CRITONE
SOMMARIO

 Critone va a trovare Socrate, che ancora sta dormendo, per informarlo che è imminente l’arrivo della nave di Delo e che, quindi, il giorno dopo dovrà morire (I 43a-d). Socrate racconta il sogno da lui avuto e che gli fa presagire che ancora non è giunto l'ultimo giorno (II 43d-44b). Critone esorta Socrate a fuggire, preoccupato che il volgo dica che gli amici, pur potendo farlo fuggire, non lo hanno fatto. Socrate lo esorta a preoccuparsi dell’opinione dei buoni, non di quella del volgo, incapace di fare grandi mali perché incapace di fare grandi beni (III 44b-d). Critone cerca di persuadere Socrate a fuggire. Non deve aver preoccupazione degli amici: tutti sono pronti a mettere i loro averi e le loro persone a disposizione (IV 44d-45c). Né Socrate deve fare il gioco dei suoi nemici o abbandonare i figli senza educarli (V 45c-46a). Socrate risponde: sempre io ho dato retta solo a quel ragionamento che, all'esame, appaia il migliore e così anche farò ora. Non dell'opinione dei molti, ma di quella degli uomini assennati bisogna tener conto (VI 46a-47a). Tanto per il corpo quanto per l'anima è solo l'opinione del competente che merita considerazione (VII 47a-d). L’anima è più importante ed onorabile del corpo e quindi tanto più importante è tener conto soltanto di colui che s’intende del giusto e dell'ingiusto, che è tutt’uno con la verità, e non del volgo. E’ vero che il volgo può uccidere, ma non è importante vivere, ma vivere bene, cioè secondo giustizia (VIII 47d-48b). E’ giusto fuggire? Questo è il punto da esaminare (IX 48b-49a).

In nessun caso si deve commettere ingiustizia, nemmeno per restituirla quando la si sia ricevuta. E’ ben convinto Critone di questo concetto e pronto ad accettarne le conseguenze? (X 49a-c). Fuggendo, si commette ingiustizia verso qualcuno? Socrate immagina che le leggi gli parlino e gli chiedano conto di quel che sta facendo (XI 49e-50c). Che cosa ha da rimproverare Socrate alle leggi? Per esse egli è nato, è stato nutrito ed educato: egli è loro figlio e servo, e quindi non c'è pariteticità di diritto tra le leggi e Socrate. Alle leggi, più che al padre e alla madre, si deve rispetto e ubbidienza per qualunque cosa ordinino, oppure si devono persuadere: ma far loro violenza non si deve in alcun caso (XII 50c-51e). Le leggi danno la possibilità a chiunque di scegliere: o accettarle e ubbidire a loro, oppure andarsene (XIII 51c-52a). Ma Socrate non si è mai allontanato da Atene, dimostrando con ciò, più di chiunque altro, il suo attaccamento alla città e alle leggi: come può pensare ora di annullare il patto stretto con loro e distruggerle? (XIV 52a-53a). E quale mai sarà la vita di Socrate, una volta fuggito? Quali mai saranno i discorsi che egli farà? (XV 53a-54b). Né, se fuggirà, la sua sorte sarebbe migliore nell’Ade, dove regnano, altre leggi, sorelle di quelle della città. Non dalle leggi ma dagli uomini Socrate ha ricevuto ingiustizia: non si lasci perciò persuadere da Critone a fuggire (XVI 54b-d). Perciò Socrate non fuggirà dal carcere (XVIII 54d-e).

TESTO

 43 SOCRATE. Perché vieni a quest’ora, o Critone? non è ancor presto? CRITONE. Sì, è ancor presto. SOCR. E che ora è precisamente? CRIT. E’ l’alba appena. SOCR. Io non capisco come il custode del carcere abbia voluto lasciarti entrare. CRIT. Mi conosce, o Socrate, per questo mio venir qui così spesso; e ha anche avuto qualche beneficio da me. SOCR. Da poco tempo sei qui o da molto? CRIT. Da molto, piuttosto. SOCR. E allora perché non [b] mi hai svegliato sùbito, e invece ti sei seduto qui, accanto a me, in silenzio? CRIT. Oh no, Socrate, ché neanch’io, al tuo posto, avrei voluto esser sveglio, in una circostanza così dolorosa! E poi anche, da un pezzo, ero qui meravigliato a guardarti come dormivi placidamente; e appunto per questo non ti svegliavo, perché tu seguitassi a startene così, quanto più potevi, placidamente. Già anche prima, più volte, nel corso della tua vita, io ebbi per il naturale tuo a giudicarti felice; ma ora assai più di prima, in questa sventura che ti sovrasta, a vedere come facilmente e tranquillamente la sopporti. SOCR. Ma sarebbe cosa fuori di tono, o Critone, se io a questa mia età, [c] mi rammaricassi di dover morire. CRIT. Anche altri o Socrate, di codesta tua età, si trovano in simili congiunture; eppure a costoro niente impedisce l’età di dolersi della sorte in cui sono caduti. SOCR. E’ vero. Ma perché dunque sei venuto così presto? CRIT. A recarti, o Socrate, una notizia dolorosa: non per te, come sembra, dolorosa, ma per me e per tutti gli amici tuoi dolorosa e grave; la quale io, sento, potrò sopportare assai più gravemente di ogni altro. SOCR. Che notizia è questa? forse [d] è arrivata la nave da Delo, al cui arrivo bisogna che io muoia? CRIT. Non ancora, veramente, è arrivata; ma pare che arriverà oggi, a quel che annunziano certuni che sono giunti dal capo Sunio e che l’hanno lasciata colà. E’ chiaro dunque, a quel che annunziano costoro, che arriverà oggi: e allora sarà proprio domani, o Socrate, che dovrà finire la tua vita.

