primi nomi, è impossibile che conosca quella dei posteriori, che necessariamente vengono chiariti a partire da quelli intorno ai quali non si sa nulla; è chiaro, invece, che chi afferma di essere un tecnico di questi, [b] deve riuscire a dimostrarlo soprattutto e nel modo più limpido sui primi nomi, o deve sapere bene che sugli ultimi potrà solo più dire sciocchezze. O ti pare diversamente? ERM. No, in nessun altro modo, Socrate. SOCR. Comunque ciò che ho intuito sui primi nomi mi sembra assai oltraggioso e ridicolo. Te ne farò partecipe, se vuoi; ma se tu riuscissi a tirar fuori da qualche parte qualcosa di meglio, datti da fare e fanne partecipe me. ERM. Lo farò. Ma tu, coraggio, parla.
[c] XXXVII. SOCR. In primo luogo, dunque, il r)w½ rò [r] a me sembra essere come uno strumento di tutta la ki¿nhsij kìnesis (moto), della quale nemmeno abbiamo detto perché abbia questo nome; ma è chiaro che vuole essere iÃesij ìesis (l'andare): infatti in antico non si usava l'hÂta èta [h], ma l'eiÅ eì [e]. L'inizio viene da ki¿ein kìein (andare) - nome straniero - che è i¹e¿nai iènai (andare). Se dunque qualcuno trovasse il nome antico adatto alla nostra lingua, la chiamerebbe correttamente iÃesij ìesis: ma ora dallo straniero ki¿ein kìein, dalla sostituzione dell'hÂta èta [h] e dall'inserimento del nu½ nù [n] è stato chiamato ki¿nhsij kìnesis, ma avrebbe dovuto [d] essere chiamato kièinesis [ o eiÅsij] [o èisís]. La sta¿sij stàsis (lo stare) vuole essere negazione dello i¹e¿nai iènai (andare), ma per abbellimento è stata nominata sta¿sij stàsis. L'elemento r)w½ rò [r], dunque, come dico, è sembrato essere un bello strumento del moto a colui che pose i nomi per il suo [e] assomigliare alla fora¿ phorà (movimento), e difatti in molti luoghi l'ha usato per quella: in primo luogo, nello stesso r¨ei½n rèin (scorrere) e r¨oh¿ roè (corrente) imita attraverso questa lettera la fora¿ phorà, e poi in tro¿moj tròmos (tremito) e in tre¿xein trèchein (correre) e ancora in verbi simili, quali krou¿ein kroùein (urtare), qrau¿ein thràuein (spezzare), e¹rei¿kein erèiken (squarciare), qru¿ptein thrùptein (tritare), kermati¿zein kermatìzein (sminuzzare), r¸umbei½n rymbèin (far girare), tutte queste cose le raffigura per lo più attraverso il r¨w½ rò. Vide infatti, credo, che la lingua per questa lettera sta pochissimo ferma, e vibra invece moltissimo: perciò mi sembra che se ne sia servito per tali cose. Dello i¹w½ta iòta [i], d'altra parte, si è servito per tutto ciò che è leggero, che appunto massimamente iÃoi aãn ìoi àn [427a] (può andare) attraverso tutte le cose. Perciò lo i¹e¿nai iènai (andare) e lo iÀesqai hìesthai (slanciarsi) li ha riprodotti attraverso lo i¹w½ta iòta, così come mediante il fei½ phèi [f], lo yei½ psèi [y], il si½gma sìgma [s,j] e lo zh½ta zèta[z], che sono lettere spiranti, ha imitato tutte le cose siffatte, nominandole con quelle, ad esempio lo yuxro¿n psychròn (freddo), lo ze¿on zèon (bollente), il sei¿esqai sèiesthai (scuotersi) e nel complesso il seismo¿j seismòs (scuotimento). E allorquando imiti ciò che ha forma di soffio lì in ogni caso colui che pone i nomi sembra riportare per lo più tali lettere. D'altro canto, il valore della pressione e dell'appoggio della lingua nel de¿lta dèlta [d] e nel tau½ tàu [t] sembra lo abbia ritenuto utile [b] per l'imitazione del desmo¿j desmòs (legame) e della sta¿sij stàsis (lo stare). E avendo osservato che la lingua o¹lisqa¿nei olisthànei (scivola) soprattutto nel la¿bda làbda [l], per farli somigliare a ciò formò i nomi lei½a lèia (cose lisce), lo stesso o¹lisqa¿nein olisthànein (scivolare), liparo¿n liparòn (unto), kollw½dej kollòdes (glutinoso) e tutte le altre cose siffatte. Per il fatto, poi, che allo scivolare della lingua si contrappone il valore del ga¿mma gàmma [g], riprodusse ll gli¿sxron glischron (vischioso), il gluku¿ glykù (dolce) e il gloiw½dej gloiòdes (colloso). [c] Ma ancora, avendo percepito nel nu½ nù [n] l'interno della voce, formò i nomi eãndon èndon (interno) e e¹nto¿j entòs (dentro), come per rendere con le lettere i fatti. E, poi, assegnò l’aãlfa àlpha [a] al me¿ga mèga (grande) e hÅta èta [h] al mh½koj mèkos (lunghezza), poiché queste lettere sono grandi. Avendo bisogno del segno où per il goggu¿lon gongùlon (rotondo), lo mescolò abbondantemente a quello nella costruzione del nome. E anche per le altre cose il legislatore sembra procedere così, costruendo lettera per lettera e sillaba per sillaba un segno e un nome per ciascuna delle cose che sono, e a partire da questi, continuando a riprodurre, sembra ormai comporre i restanti con questi stessi. [d] Questa, Ermogene, mi sembra voglia essere la correttezza dei nomi, a meno che Cratilo, qui, non dica diversamente.
