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Michail Aleksandrovič Bakunin (Tver', 30 maggio 1814, 18 maggio del
calendario giuliano – Berna, 1º luglio 1876), è stato un
rivoluzionario, filosofo e anarchico russo, considerato uno dei
padri fondatori dell'anarchismo moderno. Autore di molti scritti,
tra i quali Stato e anarchia e L'impero knouto-germanico.
Biografia
Bakunin nacque nel piccolo villaggio di Prjamuchino, presso Tver'.
Figlio di nobili proprietari terrieri, frequentò la scuola di
artiglieria di Pietroburgo. Prima a Mosca e poi a Dresda, si
appassionò alla filosofia e in particolare agli scritti di
Schelling e Hegel. L'evento che cambiò la sua vita fu
però l'insurrezione di Dresda del 1849, o sollevazione di
maggio, un evento afferente alla primavera dei popoli, durante la
quale gli fu compagno di lotta Wagner. Catturato dalle truppe
tedesche, il 14 gennaio 1850 fu condannato alla pena di morte,
commutata in ergastolo. Nel 1851 fu trasferito nella fortezza di
Pietro e Paolo, in Russia. Ivi, su richiesta del conte Orlov,
scrisse una confessione allo zar Nicola I. Nel 1857, la pena fu
commutata in esilio a vita in Siberia. Da qui riuscì a
scappare, attraverso il Giappone e gli Stati Uniti, nel 1861.
Nel 1865 iniziò il suo soggiorno a Napoli, dove fondò
il giornale "Libertà e giustizia" e organizzò la
sezione del movimento denominato Lega Internazionale dei Lavoratori.
Sono di questo periodo gli articoli contro la visione statalista di
Mazzini, suo grande avversario. Sempre nel 1868, partecipò al
primo congresso della Lega per la Pace e la Libertà,
illudendosi che il socialismo rivoluzionario avrebbe fatto breccia
nell'associazione. Il 25 settembre del 1868, la fazione dei
socialisti rivoluzionari si scisse dalla lega per la pace e la
libertà, aggregandosi all'Associazione Internazionale dei
Lavoratori. Nel 1870 fu espulso dall'Associazione per essersi
dichiarato solidale con la sezione del Giura che si era fatta
simbolo dei contrasti tra autoritari e anti-autoritari. Durante la
guerra franco-prussiana, nel 1871 tentò di fomentare una
sommossa popolare a Lione. Nel 1872, a Saint-Imier,
organizzò, con le sezioni "ribelli" dell'Internazionale, il
primo congresso dell'Internazionale anti-autoritaria. Nel 1873
scrisse la sua unica opera completa, Stato e anarchia.
Morì il 1º luglio 1876.
Il pensiero
«E' sulla finzione di questa pretesa rappresentanza del popolo
e sul fatto concreto del governo delle masse popolari da parte di un
pugno insignificante di privilegiati, eletti o no dalle moltitudini
costrette alle elezioni e che non sanno neanche perché e per
chi votano; è sopra questa concezione astratta e fittizia di
ciò che s'immagina essere pensiero e volontà di tutto
il popolo, e della quale il popolo reale e vivente non ha la
più pallida idea, che sono basate in ugual misura e la teoria
dello Stato e la teoria della cosiddetta dittatura
rivoluzionaria.»
(Michail A. Bakunin, Stato e anarchia, pag.162-163.)
In apparenza asistematico, il pensiero di Bakunin ruota attorno a
due idee fondamentali, quella di natura (come materia) e quella di
libertà. La natura è per lui la sintesi di vita,
solidarietà, causalità portati
all'universalità; essa, quindi, unisce l'inorganico,
l'organico e il vivente, con l'uomo al suo vertice. Nel 1871 in Il
sistema del mondo egli scrive che: "La Causalità universale,
la Natura, crea i mondi. Essa ha determinato la configurazione
meccanica, fisica, chimica, geologica e geografica della nostra
terra e, dopo avere rivestito la sua superficie di tutti gli
splendori della vita vegetale e animale, continua a creare, nel
mondo umano, la società con tutti i suoi sviluppi passati,
presenti e futuri" (Considerazioni filosofiche, La Baronata, Carrara
2000, p. 17).