II. SOCR. Ebbene, o Critone, con fortuna buona! Se così piace agli dèi, così sia. Non credo però che la nave [44a] arriverà oggi. CRIT. Da che lo argomenti codesto? SOCR. Te lo dirò. Perché io devo morire, tu lo sai, il giorno dopo a quello in cui la nave sia giunta. CRIT. Così dicono infatti coloro che hanno il comando di queste cose. SOCR. Non credo dunque che proprio in questo giorno che nasce ella giungerà, ma domani. E lo argomento da un sogno che ho avuto poco fa, questa stessa notte: si direbbe che hai còlto giusto a non svegliarmi! CRIT. E quale fu questo sogno? SOCR. Io vidi come venirmi dinanzi una donna bella e di piacevole aspetto, in candida veste; e mi [b] chiamava per nome, e mi diceva: O Socrate,

 nel terzo dì da questo

a Ftia tu giungerai, ricca di zolle.

 CRIT. Strano sogno codesto, o Socrate. SOCR. Chiarissimo però, almeno mi sembra, o Critone.

III. CRIT. Oh sì, anche troppo, a quello che pare. Via, amico Socrate, ancora una volta, làsciati persuadere, e mettiti in salvo. Ché io, se tu muori, non una sventura soltanto avrò da patire: ma, a parte che resterò privo di un amico come te, quale nessun altro riuscirò mai a trovare, anche parrà a molti, a tutti coloro i quali non conos-[c] scono bene né me né te, che io, pur potendo salvarti solo che avessi voluto spendere danari, non mi sia curato di farlo. E può esserci più brutta voce di questa, che passar per uno il quale faccia più conto delle ricchezze che degli amici? Certamente non si persuaderà la gente che tu sei stato a non voler uscire di qui, nonostante tutta la nostra buona volontà. SOCR. Ma perché, o buon Critone, dobbiamo preoccuparci tanto della opinione della gente? Gli uomini migliori, quelli dei quali val la pena di darsi pensiero, crederanno che le cose sono andate appunto così come saranno andate. CRIT. Ma tu vedi bene, o Socrate, [d] che anche della opinione del volgo non è possibile non tener conto. Lo dice chiaro la circostanza medesima in cui ci troviamo ora, che il volgo è capace non già solo di fare un poco di male appena, ma sì di commettere addirittura i mali più gravi, se uno venga a cadere in mezzo alle loro calunnie. SOCR. Oh veramente, o Critone, fosse capace il volgo di commettere i più grandi mali, sicché fosse pur anche capace di fare i più grandi beni! Gran bella cosa sarebbe! Ma in realtà non sono capaci costoro né di male né di bene, non avendo potere di rendere alcuno né savio né stolto; e operano così, come loro càpita.

[e] IV. CRIT. Sia pur così come credi. Ma questo dimmi, o Socrate. Che forse ti preoccupi di me e degli altri amici, e temi che, se vai via dal carcere, i sicofanti ci diano delle noie immaginando che siamo stati noi a farti fuggire di qui; e che quindi si sia costretti a rimetterci tutti i nostri averi, o almeno a sborsare di molti denari, o a dirittura a soffrire qualche cosa di peggio ancora? Se è questo che [45a] temi, lascia andare. E’ ben giusto, alla fine, che per metterti in salvo si corra questo pericolo; e anche un pericolo maggiore di questo, se sia necessario. Dammi retta dunque, e non fare altrimenti. SOCR. Di questo, sì, mi preoccupo, o Critone: ma anche di parecchie altre cose ancora. CRIT. Di codesto dunque non temere. Anche perché non è neppur molto il danaro che pretenderebbero certi tali che sono disposti a salvarti e a condurti via di qui. E poi, non li vedi questi sicofanti come sono a buon mercato? Non ci sarà bisogno di gran denaro per loro. E [b] per te è a tua disposizione tutto il mio: sufficiente, credo. Che se poi, per tuo riguardo verso di me, tu pensassi di non dover spendere del mio, ci sono, qui a Atene, questi forestieri pronti a spendere. E anzi uno di loro ha portato con sé, appunto per questo scopo, il danaro occorrente, Simmia di Tebe; e anche Cebète è disposto a spendere , e altri moltissimi. Cosicché, ripeto, non lasciarti turbare da queste preoccupazioni, e non rinunciare a metterti in salvo; e neanche ti dia pensiero quello che dicevi in tribunale, che non sapresti che fare di te una volta partito da Atene: perché dappertutto, anche fuori di qui, dovunque tu vada, [c] ti accoglieranno amichevolmente, e, se vorrai andare in Tessaglia, ci sono colà ospiti miei i quali faranno gran conto di te e ti offriranno asilo sicuro, per modo che nessuno, in nessuna parte della Tessaglia, ti recherà molestia.

