2. Il cervello limbico dell'uomo e le psicosi

 

Penso che sia opportuno, in questo secondo capitolo, fare una deviazione per esplorare il terreno vulcanico di una delle regioni di frontiera del cervello. Lo scopo di tale esplorazione è quello di sondare la possibilità che le esplosioni che si verificano nella porzione ippocampale del cervello limbico siano la causa di alcuni dei tipi di trasformazioni radicali che si verificano nelle psicosi endogene e tossiche.

In particolare indagheremo sulla possibilità che le esplosioni di questa parte del cervello limbico provochino 1) disturbi dell'emozione e dell'umore; 2) sentimenti di depersonalizzazione; 3) distorsioni della percezione; e 4) sintomi di paranoia. L'opportunità di questa esplorazione apparirà in modo evidente quando ci soffermeremo lungo il nostro cammino per esaminare alcune delle proprietà chimiche del cervello limbico alla luce delle ipotesi secondo le quali i disordini del metabolismo delle catecolamine (si vedano per esempio Bunney e Davis 1965; Schildkraut 1965) e della serotonina (Gaddum 1953; Woolley e Shaw 1954) avrebbero un ruolo nella genesi delle psicosi. Questa indagine risulta ancora più opportuna se si considera l'uso diffuso e allarmante delle droghe psichedeliche e se ci si rende conto che gli agenti allucinogeni possono scatenare le psicosi. Tali sostanze, fra le altre loro possibili azioni, interferiscono con il metabolismo delle ammine cerebrali, ed è stato riferito che singole dosi di Lsd hanno provocato la comparsa di sintomi psicotici ricorrenti in individui che non presentavano segni di personalità prepsicotica.

Il nostro punto di partenza per questa spedizione è il terreno coperto nel capitolo precedente. Per ricollegarci a esso, ripercorriamo rapidamente alcune delle tappe fatte per arrivarci. È stato messo in evidenza il fatto che l'uomo e i mammiferi superiori hanno ereditato essenzialmente tre tipi di cervello (si veda la fig. 1 a p. 194). Dei tre, il più antico è un cervello fondamentalmente di rettile. Questo cervello rettiliano sembra avere una struttura stabilita geneticamente tale da guidare il comportamento sulla base di un apprendimento ancestrale e di una memoria ancestrale. Nel compiere le sue funzioni istintive ancestrali, esso è frenato in modo nevrotico, come lo era in passato, da un superio ancestrale.

Sovrapposta al cervello rettiliano si trova la corteccia primitiva del cervello dei mammiferi antichi, che presumibilmente rappresenta un tentativo della natura di fornire una «cuffia pensante» al cervello rettiliano e di emanciparlo così dal superio ancestrale. Il cervello di mammifero antico, che si ritrova come denominatore comune nel cervello di tutti i mammiferi (si veda la fig. 2, p. 200), è conosciuto anche come sistema limbico o cervello limbico. Per ultimo, nel corso dell'evoluzione, è comparso un nuovo tipo di cervello, che raggiunge il suo massimo sviluppo nell'uomo, fino a diventare il cervello capace di leggere, scrivere e far di conto. Nella spedizione che ci accingiamo a fare scopriremo ulteriori prove del fatto che la comunicazione reciproca fra questi tre tipi di cervello deve presentare particolari difficoltà a causa delle differenze chimiche e di anatomia funzionale che sussistono fra essi.

Per inquadrare meglio la discussione sulle funzioni elementari del sistema limbico, nel primo capitolo ho presentato uno schema semplificato dell'anatomia del cervello limbico (fig. 3), in cui sono indicate le tre regioni fondamentali nelle quali esso può venire suddiviso. Ho riassunto poi i dati dai quali risulta come la regione localizzata nella parte inferiore dell'anello limbico, che è in rapporto con l'amigdala, è in gran parte responsabile delle sensazioni emotive e del comportamento che assicurano l'autoconservazione, mentre al contrario la regione che è in rapporto con il setto ha a che fare con gli stati emotivi che predispongono alla socievolezza, alla procreazione e alla conservazione della specie. Nel terzo capitolo prenderò in considerazione le funzioni della regione che è in rapporto con la terza via di connessione; questa regione presenta nell'uomo una grande espansione e si collega funzionalmente con i lobi frontali.