Il materialismo di Bakunin è monistico e deterministico, egli
ha dell'universo una concezione armonicistica e unitaria, secondo la
quale tutto si concatena e progredisce insieme, dove le leggi che
governano la materia bruta sono armonizzate con quelle che
promuovono lo sviluppo dello spirito umano. E quindi ne deriva che:
"Le leggi dell'equilibrio, della combinazione e dell'azione
reciproca delle forze e del movimento meccanico; le leggi del peso,
del calore, della vibrazione dei corpi, della luce,
dell'elettricità, come quelle della composizione e
scomposizione chimica dei corpi, sono assolutamente inerenti a tutte
le cose che esistono, comprese le diverse manifestazioni del
sentimento, della volontà e dello spirito. Queste tre cose,
costituenti propriamente il mondo ideale dell'uomo, non sono che
funzioni totalmente materiali della materia organizzata e viva, nel
corpo dell'animale in generale e in quello dell'animale umano in
particolare. Di conseguenza, tutte queste leggi sono leggi generali,
a cui sono sottomessi tutti gli ordini conosciuti e ignoti
dell'esistenza reale del mondo" (cit. p. 18).
Questo determinismo radicale contrasta ed è parzialmente
incoerente con un'idea di libertà umana che appare simile a
quella degli Stoici, una libertà di fare ciò che
è già scritto nel destino delle leggi della materia.
Perciò Bakunin incoerentemente "stacca" l'uomo" dalla cieca
natura in base al fatto che l'uomo "ha bisogno di conoscere", e
allora da questo bisogno nasce un'istanza di libertà. L'uomo
nasce e vive nel bisogno, in quanto animale, ma in quanto essere
pensante è libero di progredire indipendentemente dalla
natura materiale che lo fonda. La spinta intima a voler conoscere
sé e il mondo fa dell'uomo, necessitato per natura, un essere
che si fa libero di determinare il proprio destino.
Il massimo della libertà umana sta nel fare la rivoluzione e
cambiare il sistema umano ingiusto che si è determinato nella
storia passata. La libertà dalle contingenze e dagli abusi
è il bene supremo che il rivoluzionario deve cercare a
qualunque costo, e Bakunin dice allora: "l'uomo [...] deve conoscere
tutte le cause della propria esistenza e della propria evoluzione,
affinché possa comprendere la propria natura e la propria
missione...". L'uomo quindi ha una missione da compiere, e tale
missione, non potendo per un materialista essere Dio ad
affidargliela, non può che essere la Natura.
La Natura però è a sua volta necessitata dalle leggi
fisiche, e perciò non libera. Ma Bakunin sorvola su tutti
questi problemi e incoerenze, concludendo che ciò è
possibile per l'uomo nuovo e rivoluzionario: "Affinché, in
questo mondo di cieca fatalità, egli possa inaugurare il
mondo umano, il mondo della libertà". Se sul piano filosofico
le manchevolezze sono evidenti Bakunin trova una certa coerenza
spostandosi sul piano sociologico, sulla base del principio di
natura e negativo per cui: "Nel mondo naturale i forti vivono e i
deboli soccombono, e i primi vivono solo perché gli altri
soccombono" (cit. p. 29).
