Bertrand Russell

Storia della filosofia occidentale

TEA, Milano 1991
Capitolo ottavo (pp. 726-737)
Nietzsche

Nietzsche (1844-1900) si considerava, a ragione, come successore di Schopenhauer, a cui tuttavia è superiore sotto molti aspetti, e particolarmente nella coerenza della sua dottrina. L'etica orientale della rinuncia schopenhaueriana non appare in accordo con la sua metafisica intorno alla onnipotenza della volontà; in Nietzsche la volontà è prima, così in metafisica come in etica. Nietzsche, pur essendo un professore, era un filosofo e un letterato più che un accademico. Non elaborò concetti filosofici nuovi in campo ontologico o epistemologico; la sua importanza risiede in primo luogo nell'etica ed in secondo luogo nella sua acuta critica storica. Mi limiterò quasi esclusivamente alla sua etica ed alla sua critica della religione, poiché fu questa la parte dei suoi scritti da cui trasse origine la sua influenza.

La sua vita fu semplice. Suo padre era un pastore protestante, e la sua educazione fu molto pia. Si distinse all'università come classicista e studioso di filologia, a tal punto che nel 1869, prima che avesse preso la laurea, gli venne offerta la cattedra di filologia a Basilea, ed egli accettò. La sua salute non fu mai buona, e dopo vari periodi di assenza per malattia fu obbligato a ritirarsi nel 1879. Poi visse in luoghi di cura in Svizzera; nel 1888 impazzì, e rimase pazzo fino alla morte. Aveva un'appassionata ammirazione per Wagner, ma litigò con lui, si disse a causa del Parsifal, che Nietzsche considerava troppo cristiano e pieno di rinuncia. Dopo la rottura, criticò furiosamente Wagner, fino al punto di accusarlo di essere ebreo. Il suo modo di vedere generale, tuttavia, rimase molto simile a quello del Wagner dell'Anello: il superuomo di Nietzsche è assai simile a Sigfrido, con la differenza che conosce il greco. Ciò può sembrar strano, ma non è colpa mia.

Nietzsche non sapeva di essere un romantico; e spesso, invero, criticava severamente i romantici. Sapeva invece che le sue idee erano elleniche, con l'omissione della componente orfica. Ammirava i presocratici, tranne Pitagora. Aveva una grande predilezione per Eraclito. L'«uomo magnanimo» di Aristotele è assai simile a colui che Nietzsche chiama «uomo nobile»; ma in genere egli considerava i filosofi, da Socrate in poi, inferiori ai loro predecessori. Non poteva perdonare a Socrate le sue umili origini; lo chiamava un roturier e Io accusava di aver corrotto la nobile gioventù ateniese con pregiudizi morali democratici. Platone, in particolare, viene condannato a causa della sua mania di edificazione. Nietzsche, tuttavia, non vuole condannarlo del tutto, e suggerisce, per scusarlo, che forse Platone non era sincero e predicava la virtù solo come mezzo per tener tranquille le classi basse. Parla di lui, una volta, come di «un gran Cagliostro». Gli piacciono Democrito ed Epicuro, ma la sua immirazione per quest'ultimo sembra piuttosto illogica, a meno che non la si interpreti, in realtà, come ; un'ammirazione per Lucrezio.

Come è lecito attendersi, ha una cattiva opinione di Kant, che egli chiama «un fanatico moralista à la Rousseau».

Malgrado le critiche di Nietzsche ai romantici, il suo modo di vedere deve loro molto; è quello dell'anarchismo aristocratico, simile a quello di Byron, e non ci si meraviglia di scoprire che ammira Byron. Tenta di combinare insieme due serie di valori che non si armonizzano facilmente: da una parte gli piacciono la mancanza di pietà, la guerra e l'orgoglio aristocratico: dall'altra ama la filosofia, la letteratura e le arti, specialmente la musica. Storicamente, questi valori coesistevano nel Rinascimento; il papa Giulio II, che combatteva per Bologna e affidava lavori a Michelangelo, potrebbe esser preso come il tipo d'uomo che Nietzsche avrebbe voluto vedere a capo dei governi. Viene naturale paragonare Nietzsche a Machiavelli, malgrado le notevoli differenze esistenti tra i due uomini. Ciò che li differenziava era il fatto che Machiavelli era un uomo d'azione, le cui opinioni si erano formate attraverso uno stretto contatto con gli affari pubblici, ed erano in armonia col suo tempo; non era né pedante né sistematico, e la sua filosofia politica costituisce a mala pena un insieme coerente; Nietzsche, al contrario, era un professore, un uomo essenzialmente di lettere, un filosofo in cosciente opposizione alla politica dominante e alle tendenze etiche del suo tempo. Le somiglianze, tuttavia, sono più profonde. La filosofia politica di Nietzsche è analoga a quella del Principe (non dei Discorsi), pur essendo più elaborata ed estesa ad un campo più vasto. Sia Nietzsche che Machiavelli hanno un'etica che mira al potere ed è deliberatamente anticristiana, benché Nietzsche sia più franco sotto questo aspetto. Ciò che Cesare Borgia fu per Machiavelli, Napoleone fu per Nietzsche: un grand'uomo sconfitto da meschini avversari.