Che il sistema limbico sia un sistema integrato, tanto dal punto di vista anatomico quanto da quello funzionale, viene drammaticamente dimostrato nel momento in cui si segue la propagazione delle scariche convulsive nell'ippocampo. L'ippocampo ha forse la soglia più bassa nei confronti delle convulsioni rispetto a qualsiasi altra struttura cerebrale (Green 1964). Se mediante la stimolazione elettrica viene indotta nell'ippocampo una scarica convulsiva, questa tende a diffondersi tutt'intorno, rimanendo comunque confinata nel sistema limbico (si veda per esempio MacLean 1957a). Gli impulsi dei neuroni che scaricano possono essere immaginati come bufali che si danno a una fuga selvaggia, ma non saltano la staccionata e non abbandonano il recinto del sistema limbico (MacLean 1958a). Niente è più convincente per dimostrare la dicotomia funzionale o schizofisiologia, come l'ho chiamata (1954, 1958a) dei sistemi limbico e neocorticale. A proposito di questa dicotomia funzionale, è significativo il fatto, sul quale torneremo, che i pazienti con una epilessia limbica latente possano manifestare vari sintomi di schizofrenia.

Prima di addentrarci nel campo delle psicosi, tuttavia, interromperemo la nostra spedizione metaforica per osservare alcune delle specificità chimiche che, come le caratteristiche anatomiche e fisiologiche già esaminate, servono a distinguere il cervello limbico da quello rettiliano e da quello dei mammiferi recenti.

Molti anni fa i Vogt (1953), presentando le prove a favore della loro teoria topistica, indicarono alcuni fatti da cui risultava che diverse parti dell'ippocampo avevano caratteristiche chimiche particolari. Negli ultimi quindici anni sono state fatte molte altre ricerche che hanno ulteriormente rafforzato la convinzione secondo la quale la formazione dell'ippocampo possiede proprietà chimiche specifiche. Come si può osservare nella figura 6, il dithizone, un agente chelante nei confronti dello zinco, colora fortemente il sistema di fibre muschiose (von Euler 1962; McLardy 1962), cosicché la parte dell'ippocampo che corrisponde alle aree CA4 e CA3 prende una colorazione rosso scuro intenso (Maske 1955; Fleischhauer e Horstmann 1957). Nel topo (fig. 6), la 3acetil piridina, che è un antimetabolita della niacina (vitamina antipellagra), distrugge selettivamente i neuroni di questa stessa regione (Coggeshall e MacLean 1958). Queste aree inoltre fanno parte di quelle zone del cervello che vengono danneggiate dalla metoxipiridossina (Purpura e GonzalezMonteagudo 1960), un antimetabolita della vitamina B6 che induce convulsioni, probabilmente perché interferisce con l'attività della glutammicodecarbossilasi, con conseguente riduzione dell'acido yamminobutirrico (meglio conosciuto con l'abbreviazione Gaba), che è un inibitore neurale (Glaser e Pincus 1969; Tower 1958).

Studi che usavano il metodo dell'autoradiografia (Flanigan, Gabrieli e MacLean 1957) hanno rivelato che la metionina viene assorbita in misura superiore al normale dalla formazione dell'ippocampo e da altre aree limbiche (fig. 7), e ciò fa supporre che nella corteccia limbica il turnover (ricambio) delle proteine sia più elevato che nella neocorteccia. Le tecniche autoradiografiche hanno anche indicato che il testosterone presenta un'affinità per molte strutture limbiche, compreso l'ippocampo (Altman e Das 1965; Pfaff 1968).

A questo punto si presenta l'interessante problema delle ammine biogene. In passato, quando venivano studiati campioni di aree diverse riuniti insieme, si pensava che la corteccia cerebrale e varie parti del tronco cerebrale contenessero quantità insignificanti di 5idrossitriptammina (serotonina). Ma quando cercammo questa ammina nelle diverse aree separatamente, ne trovammo quantità relativamente grandi nell'amigdala e nella corteccia piriforme soprastante, nel setto e nelle zone cellulari dell'ippocampo (Paasonen, MacLean e Giarman 1957). La quantità trovata nella regione dell'amigdala era paragonabile a quella rinvenuta nell'ipotalamo. La figura 8 riporta i valori ottenuti per la corteccia limbica superficiale e per la neocorteccia.