Nella guerra crudele dei forti per dominare e per sfruttare i deboli
l'uomo giusto, il rivoluzionario, ha la "missione" inderogabile di
cambiare le cose e controbilanciare l'arroganza dei forti e dei
potenti. Il mondo della libertà umana è perciò
un mondo basato sull'eguaglianza, che è la condizione prima
di ogni umanità armonica e giusta. La libertà dal
bisogno è infatti irrealizzabile senza l'uguaglianza di fatto
(uguaglianza sociale, politica, ma soprattutto economica). I
fenomeni che spingono gli uomini all'ineguaglianza e alla
schiavitù sono due: lo Stato e il Capitale. Abbattuti questi,
grazie a una rivoluzione strettamente popolare, si giunge
all'Anarchia, ma essa è foriera di un nuovo ordine sociale
più avanzato, senza classi.
Ma per conseguire la libertà dai ciechi meccanismi della
natura bisogna "agire". L'azione diventa perciò per Bakunin
il corrispettivo umano del movimento degli enti e dei sistemi fisici
e biologici. Il produrre progresso e il fare giustizia nel mondo
umano è il progetto attivistico che viene proposto anche in
queste parole: "La natura intima o la sostanza di una cosa non si
conosce soltanto dalla somma o dalla combinazione di tutte le cause
che l'hanno prodotta, si conosce ugualmente dalla somma delle sue
diverse manifestazioni o da tutte le azioni che essa esercita
all'esterno. Ogni cosa è ciò che fa [...] il suo agire
e il suo essere sono tutt'uno" (cit. p. 143).
L'uomo può divenire il campione dell'azione etica di cambiare
il mondo per renderlo più giusto ed equo. Però, per
arrivare a questo, non è sufficiente solo pensare bene e
proporre idee innovative e giuste: bisogna agire. Ma agire significa
anche produrre il nuovo: "Siccome ogni cosa in tutta
l'integrità del suo essere non è altro che un
prodotto, le sue proprietà o i suoi diversi modi di azione
sul mondo esterno, che come abbiamo visto costituiscono tutto il suo
essere, sono anch'essi necessariamente dei prodotti" (cit., p. 150).
L'uomo di Bakunin, agendo, produce ciò che intende diventare,
e ciò che l'uomo è e sarà è il
"prodotto" del suo agire nel rimodellare un mondo dominato da una
cieca necessità che produce ingiustizia. L'uomo può
quindi prendere il posto di un Dio che non esiste, e "ricreare" un
mondo migliore secondo la sua volontà.
Lo Stato e il Capitale
La dottrina dello Stato di Bakunin è ciò che
differenzia, fin dalla loro formazione, le due correnti del
socialismo ottocentesco e novecentesco. Lo Stato, secondo entrambe
le fazioni, è l'insieme degli organi polizieschi, militari,
finanziari ed ecclesiastici che permettono alla classe dominante (la
borghesia) di perpetuare i suoi privilegi. La differenza sta
nell'utilizzo dello Stato durante il periodo rivoluzionario. Per i
marxisti, infatti, vi è una fase del processo rivoluzionario
in cui lo Stato è nelle mani del proletariato che lo usa per
eliminare la controrivoluzione. Solo dopo tale fase, si avrà
la dissoluzione dell'apparato statale, ormai privo della sua
funzione, e si potrà giungere a una società priva di
classi sociali. Secondo Bakunin (e secondo tutti gli anarchici)
invece lo Stato in quanto strumento della borghesia non può
che essere usato contro il proletariato. Non essendo infatti
possibile che l'intera classe sfruttata amministri l'infrastruttura
statale, ci vorrà una classe burocratica ad hoc.
Bakunin temeva l'inevitabile formazione di una "burocrazia rossa",
padrona dello Stato e nuova dominatrice. L'uguaglianza e quindi la
libertà, secondo il pensatore russo, non possono esistere
nella società marxista. Lo Stato va quindi abbattuto in fase
rivoluzionaria. Se lo Stato è l'aspetto politico dello
sfruttamento della borghesia, il Capitale ne è quello
economico. Qui le differenze dal Marxismo sono inesistenti (basti
pensare che il primo libro de Il Capitale fu tradotto in Russo
proprio da Bakunin). La differenza tra la concezione marxiana e
quella bakuniniana del Capitale, è che per Bakunin questo non
è elemento fondante dello sfruttamento. Anche se non
esplicitato, nella sua opera non viene fatto riferimento alcuno alla
concezione materialistica della storia (che prevede l'aspetto
economico della società come basilare per l'analisi della
stessa).