V. Aggiungi, o Socrate, che neanche mi pare giusto quello che hai in animo di fare, e cioè di perdere te stesso quando è possibile che tu ti salvi. E ti dài premura perché avvenga di te proprio quello di cui si daranno premura, se mai, i tuoi nemici; come se ne sono data infatti, essi che ti vogliono morto. Oltre di ciò, anche mi pare tu tradisca [d] i tuoi propri figlioli: che mentre ti sarebbe possibile allevarli e educarli, ecco che tu te ne vuoi andare abbandonandoli; e così, per quanto sta in te, si troveranno in balia della sorte: si troveranno cioè, com’è naturale, in quella condizione in cui sogliono trovarsi gli orfani, privati di ogni sostegno. E in verità, o non bisogna fare figlioli, o bisogna faticare e stentare fino in fondo per allevarli e per educarli. Tu invece mi hai l’aria di scegliere la via più comoda; mentre si deve scegliere quella che sceglierebbe un uomo dabbene e virtuoso, massimamente uno come te che dice non essersi curato mai d’altro in tutta la vita che [e] della virtù. Tanto che io mi vergogno per te e per noi, che siamo tuoi amici; e non vorrei che tutta questa faccenda del tuo processo non paresse ai più essere avvenuta per non so quale dappocaggine tua e nostra: sia l’aver lasciato che si portasse la causa davanti al tribunale, che ci fu portata mentre era possibile non fosse; sia l’andamento stesso del processo, nel modo che andò; e sia finalmente quest’ultima scena qui, che è come lo scioglimento ridicolo dell’a-[46a] zione, dove noi si fa la parte d’esserci scansati per non so quale viltà e codardia, noi che non abbiamo salvato te né più né meno che neanche tu abbia salvato te stesso, mentre era facile e agevole, solo che ci fosse stato un aiuto anche piccolo da parte di ciascuno di noi. Vedi dunque, o Socrate, che tutto questo, oltre che di danno, non sia anche cagion di vergogna a te e a noi. Perciò risolvi: sebbene anzi non sia più tempo ormai di risolvere, ma d’aver già risoluto. E la risoluzione è una sola. Nella notte che viene tutto ha da essere fatto. Se indugeremo ancora un poco, non sarà più possibile, e ogni tentativo sarà vano. Or via, senz’altro, o Socrate, dammi retta e non fare diversamente.

[b] VI. SOCR. O buon Critone, la tua premura è lodevole molto; quando sia accompagnata da retto giudizio: se no, quanto più grande ella è, tanto più m’è cagione di pena. Bisogna considerare se questo che tu proponi si deve fare oppure no. Perché io, non ora per la prima volta, ma sempre, sono stato siffatto da non dare ascolto a nessun’altra cosa di me se non alla ragione: a quella, dico, che, ragionando, mi sembri la ragione migliore. E i ragionamenti che solevo fare nel tempo passato, non posso ora buttarli via perché m’è capitato questo caso, ma su per giù mi sembrano [c] gli stessi, e quindi ne ho venerazione e rispetto non meno di prima; e se non sappiamo in questo momento trovare altro di meglio, tu devi essere persuaso che io non consentirò mai a quello che mi proponi, neanche se la potenza del volgo, che già m’infligge catene e morte e spogliazione di beni, vorrà farmi paura come si fa ai ragazzi, con lo spauracchio di mali anche peggiori di questi. Quale sarà dunque il modo migliore di esaminare la cosa? Questo: se anzi tutto riprenderemo il ragionamento che tu stai facendo intorno alle opinioni, ed esamineremo se s’aveva ragione o no, tutte le volte che se ne parlava, di dire che [d] ad alcune di queste opinioni bisogna dar mente, ad altre non bisogna. O che forse, prima che io dovessi morire, si diceva bene, e ora s’è fatto manifesto che allora si diceva così per dire, senza costrutto, e che il nostro ragionare era in verità un vano gioco da ragazzi? Io desidero vivamente, o Critone, considerare insieme con te se codesto ragionamento ci sembri in qualche cosa mutato ora che mi trovo in questa condizione, o se è lo stesso; e allora, o lo saluteremo o gli daremo retta. - Si è sempre detto, mi pare, da coloro che pensano dir qualche cosa, allo stesso modo che dicevo ora io, che cioè delle opinioni degli uomini alcune [e] sono da tenere in gran conto, altre in nessuno. E questo, o Critone, non ti pare sia detto bene? Tu sei fuori ora dal pericolo, almeno secondo ogni probabilità umana, di dover [47a] morire domani; e perciò a te non dovrebbe far velo il caso in cui mi trovo io presentemente. Considera dunque. Non ti pare detto bene che non tutte le opinioni degli uomini bisogna stimare, ma alcune sì, altre no? e nemmeno di tutti gli uomini, ma di alcuni sì, di altri no? Che dici? Questo non è detto bene? CRIT. E’ detto bene. SOCR. E dunque, che le buone opinioni bisogna stimare, le cattive non bisogna? CRIT. Appunto. SOCR. E buone non sono le opinioni degli uomini di senno, e cattive quelle degli uomini senza senno? CRIT. E come no ?