Per quanto riguarda le catecolamine, grazie a studi basati sul metodo autoradiografico (Csillik e Erulkar 1964; Reivich e Glowinski 1967) e sul metodo della fluorescenza (Fuxe 1965a), è stato scoperto che nello strato radiato dell'ippocampo esiste una notevole concentrazione di noradrenalina (si veda la fig. 9).

Questi dati sperimentali sono particolarmente interessanti in considerazione del fatto che i farmaci psicotropi e i tranquillanti, conosciuti per la loro capacità di alterare il metabolismo della serotonina e dei catecoli, inducono specifiche modificazioni elcttroencefalografiche nell'ippocampo. La figura 10 mostra la sequenza delle modificazioni che si verificano nel gatto in seguito alla somministrazione di reserpina.

Usando la colorazione di Koelle per la colinesterasi, Lewis e Shute (1967) hanno fornito tutta una serie di prove del fatto che nel ratto la via più importante che connette il setto con l'ipotalamo è di tipo «colinergico». Nel topo d'acqua, Girgis (1967) ha trovato una grande abbondanza di prodotti della colinesterasi sia nell'ippocampo sia nell'amigdala. La presenza congiunta del sistema colinergico e di quello adrenergico nel cervello limbico fa intravedere una certa analogia fra questo e il sistema nervoso autonomo periferico.

Le considerazioni che precedono richiamano alla mente il fatto che le tre più importanti categorie di farmaci psicomimetici (fig. 11) sono: 1) le alchilammine dell'indolo; 2) le fenilalchilammine; e 3) i farmaci che interferiscono con i meccanismi colinergici (Cohen 1967). Nell'Lsd, nel Dmt, nella bufotenina, nella psilocibina e nell'anilina è contenuto il nucleo indolieo della serotonina. Nella mescalina compare il nucleo fenilico dei catecoli quali la noradrenalina. Denckla ha fatto l'interessante osservazione che per ognuno dei tranquillanti esiste un composto con struttura chimica simile che ha un'azione allucinogena.

Più di recente Dewhurst (1968) ha criticato l'ipotesi (per esempio: Bunney e Davis 1965; Schildkraut 1965) secondo cui la fase maniacale delle psicosi maniacodepressive dipenderebbe da un eccesso di catecolamine cerebrali, mentre la fase depressiva dipenderebbe da una loro deficienza. Egli sottolinea il fatto che le catecolamine esercitano invariabilmente un'azione depressiva se sono somministrate in modo tale da poter superare la barriera ematoencefalica. Suggerisce quindi l'ipotesi alternativa secondo la quale il difetto starebbe nel metabolismo della triptamina, mostrando fra le altre cose che gli inibitori antidepressivi della monoamminaossidasi inducono primariamente un aumento della triptamina intracerebrale e che questa ammina ha un effetto eccitante sul cervello. Ernst, van Andel e Charbon (1961) hanno tuttavia riferito che la somministrazione di triptamina mediante inoculazione negli spazi subaracnoidei nei gatti produce catatonia e che la 5idrossitriptamina, che non produce mai catatonia, può avere un'azione antagonista contro questo effetto.

La triptamina supera facilmente la barriera ematocerebrale. Denckla e io stesso (osservazioni non pubblicate, 1969) abbiamo trovato che questa ammina, quando viene somministrata per via intraperitoneale alle scimmie scoiattolo, produce uno stato evidente di sonnolenza e catatonia che dura per circa trenta minuti. La 5idrossitriptamina esercita un'azione analoga, ma più prolungata, dato che gli effetti persistono dalle cinque alle sei ore (Gelhard, PerezCruet e Gessa 1971). Oggi è disponibile una forma altamente purificata di triptammina; ci proponiamo quindi di verificare se la sua somministrazione intracerebrale produca catatonia o eccitamento. (È stato trovato, come ci si poteva aspettare, che la somministrazione intracerebrale di triptammina purificata nella scimmia scoiattolo provocava lo stesso tipo di sintomi (compresa la dilatazione pupillare) ottenuti con le iniezioni intraperitoneali. La noradrenalina somministrata per via intracerebrale in dosi che andavano dai 50 ai 500 ug non provocava alcun segno di eccitazione; dosi più alte sembravano produrre uno stato di quiete. Saavedra e Axelrod hanno riferito in un conciso articolo di «Science» (1972) che nel cervello di ratto è normalmente presente la triptammina e che sia nel cervello del ratto sia in quello dell'uomo si trova un enzima che la trasforma in dimetiltriptammina (una sostanza che ha una potente azione psichedelica).)