La rivoluzione
Un aspetto importante del pensiero di Bakunin è l'azione
rivoluzionaria. Bakunin ha perseguito per tutta la vita questo scopo
e, in alcune parti della sua opera, sono rintracciabili le linee
guida della concezione rivoluzionaria del pensatore russo. In primo
luogo la rivoluzione deve essere essenzialmente popolare: il senso
di questa affermazione va ricercato ancora nel contrasto con Marx. I
comunisti credevano in un'avanguardia che dovesse guidare le masse
popolari attraverso il cammino rivoluzionario. Bakunin invece
prevedeva una società segreta che avrebbe dovuto solamente
sobillare la rivolta, la quale poi si sarebbe auto-organizzata dal
basso.
Altra differenza con il marxismo è l'identificazione del
soggetto rivoluzionario. Se Marx vedeva nel proletariato industriale
la spina dorsale della rivoluzione (mettendolo in contrapposizione
con una classe agricola reazionaria), Bakunin credeva che l'unione
tra il ceto contadino e il proletariato fosse l'unica
possibilità rivoluzionaria. Marx, in alcuni suoi scritti, non
nega la possibilità che il trionfo del proletariato possa
giungere senza spargimenti di sangue. Bakunin è invece
categorico su questo punto: la rivoluzione, essendo spontanea e
popolare, non può essere altro che violenta.
L'anarchia
Bakunin ha preferito non affrontare approfonditamente il problema
del dopo rivoluzione, limitandosi a dare qualche idea di fondo. Se
avesse dato indicazioni precise sul funzionamento delle
società anarchiche, infatti, avrebbe negato la
necessità di autodeterminazione delle stesse. Innanzitutto,
la dottrina anarchica di Bakunin è basata sull'assenza dello
sfruttamento e del governo dell'uomo sull'uomo. La produzione
industriale e agricola è fondata non più sull'azienda,
ma sulle libere associazioni, composte, amministrate e autogestite
dai lavoratori stessi attraverso le assemblee plenarie. L'aspetto
della partecipazione diretta del popolo alla politica, ripresa dal
pensiero di Proudhon, è fondata sul cosiddetto federalismo
libertario, teoria che prevede una scala di assemblee organizzate
dal basso verso l'alto, dalla periferia al centro.
La differenza fondamentale tra l'organizzazione anarchica voluta da
Bakunin e una concezione autoritaria della società consiste
nella direzione delle decisioni. Se dieci libere associazioni
(fabbriche, unità territoriali, ecc) sono federate in
un'associazione più grande, quest'ultima non può
imporre nulla alle associazioni-membro, in nessun caso. Sono i
membri delle associazioni più piccole che, riunendosi
assieme, possono decidere forme di collaborazione e di reciproco
aiuto, quindi il processo decisionale va dal basso all'alto.
Naturalmente Bakunin non è contrario in senso assoluto alla
delega, perciò le assemblee delle federazioni non devono
necessariamente essere plenarie; ma il mandato è sempre
revocabile e il mandatario deve obbedire all'assemblea che lo ha
nominato.