XXXVIII. ERM. Certo, Socrate, mi dà spesso molto fastidio Cratilo, come dicevo all'inizio, quando afferma che c'è una correttezza dei nomi, senza però dire nulla di chiaro su quale essa sia, in modo che io non possa sapere se ogni volta ne parla in modo così oscuro intenzionalmente o no. [e] Ora, dunque, Cratilo, davanti a Socrate dimmi se ti piace il modo in cui Socrate parla dei nomi, o se hai da dire qualcosa di più bello in qualche altro modo. E se ce l'hai, di pure, affinché tu o impari da Socrate o insegni a noi due. CRAT. Perché, Ermogene? Ti pare che sia facile imparare e insegnare così velocemente qualsiasi cosa, men che meno una di tal fatta, che sembra appunto essere la più grande fra le più grandi? [428a] ERM. Per Zeus, a me no. Ma mi sembra che sia buono il detto di Esiodo, secondo cui se uno mette da parte, anche poco su poco, c'è vantaggio. Se dunque sei in grado di fare anche poco di più, non desistere, ma fa' questo piacere a Socrate - perché sei giusto - e a me. SOCR. Del resto anch'io, Cratilo, non starei a difendere fino in fondo nessuna delle cose che ho detto, ma esaminavo insieme ad Ermogene nella maniera che mi pareva, cosicché almeno per questo [b] parla con coraggio, se hai qualcosa di meglio, poiché io lo accoglierò. E se davvero hai qualcosa di più bello di ciò da dire, non mi meraviglierei: mi sembra infatti che tali cose tu stesso le abbia considerate e le abbia imparate da altri. Se dunque dovessi dire qualcosa di più bello, iscrivi anche me come uno dei tuoi scolari sulla correttezza dei nomi. CRAT. Ma certo, Socrate, come tu dici, mi sono occupato di ciò e forse ti farei anche mio scolaro. Tuttavia temo che sia tutto il contrario, [c] poiché mi viene in qualche modo in mente di dirti la frase di Achille, quella che lui dice ad Aiace nelle Preghiere: "Aiace, discendente di Zeus, Telamonio, signore dei popoli / tutto hai saputo dirmi secondo il mio animo". Anche a me tu, Socrate, sembri vaticinare in modo simile al mio intendimento, sia che ti abbia ispirato Eutifrone, sia che una qualche altra Musa da tempo sia in te senza che te ne accorgessi. [d] SOCR. Buon Cratilo, mi meraviglio io stesso da tempo della mia sapienza e non mi fido. Mi sembra, dunque, che sia necessario riconsiderare che cos'è che io dico. L'essere ingannato proprio da se stesso è la cosa più grave di tutte: infatti se chi inganna non si allontana neanche di poco, ma sta sempre vicino, come può non essere terribile? Bisogna appunto, com'è verosimile, ritornare più volte su ciò che si è detto prima e cercare di guardare, come dice quel poeta, "insieme avanti e indietro". E allora anche adesso [e] vediamo che cosa noi abbiamo detto. Correttezza del nome, diciamo, è quella che indicherà la cosa quale è: diciamo che ciò è stato affermato in modo soddisfacente? CRAT. Moltissimo, a me pare, Socrate. SOCR. Allora in vista di insegnamento si dicono i nomi? CRAT. Certamente. SOCR. Dunque diciamo che anche questa è una tecnica e che vi sono artigiani di essa? CRAT. Certamente. SOCR. Quali? [429a] CRAT. Proprio quelli di cui tu dicevi all'inizio, i legislatori. SOCR. E diciamo dunque che anche quest'arte si ingenera negli uomini come le altre o no? Voglio dire questo: i pittori sono alcuni peggiori, altri migliori? CRAT. Certamente. SOCR. E dunque i migliori forniscono opere più belle, nel loro caso figure, e gli altri più modeste? E gli architetti allo stesso modo, alcuni costruiscono case più belle, altri più brutte? CRAT. Sì. [b] SOCR. E allora anche i legislatori, alcuni forniscono opere più belle, altri più brutte? CRAT. Questo non mi pare più. SOCR. Non ti sembra forse che delle leggi, alcune siano migliori, altre meno valide? CRAT. No, affatto. SOCR. Pertanto neppure per il nome, verosimilmente, ti sembra che l'uno sia stato attribuito in modo peggiore, l'altro in modo migliore. CRAT. No, appunto. SOCR. Allora tutti i nomi sono stati attribuiti correttamente? CRAT. Quanti, almeno, sono nomi. SOCR. Ma come? Affermiamo, come si diceva [c] poco fa, che a (Ermoge¿nhj Hermoghènes (Ermogene), qui, questo nome non è stato nemmeno attribuito, se non gli conviene qualcosa della (Ermou½ ge¿nesij Hermoù ghènesis (generazione di Ermes), oppure che gli è stato attribuito, e tuttavia in modo non corretto? CRAT. Non gli è stato nemmeno attribuito, a me pare, Socrate: sembra sia stato attribuito, ma è il nome di un altro, del quale quella sia appunto anche la natura. SOCR. Neppure si mente quando si dica che costui è Ermogene? Bada, infatti, che d'altra parte non sia possibile nemmeno questo: dire che questo è Ermogene, se non lo è. CRAT. Come dici? SOCR. Che non è assolutamente possibile dire il falso: non implica forse questo il tuo discorso? [d] Sono numerosi coloro che lo dicono, amico Cratilo, sia ora, sia in passato. CRAT. Infatti, come potrebbe qualcuno, dicendo quello che dice, dire non ciò che è? O non è questo dire il falso il dire non le cose che sono? SOCR. Troppo fino il discorso, per me e per la mia età, caro. Ma tuttavia dimmi questo: ti pare che non sia possibile dire il falso, ma proferirlo sì? [e] CRAT. Non mi pare si possa nemmeno proferirlo. SOCR. E nemmeno affermare o appellare? Per esempio, se qualcuno, incontrandoti in un paese straniero, nel prenderti la mano ti dicesse: "Salve, straniero Ateniese, Ermogene, figlio di Smicrione", quello direbbe ciò o proferirebbe ciò o affermerebbe ciò o appellerebbe così non te, ma Ermogene qui? O nessuno? CRAT. A me pare, Socrate, piuttosto che quello così emetterebbe suoni. [430a] SOCR. Ma va bene anche questo. Infatti, colui che emette tali suoni li emetterà veri o falsi? O in parte veri e in parte falsi? Giacché basterebbe anche questo. CRAT. Io direi che fa rumore costui, agitando vanamente se stesso, come se qualcuno agitasse un vaso di bronzo percuotendolo.