Van Andel ed Ernst (1961) hanno osservato che la catatonia prodotta dalla triptamina può essere evitata somministrando eserina. Essi suppongono che la triptamina agisca come inibitore specifico della 5idrossitriptamina in alcuni recettori, bloccando una funzione che «tende a rafforzare alcune azioni dell'acetilcolina sul sistema nervoso centrale».

Sulla base della mia esperienza di stimolazione chimica del cervello, non sono incline a sostenere l'ipotesi dell'azione eccitante dell'adrenalina. In esperimenti sui gatti, nei quali collocai noradrenalina (in forma solida) nella formazione reticolare del mesencefalo e in altre strutture, non notai mai una sia pur minima modificazione dell'elettroencefalogramma o del comportamento (MacLean 1975b; osservazioni non pubblicate 1957). Al contrario, se si collocavano sostanze colinergiche nel terzo ventricolo o nella materia grigia in prossimità dell'acquedotto, si provocava uno stato di eccitazione profonda e un comportamento «allucinatorio» di rabbia (MacLean 1957b). È interessante che Fuxe (1965b) trovi un'alta densità di terminazioni catecolamminergiche nell'ipotalamo dorsomediale e nella regione preottica mediale, strutture nelle quali la stimolazione elettrica induce effetti parasimpatici quali l'erezione del pene e il rallentamento cardiaco. È possibile che la noradrenalina abbia in queste strutture una funzione di regolazione dei meccanismi colinergici?

I sintomi dei pazienti affetti da epilessia psicomotoria, così come i sintomi di natura psicotica, forniscono la prova più convincente che la corteccia limbica è coinvolta nella produzione degli stati emotivi. Le strutture della parte inferiore dell'anello sono particolarmente esposte all'ischemia al momento della nascita, come anche alle infezioni e alle lesioni della testa. Il virus dell'herpes simplex, per esempio, ha una predilezione per l'ippocampo e per altre aree limbiche (Drachman e Adams 1962; Glaser, Solitare e Manuelidis 1964), e questo è un altro modo per indicare che il sistema limbico ha proprietà chimiche specifiche. Lesioni irritative nella corteccia limbica o nelle sue vicinanze in quella parte dell'anello provocano scariche epilettiche accompagnate da sensazioni emotive le quali, in condizioni normali, sono importanti per la sopravvivenza. Come ho ricordato nel capitolo precedente, queste sensazioni comprendono il terrore, la paura, il presentimento, la familiarità, l'estraneità, la fantasia, la tristezza e i sentimenti di tipo paranoide.

Scariche convulsive nella corteccia limbica basale o nelle sue vicinanze possono produrre anche sentimenti di de personalizzazione, o ciò che Hughlings Jackson (Jackson e Stewart 1899) chiamava «diplopia mentale», per cui ci si sente come se si stesse osservando se stessi e ciò che ci accade intorno da una grande distanza: questo è un sintomo particolarmente frequente negli individui che prendono droghe psichedeliche. Per parafrasare Penfield (1952), il paziente si sente come se stesse recitando una commedia familiare, nella quale egli è allo stesso tempo attore e spettatore.

Possono anche verificarsi distorsioni della percezione del tipo riferito da pazienti con psicosi endogene o tossiche. Dati sicuri sulla correlazione fra il sito della lesione e la sintomatologia sono stati ottenuti soprattutto grazie agli studi sperimentali di Penfield e Jasper (1954). Essi hanno osservato che la stimolazione elettrica delle regioni interessate può scatenare lo stesso tipo di sintomi che compaiono durante le convulsioni spontanee. Gli oggetti possono sembrare grandi o piccoli, vicini o lontani; i suoni possono sembrare forti o deboli; si può avere l'impressione che la lingua, le labbra e le estremità del corpo si gonfino a dismisura. Può sembrare che il tempo scorra più veloce, oppure che rallenti. Le persone intossicate da droghe psichedeliche, o che sono in preda a «viaggi di ritorno» dopo aver preso Lsd, possono sperimentare disordini della percezione di questo tipo.