Le critiche di Nietzsche alla religione sono interamente dominate da motivi etici. Ammira certe qualità che crede (forse a ragione) possibili solo per una minoranza aristocratica; la maggioranza, a suo pa rere, dovrebbe essere solo un mezzo per far eccellere i pochi, e non dovrebbe aver diritti propri alla felicità e al benessere. Allude di solito alle persone comuni come ai «bruti e informi», e non solleva obiezioni alle loro sofferenze, se ciò è necessario per produrre un grand'uomo. Così tutto il periodo dal 1789 al 1815 si riassume in Napoleone: «La Rivoluzione rese possibile Napoleone: questa è la sua giustificazione. Noi dovremmo desiderare il crollo nell'anarchia di tutta la nostra civiltà, se il risultato fosse una simile ricompensa. Napoleone rese possibile il nazionalismo: e questa è la giustificazione del nazionalismo». Quasi tutte le più alte speranze di questo secolo, dice Nietzsche, son dovute a Napoleone.

Gli piace molto esprimersi per paradossi, con l'intento di sorprendere il lettore convenzionale. Impiega le parole «bene» e «male» nella loro ordinaria accezione, e poi dice di preferire il «male» al «bene». Il suo libro, Al di là del bene e del male, tende in realtà a cambiare l'opinione del lettore su ciò che è bene e ciò che è male, ma afferma, tranne qualche momento, di lodare ciò che è «male» e screditare ciò che è «bene». Dice, per esempio, che è uno sbaglio considerare come un dovere il tendere alla vittoria del bene ed alla sparizione del male; questa è una idea inglese, tipica di «quel testone di John Stuart Mill», un uomo per cui ha un disprezzo particolarmente violento. Di lui Nietzsche dice:

«Detesto la volgarità di quell'uomo quando dice: "Ciò che è giusto per un uomo è giusto per un altro", "Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te".' Tali principi farebbero sì che l'intera vita umana fosse basata su servizi reciproci, in modo che ogni azione apparirebbe come un pagamento di cassa per qualche servigio resoci. Questa ipotesi è ignobile all'estremo grado: dà per dimostrato che vi sia qualche equivalenza di valore tra le mie azioni e le tue».

La vera virtù, opposta a quella convenzionale, non è da tutti, ma dovrebbe rimanere la caratteristica di una minoranza aristocratica. Non è utile o prudente; isola chi la possiede dagli altri uomini; è restia all'ordine, e nuoce agli inferiori. È necessario per gli uomini che sono più in alto muover guerra alle masse, e resistere alle tendenze democratiche dell'epoca, perché dappertutto la gente mediocre sta dandosi la mano per giungere al potere. «Tutto ciò che blandisce, che allevia e che porta avanti il "popolo" o la "donna", opera in favore del suffragio universale, cioè a dire del dominio dell'uomo "inferiore"». Il seduttore era stato Rousseau, che rese interessante la donna; poi vennero Harriet Beecher Stowe e gli schiavi; poi i socialisti con la loro difesa del lavoratore e del povero. Tutti questi debbono esser com battuti.

