Horst Althaus

Nietzsche. Una tragedia Borghese

Laterza, Bari 1993
Introduzione alla lettura

A fronte dell’imponente letteratura dedicata al suo pensiero, le biografie di Nietzsche sono poche e, nel complesso, a mio avviso, nel complesso. In tutte è ricostruito il singolare passaggio da un modo di essere infantile e adolescenziale ligio alla severa tradizione luterana dei padri a una condizione giovanile scettica, che porta poi Niezsche ad assumere il ruolo di Anticristo.

Dato che le Conferenze valorizzano al massimo grado questo passaggio nelle sue conseguenze psicologiche, in gran parte inconsce, e filosofiche, che determinano un modo di pensare costantemente incentrato su una logica antitetica e su una furia destruens senza limiti, mi sembra opportuno riportare integralmente la Prefazione, l’Introduzione e alcuni capitoli della biografia di Horst Althaus che ricostruiscono nei suoi momenti essenziali quel passaggio.

L’opera di Althaus è nel complesso scrupolosa, anche se non particolarmente incisiva. L’autore ha comunque il merito di avere intuito il peso che l’esperienza evolutiva e giovanile di Nietzsche ha avuto sullo sviluppo del suo pensiero maturo. Se egli poi non scopre alcunché nel sottolineare l’importanza che ha avuto l’incontro di Nietzsche con il pensiero di Schopenhauer nel colmare la lacuna e lo smarrimento prodotti dalla perdita della fede, il rilievo accordato all’incontro e al rapporto con Burckardt, il cui pensiero storico è sostanzialmente pessimistico, nell’influenzare la visione del mondo nietzschana è di notevole importanza.

PREFAZIONE (pp. VII-XI)

Quando, ancora negli anni '90 del secolo scorso, Friedrich Nietzsche andava lentamente spegnendosi, dapprima a Naumburg, poi a Weimar, si erano già avute le prime avvisaglie di quella costernazione che doveva venir provocata dalle sue opere. Questa costernazione è durata fino ad oggi, e torna continuamente a prodursi in sempre nuove forme. La ragione è la natura scandalosa del suo pensiero, che malgrado le non poche assicurazioni in contrario, non è stato ancora superato. Al pari di un grosso masso erratico, gli scritti di Nietzsche ostruiscono l'ingresso, sbarrano la strada al XX secolo, non è facile liberarsene o aggirarli, né superarli d'un balzo.

Lui, Nietzsche, è un uomo della seconda metà dell'800, di un'epoca volta al tramonto, un uomo appartenente al mondo borghese che si avviava alla fine. Cosa sarebbe venuto dopo?

Questo è l'interrogativo che più lo preoccupava e alla cui soluzione dedicò tanta parte dei suoi scritti. La risposta conteneva la sua dottrina fondamentale, che compendiava in sé tutte quelle accessorie. Il mondo con la sua impostazione cristiana e borghese, la sua morale, il suo tradizionale umanesimo nello sfondo, la sua fede nel progresso, il sorgere della democrazia, del socialismo come perfetta salvaguardia della vita: attendersi dal lontano futuro alcunché di ciò è segno di un'infinita ingenuità. Le prospettive sono pessime. A simili speranze non si può dare credito. Tutto ciò in cui si è creduto finora va dimenticato. Le carte vincenti del futuro sono la forza bruta, la barbarie che uccide e incendia, le zanne e gli artigli del predatore, della «bestia bionda».

A ciò occorre essere preparati. Mostrarsi pronti può offrire conforto in un'epoca in cui gli uomini hanno perduto ogni orientamento.

Tutto ciò sembrava accompagnarsi al lamento per la decadenza e la fine della civiltà, che doveva diffondersi ovunque e richiamarsi impropriamente a Nietzsche. Ma non è qui il luogo di parlarne. Quanto a Nietzsche, le notizie delle prossime catastrofi sono anche buone notizie. I cataclismi e le esplosioni che distruggono il mondo esistente spianano la strada al suo rinnovamento, divenuto indispensabile. Con esse si provvede a un'umanità rinnovata. Dunque per giustificare la guerra non occorre una buona causa, ma è la buona guerra che giustifica qualunque causa.

Se questo pensiero potè diventare nel XX secolo una linea direttrice della prassi politica, doveva esserci una ragione. Muovere guerra a un avversario senza portare una motivazione di principio né fornirla in seguito, con un procedere dove i pretesti e le ragioni, l'illusione e la realtà non hanno necessariamente a che fare gli uni con gli altri, è cosa che farà scuola. Si accampava così il diritto all'uso della forza, secondo il motto: tutto il resto si aggiusterà da solo.

Là dove questa concatenazione irrazionale si è tradotta in una prassi che è venuta ad essere considerata il contrassegno del movimento fascista in Europa e nell'America Latina, non è stato facile contestare la paternità spirituale di Nietzsche. Hitler e Mussolini avevano quindi tutto il diritto di richiamarsi espressamente a Nietzsche e al suo «superuomo» uscito dalle tempeste d'acciaio della guerra. La previsione di Nietzsche si era dunque avverata.

Ma non occorreva richiamarsi proprio a Nietzsche per procedere in questo modo. Altri movimenti che affermavano di lottare per la liberazione dell'umanità sono rimasti impigliati nella stessa rete. Il comunismo nella sua versione staliniana non si ferma davanti alla richiesta dei motivi. Con simili norme pratiche si può fondare la libertà così come abolirla, colonizzare come decolonizzare, si viene a disporre di mezzi illimitati in ogni direzione. Qui Nietzsche aveva prefigurato i rapporti di una politica del futuro. Con essi bisognerà fare i conti, l'uomo dovrà tenersi pronto, addirittura accettarli, se vuole sopravvivere.

Questo e non altro afferma Nietzsche. Ma non tanto come monito per gli altri, quanto come verità che incide nella propria carne! Qui è Nietzsche che fa i conti con se stesso, con quanto ha ricevuto dalla tradizione, dall'educazione, dagli studi, dall'eredità, con ciò che scorre nelle sue vene. Quindi il suo pensiero è anche sempre un pensare contro se stesso, il suo scrivere uno scrivere contro se stesso, anche quando si annovera tra i più eletti degli uomini, quando si sente un dio tra gli dèi.

Dunque un'autoesaltazione che porta con sé la sua caduta! È una tragedia che si svolge nelle forme borghesi del secolo al suo volgere, e che Nietzsche trasforma nella rappresentazione scenica di una vita che ha come protagonista lui stesso. E dove viene tutta percorsa la strada che va dal giovane cristiano modello al denunciatore del cristianesimo come religione di sventura!

Come in una tragedia di Eschilo, che Nietzsche pone al di sopra di tutti gli altri tragici greci, nell'esposizione è già contenuto il corso dell'azione, il suo possibile svolgimento e la sua fine. Della costumatezza dell'allievo della scuola di Pforta non si può minimamente dubitare, anche se un referto scolastico contiene una nota caratteristica, quali si usavano allora, che gli attribuisce uno «sguardo fisso». Nietzsche non era certo un «idiota della famiglia», come Sartre chiama Gustave Flaubert, a lui per molti versi affine, col suo lento sviluppo spirituale durante la prima giovinezza. Ma il buon carattere di questo figlio di un pastore di campagna, attestato dai suoi insegnanti, ha anche un lato oscuro. Fin dal principio esiste in lui un aspetto sinistro pronto a scatenarsi.

Se il nome di Nietzsche venne ben presto associato alle nubi minacciose che dovevano ricoprire l'Europa e il mondo, se e vero che l'orrore lo rivendicherà a sé, è altresì vero che - come spesso accade in Nietzsche - si poteva affermare anche il contrario. Nietzsche fu «europeo» in un'epoca in cui questa parola e il suo concetto erano ancora profondamente oscurati dal nascente Stato nazionale. In quest'epoca, Nietzsche era già il campione dell'Europa come inconfondibile unità culturale. A Vienna, ancora lui vivo, il giovane Hugo von Hofmannsthal risente la sua suggestione, in Francia André Gide, in Italia Gabriele D'Annunzio soggiacciono alla sua seduzione estetica. Ciò che entra in circolazione e viene inteso in tutta Europa come «décadence» prende l'avvio da Nietzsche. Ogni volta che si è parlato delle malattie e delle affezioni che si sono abbattute con effetto crescente sulla civiltà europea, Nietzsche, che da raffinato psicologo aveva avviato il discorso in proposito, è stato sempre coinvolto. Senza questi pensieri di Nietzsche, Thomas Mann non avrebbe potuto scrivere i Buddenbrook né la Montagna incantata. Il suo Dottor Faustus, composto durante l'esilio americano, pur contenendo un monito contro di lui, rappresenta nel contempo un ultimo omaggio a Nietzsche. Gli anni '30 videro due importanti trattazioni nietzschiane: le lezioni su Nietzsche tenute a Friburgo da Martin Heidegger, in seguito pubblicate in due volumi, e il libro su Nietzsche di Karl Jaspers. Heidegger tratta soltanto il pensiero di Nietzsche, prescindendo dalla sua vita. Il libro di Jaspers contiene sparse osservazioni sulla sua vita e prende in considerazione anche la malattia di Nietzsche e il suo decorso, ma l'interesse biografico, o l'intenzione di connettere il pensiero di Nietzsche con le circostanze della sua vita, e di spiegarlo in base ad esse, non è in Jaspers maggiore che in Heidegger.

Una tendenza contraria venne inaugurata da Curt Paul Janz con la sua biografia di Nietzsche in tre volumi, che offriva una notevole documentazione relativa anche a fatti finora sconosciuti, ma si asteneva dal prendere posizione sulla sua filosofia, o meglio dal valutarla. Ciò era del tutto comprensibile, data la difficoltà di riuscire debitamente persuasivi di fronte a un pensiero gravato da tanti pregiudizi come quello nietzschiano. Una biografia come quella di Janz era urgentemente desiderata, dopo che Karl Schlechta aveva inoppugnabilmente messo in dubbio l'attendibilità dell'immagine di Nietzsche trasmessa ai posteri dalla sorella, Elisabeth Forster-Nietzsche, e il terreno su cui il «mito di Nietzsche» aveva prosperato era cominciato a vacillare. La vita di Nietzsche e lo stesso Nietzsche dovettero d'ora in poi considerarsi con occhi diversi. Tutti i clichés erano in via di dissoluzione.

Grazie alle edizioni delle opere e alle raccolte delle lettere le condizioni non erano sfavorevoli. La nuova edizione di Giorgio Colli e Mazzino Montinari ha fornito qualche arricchimento, ma non è ancora prevedibile il suo completamento. Essa però ci offre oggi l'epistolario completo. II lavoro del biografo trae da ciò dei vantaggi che prima non esistevano in pari misura. Ad esempio, se Karl Jaspers, psichiatra di chiara fama, aveva ancora escluso che la «psicosi» di Nietzsche celasse in sé la consapevolezza dell'imminente ottenebramento spirituale, ora, al contrario, le testimonianze epistolari ci mostrano con grande precisione quanto egli fosse ossessionato dalla paura dell'imminente follia.