Il maestro comune di una generazione di rivoluzionari: Hegel
Alla morte di Bakunin risulta molto significativa una lettera che
Friedrich Engels inviò a Charles Rapaport nella quale il
filosofo, dopo aver sintetizzato gli elementi che distinguevano il
suo pensiero (e quello di Marx) da quello di Bakunin, con cui aveva
polemizzato per mezzo secolo senza cedimento alcuno, alla fine
concludeva con queste parole: «Ma bisogna rispettarlo - ha
capito Hegel». Il filosofo tedesco infatti è stato la
sorgente a cui ha attinto un'intera generazione di rivoluzionari che
attraverso la negazione della negazione hanno dato del filo da
torcere alle nuove classi dominanti e al sistema di gestione
dell'economia capitalistica proponendo l'alternativa di una
società a direzione anarco-comunista. Engels era consapevole
dell'importanza di Hegel e per questo motivo,nonostante le
divergenze, vedeva in Bakunin un interlocutore rispettabile.
Stato e anarchia - Analisi critica
Il testo
Questo è il testo più noto di Bakunin, in cui egli
espone la sua posizione rispetto al mondo a lui contemporaneo:
l'Europa della fine dell'Ottocento, dal punto di vista di un
pensatore russo e anarchico. Della Russia traspare l'interesse alle
sorti del mondo slavo e la preoccupazione della contrapposizione tra
pangermanesimo e panslavismo. Ma il suo interesse è rivolto
generalmente a tutto il mondo, con particolare attenzione a quella
Europa in fermento sociale. I movimenti operai, l'Internazionale e
la Rivoluzione sociale incombente sono le condizioni storiche e
sociali che fanno da contorno alla sua visione dello Stato. Il testo
in sé non ha una struttura individuabile, ma si presenta come
una lunga serie di dissertazioni concatenate tra loro, sui
più svariati argomenti di storia, politica, riflessione
sociale e filosofia, oltre che di polemica con i marxisti e contro
tutte le istituzioni esercitanti una qualche autorità. In
questo discorso si manifesta l'anarchia come modello sociale ideale
ma, come ogni dottrina politica votata alla azione, considerato
veramente realizzabile.
In sostanza questo testo può essere visto come una sorta di
breviario di “epistemi”, una fonte di slogan e concetti forti
espressi all'interno di un discorso sullo Stato come fonte di
oppressione, un manuale del rivoluzionario anarchico che trova buona
parte della sua forza persuasiva nella sua struttura anch'essa
anarchica, senza divisione in capitoli e ragionata come un flusso di
coscienza, di cui l'argomento ricorrente è lo Stato
oppressore e la necessità da parte del proletariato di
liberarsene.
La concezione dello Stato
«Insomma lo Stato da una parte e la Rivoluzione Sociale
dall'altra, tali sono i due poli il cui antagonismo rappresenta
l'essenza stessa della attuale vita pubblica in tutta
l'Europa»
(M. Bakunin, Stato e anarchia, Feltrinelli, Milano 1968, p. 32)
In questo passaggio è chiara la posizione che Bakunin assume
nei confronti dello Stato il quale se non verrà abolito non
ha alcuna via di scampo che di instaurarsi "nella sua forma
più sincera oggi possibile, e cioè sotto la forma
della dittatura militare o di un regime imperiale" (ibidem).