L'etica di Nietzsche non è un'etica che indulge verso se stessa in senso ordinario; egli crede nella disciplina spartana e nella possibilità di sopportare, oltre che di infliggere, il dolore per fini importanti. Ammira la forza di volontà sopra tutto il resto. «Io collaudo la forza di una volontà dalla quantità di resistenza che può offrire e dalla quantità di dolore e torture che può sopportare e sa come volgere a suo vantaggio; e non indico col dito accusatore il male e il dolore dell'esistenza, ma piuttosto conservo la speranza che la vita possa un giorno divenire più cattiva e piena di sofferenze di quanto non lo sia mai stata». Nietzsche considera la compassione una debolezza da combat; tere. «L'obiettivo è di pervenire a quella enorme energia di grandezza che può modellare l'uomo del futuro per mezzo della disciplina ed anche per mezzo dell'annientamento di milioni di bruti e informi, e che può tuttavia evitare di andare in rovina alla vista delle sofferenze così provocate, il cui eguale non è mai stato visto prima». Profetizzò con una certa gioia un'era di grandi guerre; c'è da chiedersi se sarebbe stato felice, se fosse vissuto, vedendo l'adempimento della sua profezia.

Non è, tuttavia, un adoratore dello Stato; è ben lontano dall'esserlo. È un appassionato individualista, credente nell'eroe. La miseria di un'intera nazione, dice, ha minore importanza della sofferenza d'un grande uomo: «Le disgrazie di tutti questi piccoli uomini non costituiscono, se sommate insieme, una somma totale, tranne che nei sentimenti dei forti».

Nietzsche non è un nazionalista, e non mostra eccessiva ammirazione per la Germania. Vuole una razza che domini internazionalmente, che sia signora della terra: «una nuova, vasta aristocrazia basata sulla più severa autodisciplina, in cui resti impressa per migliaia di anni la volontà di potenza dei filosofi e dei tiranni-artisti».

Non è nemmeno decisamente antisemita, pur pensando che la Germania contiene già tutti gli ebrei che può assimilare, e non dovrebbe permettere ulteriori immigrazioni di ebrei. Non gli piace il Nuovo Testamento, ma del Vecchio parla in termini della più alta ammirazione. Per essere giusti verso Nietzsche, va detto chiaramente che molti moderni sviluppi che hanno un certo rapporto col suo punto di vista etico generale sono contrari alle sue opinioni chiaramente espresse.

Due conseguenze della sua etica meritano di essere menzionate: primo, il disprezzo per le donne; secondo, le amare critiche al Cristianesimo.

Non si stanca mai di inveire contro le donne. Nel suo libro pseudoprofetico, Così parlò Zarathustra, dice che le donne non sono, per ora, capaci di amicizia; sono ancora gatti, o uccelli, o nel miglior caso : vacche. «L'uomo dovrebbe essere educato alla guerra, e la donna alla distrazione del guerriero. Tutto il resto è follia». Il divertimento del , guerriero deve essere di una ben strana natura, se ci si deve basare l sul suo più enfatico aforisma in materia: «Vai da una donna? Non dimenticare la tua frusta».

Non è sempre così feroce, pur essendo sempre egualmente pieno di disprezzo. In Volontà di potenza dice: «Noi prendiamo piacere dalla donna come dalla più delicata, più eterea e forse più ghiotta specie di creatura. Che piacere può dare aver a che fare con creature che hanno solo danza, sciocchezze e ninnoli in mente? Esse sono sempre state il diletto di ogni tesa e profonda anima maschile». Tuttavia, anche queste grazie si possono trovare nelle donne solo finché sono tenute all'ordine dalla virilità degli uomini; non appena raggiungono una certa indipendenza, divengono intollerabili. «La donna ha tante cose di cui vergognarsi; nella donna c'è tanta pedanteria, superficialità, mentalità da maestri elementari, meschina presunzione, mancanza di fantasia e pettegolezzo... che è stata veramente trattenuta e dominata fin qui dalla paura dell'uomo». Così dice in Al di là del bene e del male, e aggiunge che dovremmo pensare alla donna come ad una cosa di nostra proprietà, come fanno gli orientali. Tutta la sua teoria di dominio sulla donna è presentata come una verità che si dimostra da sé; non è sostenuta da prove storiche o dall'esperienza dell'autore, che, per quanto riguardava le donne, era pressoché limitata a sua sorella.