La sintomatologia presentata nei periodi intercorrenti fra una crisi convulsiva e l'altra da alcuni pazienti affetti da epilessia limbica può non essere distinguibile da quella della schizofrenia paranoide. Ricordo per esempio una paziente che era continuamente ossessionata dalla sensazione che Dio la stesse punendo perché mangiava troppo. Quando registravamo il suo elettroencefalogramma mentre essa esprimeva questi pensieri, potevamo osservare la comparsa casuale di potenziali d'azione più frequenti nella derivazione dell'elettrodo timpanico, sotto il lobo temporale sinistro.

Malamud (1966) ha messo in rilievo l'alta incidenza della sclerosi temporale mediale nei casi di epilessia psicomotoria, e ha sostenuto che la sclerosi dell'ippocampo è un denominatore comune in queste condizioni. Sulla base di dati clinici e sperimentali, si può dire che probabilmente, nell'epilessia limbica, l'ippocampo è quasi sempre coinvolto nella scarica convulsiva, sia perché la scarica stessa si origina nell'ippocampo sia perché vi si diffonde secondariamente dalle strutture che sono in rapporto con esso.

Prima di presentare alcune osservazioni sperimentali, vorrei chiarire che non sto affermando che la schizofrenia o altri tipi di psicosi rappresentino una forma di epilessia. Voglio piuttosto richiamare l'attenzione sul fatto che gli studi sull'epilessia limbica rappresentano un mezzo per conoscere quali parti del cervello possano essere ritenute responsabi li di qualche elemento della sintomatologia osservata nelle psicosi. Nessun'altra entità clinica permette di spiegare altrettanto chiaramente i meccanismi soggiacenti alle funzioni psichiche.

E' evidente che, quando si trattano questioni quali la depersonalizzazione, ci si può basare soltanto sui resoconti soggettivi fatti dai pazienti; ma ci sono alcune manifestazioni psicotiche per le quali è possibile utilizzare la sperimentazione negli animali allo scopo di chiarire i meccanismi neurali che ne sono alla base.

Consideriamo prima di tutto la questione dei disturbi dell'emozione e dell'umore. In qualche caso, in seguito a una scarica postuma indotta dalla stimolazione della regione amigdaloippocampale, un gatto può rimanere per molti minuti in uno stato di agitazione: miagola, corre in giro nella stanza e cerca di arrampicarsi sulle pareti (MacLean 1959, p. 47). In contrasto con questo comportamento agitato, le scariche postume indotte dalla stimolazione dell'ippocampo, pochi millimetri più caudalmente, possono provocare azioni di grattamento, manifestazioni di piacere e risposte sessuali che persistono per alcuni minuti (MacLean 1957b). In seguito a stimolazione dei nuclei limbici che producono l'erezione del pene e scariche postume nell'ippocampo, scimmie aggressive possono diventare mansuete e docili, e questi cambiamenti evidenti nel carattere e nell'umore sembrano durare in qualche caso per molte ore (MacLean e Ploog 1962). Il setto è una delle fonti più importanti di connessioni afferenti per l'ippocampo (Daitz e Powell 1954; McLardy 1955). Come ho ricordato nel capitolo precedente, Heath e il suo gruppo (1954) hanno riferito che, dopo una stimolazione mediante elettrodi posti presumibilmente nella regione del setto, i pazienti provavano sensazioni piacevoli e cambiamenti persistenti dell'umore.

Vediamo ora le alterazioni della percezione che si verificano nelle psicosi. Poiché l'anatomia classica non fornisce prove di un'afferenza alla corteccia limbica proveniente dai sistemi uditivo, somatico e visivo, è sempre stato difficile spiegare il fatto che, in seguito a scariche epilettiche che sorgono nella corteccia limbica dell'insula, nella formazione dell'ippocampo o nelle loro vicinanze, i pazienti possano sperimentare un'alterazione della percezione e allucinazioni che coinvolgono qualcuno di quei sistemi sensoriali (Penfield e Jasper 1954). Malamud (1966) ha riferito il caso di un uomo di ventisei anni che aveva un piccolo ganglioma nella regione fra l'uncus dell'ippocampo e l'amigdala, il quale, durante l'aura epilettica, provava varie illusioni e allucinazioni gustative, olfattive, uditive, visive e somatiche senza perdere la coscienza. Successivamente come capita abbastanza spesso in questo paziente comparvero sintomi mentali tipici di una reazione schizofrenica.