VII. SOCR. Dimmi ora se si ragionava bene o male su [b] quest’altra questione. Uno che eserciti ginnastica, e nell’atto che la eserciti realmente, attenderà egli alla lode e al biasimo e insomma al giudizio di uno qualunque, oppure di quello soltanto che sia medico o maestro di ginnastica? CRIT. Di quello soltanto. SOCR. E allora bisognerà che egli tema il biasimo e abbia cara la lode di quello solo, e non dei più. CRIT. E’ chiaro. SOCR. E dunque gli bisognerà comportarsi, e cioè fare ginnastica e sì anche mangiare e bere, nel modo che piacerà a quell’unico che di codeste cose è maestro e se ne intende, e non nel modo che piaccia a tutti gli altri insieme. CRIT. E’ così. SOCR. Sta bene. Ma chi di quell’unico non si cura, e ha in di-[c] spregio l’opinione sua e le sue lodi, e invece ha in pregio le lodi dei più anche se questi non s’intendono di nulla, non si troverà costui a patire alcun male? CRIT. Certo: come no? SOCR. E che è questo male? e dove mira, e in quale parte potrà colpire colui che di quell’unico non si cura? CRIT. Chiaro che nel corpo: questa è la parte che codesto male a poco a poco distrugge. SOCR. Tu dici bene. Non bisognerà dunque anche di ogni altra cosa, o Critone, per non perderci a esaminarle tutte, giudicare allo stesso modo; e quindi, naturalmente, anche del giusto e dell’ingiusto, del brutto e del bello, del buono e del cattivo, che sono l’argomento intorno a cui stiamo ora deliberando? dovremo seguire l’opinione della moltitudine e di [d] quella preoccuparci, oppure di quell’unico, dato che ci sia, il quale se ne intenda, e di lui solo sentir vergogna e timore, anzi che di tutti gli altri insieme? Che se noi non daremo retta a costui, verremo a distruggere e a contaminare quella parte di noi che col giusto, come dicevamo, diventa migliore, e con l’ingiusto perisce. O non ha senso tutto questo che io dico? CRIT. Credo anzi che abbia senso, o Socrate.

VIII. SOCR. Orbene, se quella parte di noi che con ciò ch’è salutare diventa migliore e con ciò ch’è nocivo si corrompe noi la distruggeremo per seguire non già l’opinione di coloro che se ne intendono ma degli altri, ci sarà [e] più possibile vivere, una volta ch’ella sia guasta e corrotta ? Questa parte, direi, è il corpo: o non è? CRIT. Sì, è il corpo. SOCR. E dimmi, ci è possibile vivere con un corpo rovinato e guasto? CRIT. No, affatto. SOCR. Ma allora ci sarà possibile vivere quando sia corrotta quella parte di noi a cui l’ingiustizia reca danno e la giustizia giovamento? o vogliamo credere che sia da meno del corpo [48a] codesta parte, qualunque ella sia di noi, a cui pertengono l’ingiustizia e la giustizia? CRIT. No, affatto. SOCR. Anzi, è più onorabile? CRIT. Molto più onorabile, certo. SOCR. E dunque, o carissimo, noi non dobbiamo affatto preoccuparci di quello che potrà dire di noi il volgo, bensì di ciò solo che potrà dire colui che s’intende del giusto e dell’ingiusto, giudice unico, ch’è tutt’uno con la verità. Cosicché, anzi tutto, tu non muovi per questa parte da retto criterio quando dici che dobbiamo preoccuparci della opinione del volgo in questioni che riguardano il giusto il bello il buono e i loro contrari. Ma ecco, si po-[b] trebbe dire, codesto volgo è pur capace di mandarci a morte. CRIT. Chiaro, veramente, anche questo; si potrebbe dire così, o Socrate. Hai ragione. SOCR. Se non che, mio buon amico, il ragionamento che s’è fatto ora a me pare sia lo stesso di quel che si fece prima; e tu allora vedi anche questo se tuttavia rimane fermo per noi o no, e cioè che non il vivere è da tenere nel più alto conto, ma il vivere bene. CRIT. Sì, riman fermo. SOCR. E che vivere bene è la stessa cosa che vivere secondo onestà e secondo giustizia, questo rimane fermo o no? CRIT. Rimane fermo.

IX. SOCR. Dunque, a partire da quello che insieme s’è convenuto, bisogna vedere se sia giusto che io tenti di [c] uscire di qui pur contro il volere degli Ateniesi, o se non sia giusto: e, se ci paia giusto, tentiamo pure; altrimenti, lasciamo stare. Riguardo poi a quelle considerazioni che tu fai e sullo spender denari e su quello che dirà la gente e sul modo di allevare i figlioli, bada che più veramente, o Critone, codesti non siano i soliti modi di ragionare del volgo, di quei tali, dico, che con facilità mandano a morte e con la stessa facilità risusciterebbero in vita se ne fossero capaci, e sempre senza nessuna ragione al mondo. Ma quanto a noi, poiché la ragione vuole così, a niente altro si deve mirare se non a quello che dicevamo poc’anzi, se cioè, sborsando denari e obbligandoci di gratitudine a coloro che [d] mi trarranno fuori di qui, opereremo secondo giustizia: noi, dico, così quelli che mi vogliono trarre, come io che mi lascerei trarre; o se per verità non commetteremo ingiustizia gli uni e gli altri facendo tutto questo. E se sarà chiaro che così operando si commetta ingiustizia, allora ricordati che bisogna rimanere fedeli al proprio posto e aspettare con animo tranquillo, e non darsi pensiero né se si debba morire né se si debba qualunque altro male patire, piuttosto che commettere ingiustizia. CRIT. Tu ragioni bene, mi sembra, o Socrate; ma vedi che cosa dobbiamo fare. SOCR. Vediamo insieme, carissimo: e se tu hai qualche cosa da opporre al mio ragionare, opponi, e io ti [e] obbedirò; ma se non hai, cessa allora, beato amico, di ripetermi sempre lo stesso discorso, che bisogna io venga via di qui, pur contro il volere degli Ateniesi. Perché io faccio gran conto di comportarmi in questa faccenda con la persuasione tua e non tuo malgrado. Ora vedi dunque se il punto fondamentale della nostra ricerca ti pare saldo [49a] sufficientemente; e pròvati a rispondere alle mie domande, come meglio tu credi. CRIT. Sta bene, mi proverò.