L'obiezione che Nietzsche fa al Cristianesimo è che questo fece accettare quella ch'egli chiama «moralità da schiavi». È curioso osservare il contrasto tra i suoi argomenti e quelli dei filosofi francesi che precedettero la Rivoluzione. Essi dicevano che i dogmi cristiani non erano veri: che il Cristianesimo insegna l'obbedienza a quella che si ritiene la volontà di Dio, laddove esseri umani che abbiano del rispetto per se stessi non dovrebbero inchinarsi di fronte a nessun potere più alto; e che le Chiese cristiane son divenute le alleate dei tiranni, e stanno aiutando i nemici della democrazia a negare la libertà ed a continuare ancora ad affamare il povero. Nietzsche non si interessa della verità metafisica del Cristianesimo come di qualunque altra religione; convinto com'è che nessuna religione sia realmente vera, giudica tutte le religioni solamente dai loro effetti sociali. È d'accordo con i philosophes francesi nell'opporsi all'obbedienza alla presunta volontà di Dio, ma le sostituirebbe la volontà del terreno «tiranno-artista». L'obbedienza è giusta, tranne che per i superuomini, ma non l'obbedienza al Dio cristiano. Quanto al fatto che le Chiese cristiane siano alleate dei tiranni e nemiche della democrazia, questo, egli dice, è proprio il contrario della verità. La Rivoluzione francese ed il socialismo sono, secondo lui, identici nello spirito al Cristianesimo; a tutto ciò Nietzsche si oppone, e sempre per la stessa ragione: non tratterà mai tutti gli uomini come se fossero eguali.

Il Buddismo ed il Cristianesimo sono entrambe religioni «nichiliste», nel senso che negano ogni definitiva differenza di valore tra un uomo ed un altro, ma il Buddismo è di gran lunga meno contestabile dei due. Il Cristianesimo è degenerativo, pieno di elementi decadenti ed escrementizi; la sua forza motrice è la rivolta dei bruti e degli informi. Questa rivolta fu iniziata dagli ebrei, e introdotta nel Cristianesimo da «santi epilettici» come San Paolo, privi d'ogni onestà. «Il Nuovo Testamento è il vangelo d'un tipo di uomini del tutto ignobile». Il Cristianesimo è la più fatale e seducente menzogna che sia mai esistita. Nessun uomo degno di nota è mai stato simile all'ideale cristiano; basta considerare, ad esempio, gli eroi delle Vite di Plutarco. Il Cristianesimo deve essere condannato perché nega il valore «dell'orgoglio, il valore della differenziazione, della grave responsabilità, degli spiriti esuberanti, della splendida animalità, degli istinti di guerra e di conquista, della deificazione della passione, della vendetta, dell'odio, della voluttà, dell'avventura, della conoscenza». Tutte queste cose sono buone e tutte son definite cattive dal Cristianesimo, afferma Nietzsche.

Il Cristianesimo mira a dominare il cuore dell'uomo, ma questo è uno sbaglio. Una bestia feroce ha una sua bellezza che perde quando è domata. I criminali che Dostoevskij frequentava erano migliori di lui, perché avevano più rispetto di se stessi. Nietzsche è nauseato dal pentimento e dalla redenzione, che chiama una jolie circulaire. È difficile per noi liberarci da questo modo di pensare a proposito del comportamento umano: «siamo eredi della cosciente vivisezione e del-ì'auto-crocifissione di duemila anni». C'è un passo molto eloquente su Pascal che merita di esser citato, perché mostra nella luce migliore le obiezioni di Nietzsche al Cristianesimo:

«Cos'è che noi combattiamo nel Cristianesimo? Il fatto che esso mira a distruggere i forti, ad abbattere i loro spiriti, a sfruttare i loro momenti di stanchezza e di debolezza, a convertire la loro orgogliosa sicurezza in ansietà e dubbi di coscienza; che esso sa come avvelenare i più nobili istinti ed infettarli di malattia, finché la loro forza, la loro volontà di potenza si rivolgano in dentro, contro loro stessi, finché i forti periscano a forza di disprezzare e immolare se stessi: quella orribile maniera di perire di cui Pascal è il più famoso esempio».

Al posto del santo cristiano, Nietzsche desidera vedere quello ch'egli chiama l'uomo «nobile», non nel senso di un tipo universale, ma come aristocratico governante. L'uomo «nobile» sarà capace di crudeltà e, se occorre, di ciò che volgarmente è considerato un delitto; egli riconoscerà di avere dei doveri solo verso i suoi pari. Proteggerà gli artisti e i poeti, e tutti coloro a cui capiterà di essere padroni di qualche talento, ma lo farà come membro d'una classe più alta di quella di coloro che sanno solo come fare qualcosa. Dagli esempi dei guerrieri imparerà ad accompagnare la morte agli interessi per cui sta combattendo-, a sacrificare le moltitudini ed a prendere la sua causa sufficientemente sul serio da non risparmiare gli uomini; ad esercitare una disciplina inesorabile; ed a permettersi la violenza e l'astuzia in guerra. Riconoscerà la parte avuta dalla crudeltà nel trionfo della aristocrazia: «quasi tutto ciò che noi chiamiamo "cultura superiore" è basato sullo spiritualizzarsi e intensificarsi della crudeltà ». L'uomo «nobile» è essenzialmente la volontà di potenza incarnata.