In un articolo del 1949 sul «cervello viscerale», ho presentato uno schema che raffigura la convergenza di tutti i sistemi sensoriali nella circonvoluzione dell'ippocampo, che è situata sopra all'ippocampo e vi manda le sue proiezioni. Si sapeva a quel tempo che il sistema olfattivo ha connessioni indirette con la formazione dell'ippocampo, ma non c'erano dati sperimentali che dimostrassero che vi erano rappresentati gli altri sensi. Dopo di allora si è constatato che il setto è una stazione intermedia che trasmette all'ippocampo le informazioni viscerali provenienti dall'ipotalamo (Green e Adey 1956).

Poiché la vista ha un ruolo fondamentale nell'uomo e nei primati superiori, mi sono interessato in particolar modo alla questione dell'afferenza visiva alla corteccia limbica (MacLean 1966a). Per localizzare con sicurezza le risposte neurali, abbiamo usato microelettrodi che registrano l'attività di singoli neuroni. La tecnica stereotassica descritta nel capitolo precedente fornisce un accurato sistema di esplorazione intracerebrale mediante microelettrodi, in scimmie sveglie e sedute, con impianto cronico. Le lettere I, L, R nella figura 12 sono poste sopra le aree limbiche nelle quali singoli neuroni venivano attivati mediante stimolazione visiva (MacLean, Yokota e Kinnard 1968).

Un'alta percentuale delle cellule capaci di rispondere, nella parte posteriore del giro dell'ippocampo, si distinguevano rispetto alle cellule di tutte le altre aree perché davano una risposta positiva pro lungata durante l'illuminazione oculare. Le risposte di tre cellule di questo tipo sono mostrate nella figura 13, e la loro localizzazione corticale è indicata nella figura 14. È possibile che le unità «toniche» di questo tipo possano segnalare cambiamenti dell'illuminazione di fondo e possano quindi avere una funzione di una certa importanza per lo stato di vigilanza e di allerta e/o per i cambiamenti endocrini dipendenti dalla luce.


In che modo gli impulsi visivi possono raggiungere questa corteccia? Usando il metodo di colorazione Nauta modificato per mettere in evidenza le fibre corticali sottili in via di degenerazione, Creswell e io (1970) abbiamo esaminato il cervello di ventiquattro scimmie scoiattolo portatrici di lesioni in diverse parti del complesso genicolatopulvinar. Come si può vedere nella figura 15, si è trovato che una lesione nella zona ventrolaterale del corpo genicolato laterale (il nucleo più importante per la trasmissione degli impulsi visivi) ha come conseguenza la degenerazione di una striscia continua che si spinge fino al centro della circonvoluzione dell'ippocampo (fig. 14), e che in questo punto e nelle aree contigue alcune fibre penetrano nella corteccia.

La parte inferiore della striscia degenerata corrisponde all'anello temporale di Meyer nell'uomo. Non si era mai riusciti a capire perché questa parte della radiazione ottica facesse una tale deviazione nel lobo temporale; ma oggi sulla base dei risultati degli studi anatomici e di quelli fatti mediante microelettrodi, si comprende che essa percorre il tracciato contorto indicato (schematicamente) nella figura 12 allo scopo di distribuire le sue fibre alla corteccia limbica posteriore. Anche dalla parte inferiore del pulvinar, che è considerato un nucleo di «associazione» visiva, provengono fibre che si dirigono verso questa stessa regione corticale attraverso un fascio situato subito accanto, lateralmente, alle radiazioni ottiche.