XXXIX. SOCR. Suvvia, vediamo se in qualche modo possiamo riconciliarci, Cratilo: non diresti forse che altro è il nome, altro ciò di cui è nome? CRAT. Io sì. SOCR. E dunque sei d'accordo anche che il nome è un qualche atto imitativo della cosa? [b] CRAT. Senz'altro. SOCR. E dunque dici che anche le esecuzioni pittoriche sono in un altro modo atti imitativi di certe cose? CRAT. Sì. SOCR. Suvvia - giacché forse non comprendo che cosa mai tu dica, ma può darsi che tu dica correttamente - è possibile distribuire e accostare entrambi questi atti imitativi, le esecuzioni pittoriche e quei nomi, alle cose delle quali sono atti imitativi, [c] o no? CRAT. E’ possibile. SOCR. E allora innanzi tutto considera questo. Non si potrebbe forse assegnare l'immagine dell'uomo all'uomo, quella della donna alla donna, e così le altre? CRAT. Ma certamente. SOCR. Ed anche al contrario, quella dell'uomo alla donna e quella della donna all'uomo? CRAT. E’ possibile anche questo. SOCR. E queste distribuzioni saranno forse entrambe corrette o solo una? CRAT. Solo una. SOCR. Quella, credo, che assegni a ciascuna cosa il conveniente e il simile. CRAT. A me pare. SOCR. Per non [d] combattere nei discorsi io e tu, che siamo amici, ammettimi ciò che dico. Io chiamo, infatti, corretta, amico mio, una tale distribuzione sulla base di entrambi gli atti imitativi, per figure e per nomi, ma quella in base ai nomi, oltre che corretta, anche vera; l'altra, quella che dà e riporta il dissimile, non corretta, e anche falsa qualora sia in base ai nomi. CRAT. Ma attento, Socrate, che forse nelle esecuzioni pittoriche è possibile [e] questo, il distribuire non correttamente, mentre sulla base dei nomi no, ma è necessario che avvenga sempre correttamente. SOCR. Come dici? In che cosa, differisce questo da quello? Non è forse possibile che qualcuno avvicinandosi a un uomo gli dica: "questo qui è il tuo ritratto" e gli indichi, in un caso, un'immagine di lui e, in un altro, un'immagine di donna? E per 'indicare' intendo dire sottoporre alla sensazione degli occhi. CRAT. Certamente. SOCR. E allora? [431a] Non è possibile di nuovo avvicinandosi a quello stesso dirgli: "Questo qui è il tuo nome"? In qualche modo anche il nome è un atto imitativo come l'esecuzione pittorica. Dico appunto questo: non sarà forse possibile dirgli: "Questo qui è il tuo nome", e con ciò sottoporre a sua volta alla sensazione dell'udito, in un caso, un atto imitativo di lui, dicendo 'uomo', e in un altro caso, uno del lato femminile del genere umano, dicendo 'donna'? Non ti pare che sia possibile che ciò talvolta avvenga? CRAT. Voglio concedertelo, Socrate, e sia così. SOCR. E fai bene, amico, se questo è così: infatti ora non c'è affatto bisogno di scontrarsi su questo punto. [b] Se dunque c'è anche qui una simile distribuzione, vogliamo chiamare l'un caso 'dire il vero' e l'altro 'dire il falso'. Se le cose stanno così, ed è possibile distribuire i nomi non correttamente e non assegnare quelli convenienti a ciascun impiego, bensì talvolta quelli non convenienti, sarà possibile fare ciò anche per i verbi. Ma se è possibile porre verbi e nomi così, lo sarà anche per le espressioni: le espressioni infatti, a quel che credo, [c] sono la combinazione di quelli; oppure come dici tu, Cratilo? CRAT. Così: mi pare, infatti, che tu dica bene. SOCR. E dunque se paragoniamo a loro volta i primi nomi ai ritratti, è, sì, possibile assegnare, come nelle esecuzioni pittoriche, tutti i colori e le forme convenienti, ma anche non tutte, e tralasciarne alcuni ed alcuni anche aggiungerli, più numerosi e più grandi: o non lo è? CRAT. Lo è. SOCR. E, dunque, colui che li assegna tutti, assegna bei ritratti e immagini, mentre colui che aggiunge o toglie, produce anche lui ritratti e immagini, ma cattivi? [d] CRAT. Sì. SOCR. E allora chi riproduce mediante sillabe e lettere l'essenza delle cose? In base allo stesso discorso, se assegna tutte le cose convenienti, l'immagine - e cioè il nome - sarà bella, ma se talora tralasci o aggiunga anche poco, nascerà, sì, un'immagine, ma non bella? Cosicché dei nomi gli uni saranno prodotti bene, gli altri male? [e] CRAT. Forse. SOCR. Non ci sarà forse allora il buon artigiano dei nomi e il cattivo? CRAT. Sì. SOCR. Ebbene, quello aveva nome 'legislatore'. CRAT. Sì. SOCR. Forse allora, per Zeus, ci sarà, come nelle altre tecniche, anche il legislatore buono e quello cattivo, almeno se quanto detto in precedenza è stato da noi ammesso. CRAT. E’ così. Ma vedi, Socrate, quando queste lettere, l' aãlfa àlpha [a] e il bh½ta bèta [b] e ciascuno degli elementi, [432a] le assegnano ai nomi con la tecnica grammatica, se ne togliamo o aggiungiamo o spostiamo qualcuno, non è che per noi il nome è scritto, sia pure non correttamente; al