Cosa dobbiamo pensare delle dottrine di Nietzsche? Quanto sono vere? Sono utili in qualche modo? C'è in esse qualcosa di obiettivo, o sono le mere fantasie di potenza d'un malato?

È innegabile che Nietzsche abbia avuto una grande influenza, non tra i filosofi puri, ma tra gli uomini di cultura artistica e letteraria. Bisogna anche riconoscere che le sue profezie sul futuro si son dimostrate, fino ad ora, più giuste di quelle dei liberali o dei socialisti. Se è solo il sintomo di una malattia, la malattia deve essere diffusa assai largamente nel mondo moderno.

Ciò nonostante c'è molto in lui che dev'esser lasciato da parte come pura megalomania. Parlando di Spinoza egli dice: «Quanta timidezza personale e vulnerabilità svela questa mascherata d'un recluso malaticcio!» La stessa cosa si può dire di lui, e senza il minimo scrupolo, poiché Nietzsche non ha esitato a dirlo di Spinoza. È ovvio che nelle sue fantasticherie egli è un guerriero, non un professore; tutti gli uomini che egli ammira erano dei soldati. La sua opinione sulle donne, come quella di ogni altro uomo, è l'oggettivazione delle sue sensazioni verso di esse, che sono evidentemente di paura. «Non dimenticare la tua frusta»: ma nove donne su dieci gliela avrebbero strappata di mano, e lui lo sapeva, e perciò si tenne lontano dalle donne, e calmò la sua vanità ferita con dei rilievi crudeli. Condanna l'amore cristiano perché pensa che sia un prodotto della paura: ho paura che il mio vicino possa colpirmi, e così lo assicuro che lo amo. Se fossi più forte e più coraggioso mostrerei apertamente il disprezzo che sento per lui. Non sembra possibile a Nietzsche che un uomo possa sentire un vero amore universale, evidentemente perché egli stesso sente un odio e una paura quasi universali, che travestirebbe volentieri da signorile indifferenza. Il suo uomo «nobile» (lui stesso, nei suoi sogni) è un essere completamente privo di simpatia, spietato, astuto, crudele, che pensa solo al potere. Re Lear, sulla soglia della pazzia, dice:

Farò tali cose

(Quali, ancora non so) ma saranno

Il terrore del mondo.

Questa è la filosofia di Nietzsche entro un guscio di noce.

Non si è mai presentato alla mente di Nietzsche che la brama di potere, che attribuisce al suo superuomo, è anch'essa un prodotto della paura. Coloro che non temono i loro vicini non vedono la necessità di spadroneggiare su di essi. Gli uomini che hanno dominato la paura non hanno le qualità frenetiche del «tiranno-artista », il Nerone di Nietzsche, che vuol godere la musica ed il massacro, mentre il suo cuore è pieno di terrore per l'inevitabile rivolta di palazzo. Non posso negare che, in parte anche come risultato del suo insegnamento, il mondo è divenuto molto simile al suo incubo, ma questo non rende meno orribile tutto ciò.

Bisogna ammettere che c'è un certo tipo di etica cristiana a cui possono essere giustamente applicate le critiche di Nietzsche. Pascal e Dostoevskij (i suoi esempi) hanno entrambi qualcosa di abietto nella loro virtù. Pascal sacrificò il suo magnifico intelletto matematico al suo Dio, attribuendogli quindi una barbarie che era invece sviluppo cosmico delle malsane torture mentali di Pascal. Dostoevskij non avrebbe niente a che fare con «l'orgoglio propriamente detto»; avrebbe peccato per pentirsi e godere la lussuria della confessione. Non discuterò fino a che punto tali aberrazioni possano a ragione essere addebitate al Cristianesimo, ma ammetto d'esser d'accordo con Nietzsche nel considerare degna di disprezzo la umiliazione di Dostoevskij. Una certa dirittura, un certo orgoglio ed anche la rivendicazione dei propri diritti, sono elementi del miglior carattere: non si può ammirar molto nessuna virtù che abbia le sue radici nella paura.