Dal punto di vista dei sintomi paranoidi, è forse significativo il fatto che alcune cellule della corteccia limbica retrospleniale (R nella fig. 12) siano attivate da stimoli luminosi solo se questi colpiscono l'occhio controlaterale, suggerendo l'ipotesi che gli impulsi abbiano origine nella primitiva zona temporale monoculare a forma di mezzaluna. Come sappiamo bene per esperienza personale, gli oggetti che entrano in questa parte del nostro campo visivo periferico provocano solitamente un sobbalzo emotivo e uno stato di allerta. Ricordo un giovane che, quando stava per essere colpito da un attacco di convulsioni localizzate nell'area limbica, aveva la sensazione paurosa che dietro di lui ci fosse qualcuno. Se si girava per vedere chi fosse, la sensazione di paura diventava più forte. Nei periodi intercorrenti fra un attacco e l'altro i pazienti possono provare sentimenti paranoidi persistenti.

La corteccia paraippocampale trasmette impulsi all'ippocampo, il quale manda abbondanti proiezioni all'ipotalamo, al talamo anteromediale e ad altre strutture del tronco cerebrale coinvolte nelle funzioni emotive, nelle funzioni endocrine e in quelle somatoviscerali. Come vedremo meglio nel prossimo capitolo, attraverso tali connessioni è possibile che esista un meccanismo grazie al quale il cervello trasforma la luce fredda, che ci permette di vedere, nella luce calda che ci fa provare sentimenti. Queste connessioni potrebbero avere una funzione nei sogni; e anche su questo ritorneremo. La schizofrenia è stata spesso paragonata a un sognare a occhi aperti.

Infine si deve chiarire il problema delle afferenze al cervello limbico dai sistemi gustativo, somatico e uditivo. Per poter dare una risposta, abbiamo recentemente esplorato la corteccia limbica dell'insula soprastante al claustro. Abbiamo trovato che nelle scimmie scoiattolo sveglie e sedute la stimolazione gustativa, uditiva e somatica evoca una risposta nelle unità delle parti corrispondenti dell'insula claustrale (Reeves, Sudakov e MacLean 1968; Sudakov, MacLean, Reeves e Marino 1971). Nessuna unità ha risposto a più di una modalità di stimolazione. La figura 16 mostra schematicamente la distribuzione delle unità uditive e di quelle somatiche.

Sembra che esistano due tipi principali di unità uditive, uno dei quali risponde con una latenza di appena 10 millisecondi. Per le unità somatiche, si è visto che esse sono attivate dalla sola pressione oppure dalla pressione e da un leggero colpetto. Le zone recettive sono di solito ampie e bilaterali. Ci sono prove neurografiche che dimostrano che l'insula claustrale «scarica» nella formazione dell'ippocampo (Pribram e MacLean 1953). Di conseguenza, c'è una potenziale via corticofuga attraverso la quale gli impulsi uditivi e somatici potrebbero interferire nell'archicorteccia con quelli di origine interna, e influenzare così le funzioni vegetative ed emotive dell'ipotalamo.

Heinrich Klüver (1951) ha sottolineato il fatto che la corteccia visiva supera tutte le altre strutture sensoriali nel garantire la costanza dell'ambiente esterno. Sarebbe quindi ragionevole cercare altrove, e non nella corteccia visiva primaria, la struttura responsabile dei disturbi nervosi che sono alla base delle allucinazioni e delle illusioni visive. Lo stesso ragionamento potrebbe valere per le altre aree sensoriali primarie della neocorteccia. Sulla base del materiale sperimentale che abbiamo passato in rassegna, si può supporre che le distorsioni della percezione possano originarsi in seguito a una disfunzione nelle strutture limbiche stesse, o anche che possano derivare dagli effetti di qualche interferenza limbica sulle aree sensoriali primarie o sulle aree cosiddette associative. Queste interferenze potrebbero essere trasmesse attraverso le fibre corticali di associazione (Pribram e MacLean 1953) o attraverso il sistema di proiezione talamica diffusa (Parmeggiani 1967).