contrario, non è scritto affatto ed è invece immediatamente un altro se subisce qualcuna di queste cose. SOCR; Ma attento, Cratilo, che non indaghiamo bene indagando così. CRAT. Come mai? SOCR. Forse quel che tu dici lo possono subire cose tali che sono o non sono necessariamente in virtù di un certo numero, come il dieci stesso, o qualunque altro numero tu voglia, che diventa immediatamente un altro se togli o [b] aggiungi qualcosa; ma attento che di una certa qualità o di un'immagine completa la correttezza non sia questa, e che anzi al contrario, se vuol essere un'immagine, non abbia assolutamente bisogno di assegnare tutti gli elementi quali sono in ciò che raffigura. Considera se dico qualcosa. Non potrebbero forse esserci due cose quali queste, Cratilo e un'immagine di Cratilo, se qualcuno degli dèi non solo raffigurasse il tuo colore e la tua forma come i pittori, ma facesse anche l'interno tutto tale quale è il tuo, e assegnasse le stesse [c] morbidezze e gli stessi calori, e vi ponesse dentro moto e anima e ragionevolezza tali quali sono in te, e, in una parola, di tutte le caratteristiche che possiedi, ne ponesse altre tali e quali vicino a te? In tal caso ci sarebbero Cratilo e l'immagine di Cratilo, oppure due Cratili? CRAT. Due Cratili, a me pare, Socrate.
XL. SOCR. Vedi dunque, amico, che bisogna cercare un'altra correttezza dell'immagine e delle cose di cui parlavamo or ora, e non costringere un'immagine, d] qualora manchi o si aggiunga qualcosa, a non esser più tale? O non ti accorgi di quanto siano lontane le immagini dal possedere le stesse caratteristiche delle cose di cui sono immagini? CRAT. Io sì. SOCR. Sarebbe ridicolo allora, Cratilo, ciò che subirebbero dai nomi quelle cose di cui sono nomi i nomi, se tutti sotto tutti i rispetti fossero resi simili a quelle. Infatti in qualche modo tutte le cose diverrebbero doppie e di nessuna di esse si saprebbe dire quale fosse la cosa stessa e quale il nome. CRAT. Dici il vero. SOCR. Coraggio dunque, nobile uomo, lascia che, anche per il nome, [e] l'uno sia attribuito bene, l'altro no, e non costringerlo ad avere tutte le lettere per essere esattamente tale quale ciò di cui è nome, ma lascia che riporti anche la lettera non conveniente. E se una lettera, anche un nome in un'espressione; e se un nome, lascia che sia riportata nel discorso anche un'espressione non conveniente alle cose, e che nondimeno la cosa sia nominata e espressa, fin tanto che in essa vi sia l'impronta della cosa intorno a cui verte l'espressione, [433a] così come nei nomi degli elementi, se ricordi ciò che dicevamo or ora io ed Ermogene. CRAT. Ma sì che ricordo. SOCR. Bene, allora. Infatti quando si trovi in essa una tale impronta, anche ammesso che non abbia tutte le caratteristiche convenienti, la cosa sarà certo espressa, bene quando le possegga tutte, male quando poche; concediamo dunque, caro, che sia espressa, per non essere multati come chi in Egina va in giro per la strada a tarda notte e non sembrare anche noi a nostra volta giungere così in verità alle cose [b] più tardi del dovuto. Oppure cerca una qualche altra correttezza del nome e non essere d'accordo nel dire che il nome è un atto ostensivo della cosa mediante sillabe e lettere. Giacché se dirai entrambe queste cose, non potrai essere in sintonia con te stesso. CRAT. Ma mi sembra che tu, Socrate, parli in modo misurato e la penso così. SOCR. Poiché dunque queste cose ci sembrano allo stesso modo, dopo di esse indaghiamo queste altre: se il nome, diciamo, deve essere attribuito bene, bisogna che abbia le lettere convenienti? [c] CRAT. Sì. SOCR. E convengono quelle simili alle cose? CRAT. Certo. SOCR. Allora i nomi attribuiti bene sono attribuiti così; e se qualcuno non è stato posto bene, la maggior parte di esso potrebbe essere costituita da lettere convenienti e simili, se vuole essere un'immagine, ma potrebbe averne anche qualcuna non conveniente, per la quale il nome non sarebbe buono né ben fabbricato. Diciamo così o altrimenti? CRAT. Credo non si debba scontrarsi su nulla, Socrate: benché non mi piaccia dire che un nome è, e tuttavia non è attribuito bene. [d] SOCR. Questo non ti piace, che il nome sia atto ostensivo della cosa? CRAT. A me sì. SOCR. Ma che dei nomi alcuni siano costituiti a partire dai precedenti, mentre altri siano primi, non ti pare sia detto bene? CRAT. A me sì. SOCR. Ma se i primi nomi devono essere atti ostensivi di certe cose, conosci un qualche modo di essere atti ostensivi migliore del farli quanto più [e] possibile tali quali quelle cose che essi devono mostrare? O ti piace di più questo modo che dicono Ermogene e molti altri, e cioè che i nomi sono elementi convenzionali, e che mostrano a coloro che pongono la convenzione e già conoscono le