X. SOCR. In nessun caso diciamo che volontariamente si deve commettere ingiustizia, oppure che in alcun caso si può e in altro non si può? o diciamo addirittura che il commettere ingiustizia non è mai né buono né bello, come già più volte anche nel tempo passato riconoscemmo [e come si diceva anche poco fa]? Oppure tutti quei nostri ragionamenti nei quali allora eravamo d’accordo, si sono in questi pochi dì rovesciati e dileguati; e dunque, per tanto tempo che siamo stati a disputare fra noi con tanta serietà, [b] non ci è mai capitato di accorgerci, così vecchi, o Critone, come siamo, che codesto disputare non differiva minimamente da un vano gioco di ragazzi? O piuttosto la cosa sta così come si diceva allora, sia che i più ne convengano sia che non ne convengano, e sia che s’abbiano da patir mali anche più gravi di questi o anche meno gravi; e che, insomma, nonostante tutto, il fare ingiustizia è, per chi fa ingiustizia, cosa brutta e turpe in ogni caso? Diciamo così o no? CRIT. Diciamo così. SOCR. Per nessuna ragione dunque si dee fare ingiustizia. CRIT. Per nessuna ragione. SOCR. E dunque, neanche se ingiustizia ci è fatta, si deve rendere ingiustizia, come pensano i più, poiché è stabilito [c] che mai per nessuna ragione si ha da fare ingiustizia. CRIT. Così pare. SOCR. E ancora, far male altrui, o Critone, si deve o non si deve? CRIT. Certo non si deve, o Socrate. SOCR. E ancora, render male chi male abbia sofferto, come dicono i più, è giusto o non è giusto? CRIT. No affatto. SOCR. Perché far male altrui, diciamo pure, non differisce niente dal fare ingiustizia. CRIT. Tu dici bene. SOCR. Dunque, né si deve rendere ingiustizia né far male ad alcuno degli uomini, neanche chi abbia qualsivoglia male patito da costoro. E tu sta bene attento o Critone se dici di essere d’accordo con me in tutto questo, [d] che tu non lo dica contro la tua stessa opinione. Perché io so bene che ad alcuni pochi soltanto questi princìpi sembrano e sembreranno giusti. Ora, tra quelli che si sono fissi in una opinione di questo genere e quelli che no, non è possibile deliberare nulla in comune; e anzi non potranno fare a meno costoro che disprezzarsi a vicenda, vedendo gli uni le contrarie deliberazioni degli altri. E però, dico, considera anche tu molto attentamente se proprio sei d’accordo con me e hai la medesima opinione mia; e allora cominciamo pure a deliberare movendo da questo punto, che cioè non è mai cosa retta né fare ingiustizia né rendere ingiustizia, né, chi soffra male, vendicarsi restituendo male. Oppure ti scosti da me e insomma non partecipi di questo [e] punto? Perché io, come già da tempo ero di questa opinione, così anche ora; ma se tu hai opinione diversa, parla e istruiscimi. Se poi rimani fermo in quello che s’è detto prima, allora ascolta quello che ne consegue. CRIT. Resto fermo a quel che s’è detto e sono d’accordo con te. E dunque parla. SOCR. E allora ti dirò quello che ne consegue: o meglio, ti farò delle domande. Dimmi: se uno si trovi d’accordo con un altro nel riconoscere che una cosa è giusta, questa cosa colui la deve fare, o deve cercare di eludere l’altro e non farla? CRIT. La deve fare.

XI. SOCR. Muovi dunque di qui e drizza bene la mente. Se io me ne vado via da questo carcere contro il [50a] volere della città, faccio io male a qualcuno, e precisamente a chi meno si dovrebbe, o no? Ancora: restiamo fermi in quei princìpi che riconoscemmo insieme essere giusti, o no? CRIT. Non so rispondere, o Socrate, alla tua domanda, perché non capisco. SOCR. Bene: considera la cosa da questo lato. Se, mentre noi siamo sul punto... sì, di svignarcela di qui, o come altrimenti tu voglia dire, ci venissero incontro le leggi e la città tutta quanta, e ci si fermassero innanzi e ci domandassero: "Dimmi, Socrate, che cosa hai in mente di fare? non mediti forse, con codesta [b] azione a cui ti accingi, di distruggere noi, cioè le leggi, e con noi tutta insieme la città, per quanto sta in te? o credi possa vivere tuttavia e non essere sovvertita da cima a fondo quella città in cui le sentenze pronunciate non hanno valore, e anzi, da privati cittadini, sono fatte vane e distrutte?", - che cosa risponderemo noi, o Critone, a queste e ad altre simili parole? Perché molte se ne potrebbero dire, massimamente se uno è oratore, in difesa di questa legge che noi avremmo violata, la quale esige che le sentenze una volta pronunciate abbiano esecuzione. O [c] forse risponderemo loro che la città commise contro noi ingiustizia e non sentenziò rettamente? Questo risponderemo, o che altro? CRIT. Questo, sicuramente, o Socrate.