Nel gennaio del 1889 ha fine la biografia intellettuale del quarantaquattrenne Nietzsche. Così come è il protagonista della sua tragica vicenda esistenziale, il cui ultimo atto inizia ora e durerà ancora undici anni, Nietzsche è anche l'autore della propria biografia fino a quel punto. I suoi libri, dalla Nascita della tragedia allo scritto Nietzsche contro Wagner, ai Ditirambi di Dioniso, contengono la storia della sua vita. A partire dalle poesie giovanili, fino ai fuochi d'artificio dei suoi aforismi, Nietzsche non scrisse una sola riga che non riconducesse, come una sottile ramificazione, a un tronco che affonda le radici nella sua vita stessa. Delle sue contraddizioni filosofiche fanno parte le contraddizioni esistenziali, le trasvalutazioni, i repentini rivolgimenti, così come le sue vicende biologiche, alternanti tra malattie, deperimenti fisici e convalescenze. Qui sta la chiave di tante cose per altri versi difficilmente comprensibili in Nietzsche.

La storia della vita di Nietzsche, con i suoi vari stadi, come introduzione al suo pensiero, la sua filosofìa intesa come filosofia vitale, vale a dire anche sempre come mezzo per suscitare le forze che contrastano la malattia e la minaccia della morte: questa prospettiva è quella privilegiata fra tutte in questo libro - ma senza la pretesa di risolvere in questo modo l'«enigma» della natura di Nietzsche, dove kartista» e il «pensatore» coincidono, l'enigma della violenza esplosiva del suo linguaggio, ma anche senza la pretesa di misurare la sua filosofia nelle sue conseguenze estreme.

INTRODUZIONE (pp. 3-13)

«Tutta la nostra civiltà europea precipita già da gran tempo, con una torturante tensione che cresce di decennio in decennio, verso la catastrofe». Queste parole, scritte da Nietzsche negli appunti da lui raccolti nel 1887 sotto il titolo di Volontà di potenza, si sono puntualmente verificate. Esse vennero scritte in un'epoca che, vista dall'esterno, non sembrava ancora colpita da quel processo, in cui però, nell'ambito di un mondo di intatta sicurezza borghese, poteva nascere il presentimento di una possibile prossima fine. Ciò che qui Nietzsche mette in luce è un quadro terrificante del mondo moderno, dove la noia viene soverchiata dall'ebbrezza e dal sensazionalismo, la macchina detta le sue condizioni e l'affannosa produttività per farla funzionare genera una desolazione cui nessuno può sfuggire. La macchina, la meccanizzazione del lavoro, l'ascesa delle masse hanno scatenato i grandi movimenti verso un mondo «dove tutto vacilla, dove tutta la terra trema». Il «nichilismo» è alle porte, nessuno può sperare di impedire la sua penetrazione capillare in ogni spazio della vita. «II regno del nichilismo - conclude il visionario - è la storia dei prossimi secoli».

Quadro desolante! Non c'è più nulla di solido, tutto quanto si è creduto finora ha perso la sua pretesa di validità, le carte finora vincenti vengono tolte dal mazzo. Tutto si dissolve in chiacchiera, tutto viene tradito.

Dietro questa situazione si cela un'evoluzione di più antica data. A partire dalla Rivoluzione francese, in Europa la democrazia, malgrado temporanei regressi, è in continua ascesa. Contro questo movimento in nome del popolo nessuna forza si è dimostrata adeguata: là dove esso ha preso piede, non è più reversibile. Non lo si può contrastare, se non forse con i suoi stessi mezzi. Esso sequestra ogni cosa, senza trascurare nulla. Anche il cristianesimo finisce col dissolversi nella democrazia, e quindi perisce in essa.

Ma la democrazia non è che una fase di transizione. In quanto fermento di dissoluzione, nichilismo vissuto, in cui ogni cosa viene messa in discussione, è tanto buona quanto cattiva. Ancora una volta, si dovrà alla sua forza di erosione se essa si è aperta la strada verso una futura forma di governo, il governo mondiale. Giacché soltanto essa era in grado di creare le premesse di una nuova sovranità, che in lei ha già gettato le proprie fondamenta.

Questo è il più deciso rifiuto di ogni forma di persuasione che la democrazia, con le sue promesse e aspettative di felicità, sia una condizione definitiva. La forza della democrazia sta nel minare la fede, nell'indebolire la volontà e nell'inondare il mondo di quegli uomini sradicati, distrutti, infranti, senza più resistenza, che alla fine dell'era di transizione sono già in attesa di despoti quali la storia non ha mai conosciuto. Ai diritti accampati da costoro essi non possono contrapporre più nulla. La loro sovranità dipende dalla massa che vuol essere dominata; a sua volta, la natura della massa sarà determinata da quella dei suoi padroni.

È giunta l'ora dei tiranni. Ma con l'avvento di questi si prepara a comparire anche un nuovo tipo umano che prospera nel nuovo clima del loro dominio, dove la gerarchia che obbedisce ai canoni della popolare «classe media» viene abolita e sostituita da un'altra. Qui si punta sui «paladini della vita» che mediante segni di riconoscimento fisici attestano la loro appartenenza a una razza umana del tutto diversa, e che ricacciano sull'ultimo gradino i «predicatori dell'aldilà», i «corruttori della volontà», i «preti», che per tanto tempo hanno occupato i primi posti nella gerarchia della «società cristiana». Ciò non accadrà da un momento all'altro: occorreranno fasi di allevamento biologico che dureranno per periodi abbastanza lunghi. I segni di riconoscimento sono quelli dell'allevamento. La forza che serve a dominare effettua e sigilla il capovolgimento della gerarchia.

Nella tabella di marcia qui seguita dalla storia del mondo, il «nichilismo» ha un senso preciso, quello della necessità: «perché il nichilismo è la logica conclusione dei nostri grandi valori e ideali - perché noi dobbiamo sperimentare il nichilismo per riuscire a capire quale fosse in realtà il valore di questi valori». Solo perché questi valori si sono per così dire ribaltati nei loro effetti, perché l'uomo è incappato nelle trappole che essi gli hanno teso e di essi si è «ammalato», sono venuti alla luce i loro contenuti. Al cristianesimo come culto della compassione e negazione organizzata della vita venne ad aggiungersi, come contributo del '700, la fede illuministica nella ragione, nel progresso di un'umanità che corre sempre più velocemente verso la felicità, oltre alle idee di libertà ed eguaglianza, circa le quali rimaneva comunque sempre incerto il momento preciso in cui tutti avrebbero potuto goderne il benefico influsso. Fase suprema dell'illuminismo, e contributo dell'800, era il «socialismo», il più deciso movimento verso la felicità, che ha assorbito in sé tutte le dottrine del progresso. «Progresso», «democrazia», «socialismo», strettamente collegati al sistema assicurativo e agli sforzi che puntano alla totale liberazione dal dolore, con le loro astrazioni e sconfinate promesse, sono tutti figli della stessa famiglia.

Il loro presunto umanesimo getta verso l'antico avversario, il cristianesimo, un singolare ponte sotto forma di tendenza a rinnegare la vita. Giacché la creatura organica è ben lungi dal vedere soddisfatte da essi le proprie esigenze. Essi non sono all'altezza delle grandi catastrofi della storia, che possono di colpo annullare le loro conquiste. Ma a loro merito per l'ulteriore sviluppo della storia verrà ascritto l'aver allevato l'«animale del gregge», che è assai intelligente, addestrabile, buono a tutti gli usi, pronto a obbedire, così come la massa in genere ama ricevere ordini, purché chi ordina sappia persuadere. L'«addomesticamento dell'animale del gregge democratico» svolge qui la sua funzione nella preistoria dell'umanità, che conduce alla sua vera storia, col «superuomo» come sovrano sopra la massa.

Qui il cerchio si chiude. La storia fin qui ripercorribile conosce l'«eterno ritorno dell'identico». Un mondo invecchiato viene sostituito da uno nuovo. Anche nei nuovi rapporti di grandezza, col «superuomo» come nuovo «signore» e con i suoi schiavi, questo ritmo del cambiamento non viene intaccato. Il «nichilismo» come dissoluzione dei valori e l'era delle «grandi guerre» rientrano nella fase indispensabile che contribuisce a preparare la trasformazione cosmica del mondo con i suoi nuovi abitanti.

Con ciò siamo arrivati ai contenuti decisivi del pensiero di Nietzsche. I suoi «mondi», i mondi nei quali egli pensa, hanno, ciascuno per sé, un orizzonte che li ricopre. Non è possibile passare dall'uno all'altro. Questi mondi sono la Grecia, Roma, il Rinascimento italiano, la Francia fino al 1789. Ma anche la Germania con la Prussia e la Sassonia, Naumburg, i pastori luterani, la birra, le tradizioni scolastiche, i suoi filologi, è un mondo in sé conchiuso, che non è paragonabile ad alcun altro! E poi il Mediterraneo, Venezia, Nizza, Torino con la sua aria leggera e il suo cielo perennemente azzurro, con la Carmen di Bizet composta in questo ambiente, di contro alla più ponderosa musica wagneriana. Così egli argomenterà più tardi. Ma esiste un mondo che egli pone al di sopra di tutti gli altri, quello che precede la filosofia greca classica, che affonda le sue radici nell'oscurità della storia pre-greca, asiatica, il mondo dei filosofi naturalisti. Qui troviamo i fondamenti del suo pensiero. Giacché qui avviene l'incontro con quel dio che vale per lui più di qualunque altro, più di Apollo. È Dioniso, il cui ritorno su questa terra nella figura di Wagner diventa il vero evento della sua vita. Questo studio dei «presocratici», che gli schiude anche l'accesso agli inizi della «tragedia» greca, ha contribuito a fondare la sua fama di scrittore, ma segna la sua fine come studioso accademico.

Che l'antitesi da lui istituita e divenuta così famosa, tra 1'«apollineo» e il «dionisiaco», fosse un grande errore scientifico, venne già a sufficienza rilevato dagli specialisti di filologia classica subito dopo la pubblicazione della sua prima opera. Non v'era molto da aggiungere. Il contrasto tra -il bello, con tutti i suoi connotati di armonia e di misura da una parte, e la sfrenata ebbrezza dall'altra, poteva ben svolgersi nella poderosa fantasia di Nietzsche, ma le fonti non suffragavano il punto di vista da cui egli descriveva la propria origine spirituale. Si dimostra qui assai presto quanto rapidamente egli si staccasse dalla filologia universitaria e si desse a ricercare verifiche di altra natura. Questa ricerca lo porta, è vero, a considerare gli «elementi», il fuoco, l'acqua, l'aria, e la possibilità della loro mescolanza e anche della loro discordia. Principio fondamentale del mondo non è la quiete, bensì il movimento. «Tutto scorre», il fuoco è l'elemento primordiale del cosmo, «la guerra è la madre di tutte le cose», Dioniso, il dio dell'entusiasmo e della musica, rappresenta la generazione e quindi l'eternità della vita. A Dioniso era consentito portare apertamente il fallo nelle processioni sacre, perché esso era un dio.

Qui cominciamo già a toccare il nucleo dei valori nietzschiani. Nietzsche può - cosa che è alla base delle sue numerose contraddizioni apparenti - comprimere insieme i diversi «mondi» preistorici e storici, può giudicare in base a punti di vista propri dell'uno o dell'altro. In questi casi non muta per così dire opinione, bensì pensa in base al punto di riferimento di uno stadio precedente. Tutto è in continuo movimento. Giacché per Nietzsche essere significa divenire.