Un vulcano che cova sotto le ceneri non ha molta importanza nella vita quotidiana della gente che vive sotto la sua ombra. Solo quando ha un'eruzione, la terrorizza. Allo stesso modo, una struttura come l'ippocampo può non avere alcun effetto dirompente sulla vita di un individuo, a meno che la sua attività non venga disturbata a causa di una lesione, o a opera di sostanze tossiche, o in seguito a reazioni a uno stress. Per il modo particolare in cui è rifornito di sangue e per la sua localizzazione nel cranio, l'ippocampo è stato già da molto tempo considerato particolarmente esposto a subire danni in conseguenza di infezioni, di lesioni meccaniche o di una insufficienza vascolare. È già stato messo in rilievo il fatto che esso ha caratteristiche cliniche specifiche; e poiché ha una soglia bassa per quanto riguarda lo scatenamento di un attacco convulsivo, esso rappresenta forse la struttura più instabile del cervello. Dal punto di vista sperimentale, è impressionante osservare la tendenza della formazione dell'ippocampo a presentare una prolungata attività di spike (punte) nell'elettroencefalogramma dopo un intenso bombardamento afferente prodotto mediante stimolazione elettrica (MacLean e Ploog 1962). Tale comportamento non usuale è dovuto presumibilmente alla peculiarità delle sue proprietà chimiche e delle sue sinapsi. Si può supporre che, in individui predisposti, il bombardamento quotidiano di questa corteccia «primitiva» instabile a opera di impulsi causati da situazioni stressanti possa originare un disturbo funzionale che provoca stati paranoidi persistenti o altri stati emotivi anomali, accompagnati da un pensiero delirante.

Con ciò siamo arrivati al termine del nostro viaggio che si proponeva di esplorare il terreno vulcanico dell'ippocampo. Ho presentato diverse serie di prove che indicano come sommovimenti in questa parte del cervello possano provocare: 1) disturbi dell'emozione e dell'umore; 2) sentimenti di depersonalizzazione; 3) distorsioni della percezione; 4) sintomi paranoidi. Tutte queste manifestazioni possono risolversi inaspettatamente in una psicosi endogena o tossica. È chiaro che sono riuscito appena a scalfire la superficie. Esplorare più a fondo e scoprire realmente che cosa succede all'interno del cervello è una sfida che va molto al di là di quella dell'uomo che sbarca sulla luna. Non è necessario giustificare quest'affermazione, dato che la costellazione di neuroni che ognuno di noi porta nel suo cranio rappresenta il meccanismo più complicato dell'universo conosciuto.

Riassunto

In questo capitolo abbiamo fatto un'escursione parziale, per vedere in che modo i disordini funzionali della regione ippocampale del cervello limbico possano dare origine ai sintomi presenti nelle psicosi endogene e tossiche, fra i quali si annoverano: 1) i disturbi dell'emozione e dell'umore; 2) i sentimenti di depersonalizzazione; 3) le distorsioni della percezione; 4) i sintomi paranoidi.

L'opportunità di affrontare questo argomento risulta evidente se si pensa al preoccupante fenomeno dell'impiego diffuso di droghe psichedeliche, le quali possono indurre i vari sintomi elencati sopra e in alcuni casi possono scatenare una psicosi duratura. Queste droghe, fra le altre loro possibili azioni, interferiscono con il metabolismo delle animine cerebrali. Attualmente si discute sulla possibilità che i disordini del metabolismo del catecolo e della serotonina abbiano una funzione nella genesi delle psicosi. Negli ultimi anni è stato dimostrato che alcune parti del cervello limbico contengono quantità relativamente grandi di serotonina e di noradrenalina, e che l'attività elettrica di certe strutture limbiche è alterata in modi differenti da alcuni farmaci psicomimetici e da alcuni tranquillanti. Vengono riferiti altri dati biochimici che servono a distinguere il cervello limbico da quello rettiliano e da quello di mammifero evoluto.

Studi elettrofisiologici hanno rivelato una dicotomia funzionale (una «schizofisiologia») fra i sistemi limbico e neocorticale. Da questo punto di vista, è significativo il fatto che i pazienti affetti da epilessia limbica latente possano manifestare i vari sintomi della schizofrenia paranoide. Ciò non implica che la schizofrenia sia una forma di epilessia. Sono state riferite alcune storie di casi clinici per mostrare come i sintomi elencati sopra possano essere la conseguenza di scariche epilettiche (spontanee o indotte con la stimolazione elettrica) che si verificano nel cervello limbico. Sono stati infine descritti alcuni importanti risultati ottenuti negli esperimenti sugli animali e ne sono state discusse le implicazioni.