XII. SOCR. E allora, che cosa risponderemmo se le leggi seguitassero così: "O Socrate, che forse anche in questo ci si trovò d’accordo, tu e noi; o non piuttosto che bisogna sottostare alle sentenze, quali elle siano, che la città pronuncia?". E se noi ci meravigliassimo di codesto loro parlare, elle forse riprenderebbero così: "O Socrate, non meravigliarti del nostro parlare, ma rispondi: sei pur uso anche tu a valerti di questo mezzo, di domandare e rispondere. [d] Di’, dunque, che cosa hai da reclamare tu contro di noi e contro la città, che stai tentando di darci la morte? E anzi tutto, non fummo noi che ti demmo la vita, e per mezzo nostro tuo padre prese in moglie tua madre e ti generò? Parla dunque: credi forse non siano buone leggi quelle di noi che regolano i matrimoni, e hai da rimproverare loro qualche cosa?". - "Non ho nulla da rimproverare", risponderei io. "E allora, a quelle di noi che regolano l’allevamento e la educazione dei figli, onde fosti anche tu allevato e educato, hai rimproveri da fare? che forse non facevano bene, quelle di noi che sono ordinate a questo fine prescrivendo a tuo padre che ti educasse nella musica [e] e nella ginnastica?". - "Bene", direi io. "E sia. Ma ora che sei nato, che sei stato allevato, che sei stato educato, potresti tu dire che non sei figliolo nostro e un nostro servo e tu e tutti quanti i progenitori tuoi? E se questo è così, pensi tu forse che ci sia un diritto da pari a pari fra te e noi, e che, se alcuna cosa noi tentiamo di fare contro di te, abbia il diritto anche tu di fare altrettanto contro di noi? O che forse, mentre di fronte al padre tu riconoscevi di non avere un diritto da pari a pari; e così di fronte al padrone se ne avevi uno; il diritto, dico, se alcun male pativi da costoro, di ricambiarli con altrettanto male; e [51a] nemmeno se oltraggiato di oltraggiarli, e se percosso percuoterli, né altro, di questo genere: ecco che invece, di fronte alla patria e di fronte alle leggi, questo diritto ti sarà lecito; cosicché, se noi tentiamo di mandare a morte te, reputando che ciò sia giusto, tenterai anche tu con ogni tuo potere di mandare a morte noi che siamo le leggi e la patria, e dirai che ciò facendo operi il giusto, tu, il vero e schietto zelatore della virtù? O sei così sapiente da avere dimenticato che più della madre e più del padre e più degli altri progenitori presi tutti insieme è da onorare la patria, [b] e che ella è più di costoro venerabile e santa, e in più augusto luogo collocata da dèi e da uomini di senno? e che la patria si deve rispettare, e più del padre si deve obbedire e adorare, anche nelle sue collere; e che, o si deve persuaderla o s’ha da fare ciò che ella ordina di fare, e soffrire se ella ci ordina di soffrire, con cuore silenzioso e tranquillo, e lasciarci percuotere se ella ci vuole percuotere, e lasciarci incatenare se ella ci vuole incatenare, e se ci spinge alla guerra per essere feriti o per essere uccisi, anche questo bisogna fare, poiché questo è il giusto; e non bisogna sottrarsi alla milizia, e non bisogna indietreggiare davanti al nemico, e non bisogna abbandonare il proprio posto, ma sempre, e in guerra e nel tribunale e dovunque, [c] bisogna fare ciò che la patria e la città comandano, o almeno persuaderla da che parte è il giusto; ma far violenza non è cosa santa, né contro la madre né contro il padre, e molto meno ancora contro la patria?". Che cosa risponderemo noi, o Critone, a queste parole? che le leggi dicono il vero o no? CRIT. A me sembra che le leggi dicano il vero.