Così come oggi il corso della storia si presenta ai nostri occhi, si può a buon diritto, vista la sua evoluzione, ravvisare in Nietzsche uno dei distruttori del XIX secolo e uno dei fondatori del XX. Non si può negare che egli abbia operato con successo nell'uno e nell'altro campo. Uno dei suoi bersagli principali è stato il «cristianesimo».

Al posto dello scomparso splendore dell'antichità classica era venuto il cristianesimo, al posto degli antichi dèi si trovava l'unico Dio con suo figlio come Redentore. Non mancano le storie di questa dissoluzione del mondo grecoromano e dell'avvento di una nuova morale diffusasi col cristianesimo. Gli stessi cristiani diffusero la novella del trionfo del Redentore sopra i culti pagani, i loro teologi non risparmiavano gli esempi di uomini e donne animosi che avevano affrontato il marciume della magia ed erano riusciti ad esorcizzarlo. Sui luoghi sacri distrutti si eressero i nuovi santuari, come se quelli antichi non fossero mai esistiti.

Ma il pensiero cristiano era una verità autentica, in grado di reggere di fronte all'evoluzione complessiva di una stona umana documentabile? Nel corso di tutti i secoli cristiani sono sempre esistiti spiriti che non credevano nel cristianesimo. Il Dio che i suoi seguaci si rappresentavano come esistente «da eternità a eternità», era in realtà il prodotto di un'epoca recente. Che cosa c'era prima del suo dominio, ovvero, cos'era accaduto contemporaneamente nella sfera di altri culti? È vero, il trionfo della Chiesa era stato irresistibile. Non era possibile metterlo in discussione, come pure l'incomparabilità della religione cristiana. Lo stesso cristianesimo non consentiva qui alcun dubbio.

Ma con la vittoria del cristianesimo, peraltro limitata a una parte del mondo, si era avuto un progresso complessivo dell'umanità? Questa questione aveva imbarazzato da secoli gli uomini cui si dava il nome di «umanisti». Essi, che conoscevano le grandi epoche della storia antica, non potevano persuadersene. Ma il grigio «cristiano» medio non le conosceva perché non voleva conoscerle e perché gliene veniva offerta un'immagine distorta.

Ora, col tramonto dell'impero romano, i resti più antichi della Grecia e quelli più recenti di Roma, fusi nell'ellenismo, erano arrivati sull'orlo dell'abisso. Come afferma Gibbon nella sua storia della caduta dell'impero romano, il mondo antico che qui tramontò era rovinato per le proprie debolezze. Ma proprio queste debolezze dimostravano ancora una volta la sua grandezza nelle sue epoche d'oro. Durante la sua agonia si annunciavano già i suoi eredi che accampavano i loro diritti.

Le idee di Gibbon, che saranno anche quelle di Jacob Burckhardt, sono anche le idee fondamentali di Nietzsche. Egli non farà che trarne le conseguenze nel modo più risoluto e interrogare il cristianesimo, partendo dalla crisi da lui diagnosticata, circa il suo valore vitale. E la sua risposta sarà negativa. Giacché il cristianesimo mostra una tara fin dagli inizi della sua diffusione. Il miraggio della «redenzione» che esso promette risponde alle esigenze delle masse di un mondo in dissoluzione, degli emarginati, senza patria né diritti, minorati nel corpo e nello spirito, degli schiavi trascinati a Roma da ogni angolo dall'impero romano, dei senza speranza. Esso trovava il suo seguito soprattutto nelle grandi città dell'Impero. Chiunque avesse rispetto di sé e tenesse alle antiche virtù, alla bellezza, all'armonia delle misure, alla conciliazione con la natura, doveva sentirsene respinto.

Il fatto che il cristianesimo si prendesse cura di tutti quanti erano stati emarginati dalla società ellenistica può spiegare la sua straordinaria capacità di diffusione. Era il segno che stava qui prendendo le mosse una religione capace di abbracciare il mondo intero. Ma una religione che aveva scelto di puntare sulla distruzione degli istinti dell'uomo doveva d'ora in poi proclamare per tutti i secoli valori che potevano essere sacri solo per gli sbandati di una civiltà in via di dissoluzione. Il cristiano dei primi tempi a Roma, che aveva compassione per i reietti, reietto lui tlesso, aveva tramandato la sua invidia per tutti i meglio «dotati» dalla natura. E poiché si sentiva ostile alla «natura» che lo aveva così crudelmente svantaggiato, mise al suo posto la «sovranatura» che annullava le leggi della «natura». Egli deve vendicarsi della minorazione inflittagli, e lo fa mediante il sospetto nei confronti della vita vissuta, della sovrabbondanza di vigore naturale.

«Dio è morto», era il messaggio con cui Nietzsche sbalordì i contemporanei. In seguito questo annuncio di morte venne energicamente contraddetto. Ma per Nietzsche che lo aveva proclamato non si trattava di una novella luttuosa, bensì di un annuncio che per i posteri conteneva anche il «principio speranza». Quel messaggio era stato da lui lanciato in presenza di una crisi da lui diagnosticata, che non prometteva nulla di buono per il futuro. L'umanità dovrà rinunciare per l'avvenire alla collaborazione di Dio. Ma questa morte offriva nel contempo la liberazione dal Dio scomparso.

Nietzsche, che descrisse la fatale partita giocata dalla religione sotto forma di cristianesimo, aveva meditato a fondo e da punti di vista diversi sul sistema della religione, sulla sua «psicologia», sulle sue false pretese, sul risentimento che stava alla sua base. Perché il cristianesimo stava in primo piano nella sua diagnosi? Perché questo era il terreno che egli conosceva meglio fin dalla giovinezza. L'aveva assimilato col latte materno, l'aveva respirato nel suo ambiente, conosceva gli eccessi di scrupoli non meno che le tribolazioni che esso procura. Sapeva le paure che esso alimenta, non meno delle vie tortuose per le quali recupera l'uomo impaurito.

Per questo la diagnosi nietzschiana fu sempre anche un'auto-diagnosi. Nella storia clinica dell'Europa, da lui osservata e descritta, era sempre compresa la sua. Questa personale partecipazione all'oggetto della sua indagine è fin dal principio inequivocabile, e gli fruttò dei seguaci ancora in vita. Nietzsche potè sicuramente vedere gli inizi della sua gloria, che giunse al suo vero e proprio apogeo negli anni '20. Com'è noto, egli espresse senza veli il presentimento della sua fama futura. Soprattutto nella penultima fase della sua vita, questi presentimenti si trasformarono in una incrollabile sicurezza, dove affiora la più audace e scandalosa tracotanza, priva in ogni senso di misura. Vi si potè scorgere le avvisaglie della sua crisi finale, di un morbo all'opera dentro di lui, e non senza buona ragione. Ma si trattava nel contempo del linguaggio di un titano che si levava contro il suo tempo e che, pur soccombendo alla fine, trovò tuttavia anche chi lo ascoltò.

Già prima dell'inizio del secolo quegli intelletti critici che più erano sensibili all'incertezza di cui soffriva l'epoca avevano dovuto fare riferimento a Nietzsche. Chi non si trovava più in accordo coi tempi poteva trovare nelle Considerazioni inattuali di Nietzsche un avvio a una nuova vita.

Il movimento superò di gran lunga i confini della Germania, penetrando in Francia, in Italia, in Scandinavia. A Copenaghen, Georg Brandes fu il primo a tenere conferenze sulla filosofia di Nietzsche, in Italia l'estetismo di Gabriele D'Annunzio si ispirava al culto nietzschiano degli eroi; la bellezza pronta a morire si sposa ancora una volta con l'azione. In Francia, il cui mondo letterario ha sempre coltivato l'autarchia nazionale, la conoscenza del mondo germanico era spesso limitata a Wagner e a Nietzsche. In queste due figure lo «spirito tedesco» si presentava in un singolare impasto di attrazione e repulsione. Del resto fu proprio Nietzsche a scoprire che il vero pubblico di Wagner era a Parigi, e che il suo vero elemento era il romanticismo francese. Nietzsche prevenne l'apertura dei Francesi verso il suo pensiero e i suoi scritti con la sua simpatia per la sensibilità tutta francese verso la forma. Forse esagerò nella sua ammirazione per Bizet, ma ciò che egli ha da dire su Stendhal e sul suo «occhio di psicologo» fu la vera riscoperta di questo scrittore, che allora era quasi caduto nell'oblio. Per Nietzsche, Stendhal fu l'evento letterario del secolo, eguagliato soltanto da Goethe.

La libertà di giudizio che balena qui fulminea in Nietzsche si ripercosse a sua volta su di lui. I posteri si appropriarono di quanto loro serviva, cercando dì inserirlo in altri sistemi preesistenti. Era giusto: di Nietzsche ci si poteva appropriare, la sua filosofia per le sue idee somigliava a un arsenale di armi altamente esplosive. Nietzsche non fu un compagno di strada di nessuno. E se lo fu, come nel caso di Wagner, non per tutta la vita e non senza condizioni! Era, cosa rara tra i filosofi, un combattente, che sfidò la sua epoca, il suo secolo, tutto ciò che per duemila anni aveva fatto parte delle tradizioni indiscusse, del registro morale del mondo. Non fa stupire che dei movimenti di carattere rivoluzionario volessero scrivere il suo nome sulle loro bandiere! Nietzsche il rivoluzionario, che guardava all'«uomo nuovo» e si faceva banditore del futuro «superuomo» come tipo prodotto da un allevamento in senso biologico, poteva indubbiamente tentare chi volesse illecitamente appropriarsene. Ed è indubbio che avesse qualcosa del seduttore, che caratterizza anche il suo stile di scrittore.

Che cosa fece di Nietzsche pensatore un evento europeo, così come viene considerato nel XX secolo? L'aver messo in guardia, in un mondo che si andava preparando alla democrazia, proprio contro la democrazia. In ciò egli non fu solo, ma fu tra tutti il pensatore più deciso e più gravido di conseguenze.

Ma ciò non è sufficiente a spiegare la natura particolare del suo caso. Va aggiunto che la radicale condanna della democrazia, alla quale, dopo la fase nichilistica intermedia che si presenta sotto il suo nome, egli non riconosce più alcuna possibilità, viene da lui congiunta all'ateismo. Quella nietzschiana è la forma teoreticamente più sviluppata di ateismo a partire dai primordi presocratici del pensiero filosofico, ne contiene la somma. Tutto quanto fin dal XVIII secolo si avvicinava all'ateismo o addirittura si presentava sotto questo nome, a partire dalla Francia coi suoi pensatori materialisti, sensualisti, positivisti e ideologi, ha in confronto con Nietzsche un carattere episodico. L'ateismo nietzschiano fu il colpo più conseguente e definitivo.