Ci sono due specie di santi: i santi per natura ed i santi per paura. Il santo per natura ha uno spontaneo amore per l'umanità; fa il bene perché il farlo gli dà la felicità. Il santo per paura, invece, come l'uomo che non ruba perché c'è la polizia, sarebbe perverso se non ne fosse impedito dal pensiero delle fiamme dell'inferno o della vendetta dei suoi vicini. Nietzsche può immaginare solo il secondo tipo di santo; è così pieno di paura e d'odio che l'amore spontaneo per l'umanità gli sembra impossibile. Non ha mai concepito l'uomo che, pur con la mancanza di paura e l'orgoglio inflessibile del superuomo, non infligge dolori perché non ha il desiderio di farlo. Qualcuno suppone forse che Lincoln agisse come ha agito per paura dell'inferno? Eppure per Nietzsche, Lincoln è abietto, Napoleone magnifico.

Resta da considerare il più importante problema etico sollevato da Nietzsche, cioè: la nostra etica deve essere aristocratica o deve trattare in qualche modo tutti gli uomini come se fossero uguali? È un problema che, così come è stato enunciato, non ha un significato molto chiaro; il primo passo da fare sarà tentare di definirlo.

Dobbiamo dapprima provare a distinguere un'etica aristocratica da una teoria politica aristocratica. Un assertore del principio di Bentham della «massima felicità del massimo numero» rappresenta un'etica democratica, ma potrebbe anche pensare che la felicità generale venga promossa meglio da una forma di governo aristocratica. Questa non è la posizione di Nietzsche. Egli sostiene che la felicità della gente comune non fa parte del bene in sé. Tutto ciò che è bene o male in sé esiste solo per quei pochi esseri superiori; ciò che accade agli altri non conta.

Sorge una domanda: come son definiti quei pochi esseri superiori?

In pratica, essi sono di solito una razza conquistatrice o una aristocrazia ereditaria; e le aristocrazie in genere, almeno in teoria, discendono da razze conquistatrici. Penso che Nietzsche accetterebbe questa definizione. Egli ci dice: «Senza una buona nascita non è possibile alcuna moralità». Dice che la casta nobile è sempre barbara, in principio, ma che ogni elevazione dell'uomo è dovuta alla società aristocratica.

Non è chiaro se Nietzsche consideri la superiorità dell'aristocrazia come congenita oppure come dovuta all'educazione e all'ambiente. In quest'ultimo caso è difficile sostenere l'esclusione degli altri dai vantaggi per i quali, ex hypothesi, essi hanno gli stessi requisiti. Dovremo quindi ammettere che Nietzsche reputa le aristocrazie conquistatrici, ed i loro discendenti, biologicamente superiori ai loro sudditi, così come gli uomini sono superiori agli animali domestici, sebbene in minor grado.

Che cosa intenderemo per «biologicamente superiore»? Intenderemo, interpretando il pensiero di Nietzsche, che gli individui della razza superiore, e i loro discendenti, hanno più probabilità di essere «nobili » in senso nietzschiano; essi avranno più la forza di volontà, più coraggio, maggiore aspirazione alla potenza, meno simpatia, meno paura e meno gentilezza.

Possiamo ora esporre l'etica di Nietzsche. Io penso che quanto segue sia una sufficiente analisi di essa:

I vincitori in guerra e i loro discendenti sono di solito biologicamente superiori ai vinti. È desiderabile, quindi, che essi detengano tutto il potere, e conducano gli affari esclusivamente nel loro interesse.

C'è qui ancora la parola «desiderabile» da considerare. Che cosa è «desiderabile» nella filosofìa di Nietzsche? Dal punto di vista di un profano, ciò che Nietzsche chiama «desiderabile» è ciò che Nietzsche desidera. Con questa interpretazione, la dottrina di Nietzsche potrebbe più semplicemente ed onestamente essere esposta in questa frase: «Desidererei esser vissuto nell'Atene di Pericle o nella Firenze dei Medici». Ma questa non è filosofia; è un fatto biografico che riguarda una certa persona. La parola «desiderabile» non è sinonimo di «desiderato da me»; ha qualche pretesa, per quanto oscura, di legislazione universale. Un teista potrebbe dire che ciò che è desiderabile è ciò che Dio desidera, ma Nietzsche non può dire questo. Nietzsche potrebbe dire di sapere, per intuizione etica, ciò che è bene, ma non lo dirà perché sa troppo di Kant. Ciò che Nietzsche può dire, per spiegare la parola «desiderabile», è questo: «Se gli uomini leggeranno le mie opere, una certa percentuale di essi sarà indotta a condividere i miei desideri sull'organizzazione della società; questi uomini, ispirati dalla energia e della decisione che la mia filosofia darà loro, possono perseverare e ristabilire l'aristocrazia, ponendo se stessi come aristocratici o (come me) adulatori dell'aristocrazia. In questo modo perverranno ad una vita più piena di quella che potevano avere come servi del popolo ».