cose, e che questa, la convenzione, è la correttezza del nome, e che non c'è alcuna differenza se si convenga nel modo che è ora stabilito o se addirittura al contrario si chiami grande ciò che ora chiamiamo piccolo e piccolo ciò che chiamiamo grande? [434a] Quale dei due modi ti piace? CRAT. In tutto e per tutto differisce, Socrate, fi mostrare ciò che si voglia mostrare con un esemplare simile piuttosto che con ciò che capita. SOCR. Dici bene. Dunque se il nome dovrà essere simile alla cosa, è necessario che sussistano già predisposti gli elementi simili alle cose, a partire dai quali si comporranno i primi nomi? Voglio dire questo: avrebbe mai qualcuno composto quel che dicevamo poco fa, una esecuzione pittorica simile a qualcuna delle cose che sono, se non sussistessero in natura colori, a partire dai quali sono composte [b] le cose dipinte, simili a quelli che l'arte pittorica imita? O sarebbe stato impossibile? CRAT. Impossibile. SOCR. E dunque allo stesso modo anche i nomi non potrebbero mai essere simili ad alcunché se quei componenti, a partire dai quali sono composti i nomi, non sussistessero in primo luogo come provvisti di una qualche somiglianza con quelle cose delle quali i nomi sono atti imitativi? E sono gli elementi ciò a partire da cui devono essere composti? CRAT. Sì.
XLI. SOCR. Ormai, dunque, unisciti anche tu al discorso [c] a cui ha aderito poc'anzi Ermogene. Suvvia, ti sembra che abbiamo detto bene che il r)w½ rò [r] assomiglia al movimento e al moto e alla sklhro¿thj skleròtes (durezza), o non abbiamo detto bene? CRAT. Bene, a me sembra. SOCR. E il la¿bda làbda [l] al lei½on lèion (liscio) e al malako¿n malakòn (molle) e a ciò che dicevamo or ora? CRAT. Sì. SOCR. Sicuramente sai che per la stessa cosa noi diciamo sklhro¿thj skleròtes, mentre gli Eretriesi dicono sklhro¿thr sklerotèr? CRAT. Certo. SOCR. Allora il r)w½ rò [r] e il si½gma sìgma [s,j] assomigliano entrambi alla stessa cosa e mostrano la stessa cosa a quelli, con il r)w½ rò [r] a fine parola, e a noi, con il si½gma sìgma [s,j] finale? [d] Oppure non la mostrano agli uni o agli altri di noi? CRAT. La mostrano sicuramente ad entrambi. SOCR. In quanto il r)w½ rò [r] e il si½gma sìgma [s,j] si trovano ad essere simili, o in quanto non lo sono? CRAT. In quanto simili. SOCR. E sono forse simili in tutto? CRAT. Almeno quanto al mostrare il movimento, credo. SOCR. E forse anche il la¿bda làbda [l] che vi è compreso? Non mostra il contrario della sklhro¿thj skleròtes? CRAT. Infatti non vi è forse inserito correttamente, Socrate: così come negli esempi che facevi or ora a Ermogene, quando toglievi e inserivi lettere là dove occorreva, e mi sembrava che facessi bene. E ora, forse, invece del la¿bda làbda [l] bisogna dire r)w½ rò [r]. SOCR. Dici bene. [e] E quindi, per come diciamo ora, non ci comprendiamo per nulla l'un l'altro quando uno dice sklhro¿n skleròn (duro), e nemmeno sai tu ora che cosa io dico? CRAT. Io sì, almeno grazie all'uso, carissimo. SOCR. Ma dicendo 'uso' credi di dire qualcosa di diverso da 'convenzione'? Oppure dici che l'uso sia qualcos'altro e non il fatto che io, quando pronuncio questa parola, intendo quella cosa e tu capisci che io intendo quella cosa? Non dici questo? [435a] CRAT. Sì. SOCR. E dunque se, quando io pronuncio una parola, tu capisci, ha luogo da parte mia verso di te un atto ostensivo. CRAT. Sì. SOCR. E, comunque, in virtù del dissimile da quel che intendo io che pronuncio, se il la¿bda làbda [l] è dissimile da quella che tu dici sklhro¿thj skleròtes; ma se è così, cos'altro vuol dire se non che tu stesso hai convenuto con te stesso e che per te la correttezza del nome diventa convenzione, dal momento che hanno capacità ostensiva sia le lettere simili sia le dissimili, quando entrano nell'uso e nella convenzione? [b] Ma se l'uso non è affatto convenzione, non sarebbe ancora giusto dire che la somiglianza è fattore ostensivo, bensì l'uso: infatti, a quanto pare, questo mostra con il simile e con il dissimile. E poiché concordiamo su questo, Cratilo, - prenderò, infatti, il tuo silenzio per consenso - è necessario che in qualche modo convenzione e uso contribuiscano all'ostensione delle cose che intendiamo noi che parliamo; perché, carissimo, se vuoi passare al numero, da dove credi che potrai riportare nomi simili per ciascun singolo numero se non lasci che il tuo [c] accordo e la tua convenzione abbiano un certo potere sulla correttezza dei nomi? Certo, a me stesso piace che i nomi siano per quanto possibile simili alle cose: attento, però, che questa forza attraente della somiglianza non sia per davvero vischiosa, come dice Ermogene, e che non sia invece necessario servirsi anche di questo mezzo volgare, la convenzione, per la correttezza dei nomi. Poiché forse, almeno per quel che è possibile, si parlerebbe nel modo migliore qualora si parlasse con parole tutte o per la maggior parte simili, vale a dire convenienti, e nel modo peggiore in caso contrario. Ma, dopo tali cose, [ d] dimmi ancora questo: quale forza posseggono per noi i nomi e che cosa diciamo che essi compiono di bello?