Ma l'ateismo di Nietzsche è anche il suo alibi. Esso dimostra al di là di ogni dubbio e più di ogni altra cosa che tutti i suoi legami con la reazione politica vanno tagliati, anche in quei casi in cui essa si è potuta e ancora si può appropriare di lui. Giacché l'alleata classica della reazione politica è la religione nella sua veste storica. Il buddismo, anch'esso ateo, non entra qui nel discorso. Ma cosa sarebbe stata in Francia l'antica monarchia borbonica senza la Chiesa che le diede la sua consacrazione, e la Prussia senza il «trono e l'altare»? Il Tory inglese si riconosce nel culto qual è celebrato dalla Chiesa Alta del rito anglicano. Quando, nel corso del XIX secolo, cominciò ad affermarsi il parlamentarismo, nelle nazioni latine il «laicismo» era il segno distintivo secondo il quale si dividevano i seggi dei deputati; esso era il vincolo che univa nelle monarchie latine il liberalismo, il repubblicanesimo e il socialismo, nella certezza che Dio, la Chiesa e il clero rappresentavano il potere guardasigilli dell'ordine monarchico costituito. Le eccezioni non facevano che confermare la regola.

Nietzsche sovvertì questi criteri di classificazione. Nulla era ormai più al suo posto, la sinistra e la destra si scambiarono i nomi. Ciò che stava al di sopra passò al di sotto e viceversa. Il suo pensiero fu come un uragano che devasta un paesaggio.

La forza di Nietzsche è la sua lungimiranza. Ciò vuol dire anche che egli non è in grado di giudicare periodi più brevi. Poca importanza ha quanto egli ha da dire sul «socialismo» e sulla «questione operaia» nel suo secolo. Qui troviamo in Nietzsche lunghi momenti di temporanea cecità. Nietzsche si trova perfettamente a suo agio nel futuro, dove avverranno grandiosi fenomeni che decideranno del dominio della terra. Queste decisioni avverranno mediante le guerre: «Ci saranno guerre quali mai se ne ebbero sulla terra». Le situazioni nazionali finora invalse e le guerre condotte tra nazioni hanno un semplice «carattere d'interludio». Esse possono al massimo consentire di occupare una buona posizione nella lotta per il dominio del mondo. L'esito finale è ancora aperto. Qui Nietzsche ha sviluppato modelli diversi e anche reciprocamente contraddittorii. La disgregazione dell'Europa o la sua unità, il governo del mondo da parte dell'Europa o il suo declino. E sempre da considerare la possibilità che l'Europa soccomba al classico destino di decadenza che annientò la Grecia e Roma: è possibilissimo «l'istupidimento dell'Europa e il rimpicciolimento dell'uomo in genere». Ma l'Europa può altrettanto bene perire per il «caos delle intelligenze», in cui l'Europeo in quanto «il più intelligente animale-schiavo» ha perduto la forza di volontà e viene soggiogato da nature più forti. Il futuro deciderà i ruoli dell'America e della Russia, ma anche se i Tedeschi abbiano, se ce l'avranno, ancora un avvenire.

II
NAUMBURG, OVVERO L'INIZIAZIONE AL CRISTIANESIMO (pp. 21-29)

La comitiva che fece così il suo ingresso a Naumburg mostrava chiaramente i segni del lutto più profondo. Questo era l'aspetto che i nuovi venuti offrivano a coloro che li attendevano per istruirli sul loro nuovo ambiente.

Ciò che qui li aspettava era qualcosa di completamente nuovo per la «Fränzchen» e i suoi due figli, così poco avvezzi alla città. La quiete agreste con i suoi ampi orizzonti era ormai una cosa del passato. Mancavano i liberi spazi cui erano abituati, al cui posto c'era ora una paralizzante strettezza, senza libertà di movimento! Naumburg era tutt'altro che una città cordiale e invitante. Alla metà del secolo conservava ancora il suo isolamento medievale. La sera alle dieci le porte di città venivano sprangate fino alle cinque di mattina. Profondi fossati circondavano le mura, separando la città dal mondo esterno, fatto di orti, campi e vigneti.

Niente meglio dell'architettura poteva illustrare la mentalità prevalente in questa città, che puntava tutto sulla regolarità. Qui la rivoluzione del 1848 non aveva praticamente lasciato traccia, e tanto meno le sue idee erano state accolte dall'élite cittadina. Lo stesso valeva del resto anche per il padre di Nietzsche. Il pensiero dell'incombente sovvertimento e del suo programma che andava diffondendosi gli dava il mal di stomaco, come tutti gli screzi che sorgevano di tanto in tanto in famiglia o nella comunità ecclesiastica, in quelle occasioni si ritirava sempre nel suo studio. Naumburg, come Röcken, era assai distante da Dresda, dove Bakunin guidò personalmente l'insurrezione sulle barricate, fallita la quale il suo amico e secondo direttore dell'Opera di corte, Richard Wagner, che vi era stato coinvolto, cercò al più presto riparo oltre confine. Simili principii non avevano ricetto nella casa dello spedizioniere Otto nella Neugasse, dove i nuovi venuti trovarono dimora. Qui la nonna prese ad esercitare in pieno il suo ruolo dominante. Pensarla da buoni naumburghesi significava esser fedeli al re e obbedire alla «parola di Dio» nelle cose piccole come nelle grandi, riconoscere l'alleanza del trono con l'altare, alla quale del resto il padre testé morto aveva dovuto la sua nomina a pastore di Röcken. Da questa posizione continuavano a dipendere i mezzi di sussistenza della giovane e rispettabile vedova. Su queste basi poggiava del resto saldamente tutto il mondo dei pastori della Prussia e della Sassonia, i cui superstiti vivevano delle pensioni di reversibilità.

Qui, nella casa cittadina, con la sua imponenza degna dei notabili, si era stabilita la famiglia in lutto, formata in maggioranza da donne. E qui il pane quotidiano era accompagnato dalla parola della Bibbia, costantemente ricordata dalla nonna e dalle due zie. La saggezza biblica sotto forma di citazione ha autorità e ammaestra in ogni situazione della vita. Ha qui la sua origine la profonda conoscenza che Nietzsche ha della Bibbia di Lutero. È indubitabile che Nietzsche fosse fin dal principio consapevole del danno e degli svantaggi cui la sua prima educazione fu soggetta. Il male principale sta nei rapporti familiari. Egli rappresenta l'unico elemento maschile della famiglia, di contro a cinque donne che vegliano sul suo benessere, sono a sua disposizione con l'aiuto e la massima sentenziosa, con l'assistenza amorosa e il monito più fervido, per dare la giusta direzione alla sua vita. Lui ha una gran voglia di imparare, dimostrando però un eccessivo amore per la lettura, che qualche tempo dopo avrà a rimproverarsi. Nel suo schizzo autobiografico del 1864 egli ravvisa il punto di frattura della sua breve vita nella morte del padre: «Indubbiamente ebbi genitori eccellenti; e sono convinto che proprio la morte di un padre straordinario come il mio da una parte mi privò della guida e dell'appoggio paterno per la vita futura, dall'altra gettò nella mia anima i germi di un temperamento austero e contemplativo». L'autobiografo tocca poi anche l'inconveniente della vita familiare a Naumburg, che si svolge sotto la tutela della nonna, con le onnipresenti zie Auguste e Rosalie e «Fränzchen», la madre ragazzina, altrettanto bisognosa di assistenza: «Forse fu un male che tutto il mio sviluppo a partire da quel punto non venisse vigilato da un occhio virile, e che invece la curiosità, forse anche la sete di sapere mi facessero accostare nel più grande disordine alle più disparate materie, atte per l'appunto a confondere un giovane spirito appena uscito dalla cerchia familiare, e soprattutto a mettere in pericolo le basi di una cultura profonda».

La vita di questa famiglia senza un uomo alla sua testa si svolge, malgrado le origini campagnole, in tutto e per tutto secondo i canoni del patriziato cittadino. Ma un certo disagio permane. Il giovane Nietzsche si sente oppresso, e questo senso di soffocamento gli rimarrà poi sempre ogni volta che andrà col pensiero a Naumburg.

Del resto, nella casa della Neugasse non si sta poi tanto comodi. Nelle stanze sul davanti sta la nonna, mentre Franziska con i due figlioli abita in quelle posteriori, che ricevono poca luce. La miopia di Nietzsche, ereditata dal padre, qui peggiorò ben presto date le condizioni in cui leggeva e scriveva. Nemmeno una visita dall'oculista, che diagnostica con esattezza il disturbo, induce a eliminare l'inconveniente. E’ evidente che non se ne vede la possibilità, ovvero che si sottovalutano le conseguenze nocive. Ciò è singolare, perché la madre tiene a una vita sana, e nei suoi menus dà la preferenza a un'alimentazione ricca di verdura e di frutta. L'aria aperta e gli esercizi fisici come il nuoto e il pattinaggio sono tra le raccomandazioni che suo figlio segue volentieri. L'istinto ecologico che egli comincerà a introdurre in filosofia è in lui ben desto fin dal principio.

La vedova del pastore con i due figli rinunciò evidentemente ben presto all'idea di risposarsi, se mai l'aveva presa seriamente in considerazione. Dopo la morte della nonna, è lei a governare la casa, senza grandi difficoltà economiche, Perché oltre alla modestissima pensione può ora godere di una non trascurabile eredità. Ora, diventata indipendente,può dedicarsi tutta, con amorosa sollecitudine e con l'aiuto di un tutore, all'educazione dei figli. Grande è il suo affetto per il figlio maschio, cosa comprensibile data l'immediata spontaneità della sua natura. Ma alla sua attenzione sembra sfuggire un tratto importante del carattere di lui, per la semplice ragione che non poteva avere occhi per vederlo. Giacché essa è un'anima semplice, dall'orizzonte che è e rimane limitato. Questo contrasto tra l'affetto fisico e la totale incomprensione del lato intellettuale contraddistingue il rapporto tra madre e figlio dal principio alla fine. Ad esso contribuisce la frattura dell'ideale della cultura borghese, per cui la cultura, specie quella di stampo umanistico, è privilegio riservato agli uomini, e la donna che ne è esclusa sottolinea il ruolo assegnatole con una decisa incultura. Questa è la situazione anche nelle case dei pastori luterani, dove, com'è noto, l'ideale di cultura classico-umanistica raggiunse nella Germania dei secoli XVIIII e XIX il suo più alto livello. Il pastore evangelico è modellato sul tipo del «dotto», e sua moglie è relegata alla cucina e alla dispensa, a prestazioni di ogni concepibile natura, tutte intese alla cura della famiglia. A questo modello si adeguava il breve matrimonio tra i genitori di Nietzsche: il padre, ecclesiastico e uomo di cultura nel pieno senso della parola, e insieme romantico, ammiratore e seguace della moda sentimentale dell'epoca, uomo «dai nervi delicati» precocemente scomparso; la madie biologicamente più forte, che per tutta la vita non riuscirà mai - come dimostrano le sue lettere - a padroneggiare le regole dell'ortografia. Gli elementi della futura critica nietzschiana della cultura sono già dunque presenti nella sua famiglia, e in seguito Nietzsche li tratterà in una maniera che non ha precedenti prima di lui.