C'è un altro argomento in Nietzsche che è strettamente legato all'obiezione addotta dagli «arcigni individualisti» contro le trade-unions. In un combattimento di tutti contro tutti, è probabile che il vincitore possegga certe.qualità che Nietzsche ammira, come il coraggio, l'abbondanza di risorse e la forza di volontà. Ma se gli uomini che non posseggono queste qualità aristocratiche (che sono la grande maggioranza) si uniscono insieme, possono vincere, malgrado la loro inferiorità individuale. In questo combattimento tra la cariatile collettiva e gli aristocratici, il Cristianesimo è il fronte combattente. Dovremmo quindi opporci ad ogni specie di unione tra coloro che sono individualmente deboli, per timore che le loro forze sommate possano avere la prevalenza su chi è individualmente forte; d'altra parte dovremmo ; promuovere l'unione tra gli elementi tenaci e virili della popolazione. Il primo passo verso la creazione di quest'ultima unione significa predicare la filosofia di Nietzsche. Come si vede, non è davvero facile mantenere la distinzione tra l'etica e la politica.

Supponendo di volere (come appunto io voglio) trovare argomenti contro l'etica e la politica di Nietzsche, quali potremmo trovare?

Ci sono dei gravi argomenti pratici, che mostrano come i tentativi per raggiungere i suoi fini facciano giungere in realtà a qualcosa di molto differente. Le aristocrazie di nascita sono, ai giorni nostri, screditate; l'unica forma di aristocrazia praticabile è una organizzazione simile a quella dei partiti fascista o nazista. Una tale organizzazione provoca un'opposizione, ed è probabile che sia sconfitta in guerra, ma se non è sconfitta, deve, prima che passi molto tempo, divenire null'altro che una polizia di Stato, ove i capi vivono nel terrore dell'assassinio, e gli eroi sono nei campi di concentramento. In tali comunità la fede e l'onore sono insidiati dalla delazione, e la presunta aristocrazia di superuomini degenera in una cricca di tremanti codardi.

Questi, tuttavia, sono argomenti per il nostro tempo; non sarebbero stati plausibili nelle epoche passate, quando nessuno metteva in causa l'aristocrazia. Il governo egiziano fu condotto per alcuni millenni su principi nietzschiani. I governi di quasi tutti i grandi Stati furono aristocratici fino alle rivoluzioni americana e francese. Dobbiamo quindi chiederci se c'è qualche buona ragione per preferire la democrazia ad una forma di governo che ha avuto una storia così lunga e piena di successi, o piuttosto, siccome stiamo trattando di filosofia e non di politica, se ci sono ragioni obiettive per rigettare l'etica con cui Nietzsche appoggia l'aristocrazia.

Il problema etico, al contrario di quello politico, ha a che fare con la simpatia. La simpatia, nel senso di provare infelicità per la sofferenza altrui, è in un certo senso naturale negli esseri umani; i bambini si agitano se sentono altri bambini piangere. Ma lo svilupparsi di questo sentimento è molto diverso presso i diversi popoli. Alcuni trovano piacere nell'infliggere torture, altri, come Budda, sentono che non possono essere completamente felici finché qualcosa che è vivo soffre. La maggior parte della gente civile divide l'umanità sentimentalmente in amici e nemici, provando simpatia per i primi e non per i secondi. Una etica simile a quella del Cristianesimo e del Buddismo ha le sue basi sentimentali in una simpatia universale; un'etica simile a quella di Nietzsche le ha in una completa assenza di simpatia. (Nietzsche perora spesso contro la simpatia, e sotto questo aspetto si sente che non ha difficoltà ad obbedire ai suoi precetti). Ci si domanda: se Budda e Nietzsche fossero messi a confronto, potrebbe uno dei due produrre qualche argomento con cui appellarsi all'ascoltatore imparziale? Non penso ad argomenti politici. Possiamo immaginarli che appaiono davanti all'Onnipotente, come nel Libro di Giobbe, ed offrono consigli sul tipo di mondo che Egli dovrebbe creare. Che cosa potrebbero dire?