XLII. CRAT. Che insegnano a me pare, Socrate, e che sia assai evidente questo: colui che conosce i nomi, conosce anche le cose. SOCR. Forse, Cratilo, vuoi dire qualcosa del genere, che quando qualcuno sa il nome quale [e] è - ed è proprio tale quale la cosa - saprà per l'appunto anche la cosa, proprio perché si trova ad essere simile al nome: e infatti una sola è la tecnica relativa a tutte le cose simili tra loro. In base a ciò tu mi sembri asserire che colui che sappia i nomi, sa anche le cose. CRAT. E’ verissimo quel che dici. SOCR. Un momento: vediamo quale mai può essere questo modo di insegnamento delle cose che sono, del quale tu parli ora, e se ce n'è anche un altro, pur restando questo il migliore, oppure non ce n'è altro che questo. [436a] In quale dei due modi la pensi? CRAT. Io certo in questo modo: non ce n'è affatto alcun altro, ma questo è il solo e il migliore. SOCR. E pensi che il trovare le cose che sono sia questo stesso, e che colui che trova i nomi ha trovato anche quelle cose di cui sono nomi; oppure il cercare e il trovare richiedono un altro modo, mentre l'imparare questo? CRAT. Assolutamente, il cercare e il trovare richiedono questo stesso modo per le stesse cose. SOCR. Su, riflettiamo, Cratilo: se qualcuno cercando le cose [b] va dietro ai nomi, indagando cosa voglia essere ciascuno, non comprendi che c'è un rischio non piccolo di essere ingannati? CRAT. Come? SOCR. E’ chiaro che colui che ha posto per p rimo i nomi, quali giudicava fossero le cose, tali poneva anche i nomi, come dicevamo. O no? CRAT. Sì. SOCR. Se dunque quello non giudicava in modo corretto, ma pose i nomi per come giudicava, che cosa credi che capiterà a noi che andiamo dietro di lui? Che cos'altro se non di essere ingannati? CRAT. Ma bada, Socrate, che le cose non stiano così e che sia invece necessario che sapendo pose i [c] nomi colui che li pose: altrimenti, come dicevo io già prima, non sarebbero neppure nomi. E la massima prova che colui che pose i nomi non ha fallito la verità sia per te questa: non sarebbero mai stati tutti così in accordo. O non pensavi così tu stesso dicendo che tutti i nomi sono nati allo stesso modo e con lo stesso scopo? SOCR. Ma questa, buon Cratilo, non è per nulla una difesa. Infatti, se colui che pose i nomi, fallito il primo, forzò [d] ormai gli altri e li costrinse ad essere in accordo con quello stesso, non c'è nulla di strano; allo stesso modo accade talvolta per le figure geometriche: se si è compiuto un primo errore pur piccolo e nascosto, le rimanenti che ormai ne conseguono concordano fra loro anche se sono moltissime. Intorno al principio di ogni cosa, quindi, bisogna che ogni uomo compia un profondo ragionamento e una profonda riflessione, per stabilire se quello fa da supporto in modo corretto o no, e che, quando ciò sia stato esaminato in modo adeguato, il resto appaia come sua [e] conseguenza. Nondimeno mi meraviglierei se anche i nomi fossero in accordo gli uni con gli altri. Esaminiamo, infatti, nuovamente ciò che abbiamo trattato prima. Diciamo che i nomi significano a noi l'essenza del tutto che va e si muove e scorre. In modo diverso da questo ti pare che mostrino? [437a] CRAT. Proprio in questo, e significano certo correttamente. SOCR. Indaghiamo, quindi, riprendendo innanzi tutto fra quei nomi questo, e¹pisth¿mh epistème (scienza), in quanto è ambiguo, e sembra piuttosto significare che iÀsthsin/ ìstesin (ferma) la nostra anima e)pi epì (su) le cose e non che si muove intorno con esse; ed è più corretto dire della sua origine come facciamo ora e non, inserendo una eiÅ èi[e], che è e¹pei+sth¿mh epeistème; ed è più corretto anzi effettuare l'inserimento, invece che dell'eiÅ èi [e], dello i¹w½ta iòta [i]. Poi il nome be¿baion bèbaion, poiché è atto imitativo di ba¿sij bàsis (basamento) e di sta¿sij stàsis (lo stare), ma non di movimento. Poi lo stesso [b] i¸stori¿a historìa (investigazione) significa in qualche modo che iÀsthsi to\n r¨ou½n hìstesi tòn roùn (ferma il flusso). E pisto¿n pistòn (credibile) significa senza dubbio i¸sta¿n histàn (che ferma). Poi, la mnh¿mh mnème (memoria) indica in qualche modo ad ognuno che è monh¿ monè (permanenza) nell'anima, ma non movimento. E se vuoi, a¸marti¿a amartìa (errore) e sumfora¿ symphorà (disgrazia), se ci si farà guidare dal nome, appariranno la stessa cosa di su¿nesij sùnesis (comprensione), di e¹pisth¿mh epistème (scienza) e di tutti gli altri nomi