Ossia, nel momento storico di grande fermento sociale e di
esperienze rivoluzionarie da poco passate e destinate a
ripresentarsi l'indomani della Grande guerra, la lotta tra bene e
male è la lotta tra l'istituzione statale e quindi lo spirito
reazionario della classe borghese e la Rivoluzione, strumento della
classe proletaria oppressa. Lo Stato in quanto tale e solo
perché emanazione e strumento dell'esercizio di una
autorità è la fonte della dominazione che la borghesia
perpetra ai danni del popolo, difendendo la disparità sociale
e la divisione del lavoro, in cui il vero sforzo è sostenuto
dal proletariato e di cui i profitti sono intascati dai padroni, in
cui l'autorità, per mezzo della violenza, è esercitata
sempre da una classe a dispetto dell'altra in ogni campo, anche
grazie alla cultura, mal distribuita ugualmente e utilizzando
giustificazioni di ogni sorta, morali tra le più disparate[3]
per ottenere sempre lo stesso risultato anche nello stato
repubblicano. Infatti dice ancora Bakunin:
«Nessuno stato, per quanto democratiche siano le sue forme,
foss'anche la repubblica politica più rossa, popolare solo
nel suo falso significato noto con il nome di rappresentanza del
popolo, sarà mai in grado di dare al popolo quello che vuole,
e cioè la libera organizzazione dei suoi interessi dal basso
in alto, senza nessuna ingerenza, tutela o violenza dall'alto,
perché ogni Stato, anche lo stato pseudo-popolare ideato dal
signor Marx, non rappresenta in sostanza nient'altro che il governo
della massa dall'alto in basso da parte della minoranza
intellettuale, vale a dire quella più privilegiata, la quale
pretende di sentire gli interessi ideali del popolo più del
popolo stesso»
È forse questo un passaggio tra i più originali
dell'autore, che si scaglia, prima ancora che contro la
disparità economica, contro la cultura alta, contro
l'idealismo di cui continuano dopotutto a essere figlie le teorie di
Marx ed Engels, ma anche un altro noto pensatore della
socialdemocrazia tedesca, Wilhelm Liebknecht, dei quali, oltretutto
è messa in evidenza la sostanziale corrispondenza di
interessi con lo Stato autoritario e al limite con il nazionalismo,
nella partecipazione alla vita politica del Reich tramite le forme
classiche del partito politico (il partito socialdemocratico,
appunto) "partito niente affatto popolare dato che per tendenze,
finalità e mezzi di lotta è un partito puramente
borghese" (ibidem, p. 65).
La polemica con i marxisti toccò direttamente lo stesso Marx,
di cui troviamo una serie di appunti proprio intorno a questo testo
e nei quali è possibile notare la forte distanza tra due
visioni che si interessano del potere da prospettive contrapposte:
per Marx l'inizio della rivoluzione sociale avviene con la
distruzione delle condizioni economiche del capitalismo, padre di
ogni disparità di classe, mentre Bakunin è preoccupato
delle conseguenze più immediate di una rivoluzione
finalizzata al dominio da parte del proletariato di tutta la
società, poiché ogni sottomissione a uno Stato non
cambierebbe la condizione del proletariato, che continuerebbe a
essere dominato Un altro punto fondamentale riguardo allo Stato
è:
«lo Stato significa violenza, dominazione mediante la
violenza»
In questo breve passaggio, che sembra poter davvero assumere la
forma dello slogan, si ritrova quello che è un concetto che
ritornerà più volte nella teoria politica di molte
epoche, non da ultimo la teoria giuridica, in cui lo Stato è
visto come l'unico autorizzato all'esercizio legittimo della forza.
Marx, sempre attivo nel polemizzare con Bakunin, lesse un suo
opuscoletto ("Stato e anarchia"), e vi scrisse dei commenti. Eccone
uno stralcio:
Bakunin: «Il suffragio universale tramite il quale il popolo
intero elegge i suoi rappresentanti e i governanti dello Stato -
questa è l'ultima parola dei marxisti e della scuola
democratica. Tutte queste sono menzogne che nascondono il dispotismo
di una minoranza che detiene il governo, menzogne tanto più
pericolose in quanto questa minoranza si presenta come espressione
della cosiddetta volontà popolare»
Marx: «Con la collettivizzazione della proprietà, la
cosiddetta volontà popolare scompare per lasciare spazio alla
volontà reale dell'ente cooperativo»
Bakunin: «Risultato: il dominio esercitato sulla grande
maggioranza del popolo da parte di una minoranza di privilegiati.