La sua educazione nell'epoca di Naumburg, la frequenza prima del ginnasio del Duomo e poi della scuola di Pforta come interno, segue, vista esteriormente, l'itinerario usuale. Già a Röcken aveva appreso dalla madre i primi rudimenti della lettura e della scrittura. Nella scuola comunale, che è la prima a frequentare, non riesce ad ambientarsi. Era stata la nonna, non da ultimo con l'intenzione di rendere da subito familiare al nipote ogni strato sociale, a spingerlo a frequen-tare questa scuola. C'è qui molto del gusto allora dominante tra le classi elevate, un venir incontro alla moda della «socialità» contemporanea. Ma ecco la reazione di Nietzsche: egli si rinchiude, si ritira in se stesso, evita ogni contatto. Questo tentativo, inteso fin dal principio come preparazione temporanea, propedeutica alla scuola, viene però subito interrotto. Nietzsche respinge l'ambiente scolastico che gli si vuole imporre. Il futuro spregiatore della «massa» recalcitra. Il passaggio all'istituto privato Weber gli è reso gradito dalla presenza dei due amici Wilhelm Pinder e Gustav Krug, che erano già da tempo i suoi compagni di giochi preferiti e che ora diventano suoi compagni di classe.

Circa il rapporto con questi due amici, Nietzsche si espresse nei suoi appunti autobiografici in tono schietto e attendibile. Condividono i suoi gusti, mostrano tutti i segni di uno spirito civico autoreferenziale, sono figli di cittadini eminenti assai ben consapevoli di questa condizione. Bravi figli di famiglia, uniti dalla sensibilità artistica, dall'amore per la musica e la poesia, dall'aspirazione alla perfezione, ragazzi modello quali, a parte le occasionali tentazioni di qualche burla, ogni famiglia, ogni insegnante di un'era borghese al suo culmine poteva solo augurarsi. Si fa luce fin da ora un tratto permanente del carattere di Nietzsche, il bisogno di amicizia, che nella sua vita assumerà diverse forme e sfumature. L'amico è colui col quale ci si apre e si instaura una comunicazione reciproca. Questa amicizia scolastica dei tre, che continua al ginnasio del Duomo, in seguito risentirà alquanto l'influsso del culto dell'amicizia in uso nel ginnasio-liceo tedesco. E fondata - per dirla in termini antiquati - sull'accordo fondamentale della comune sensibilità e, in consonanza con l’ideale dell'amicizia, non conosce l'idea della rivalità. Ed è dall'«antichità classica» che vengono attinti gli esempi di amicizie famose e dei loro effetti.

Certo, l'amicizia così intesa tende anche all'esclusione, discrimina gli estranei, verso i quali ci si chiude: sono gli altri, la gran massa, la maggioranza. Non pochi tratti della vita dei circoli e delle associazioni che sorgono così numerosi nella seconda metà del '700 influenzarono il rapporto fra i tre e parecchi di essi motiveranno anche l'adolescente alunno di Pforta. Ciò che inizia qui nella sfera scolastica comporta effetti duraturi. Il bisogno dell'amico si sovrapporrà totalmente a qualunque rapporto con le donne, ad eccezione di quelle della propria famiglia. E sarà infine un amico, quello da lui più venerato, una delle più grandi figure della cultura mondiale, che causerà la sua rovina.

Un altro sentimento, un'esigenza vitale che non lo lascerà più si va sviluppando in questi primi anni: quella della musica. La musica diventa la base del suo pensiero. Il pianoforte a coda in casa del consigliere d'appello Krug, padre del suo amico Gustav, esercita su di lui una magica attrazione. In casa sua c'è un pianoforte su cui prende lezioni, ma che rimane proprietà della zia Rosalie, sicché la madre, dopo il trasloco nella casa nuova, in cui si trasferì dopo un breve intervallo trascorso all'indirizzo Am Weingarten 18, deve comprarne uno nuovo. Nei suoi esercizi fa progressi straordinariamente rapidi. Per un certo periodo il suo favorito è Beethoven, poi suona Mozart, Haydn, Schubert, Mendelssohn e Bach. In quest'epoca parla di un «odio inestinguibile per tutta la musica moderna», intendendo la musica dei novatori, la «musica dell'avvenire» di Liszt e Berlioz. Ma dovrà modificare questo giudizio, in futuro si schiererà proprio dalla parte di quei progressisti in campo musicale, diventandone addirittura il propagandista.

Già in questo periodo si hanno i suoi primi saggi di composizione tra i quali un'ouverture per pianoforte a quattro mani, oltre a due sonate dedicate alla mamma per il suo compleanno. In genere i compleanni - anche nelle sue prime poesie - servono da occasione al giovane Nietzsche per le sue produzioni minori. Così, scrive una Sinfonia per il compleanno per pianoforte e violino. Oltre a questi lavori, spesso destinati a determinate persone e provvisti di dedica, troviamo tentativi di composizione che non vanno mai oltre l'abbozzo - lavori assai diligenti ma dilettanteschi, gettati giù senza conoscere le regole del mestiere. L'esecuzione è qui praticamente nulla, la volontà di esprimersi è tutto.

Musica, poesia, cristianesimo: sono i mondi in cui spaziano il pensiero e le aspirazioni del giovane liceale di Naumburg. Qui egli si muove - lo si può ben dire - in condizioni di straordinario favore. L'orfano cerca appoggi. Nel consigliere d'appello Krug ha trovato un musicofilo la cui padronanza del pianoforte sfiora il virtuosismo. Le sue interpretazioni di Mendelssohn ricordano a Nietzsche le esecuzioni al pianoforte del padre a Röcken. Casa Krug è un centro della vita musicale di Naumburg e un punto d'attrazione per gli artisti di passaggio. Invece Pinder, che è giurista come Krug, predilige la poesia, e venera soprattutto Goethe. Lo stesso padrone di casa dà lettura di brani scelti delle sue opere. In seguito Nietzsche ricorderà che fu Pinder a fargli conoscere Goethe. In città, Pinder passa per un cristiano attivo, è una autorità riconosciuta da teologi e laici per tutte le questioni della religione di Stato dominante. Sono questi i sostegni ai quali il ragazzo che cresce in una casa di donne si appoggia con entusiasmo. Qui tutto è in regola: ci si può a buon diritto sentire in accordo con l'autorità, le arti sono a portata di mano e le si conosce a fondo, e benché antirivoluzionari in senso politico, si è del tutto privi di pregiudizi, o almeno si crede di esserlo. Una mentalità borghese senza macchia! Sarebbe difficile imputare il minimo difetto al suo senso delle convenienze.

Questa è dunque l'origine immediata di Nietzsche. Tredicenne, scrive un documento eloquente: uno schizzo autobiografico sul periodo 1844-58. A parte la descrizione assai vivace, salvo qualche manchevolezza stilistica, di diversi fatti, particolari familiari, esperienze e sentimenti del giovane autore, non privo a volte di saccenteria, lo scritto è una dichiarazione di devozione alla Chiesa e alla monarchia prussiana. Chi qui scrive appare il vero nipote di quel sovrintendente Friedrich August Ludwig Nietzsche, che a dispetto di Kant e di tutta la canaglia illuministica aveva pronosticato nel suo Gamaliel l’eterna durata del cristianesimo. Viene descritta la visita con cui «il nostro amato re» ha onorato Naumburg, che ha visto la partecipazione dell'intera cittadinanza, delle corporazioni cittadine e degli studenti schierati in piazza per accoglienza. La sera, i fuochi artificiali fanno apparire il duomo avvolto in una luce spettrale. In politica, si sceglie decisamente la causa conservatrice. Va quindi da sé che allo scoppio della guerra russo-turca si stia decisamente dalla parte dello zar in quanto protettore del cristianesimo e baluardo della reazione in Europa contro i «pagani». In uno «sguardo retrospettivo» alla sua breve vita, Nietzsche rende una professione di fede non priva di un toccante candore, dove si riflettono i sentimenti convenzionali dell'epoca: «Ho vissuto ormai tante esperienze, liete e tristi, che mi hanno rasserenato e afflitto, ma in ogni cosa Iddio mi ha guidato sicuro, come un padre il suo debole fanciullino. Parecchi dolori Egli mi ha già inflitto, ma in ogni cosa riconosco con venerazione la Sua maestà, che sovranamente manda ogni cosa a effetto. Ho preso nel mio intimo la salda decisione di dedicarmi per sempre al Suo servizio. Il buon Dio mi conceda la forza necessaria al mio proposito e mi protegga lungo il cammino. Io mi affido come un bimbo alla Sua grazia: Egli ci guarderà tutti quanti, perché nessuna sciagura venga a turbarci. Ma sia fatta la Sua santa volontà! Tutto ciò che mi assegnerà lo accetterò con gioia, fortuna e sventura, ricchezza e povertà, e guarderò arditamente in faccia alla morte, che un giorno ci raccoglierà tutti nella gioia e beatitudine sempiterna. Sì, mio buon Signore, fa che il Tuo volto risplenda sopra di noi in eterno! Amen!».

È il linguaggio inequivocabile del pulpito luterano, con i suoi clichés tradizionali, quale egli aveva sentito usare in casa e in chiesa. È il linguaggio di un figlio di pastore, che in questo periodo nutre seriamente il proposito di seguire la professione tradizionale della famiglia. Finora non sembrano affiorare dubbi circa il suo destino nel giovane alunno della scuola del Duomo, che conosce a menadito la Bibbia, ma è a suo agio anche nel mondo dell'antichità greca e romana. Nella raccolta delle sue poesie, che ha cominciato a comporre all'età di dieci anni e i cui titoli sono elencati in ordine cronologico alla fine del curriculum da lui composto a quattordici, prevalgono i soggetti classici. Viene trattata in rima la sorte di Andromeda, troviamo tra l'altro versi sulla spedizione degli Argonauti, su Leonida e Telaceo; si evocano gli Dèi dell'Olimpo e, impresa addirittura inevitabile per uno zelante diplomando di un ginnasio umanistico che si è consacrato alla Musa, compone una nuova versione poetica dell' Addio di Ettore. Il Medioevo è rappresentato da poesie su Corradino e Barbarossa. E poi poesie per compleanni, strofe sull'inverno in cinque canti, canti spirituali sulla Festa di Pasqua e un «corale» dal titolo Gesù, i tuoi dolori. Lo vediamo: l'autore di siffatti esercizi poetici, dove la lealtà allo Stato e la fede si danno la mano, non lascia nulla a desiderare; averlo come allievo dev'essere la gioia di qualunque insegnante al servizio dell'ordine costituito. In questo quadro, Nietzsche si fa già notare per il profitto al ginnasio del Duomo. Si distingue anche dagli amici Gustav Krug e Wilhelm Pinder, suoi compagni di classe. Che differenza dalla scuola comunale, dove era apparso come inibito!

Dunque uno scolaro modello, che ce la mette tutta per assolvere i suoi compiti! Ciò non si può negare, a dispetto di tutto quanto è stato affermato in contrario. E infatti la sua condotta e il suo profitto vengono ben presto giustamente onorati dal rettore della scuola di Pforta, che offre a Franziska Nietzsche un internato gratuito per suo figlio. Un giovane promettente, in perfetto accordo con la «cristianità», di cui si conoscono i progressi scolastici, soprattutto in latino, che dichiara di respingere tutto quanto non è «classico», dovrebbe trovarsi al posto giusto in questa scuola famosa.