XIII. SOCR. "E ora vedi, o Socrate", potrebbero seguitare le leggi, "se è vero questo che noi diciamo, che cioè non è giusto tu faccia contro di noi quello che ora appunto hai in animo di fare. Perché noi che ti generammo, noi che ti allevammo, noi che ti educammo, noi che ti mettemmo a parte di tutti quei beni che erano in nostro potere, e te [d] e tutti gli altri concittadini; noi, dico, nonostante ciò, ti abbiamo pur anche fatto capire in tempo, col darne licenza a chiunque degli Ateniesi lo desideri, dopo che sia stato inscritto nel ruolo dei cittadini e già conosca il governo della città e le sue leggi, che se a taluno queste leggi non piacciono è libero di prender seco le cose sue e di andarsene dove vuole. E a questo nessuna di noi frappone ostacoli; né a chiunque de’ cittadini voglia recarsi, per fastidio di noi e della città, in qualcuna delle nostre colonie, o voglia addirittura andar a vivere altrove in paese forestiero, nessuna di noi gli impedisce di andare dove gli piaccia [e] e portar seco tutte le cose sue. Ma chi di voi rimane qui, e vede in che modo noi amministriamo la giustizia e come ci comportiamo nel resto della pubblica amministrazione, allora diciamo che costui si è di fatto obbligato rispetto a noi a fare ciò che noi gli ordiniamo; e se egli non obbedisce, diciamo che commette ingiustizia contro noi in tre modi: primo, perché non obbedisce a noi che lo abbiamo generato; secondo, perché non obbedisce a noi che lo abbiamo allevato; terzo, perché essendosi egli obbligato a obbedirci, né ci obbedisce né si adopra, caso che facciamo alcuna cosa non bene, di persuaderci altrimenti, [52a] nonostante che noi, quello che gli diciamo di fare, gli si proponga benevolmente, e non già duramente gli s’imponga; che anzi, mentre noi gli lasciamo libertà di scegliere delle due cose l’una, o di persuaderci o di fare quello che gli diciamo, egli non fa né l’una cosa né l’altra.

XIV. "Queste sono le accuse alle quali anche tu, o Socrate, ti troverai esposto se farai quello che hai in mente; e non meno tu degli altri Ateniesi, ma assai più, anzi, di tutti gli altri." E se io allora chiedessi: "E perché questo?", - giustamente, credo, le leggi mi darebbero addosso, ricordandomi che proprio io più di tutti gli altri Ateniesi mi sono trovato d’accordo con loro nell’accettazione dei patti stabiliti. E di fatti mi potrebbero dire così: "O Socrate, [b] grandi prove noi abbiamo di questo, che a te non eravamo sgradite, né noi né la città: ché tu non avresti, più di tutti gli altri Ateniesi, in questa città dimorato, se a te, più che a tutti gli altri senza paragone, questa città non fosse piaciuta; né mai uscisti dalla città per partecipare a cerimonie solenni se non una volta che andasti all’Istmo; né mai ti recasti in altro luogo, se non per qualche spedizione militare; né mai facesti viaggio in paese straniero, come pur fanno gli altri uomini; e nemmeno ti prese mai desiderio di vedere altra città o di conoscere altre leggi, perché [c] eravamo tutto per te noi e la città nostra: così fortemente ci prediligevi, e avevi accettato di vivere qui, sotto la nostra disciplina, la tua vita di cittadino; e qui appunto esercitasti tutti i tuoi diritti civili, e qui anche generasti i tuoi figlioli, prova sicura che la città ti piaceva. Oltre a ciò t’era lecito, nel corso stesso del processo, condannarti da te all’esilio, se volevi; e ciò che mediti ora di fare contro il consenso della città, potevi allora farlo col suo consenso. Ma tu allora facevi il bello che non t’incresceva di dover morire, e anzi preferivi, come dicevi, all’esilio la morte. Ed ecco che ora né senti vergogna di quelle tue parole, né [d] di noi leggi ti curi, e tenti distruggerci, e fai quello che farebbe il più vile dei servi, tentando di svignartela contro ai patti e agli accordi secondo i quali avevi pur convenuto con noi di regolare la tua vita di cittadino. Innanzi tutto, dunque, rispondi a noi su questo: Diciamo o non diciamo la verità quando affermiamo che tu, realmente e non a parole, avevi convenuto di regolare secondo noi la tua vita di cittadino?". - Che cosa dobbiamo rispondere a queste parole, o Critone? Non dovremo consentire che le leggi dicono la verità? CRIT. Necessariamente, o Socrate. SOCR. "O allora", potrebbero seguitare le leggi, "che altro fai tu se non trasgredire ai patti e agli accordi che avevi [e] con noi? Né questi patti tu avevi concordato con noi perché forzato da necessità o perché fuorviato da inganno; e neanche perché costretto a risolvere in breve tempo, ma in uno spazio di settanta anni, nei quali saresti stato pur libero di andartene se noi non ti piacevamo e se i patti concordati non ti parevano giusti. E tu invece non preferivi né Lacedèmone né Creta, le quali dici pure ogni momento che sono rette da buone leggi, né alcun’altra città ellenica [53a] o forestiera; che anzi tu sei sempre uscito meno volte da questa città che non gli zoppi e i ciechi e gli altri storpi, tanto questa città ti era cara più che a tutti gli altri Ateniesi; e quindi, si capisce, anche noi, le leggi, perché a chi potrebbe essere cara una città senza leggi? E tu dunque, ora, non vuoi restar fedele ai patti? Sì, purché tu resti obbediente a noi, o Socrate; e non vorrai tirarti addosso il ridicolo scappando dalla città.