relativi a cose serie. [c] E ancora, a¹maqi¿a amathìa (ignoranza) e a¹kolasi¿a akolasìa (intemperanza) sembrano avvicinarsi a questi: l'una, la a¹maqi¿a amathìa, sembra infatti essere cammino dello aÀma qe%½ i¹o¿n hàma theò iòn (che va insieme al dio), mentre la a¹kolasi¿a akolasìa sembra in tutto e per tutto una a¹kolouqi¿a akolouthìa (andar dietro) alle cose. E così, i nomi che riteniamo attribuiti alle cose più brutte sembrerebbero assai simili a quelli assegnati alle più belle. E credo che, lavorandoci un po' su, se ne potrebbero trovare molti altri, in base ai quali si potrebbe questa volta credere che colui che pose i nomi volesse significare non le cose che vanno né quelle che si muovono, bensì quelle che permangono. [d] CRAT. Eppure vedi, Socrate, che significava la maggior parte delle cose in quel modo. SOCR. E che fa questo, Cratilo? Conteremo i nomi come fossero voti, ed in questo consisterà la correttezza? Se la maggior parte dei nomi sembrerà significare certe cose piuttosto che altre, quelli saranno i veri?
XLIII. CRAT. Non è certo verosimile. [438a] SOCR. Proprio in nessun modo, amico. Ma lasciamo qui tali cose e ritorniamo di nuovo al punto lasciato per passare a queste. Poc'anzi, se ricordi, nei discorsi precedenti dicesti che è necessario che colui che pose ì nomi li abbia posti sapendo a che cosa h poneva. Sei dunque ancora dello stesso parere o no? CRAT. Lo sono ancora. SOCR. Dici forse che anche colui che pose i primi nomi li pose sapendo? CRAT. Sì, sapendo. SOCR. Da quali nomi, allora, aveva imparato o [b] trovato le cose, se in effetti non erano stati ancora attribuita i primi nomi e, d'altro canto, diciamo che è impossibile imparare e trovare le cose in altro modo se non imparando i nomi e ritrovando noi stessi quali sono? CRAT. Mi sembra che tu dica qualcosa di valido, Socrate. SOCR. In quale modo, dunque, possiamo dire c he costoro abbiano posto i nomi sapendo, ovvero che siano legislatori, prima che fosse attribuito qualsiasi nome e quindi che quelli sapessero, se proprio non è possibile imparare le cose se non dai nomi? [c] CRAT. Io credo che il discorso più vero al riguardo, Socrate, sia che è stata una capacità più grande di quella umana a porre i primi nomi alle cose, cosicché è necessario che questi siano corretti. SOCR. E quindi credi che colui che li pose ne abbia posti alcuni cadendo in contraddizione con se stesso, pur essendo qualcosa come un demone o un dio? O ti sembrava che non dicessimo nulla di valido poco fa? CRAT. Ma bada che di questi gli uni o gli altri non fossero nomi. SOCR. Quali, carissimo, quelli che conducono alla quiete o quelli che conducono al moto? [d] Infatti, in base a quanto detto poc'anzi non si giudicherà dalla quantità. CRAT. Certo non sarebbe giusto, Socrate. SOCR. Dunque, poiché i nomi sono in contrasto, e alcuni dichiarano di essere simili alla verità, altri di esserlo invece loro, con che cosa distingueremo o ricorrendo a quale mezzo? Non certo ad altri nomi diversi da questi: infatti non è possibile ed è chiaro, piuttosto, che dobbiamo ricercare altre cose al di fuori dei nomi, le quali ci rendano visibili senza i nomi quali di essi sono i veri, [e] indicando in modo manifesto la verità delle cose che sono. CRAT. Mi pare così. SOCR. Se le cose stanno proprio così, Cratilo, allora, verosimilmente, è possibile imparare le cose che sono senza i nomi. CRAT. Sembra. SOCR. Con quale altro mezzo dunque ti aspetti ancora di impararle? Forse con un qualche altro mezzo che non sia quello verosimile e giustissimo, vale a dire le une per mezzo delle altre, se in qualche modo sono congeneri, e per mezzo di loro stesse? Infatti ciò che è diverso da quelle e di altro genere può significare qualcosa di diverso e di altro genere, ma non quelle. CRAT. Mi sembra che tu dica il vero. [439a] SOCR. Ma un momento, per Zeus: non abbiamo concordato spesso che i nomi attribuiti bene sono somiglianti a ciò di cui sono nomi, e che sono immagini delle cose? CRAT. Sì. SOCR. Se dunque da un lato c'è modo di imparare quanto più possibile le cose tramite i nomi, ma dall'altro c'è anche modo di farlo per mezzo di loro stesse, quale dei due sarà l'apprendimento migliore e più chiaro? Apprendere dall'immagine l'adeguatezza dell'immagine stessa e la verità della quale è immagine, [b] oppure apprendere dalla verità la verità stessa e la sua immagine, se sia stata realizzata in modo adeguato? CRAT. Necessariamente dalla verità, mi sembra. SOCR. Conoscere in qual modo dunque si debbano imparare o trovare le cose che sono è forse compito più grande di me e di te: dobbiamo però rallegrarci anche solo di aver concordato questo: che non dai nomi, ma esse stesse da loro stesse sono da imparare e da cercare, molto più che dai nomi. CRAT. Sembra, Socrate.