III
PFORTA. OMERO E CRISTO (pp. 30-41)

Tra le scuole della Germania ottocentesca, quella di Pforta passava per una delle più rinomate, se non la prima in assoluto. Come le scuole principesche di Meissen e di Grimma, era una di quelle fondazioni nelle quali i sovrani della Sassonia addestravano i figli dei loro sudditi, facendone i loro funzionari, giuristi, ecclesiastici, professori. Il livello che si richiedeva agli studenti garantiva una selezione rigorosa. Pforta doveva la sua destinazione a ginnasio-liceo a Moritz di Sassonia, il principe assai aperto ai problemi dell'educazione che aveva dato vita all'istituto nel 1543. L'edificio era un'antica abbazia cistercense, alla quale appartenevano la chiesa e i chiostri, destinati dopo la Riforma ad altro uso. Le celle del convento erano state trasformate in camere per gli allievi e gli insegnanti. La maggior parte degli studenti risiedeva nella scuola, il numero degli esterni era assai scarso.

Le poderose mura ricordavano ancora che la finalità del fabbricato era quella di creare un isolamento claustrale. L'impressione era rimasta. Ma non solo: permaneva anche molto dello spirito del chiostro, che era penetrato nella disciplina scolastica col suo sistema di controllo, di sacrifici per amor della causa. Il tipo ideale era qui considerato il «dotto». L'alunno tredicenne o quattordicenne selezionato per la scuola di Pforta, durante i sei anni di studio doveva venir avvicinato a questo tipo ideale. Il corso di studi era considerato propedeutico all'università. Per consentire all'allievo di completarlo con sicurezza, al suo arrivo egli veniva retrocesso di una classe, per lo più la più bassa, per dargli la possibilità di assimilare fin dagli inizi il sistema educativo colà vigente. Se era stato promosso in tutte le classi, si poteva a buon diritto considerarlo, al suo distacco da Pforta, un «giovane dotto».

Era un'educazione rigida, paragonabile alle accademie dei cadetti prussiani, ma con altre finalità culturali. Non si formavano ufficiali, ma persone di cultura umanistica, futuri studiosi. A questo scopo, in conformità coll'ideale di cultura allora prevalente, era indispensabile lo studio dell'antichità classica. La Prussia è importante, ma la via che porta ad essa passa, per il giovane allievo di Pforta, per lo studio del mondo antico. La regola era qui: mettere gli ideali classici al servizio del giovane Stato in ascesa. Ma anche un tenore di vita spartano doveva spianare all'allievo la strada per l'Atene prussiana.

Nel sistema scolastico di Pforta si tiravano le somme di una lunga tradizione educativa. La «Porta» significava l'ingresso in una nuova vita, 1'«alunno di Pforta» era considerato un membro di un'elite culturale del tipo più esclusivo. Il collegio aveva buon motivo di vantarsi di una lunga serie di personaggi che ne erano usciti, tra cui Klopstock, Fichte e Ranke.

Non c'era motivo di dubitare dell'efficacia dell'ordine qui regnante. Al centro dell'insegnamento stava la lingua. Naturalmente anche il tedesco, ma soprattutto il greco e il latino! Chi era padrone di queste lingue, chi era passato per la severa scuola della filologia, aveva addestrato lo spirito al punto di poter esercitare ogni attività, avere successo in ogni professione. Su questa persuasione si fondava il ginnasio-liceo di indirizzo umanistico e si erano orientate per secoli la teoria e la prassi. Il tipo supremo prodotto dall'evoluzione umana era nei tempi moderni il «filologo». Qui la teoria, illimitata com'era, sconfinava nella follia: chi non ha superato queste esercitazioni giovanili nella grammatica delle due lingue classiche, non può mirare a traguardi importanti. Si può affermare con certezza che non ha mai oltrepassato per davvero l'anticamera della «cultura».

Questa concezione rimase indiscussa nella «coscienza culturale» della borghesia del XIX secolo. Come le scuole principesche di Meissen e di Grimma, Pforta era una palestra dello spirito umanistico, uno dei luoghi che si ispiravano alle massime suddette. Il successo sembrava legittimarli, e aveva ricevuto conferme lampanti dai numerosi grandi spiriti che nel corso di più di trecento anni vi avevano ricevuto un'educazione conforme alla loro epoca e difficilmente superabile. Il giovane Friedrich Nietzsche si trovava qui alla fonte. Pforta era un centro dell'ideologia umanistica.

Suprema maestra, che detta le regole di condotta, è la disciplina. Quindi la giornata deve sottostare a un rituale preciso e rigidamente osservato. Si dorme in un'unica camerata, i pasti sono in comune e lo studio comincia e finisce con una preghiera! L'orario della giornata è congegnato non solo in modo da non perdere un solo minuto, ma anche da non permettere alcun vuoto. C'è, è vero, un giorno libero alla settimana per ogni allievo, ma anche questo giorno di respiro è precisamente inserito nel rigoroso ritmo settimanale.

A Naumburg, che la sera chiudeva le sue porte, la rivoluzione del 1848 non era arrivata. A Pforta, a un'ora di distanza, le massicce mura non avevano bisogno di resistere agli assalti dei rivoluzionari. L'orientamento degli insegnano, non meno della docilità degli allievi, faceva sì che il loro patrimonio di idee non potesse nemmeno penetrare.

Quello di Pforta è un mondo conventuale. Nemmeno la Riforma ne modificò granché lo spirito ascetico. I precetti del rigore e della rinuncia sono qui indiscussi. Ciò ben si adatta al carattere di Nietzsche, corrisponde a quanto egli si aspettava dalla scuola, specie in confronto con Naumburg. «Ma c'era un po' troppa libertà, questo non lo puoi negare», scrive all'amico Pinder, suo compagno di banco a Naumburg. I tratti di lassismo non furono mai di suo gusto. Che razza di «scuola» è questa, dove ognuno fa di testa sua!

Divenuto allievo interno, Nietzsche è ora separato da Pinder e da Krug. Con i nuovi compagni si mantiene molto riservato, si chiude, alza barriere, come aveva fatto anche nei primi tempi di scuola a Naumburg. La ragione sta sicuramente nel fatto che sulle prime non riesce a trovare una sostituzione idonea per gli amici da lui lasciati, finché non trova finalmente in Paul Deussen uno spirito affine.

Nelle sue memorie, Deussen notò «l'indifferenza di Nietzsche per i piccoli interessi dei suoi compagni»; nel collegio è proverbiale la sua «mancanza di spirito di corpo», che viene imputata alla sua «mancanza di carattere». No, coi suoi compagni Nietzsche non ha di regola nulla a che spartire. Il fatto che per un certo tempo si dedichi esclusivamente a Deussen va inteso come una particolare distinzione. Deussen ricorda ancora: «con le nostre tranquille conversazioni e passeggiate quotidiane a due ci isolammo dagli altri compagni»; vero è che egli sottolinea il fatto che la condotta di Nietzsche è dettata piuttosto dalla convinzione preconcetta di non trovare in loro alcuna comprensione. Il legame tra i due viene ulteriormente stretto dalla confermazione: «Quando i confermandi si avvicinarono a due a due all'altare, per ricevere in ginocchio la consacrazione, Nietzsche ed io, intimi amici, ci inginocchiammo l'uno accanto all'altro. Ricordo ancora benissimo lo stato d'animo di devozione oltremondana che ci pervase nelle settimane precedenti e seguenti la confermazione. Saremmo stati prontissimi a morire subito per essere vicini a Cristo, e ogni nostro pensiero, sentimento e azione era illuminato da una serenità ultraterrena [...]. Ma la nostra fede cristiana perdurò in certa misura fin dopo l'esame di licenza. Essa venne insensibilmente minata dall'eccellente metodo storico-critico con cui a Pforta venivano trattati gli antichi, e che poi si trasferì quasi automaticamente nel campo della Bibbia, quando ad esempio Steinhart in una lezione di ebraico alla prima classe interpretò il salmo 45 come un canto nuziale squisitamente profano».

Qui troviamo, nello spazio ristretto dell'ambiente scolastico di Pforta, quelli che dovevano essere in seguito gli elementi più importanti per Nietzsche, in un primo rapporto dissonante. Deussen si accorgerà ben presto che la sua amicizia dipende in tutto dalla buona grazia dell'amico, e può essere tranquillamente sacrificata a un legame che Nietzsche stringe per breve tempo con altri compagni. In queste occasioni egli riceve solo messaggi per intermediari, finché " clima non torna a cambiare, e si ha un lento riawicina-mento con la sospensione delle sanzioni che gli erano state comminate. Ma anche il tormentatore ha le sue difficoltà e deve lottare contro il disagio che gli viene dalla consapevolezza, rinnovata ogni giorno e ogni ora, dell'impedimento rappresentato per lui dalla miopia e dal sovrappeso. Le lezioni di ginnastica sono per lui una tortura. Riesce a fare, come riferisce Deussen, un solo esercizio: «alle parallele, partendo dal lato lungo si infilava a gambe avanti tra le due stanghe, atterrando sull'altro lato. Quest'esercizio così semplice, che un ginnasta allenato esegue in un baleno, forse senza nemmeno toccare le stanghe, era per Nietzsche una grande fatica, da cui usciva paonazzo, senza fiato e madido di sudore».

Il registro sanitario di Pforta fornisce ulteriori notizie, con una nota dell'anno 1862 sull'allievo Nietzsche: «Ha un fisico pieno e tarchiato e uno sguardo singolarmente fisso». Nel maggio 1864 una denuncia di malattia segnala «congestioni alla testa». Anche sulla possibile origine di questi disturbi si fecero allora indagini, annotando le notizie ricavate dal giovane paziente: «suo padre è morto giovane per un rammollimento cerebrale ed era figlio di genitori anziani». A Pforta si vogliono conoscere tutti i particolari. È singolare che manchino dati circa gli «attacchi epilettici» di cui Nietzsche, come in seguito farà verbalizzare, aveva sofferto fino dall'età di 17 anni.

Frattanto ha luogo un fitto carteggio con gli antichi compagni di scuola di Naumburg, come pure con la madre e la sorella. La domenica ci si incontra spesso in un locale per gitanti a metà strada tra Naumburg e Pforta. Gli antichi rapporti non vengono sostanzialmente interrotti dal cambiamento di scuola. Verso quest'epoca, Nietzsche fonda insieme a Rrug e a Pinder l'associazione letteraria «Germania». Lo statuto è rigido, e i membri pagano un modesto contributo. È un circolo nel pieno stile dell'epoca, dove i membri si impegnano a presentare i loro lavori da sottoporre alle reciproche critiche. Nietzsche pare fosse il più zelante di questo piccolo club. L'interesse principale dell'associazione sembra per verità rivolto alla musica. Sicuramente fu Nietzsche a caldeggiare l'abbonamento alla «Neue Zeitschrift fùr Musik», fondata da Robert Schumann, che l'aveva concepita come organo delle tendenze modernistiche della musica contemporanea. Grazie ad essa dunque un appassionato assertore del «classicismo» qual era allora Nietzsche può conoscere le innovazioni romantiche della musica che si componeva a quel tempo. La musica moderna significa Schu-mann, Liszt, Berlioz e - come doveva apparire soltanto in seguito - Wagner.