XV. "E ora considera quali benefìci, trasgredendo a questi patti e macchiandoti di simile colpa, procaccerai a [b] te stesso e ai tuoi amici. Che i tuoi amici correranno il rischio di essere anch’essi cacciati in esilio e di esser privati dei diritti civili e di perdere i loro averi, su questo, direi, non c’è dubbio. E quanto a te, primamente, se andrai in qualcuna delle città più vicine, come a Tebe o a Mègara, - sono ben governate tutt’e due, - vi sarai accolto, o Socrate, come un nemico del loro governo; e quanti hanno a cuore la loro propria città, ti guarderanno di mal occhio reputandoti un corruttore di leggi; e così rinsalderai a favore dei giudici la pubblica opinione, onde tutti crederanno aver essi giudicato rettamente: perché, chi è cor-[c] ruttore di leggi, a più forte ragione può esser ritenuto corruttore di giovani e di gente senza senno. O che allora fuggirai le città ben governate e gli uomini meglio costumati? e ti varrà proprio la pena di vivere per fare questo? Oppure ti avvicinerai a codesti uomini dabbene, e non avrai vergogna di attaccar discorso con loro... quali discorsi, o Socrate? Quelli che facevi qui, che la virtù e la giustizia sono il più alto pregio per gli uomini, e così il rispetto alle leggi e le leggi? E non pensi che potrà appa-[d] rirne assai deformata la figura di Socrate? Bisogna pure pensarlo. Ma sì, tu ti toglierai via da codesti luoghi, e te ne andrai in Tessaglia, dagli ospiti di Critone: perché colà è veramente massimo disordine e massima dissolutezza; e avranno piacere colà, io credo, a sentirti raccontare come buffonescamente te la svignasti dal carcere, tutto ravvolto in una palandrana o coperto di una mastrucca o d’altro abito simile a quelli onde sogliono camuffarsi coloro che scappano, e insomma con tutta la tua persona trasfigurata. E che tu, vecchio, al quale rimane oramai, come [e] è verosimile, così poco tempo da vivere, non abbia avuto vergogna di restare attaccato così tenacemente alla vita fino a violare le leggi più sante, non ci sarà nessuno che lo dirà? Forse nessuno, se tu non sarai di fastidio a nessuno; ma se no, avrai da ascoltarne molte, o Socrate, di queste parole, e assai umilianti per te. E vivrai la tua vita inchinandoti qua e là a uomini di ogni sorta, e come un servitore... e poi, facendo che cosa? forse spassandotela, come s’usa in Tessaglia, tra feste e banchetti, quasi che tu ti fossi trasferito in Tessaglia apposta per banchettarne? E quei tuoi ragionamenti su la giustizia e su le altre virtù, [54a] dimmi, dove andranno? Ma tu dici che pe’ tuoi figlioli vuoi vivere per allevarli e per educarli... O come? E tu, tirandoteli dietro proprio in Tessaglia te li alleverai e li educherai, facendoli stranieri alla loro patria, perché anche questo bel regalo abbiano da te? O non farai questo, e, seguitando essi ad essere allevati qui, saranno meglio allevati e meglio educati solo perché tu sei vivo, anche se non sei più con loro? Sì, perché i tuoi amici, dirai, se ne prenderanno cura. O che forse, se tu emigri in Tessaglia se ne prenderanno cura, se tu emigri nell’Ade non se ne prenderanno più? In verità, se qualche cosa di bene pos-[b] siamo aspettarci da codesti che si professano tuoi amici, bisogna pur credere che se ne cureranno ugualmente.

XVI. "Or via, Socrate, dà retta a noi che siamo le nutrici tue; e dei figli e della vita e di ogni altro bene non fare maggior conto che della giustizia, affinché, giunto nell’Ade, tu abbia tutto questo da dire in tua difesa davanti ai reggitori di laggiù. Perché come qui in terra non sembra che fuggire sia per te cosa più profittevole che restare, né più giusta né più santa, e nemmeno per alcun altro de’ tuoi amici e congiunti; così neanche laggiù, appena tu vi giunga, potrà certo recarti un profitto migliore. E ora dunque tu te ne vai nell’Ade, se così risolvi, ingiustamente offeso, è [c] vero ma non da noi offeso, dalle leggi, bensì dagli uomini: che se invece fuggirai di qui così ignominiosamente, ricambiando ingiustizia per ingiustizia e male per male, venendo meno ai patti e agli accordi che avevi con noi, e facendo male proprio a coloro cui meno si dovrebbe, cioè a te stesso e ai tuoi cari e alla patria e a noi, né noi lasceremo di affliggerti finché tu viva, né colà le nostre sorelle, le leggi dell’Ade, ti accoglieranno benevolmente, sapendo che anche noi tentasti distruggere per quanto era in te. Ebbene, che non riesca Critone a persuaderti di fare ciò [d] ch’egli dice, più che non riusciamo a persuaderti noi".

XVII. Queste sono, tu lo sai, o mio dolce amico Critone, le parole che mi sembra di udire, allo stesso modo che ai seguaci dei Coribanti sembra di udire il suono dei flauti e dentro di me risuona tuttavia l’eco di questi ragionamenti, e m’empie così del suo murmure ch’io non posso altre parole ascoltare. E anzi sappi, per quello almeno che ora mi pare, che se alcuna cosa vorrai dire in contrario, dirai invano. Comunque, se credi di potermi tuttavia persuadere, parla. CRIT. Oh, mio Socrate, io non ho nulla da dire! SOCR. E allora lascia, o Critone; e andiamo per [e] questa via; ché questa è la via per cui ci conduce Iddio.