XLIV. SOCR. Consideriamo allora ancora questo, affinché non ci ingannino questi molti nomi che [c] tendono verso una stessa direzione: se realmente coloro che E posero lo fecero appunto intendendo tutte le cose in movimento e in flusso a me in effetti sembra che abbiano inteso proprio così - o se, invece, per avventura la cosa non stia così, e al contrario essi stessi, caduti come in un vortice, ne siano scompigliati e trascinandoci vi portino dentro anche noi. Considera infatti, meraviglioso Cratilo, quel che a me personalmente spesso appare in sogno. Diciamo che siano qualcosa il bello stesso e il [d] buono e così ciascuna singola cosa di quelle che sono, o no? CRAT. A me sembra, Socrate. SOCR. Consideriamo allora quello 'stesso', non se è bello un volto o qualcuna di tali cose, che sembrano anche tutte scorrere: ma esso 'stesso', diciamo, il bello, non è stabilmente tale quale è? CRAT. Necessariamente. SOCR. Sarà dunque forse possibile, se sempre si allontana, dire di esso in modo corretto, innanzi tutto che quello è, e poi che è tale? Oppure necessariamente nel momento in cui noi parliamo quello diviene immediatamente altro e se ne va via e non sta più così? [e] CRAT. Necessariamente. SOCR. Come, dunque, può essere qualcosa quel che non sta mai allo stesso modo? Se infatti sta fermo una volta allo stesso modo, è chiaro che almeno in quel tempo non si trasforma; ma se sta sempre allo stesso modo ed è lo stesso, come può mutare o muoversi, non allontanandosi per nulla dalla sua idea? CRAT. In nessun modo. SOCR. Ma quindi non può nemmeno essere conosciuto da nessuno. [440a] Infatti nel momento in cui chi intendesse conoscerlo gli si avvicinasse, diverrebbe altro e di altro genere, cosicché non potrebbe più essere conosciuto quale è o in che modo sta: senza dubbio nessuna conoscenza conosce quel che conosce, se esso non sta in nessun modo. CRAT. E’ come dici. SOCR. Ma neppure è verosimile dire che ci sia conoscenza, Cratilo, se tutte le cose cambiano e nulla permane. Se infatti, dell'essere conoscenza, questo stesso, cioè la conoscenza, non cambia, allora la conoscenza può permanere sempre ed essere conoscenza. [b] Ma se la stessa idea della conoscenza cambia, può in quel momento cambiarsi in un'altra idea di conoscenza e non essere conoscenza: e se sempre cambia, sempre può non essere conoscenza, e alla luce di questo discorso può non esserci né ciò che dovrebbe conoscere né ciò che dovrebbe essere conosciuto. Ma se è sempre ciò che conosce, e ciò che è conosciuto, e il bello, e il buono, e ciascuna singola cosa di quelle che sono, queste cose che sono, di cui noi parliamo ora, non mi sembrano in nulla simili [c] alla corrente né al movimento. Ora, se questo stia così o nel modo in cui dicono gli Eraclitei e molti altri, temo non sia cosa facile da esaminare; né è da uomo di grande intelligenza, dopo aver lasciato ai nomi la cura di se stesso e della propria anima, fidandosi di essi e di coloro che li posero, ostinarsi come se sapesse qualcosa, e incolpare se stesso e le cose che sono del fatto che nulla di nulla è sano e invece tutte le cose scorrono come vasi creta, e credere che proprio come gli uomini [d] ammalati di catarro così stiano anche le cose, tutte prese da flusso e da catarro. Ora, Cratilo, forse le cose stanno così, forse anche no. Bisogna, dunque, indagare coraggiosamente e bene, e non ammettere facilmente - giacché sei ancora giovane e ne hai l'età -; ma dopo aver riflettuto, se trovi, fanne partecipe anche me. CRAT. Lo farò. Tuttavia, sappi bene, Socrate, che nemmeno ora sto in [e] atteggiamento non riflessivo, ma a me più indago e mi dò da fare più mi sembra che le cose stiano al modo che dice Eraclito. SOCR. Allora me lo insegnerai un'altra volta, amico, quando tornerai; ma ora parti per la campagna, come eri pronto a fare: e ti accompagnerà anche Ermogene. CRAT. E sia, Socrate, ma anche tu prova ancora a comprendere queste cose.