La lettura della rivista introduce immediatamente i tre abbonati al grande dibattito sulla musica. In quel tempo Nietzsche risente ancora l'influsso di Schumann, in certo senso è addirittura uno «schumanniano». La fondazione della «Germania» collega i suoi tre membri allo stile dei «Da-vidsbùndler», cui Schumann aveva dedicato alcuni importanti pezzi per pianoforte. Ma l'esatto opposto di Schumann nella Dresda degli anni '40 era stato Wagner. Wagner aveva ricambiato la critica negativa mossa da Schumann al Tann-hàuser ignorando totalmente la sua Genoveva. Non valeva la pena parlarne! Frattanto si è offerta alla discussione una nuova opera, più scandalosa e provocante della Guerra dei cantori sulla Wartburg. La stampa ne parla, la «Neue Zeitschrift fùr Musik» non può tacere il disagio con cui il vasto pubblico accoglie il Tristano. Così, gli abbonati membri della «Germania» hanno l'occasione di conoscere la nuova posizione di Wagner. Con i modesti fondi dell'associazione viene acquistata la riduzione per piano dell'opera. Per Nietzsche è cominciato il futuro. «Dal momento in cui apparve una trascrizione per pianoforte del Tristano - scriverà più tardi nell'Ecce Homo - divenni wagneriano».

Proprio questa partecipazione alla musica come al suo vero elemento vitale dimostra che Nietzsche si avvia a concepire la sua situazione attuale come in immediato movimento. L adolescente di Pforta si trova qui perfettamente a suo agio al vertice della sua epoca, subisce addirittura la suggestione delle sue tendenze progressive. È qui chiarissima la sua aspirazione a sviluppare le sue energie in tutte le direzioni. L'intensità con cui si dedica alla musica in effetti già supera i congni dell'istituzione filologica. La musica non è affatto estranea ai programmi del collegio, ma inquadrata nel curriculum ormale della scuola. Nietzsche, che nei giorni di libertà lavora a un Oratorio di Natale e improvvisa per ore al pianoforte davanti ai compagni, va assai oltre questi limiti. Si sta preparando qui la strada di un pensatore al quale in futuro una vita senza musica apparirà un grosso malinteso.

A Pforta il suo profitto, paragonato al livello medio-alto dei compagni, è degno di nota, ma non superiore alla media. In matematica è addirittura del tutto insufficiente, e può compensare questa deficienza soltanto grazie ai suoi buoni voti nelle altre materie. Risalta fin dal principio - a parte qualche innocuo battibecco - la sua volontà di strappare a chi lo circonda il riconoscimento della sua autorità.

Così Nietzsche sta davanti a noi: un giovane cristiano modello, plasmato dalla preghiera quotidiana, che ha vissuto la sua «confermazione» come una trasfigurazione interiore, che si distingue per la bravura nelle materie che a Pforta contano più di tutte, e che nell'abbigliamento e nella condotta verso gli insegnanti come verso gli amici non offre il minimo motivo di lagnanza; un liceale che in questa scuola prestigiosa viene introdotto al «cristianesimo» e riceve quegli strumenti per studiarlo che non è facile ottenere altrove. Vale a dire: Nietzsche conosce bene la materia di cui parlerà in seguito, ne è un esperto.

Lo spirito cristiano che qui aleggia è però anche permeato dallo scetticismo degli umanisti. La dottrina cristiana della salvazione è necessaria per lo Stato e per il popolino, la diffusione del Vangelo nell'insegnamento religioso della scuola elementare è fondamentale. La scuola elementare fa conoscere la nascita, la vita e la morte del Signore, e dà anche notìzia di eventi che precedono la «storia della salvazione», come la Creazione, le vicende dei Patriarchi e dei loro figli e nipoti, l'esodo degli Israeliti dall'Egitto, le predizioni dei profeti grandi e piccoli. Se il giovane mortale uscito dal popolo conosce la materia a menadito, è in possesso del miglior armamentario spirituale per il suo futuro. Un «di più» sarebbe in senso cristiano un «di meno», e quel che più conta: sarebbe pericoloso. Perché gravarlo di nozioni circa gli eroi di Omero, che per di più erano «pagani» e quindi senza speranza di salvezza futura? Le vicende di Achille e di Ettore, di Elena adultera e del bellimbusto Paride non possono creare che confusione. È dunque bene, e vantaggioso per la felicità dell'uomo, non farne espressa menzione.

Per secoli furono queste le regole indiscusse della «scuola elementare» tedesca. Chi veniva educato alla fede veniva da essa premiato con l'immunità, era in certo senso preservato dal veleno dell'antichità pagana. Giacché la conoscenza dei poeti, filosofi e storici dell'antichità è materia privilegiata del ginnasio-liceo. Agli occhi degli «umanisti» il cristianesimo rappresentava bensì il fondamento della morale, ma paragonato al mondo dei Greci e dei Romani, della loro arte e civiltà, esso rimaneva su un gradino culturale inferiore.

Sono tesi riconosciute anche a Pforta. Esse accennano a quella congiunzione di «cristianesimo» e «grecità» che qui veniva esercitata e in certa misura anche vissuta. Ma con esse si preannuncia anche la lieve distanza che Nietzsche comincia lentamente a prendere dalla fede religiosa generalmente accettata. Non che perda di vista la sua meta originaria: vuole sempre diventare teologo. Per questo intraprende anche lo studio dell'ebraico, senza però farvi grandi progressi. Fin dal principio resta inalterato il suo proposito di inserirsi degnamente nella tradizione dei due rami della sua famiglia. Ma ora cominciano a nascere i primi dubbi, del tutto comprensibili dato l'angolo visuale prevalente a Pforta. Giacché il «cristianesimo» è agli occhi dei filologi classici un movimento che sorge e si diffonde irresistibilmente sullo sfondo del mondo antico. Ma ciò che con esso si guadagna da un lato in termini di nuova morale e di amore come suprema istanza, si perde dall'altro là dove le testimonianze dell'antica bellezza, che ora non valgono più nulla, vengono abbandonate all'oblio. La «salvezza cristiana» ha il suo prezzo.

Questi dubbi erano stati incoraggiati per secoli in una scuola come Pforta, senza pregiudicare l'idea che essi dovessero rimaner riservati a una élite culturale perfetta conoscitrice del mondo antico, mentre la gran massa farebbe bene ad attenersi al «cristianesimo». Qui l'allievo Nietzsche sta saldamente sul terreno del suo collegio con le sue tradizioni gloriose.

Ma partono già le prime esplorazioni di un terreno finora inaccessibile. Di esse fa parte la conoscenza del Tristano di Wagner. È conoscenza di qualcosa di proibito. Non a caso Nietzsche parlerà in seguito delle «orge» da lui celebrate con questa musica. Qui una corrente velenosa entra in circolazione nelle vene del «cristiano». È una droga dalla quale non riuscirà più a disintossicarsi. C'è poi Hòlderlin, allora sconosciuto al grande pubblico: il professore di tedesco dissuade il lettore entusiasta da una simile frequentazione. Ma Nietzsche si sente attratto dal poeta àe\Y Iperione, in cui avverte uno spirito affine. Anche lui ora aspira, come Iperione, a vagare sulle rive dell'Ellesponto, fuggendo dalla quotidiana banalità tedesca, dalle meschinità della patria, dove un animo nobile non ha più diritto di cittadinanza. Qui gli sembra che si tratti il suo caso personale. Il Mediterraneo, il meridione, il cielo sempre azzurro, la trasparenza della luce, che avvolge gli uomini, gli oggetti, i movimenti, l'aria! Nell'idealità della Grecia di Hòlderlin egli scorge il «paradiso perduto», di cui da allora andrà alla ricerca per tutta la vita.

Già allora, in questa fase avanzata dei suoi studi, Nietzsche è in procinto di distaccarsi a poco a poco spiritualmente dal suo ambiente. Ciò accade senza che lui se ne renda sempre precisamente conto. La «solitudine» come sentimento fondamentale si era fatta già sentire nella scuola di Naumburg, nel suo isolamento dai compagni. Ora essa sembra aumentare, soprattutto durante il suo lento distacco dalla madre. Questa è fedele al ruolo tradizionalmente assegnatole. Non è in grado di tener dietro ai voli del figlio, e tanto meno ai dubbi da lui espressi circa le forme della fede tradizionale. Il figlio riconosce istintivamente la vulnerabilità di questo rapporto per via dello spirito critico di Pforta. La madre respinge le sue prime obiezioni contro la «fede». Si conviene di non trattare queste questioni. La madre ammonisce, il figlio comincia ad adottare un riserbo pieno di tatto.

Ma l'esigenza di isolamento di Nietzsche tocca ora anche il rapporto con gli amici. La «Germania», per la quale Nietzsche aveva alla fine fornito il maggior numero di contributi, cessa l'attività. I lavori di Krug e Pinder vengono sottoposti a una critica stringente e gli autori perdono quindi il loro entusiasmo. A Pforta le sue amicizie rimangono a lungo limitate al solo Paul Deussen, al quale venne ad aggiungersi per qualche tempo Guido Meyer. Questo rapporto terminò il giorno in cui l'amico dovette lasciare l'istituto per una mancanza disciplinare di per sé trascurabile. Nietzsche lamentò assai questa perdita, annoverandola tra i momenti più bui del suo soggiorno a Pforta. Ma la cosa finì lì.

Solo più tardi ha inizio l'amicizia con Cari von Gersdorff. Questi è un alunno esterno, e per di più una classe indietro a Nietzsche, il che rende il rapporto più difficile. Soltanto in prima i due si avvicinano. Nei confronti di Gersdorff Nietzsche rinuncia al suo abituale distacco.

Ma Pforta non era una scuola che poteva essere accusata di sclerotizzazione dell'insegnamento e del corpo insegnante. Al contrario! Gli allievi vengono avviati fin dal principio alla ricerca autonoma. La distinzione rigorosa tra liceo e università viene qui per molti rispetti già cancellata. Così, gli studenti dovevano trattare argomenti di studio di loro scelta, dedicandovi anche parecchio tempo. Può darsi che il caso entrasse nell'assegnazione a Nietzsche di Teognide di Megara, poeta gnomico greco del VI secolo a.C, ma egli lo accettò di buon grado. Non poteva ancora rendersi conto della singolare affinità spirituale che lo legava a questo poeta antico; in ogni caso, due tratti caratteristici di Teognide dovettero subito attirarlo. Si tratta di un maestro della punta epigrammatica e di un ideologo dell'aristocrazia. L'argomento avvinse Nietzsche allora e continuò ad occuparlo ininterrottamente anche durante gli anni dell'università.

La ricerca su Teognide, compito scolastico che Nietzsche assolse con piacere, ci dà un'idea assai incompleta della sua produttività durante gli anni di Pforta. I temi dei compiti, i titoli delle poesie e delle composizioni musicali formano una lunga lista. Ma praticamente nullo è il valore di queste creazioni di uno scolaro, che si riducono a poco più di tenaci esercizi linguistici e musicali, attestanti più la passione che la maestria dell'autore.

Ma c'è un'eccezione, ossia un saggio teoretico scritto per la «Germania» che discute il problema del libero arbitrio e prende posizione circa la giustificazione storica del cristianesimo. Qui i membri dell'associazione letteraria apprendono: «Grandi sconvolgimenti sono imminenti, una volta che la massa abbia capito che l'intero cristianesimo si fonda su ipotesi». È detto a chiare lettere: una fede che appare solidamente fondata poggia in realtà su deboli basi. Una volta che si acceleri il moto evolutivo della storia umana, si sprofonderà su questo terreno un tempo così sicuro. La cosa è ancora lontana, ma bisogna esservi preparati. E la filosofia? Così come si presenta nella forma finora riconosciuta, dalla filosofia non c'è da attendersi nulla: «tutta la nostra filosofia passata [...] è una torre di Babele». Nell'uomo è in gioco un fattore di insicurezza che è difficile valutare rettamente: «La conformazione, determinata dal fato, del cranio e della spina dorsale» lo ha condannato ad adeguarsi all'ambiente e alle circostanze, alle quali ovviamente si ribella l'impulso all'individualità. L'uomo è pari alla sua struttura biologica - e tende nel contempo all'isolamento.