Ma, dicono i marxisti, questa minoranza sarà costituita da
lavoratori. Si, certo, ma da ex lavoratori che, una volta diventati
rappresentanti o governanti del popolo, cessano di essere
lavoratori»
Marx: «Non più di quanto un industriale oggi cessi di
essere un capitalista quando diventa membro del consiglio
comunale»
Bakunin: «E dall'alto dei vertici dello Stato cominciano a
guardare con disprezzo il mondo comune dei lavoratori. Da quel punto
in poi non rappresentano più il popolo, ma solo se stessi e
le proprie pretese di governare il popolo. Chi mette in dubbio
ciò dimostra di non conoscere per niente la natura
umana»
Marx: «Se solo il signor Bakunin avesse la minima
familiarità anche solo con la posizione di un dirigente di
una cooperativa di lavoratori, butterebbe alle ortiche tutti i suoi
incubi sull'autorità»
L'anarchia
Dato che ogni forma di Stato è una forma di dominio di classe
(non importa quale sia la classe, borghesia, aristocrazia
dell'intelletto o monarchia o quant'altro) viene spontaneo da
chiedersi, quale sia allora la società ideale per Bakunin. In
genere il suo interesse è per una forma di autogoverno, una
amministrazione di se stessi e della società che vada dal
basso verso l'alto nella convinzione che solo in questo modo si
possa dare libertà al popolo di decidere veramente per se
stesso che cosa sia meglio, essendo il popolo l'unico in grado di
sapere veramente che cosa sia questo meglio. Tuttavia non è
assente un progetto politico di organizzazione della società
che sia alternativa allo Stato:
«Innanzitutto l'abolizione della miseria, della
povertà, e la completa soddisfazione di tutte le
necessità materiali per mezzo del lavoro collettivo,
obbligatorio e uguale per tutti; e poi l'abolizione dei padroni e
d'ogni specie di autorità, la libera organizzazione della
vita, del paese in relazione alle necessità del popolo, non
dall'alto in basso secondo l'esempio dello Stato, ma dal basso in
alto, curata dal popolo stesso al di fuori di ogni governo e dei
parlamenti; la libera unione delle associazioni dei lavoratori della
terra e delle fabbriche, dei comuni, delle province, delle nazioni;
e infine in un domani non lontano, la fraternità di tutta
l'umanità trionfante sulla rovina di tutti gli Stati»
(M. Bakunin, Stato e anarchia, Feltrinelli, Milano 1968, p. 45)
Come giustificare la presenza di un obbligo per tutti di lavorare
senza una autorità garante? Un modo per risolvere la
apparente contraddizione è quello di considerare la visione
di Bakunin nell'ottica del populismo, che aveva buon seguito nella
Russia di quegli anni, grazie al quale Il Capitale di Marx
entrò in quel paese a soli 5 anni dalla sua prima edizione in
Germania.[5] Del populismo, Bakunin sembra condividere l'esaltazione
della vita dei contadini, della loro superiorità rispetto al
proletariato urbano più corrotto e interessato
all'accentramento sul modello statalista. Il contadino in definitiva
ignorante e puro, che vive nella Mir, comunità agricola
tipica della Russia, che si può immaginare ancora come una
"Gemeinschaft", dalla quale possa poi emanare quell'autorità
necessaria a garantire l'obbligatorietà del lavoro, che
è lavoro manuale, per tutti. Oppure bisogna ipotizzare che
per Bakunin l'uomo sia naturalmente buono, non aggressivo e viva di
imperativi categorici. Questa seconda visione non sembra
condivisibile tenendo soprattutto conto della sua visione della
Rivoluzione Sociale (vedi di seguito). A chiarire il problema
interviene bene quest'altro passaggio:
«Non abbiamo l'intenzione né la minima velleità
di imporre al nostro popolo oppure a qualunque altro popolo, un
qualsiasi ideale di organizzazione sociale tratto dai libri o
inventato da noi stessi ma, persuasi che le masse popolari portano
in se stesse, negli istinti più o meno sviluppati della loro
storia, nelle loro necessità quotidiane e nelle loro
aspirazioni coscienti o inconsce, tutti gli elementi della loro
futura organizzazione naturale, noi cerchiamo questo ideale nel
popolo stesso; e siccome ogni potere di Stato, ogni governo, per la
sua medesima essenza e per la sua posizione fuori del popolo o sopra
di esso, deve necessariamente mirare a subordinarlo a una
organizzazione e a fini che gli sono estranei noi ci dichiariamo
nemici di ogni governo, di ogni potere di Stato, nemici di una
organizzazione di Stato in generale e siamo convinti che il popolo
potrà essere felice e libero solo quando organizzandosi dal
basso in alto per mezzo di organizzazioni indipendenti assolutamente
libere e al di fuori di ogni tutela ufficiale, ma non fuori delle
influenze diverse e ugualmente libere di uomini e di partiti,
creerà esso stesso la propria vita.»