Budda aprirebbe il dibattito parlando dei lebbrosi, dei paria e dei miserabili; del povero, che fatica con gli arti doloranti ed è a malapena tenuto in vita dallo scarso nutrimento; del ferito in battaglia, che muore d'una lenta agonia; dell'orfano, maltrattato da crudeli custodi; ed anche di colui che ha avuto più successo, ma è perseguitato dal pensiero del fallimento e della morte. Da tutto questo carico di dolore, egli direbbe, deve esser trovata una via per la salvezza, e la salvezza può venire solo attraverso l'amore.

Nietzsche, che solo dalla presenza dell'Onnipotente sarebbe stato trattenuto dall'interrompere, esploderebbe, venuto il suo turno: «Santo cielo, buon uomo, dovete imparare ad essere fibra un po' più dura. Perché andare attorno piagnucolando per le sofferenze della gente da poco? Oppure, e ciò importa veramente, per quelle dei grandi uomini? La gente da poco soffre con volgarità, i grandi uomini con grandezza, e le grandi sofferenze non debbono esser compiante, perché sono nobili. Il vostro ideale è puramente negativo: la mancanza di sofferenze, che può raggiungersi completamente con la non esistenza. Io, invece, ho ideali positivi: ammiro Alcibiade, l'imperatore Federico II e Napoleone. Per amore di tali uomini, vai la pena di sopportare ogni miseria. Mi appello a Voi, Signore, come al più grande degli artisti creatori: non lasciate che i Vostri impulsi artistici siano frenati dai borbottamenti degenerati e pavidi di questo disgraziato psicopatico».

Budda, che nelle corti del cielo ha imparato tutta la storia dalla sua morte in poi, ed è divenuto padrone della scienza, con godimento per la sua conoscenza, e dolore per l'uso che ne hanno fatto gli uomini, replica con urbanità: «Avete torto, professor Nietzsche, nel pensare che il mio ideale sia puramente negativo, E vero, comprende un elemento negativo, l'assenza delle sofferenze; ma ha in cambio tanti elementi positivi quanti se ne possono trovare nella vostra dottrina. Benché io non abbia speciale ammirazione per Alcibiade e Napoleone, ho anch'io i miei eroi: il mio successore Gesù, perché disse agli uomini di amare i loro nemici; gli uomini che scoprirono come addomesticare le forze della natura ed assicurare il cibo con minor lavoro; gli uomini di medicina che hanno mostrato come diminuire le malattie; i poeti, gli artisti ed i musicisti, che hanno gettato uno sguardo sulla beatitudine divina. L'amore, la conoscenza, il godimento della bellezza non sono negazioni; sono sufficienti per riempire le vite degli uomini più grandi che siano mai vissuti».

«Con tutto questo», replica Nietzsche, «il vostro mondo sarebbe insipido. Dovreste studiare Eraclito, le cui opere complete si trovano nella biblioteca celeste. Il vostro amore è compassione, provenendo dal dolore; la vostra verità, se siete onesto, è sgradita, e può essere appresa solo attraverso la sofferenza; ed in quanto alla bellezza, che cosa c'è di più bello della tigre, che deve il suo splendore alla sua ferocia? No, se il Signore dovesse decidere per il vostro mondo, ho paura che moriremmo tutti di noia».

«Voi morireste», replica Budda, «perché amate il dolore, ed il vostro amore della vita è una impostura. Ma coloro che realmente amano la vita sarebbero felici come nessuno può esser felice nel mondo attuale.»

Per conto mio, sono d'accordo con Budda, almeno così come l'ho immaginato. Ma non so come dimostrare la sua ragione con argomenti quali si potrebbero addurre in un problema matematico o scientifico. Non mi piace Nietzsche perché ama la contemplazione del dolore, perché fa un dovere della vanità, perché gli uomini che ammira di più sono dei conquistatori, la cui gloria è basata sulla bravura nel causare la morte degli uomini. Ma credo che l'ultimo argomento contro la sua filosofia, come contro ogni etica spiacevole ma internamente coerente, non risieda in un appello ai fatti, ma ai sentimenti. Nietzsche disprezza l'amore universale; io sento che è la forza motrice per raggiungere tutto ciò che desidero nel mondo. I suoi seguaci hanno avuto il loro turno, ma possiamo sperare che esso stia rapidamente avviandosi verso la fine.