(M. Bakunin, Stato e anarchia, Feltrinelli, Milano 1968, p. 167-168)
Critiche
Bakunin è stato accusato di essere un autoritario criptico.
Nella sua lettera a Albert Richard, scrisse che "esiste un unico
potere e una dittatura la cui organizzazione è salutare e
flessibile: è quella dittatura collettiva e invisibile di
coloro che sono alleati nel nome del nostro principio". Tuttavia, i
seguaci di Bakunin affermano che questa "dittatura invisibile" sia
usata in senso metaforico e non sia una dittatura nel senso
convenzionale della parola. Bakunin fu infatti attento nel precisare
che i suoi membri non avrebbero esercitato alcun potere politico
ufficiale: "questa dittatura sarà molto più salutare
ed efficace non essendo abbigliata da alcun potere ufficiale o
personaggio intrinseco".
Lo storico anarchico Max Nettlau descrive il panslavismo di Bakunin
come il risultato di una psicosi nazionalista dalla quale pochi sono
esenti.
Rivoluzionario e attivista durante le sollevazioni in seno alla
primavera dei popoli, in seguito della rivolta di Dresda del maggio
1849, Bakunin venne arrestato, internato prima nella fortezza di
Pietro e Paolo di San Pietroburgo, e poi trasferito in Siberia,
riuscendo a fuggire nel 1861. La pubblicazione di Confessione del
1851, scritta, o estorta, come facilmente si può intuire,
nella prima parte dei suoi dodici anni di prigionia zarista, venne
usata per attaccare Bakunin poiché in tale testo egli
chiedeva grazia all'Imperatore per i suoi peccati e lo supplicava di
porsi a guida degli slavi sia come padre sia come redentore.
Bakunin era un convinto oppositore del potere economico in mano a
famiglie di tradizione ebraica, e ciò gli ha procurato accuse
di antisemitismo. Bakunin fece uso di questi suoi sentimenti nel
dibattito con Karl Marx; affermò infatti che il comunismo
Marxiano, insieme ai cartelli bancari internazionali associati con
la famiglia Rothschild, fosse parte di un'organizzazione ebraica di
sfruttamento globale:
"Questo mondo ebraico, consistente in un'unica setta sfruttatrice,
una razza di persone succhia sangue, un genere di parassita
collettivo distruttore organico, che va non solo oltre le frontiere
degli Stati, ma [anche] dell'opinione politica, questo mondo
è ora, perlomeno in buona parte, al servizio di Marx da una
parte, e dei Rotschild dall'altra...ciò potrebbe sembrare
strano. Cosa può esservi in comune tra il socialismo e una
banca centrale? Il punto è che il socialismo autoritario, il
comunismo Marxista, richiede una forte centralizzazione dello stato.
E dove c'è la centralizzazione dello Stato deve esserci
necessariamente una banca centrale, e dove tale banca esiste,
potrà essere trovata la parassitaria nazione ebraica,
nell'atto di speculare sul Lavoro del popolo".
L'antisemitismo di Bakunin potrebbe a sua volta derivare da quello
di Proudhon, considerando la notevole influenza che il pensatore
francese esercitò su Bakunin.