In questo saggio di un diciottenne parla l'allievo di Pforta, parlano le esperienze da lui fatte fino ad allora. In questa asprezza si avverte peraltro una nota nuova, quale non si poteva sentire dalle cattedre dei filosofi universitari tedeschi. Ma si tratta anzitutto di una semplice dichiarazione privata, destinata a una piccola cerchia di appassionati di letteratura, di un tentativo di ridurre delle idee sparse in una prima forma conchiusa. Nulla di più, ma anche nulla di meno!

L'attestato finale rilasciato a Nietzsche da Pforta è discreto, ma secondo i canoni scolastici dominanti non è affatto brillante, giacché presenta notevoli nei. Esso appare perfettamente giusto in quanto riconosce con grande precisione quelle che dovevano apparire le sue doti future. Aveva perduto la sua posizione di primo della sua classe, cosa che in seguito noterà con orgoglio. Ottiene un «eccellente» in religione, in tedesco e in latino. In greco prende un «buono», in francese un «sufficiente». Invece viene giudicato insufficiente in ebraico, in matematica e in disegno. Ma il corpo insegnante di Pforta mette in pratica la tradizionale indulgenza, là dove si legge: «La sottosegnata commissione d'esame gli ha tuttavia rilasciato, ora che lascia la regia scuola territoriale per studiare filologia e teologia all'università di Bonn, il certificato di maturità, e lo congeda nella speranza che un giorno, applicandosi sempre con serietà e coscienziosità, possa conseguire buoni risultati nella sua professione».

IV
IL GOLIARDO DELLA «BURSCHENSCHAFT» (pp. 42-58)

La scelta dell'università di Bonn da parte di Nietzsche non fu casuale. Insieme a lui, aveva scelto l'università renana un gruppo non esiguo di ex allievi di Pforta del suo stesso anno. Il prestigio di questa università era largamente riconosciuto, e veniva straordinariamente sostenuto dal governo prussiano con le sue munifiche dotazioni e la nomina di studiosi di chiara fama. Era politica della Prussia creare più saldi legami tra la Renania in prevalenza cattolica e la patria protestante, e nello stesso tempo far partecipare questa regione, che agli occhi di Berlino era «mezzo francese», ai benefici di un'amministrazione bene ordinata.

Queste circostanze, imposte senza dubbio dalle condizioni dell'epoca, avevano dato a Bonn nel corso del XIX secolo grandi frutti. Così, Nietzsche con i suoi interessi per le discipline da lui scelte, si trovava nell'università prussiana in ottime mani. La filologia classica aveva in Jahn e Ritschl dei luminari riconosciuti, e si trovava in illustre compagnia. August Wilhelm Schlegel era colui che aveva introdotto all'università di Bonn l'insegnamento del sanscrito. E fin dagli anni '30 del secolo insegnava a Bonn il fondatore della «filologia romanza», Diez. Questi influssi erano ancora operanti e facevano di Bonn la Mecca dei giovani filologi, consigliata dal corpo insegnante di Pforta ai giovani che vi si erano maturati.

Era «destino» di Bonn, allora non riconosciuto ma tuttavia evidente, non aver mai prodotto o chiamato a sé grandi filosofi, al pari di Kònigsberg, Berlino, Jena, Friburgo. Eppure il suo nome è legato a una svolta epocale della filosofia, anche se non vi contribuì alcuno dei professori che vi insegnavano. Vi contribuirono invece due studenti che frequentarono con maggiore o minore attenzione le sue aule per qualche mese. Il primo, Karl Marx, vi trascorse nel 1835-1836 un anno assai poco utile, trasferendosi poi subito a Berlino. Il secondo vi fece il suo ingresso il 16 ottobre 1864. Entrambi rivoluzionari per vie diverse, che intrapresero a Bonn il loro cammino accademico.

Il trasferimento dalla familiare Naumburg alla Renania insieme a Paul Deussen significava entrare nella provincia tedesca industrialmente più evoluta dell'epoca. Nella vallata del Wuppertal, la Manchester tedesca, che è la prima località attraversata dalla ferrovia, Nietzsche la vede per la prima volta. I due amici scendono a Elberfeld, dove Deussen ha dei parenti. La «valle» appare a Nietzsche come «una lunga, imponente catena di opifici» che si snoda lungo il fiume. E’ uno spettacolo che non ha mai visto. Lo spirito dì questi luoghi ha assorbito quella singolare devozione pietistica che già Friedrich Engels, figlio di una famiglia di industriali di Barmen, descrisse con tanta efficacia. Nietzsche la osserva soprattutto nelle donne, alludendo alla loro «particolare tendenza ad assumere un atteggiamento bigotto». La coscienza del peccato viene decisamente ostentata dalla creatura.

Questa osservazione viene subito comunicata dal giovane viaggiatore in una lettera alla madre e alla sorella a Naumburg. Per il resto, il viaggio lungo il Reno si svolge con attrattive che a casa sarebbero state inimmaginabili. La Renania è vista in genere come una regione piacevole, di cui si frequentano i ristoranti e si gusta il vino, insomma si gode la vita come si deve.

Il suo compagno di viaggio, Deussen, è figlio di un pastore di Oberdreis nel Westerwald. Anche lui intende cominciare i suoi studi universitari a Bonn. Ma i due vogliono Prima passare qualche settimana di riposo nella casa paterna di Deussen, che con la sua atmosfera agreste ricorda Ròcken. Questo soggiorno si trasforma in un idillio estivo. Alla casa del pastore è annesso un pensionato con fanciulle non belle - come osserva Nietzsche - ma molto diligenti. Si fanno escursioni nei dintorni, in perfetta corrispondenza con la mania dei viaggi della borghesia contemporanea. Si tocca il culmine con una gita a Kònigswinter, che già allora stava diventando un Eldorado del turismo sul «Reno pittoresco». Elemento obbligato del soggiorno colà è l'ascensione al Drachenfels - a cavallo, come si conviene a visitatori così distinti. Durante la lenta cavalcata Nietzsche non cessa di chiedersi se non sia capitato su un asino. Ma naturale! Per l'escursione sui monti Kònigswinter non dispone di cavalli. La giornata termina con le burle tipiche del luogo, con bicchierate, allegre canzoni del Reno, una baldoria in cui Nietzsche - stando a quanto riferisce Deussen - si distinse per la sua sbrigliatezza.

Una gita sui monti del Westerwald fino alla piana del bacino di Neuwied segna la fine delle settimane trascorse a Oberdreis. A Neuwied Nietzsche e Deussen si imbarcano sul vapore che li porterà fino a Bonn.

Sono grandi le speranze che Nietzsche ripone in questo luogo dove soggiornerà nei prossimi mesi. Lo studio sarà, è vero, in primo piano, ma nel contempo non sarà da trascurare la vita di società in questa città rinomata per la sua gaiezza, e oltre a ciò bisognerà conoscere la vita teatrale e musicale qui e nella vicina Colonia. A Naumburg Nietzsche aveva dovuto necessariamente trascurare questi interessi per mancanza di possibilità. Invece questa regione godeva di una consolidata fama musicale. Non era ancora svanito il ricordo dell'epoca gloriosa dei festival musicali renani, e in tale contesto il nome di Robert Schumann era praticamente sovrano. E per Nietzsche in quel periodo Schumann era ancora la massima autorità musicale, mai seriamente contestata.

Dopo qualche ricerca in città, Nietzsche si decide per un alloggio al n. 518 della Bonngasse, non troppo distante dalla casa natale di Beethoven. Per le relative spese mensili ci vuole un accordo con la madre e col tutore. Ciò vale soprattutto per l'ammissione alla corporazione studentesca o «Burschenschaft» «Franconia», che comporta una spesa abbastanza elevata. Questo proposito, che nutriva fin da Naumburg, era stato rafforzato in Nietzsche dall'esempio di quasi tutti i suoi compagni di Pforta, uniti dai colori bianco-rosso-oro di questa lega. E ora, allo stato delle cose, non si può più tornare indietro. Del resto era intenzione di Nietzsche e dei suoi amici rallegrare il più possibile i mesi dell'università con gite e bisbocce e relative bevute dì birra. Si vuol conoscere il mondo in tutta la sua varietà. In questa settimana lo attraggono il banchetto goliardico con i suoi canti, tra cui il solenne Padre della patria (Landesvater), e la Mensur o duello studentesco dalle regole rigorose. Lui stesso si batte - per simpatia -, costringe l'avversario all'abbandono e riceve un colpo di traverso sul naso, di cui porterà per sempre la cicatrice, mostrando di aver assolto il rito iniziatorio della lega maschile.

Con questa presa di posizione in favore dell'idea ispiratrice delle corporazioni studentesche, Nietzsche e gli altri studenti suoi amici si trovano in pieno accordo col loro tempo. Dopo le guerre napoleoniche, le corporazioni studentesche tedesche si erano opposte - è un riconoscimento di Nietzsche - a «quell'aria opprimente e corrotta che aleggiava sopra la cultura universitaria». La loro poderosa azione era passata sulla Germania come un turbine purificatore. Ma era stata proprio la loro forza a destare sospetti e a provocarne la persecuzione da parte di tenaci avversari. Gli attacchi da parte della restaurazione di Metternich non avevano loro giovato. Adesso, negli anni '60, agli inizi dell'era di Bismarck, esse sembrano partecipare del nuovo slancio che in tre guerre porterà la Prussia alla testa del «Reich». L'esultanza goliardica del Nietzsche «francone» di Bonn esprime quella speranza di una prossima rinascita.

Il giovane universitario si accinge a godersi in pieno l'indipendenza fino ad allora sconosciuta. Bonn doveva apparirgli l'esatto opposto di Pforta. Non di rado Nietzsche fatica a terminare gli studi programmati per la giornata: in primo piano è la musica. Ha affittato un pianoforte e si dedica per ore alle proprie composizioni. Per Natale si fa mandare da casa una riduzione per pianoforte del Manfredi di Schumann, insieme a un'edizione di Eschilo. Questi nomi "lustrano con la massima chiarezza le sue principali occupazioni private durante quelle settimane. Nietzsche vede in Bonn soprattutto la città di Robert Schumann, la triste meta finale del grande musicista che, in preda a profonda depressione, si era gettato nel Reno ed era poi morto di sofferenze a Endenich. In questi mesi, Nietzsche è come posseduto da Schumann. È evidente che la sua musica gli fa avvertire la sofferenza di quest'età borghese che sta diventando «debole di nervi». Così, lo vediamo seguire le sue tracce. Porta dei fiori alla tomba del compositore. In quel tempo Schumann è per lui la misura di tutte le cose in fatto di musica «moderna».

Oltre a ciò, questo figlio delle Muse venuto dalla provincia sassone partecipa naturalmente alle manifestazioni della società beethoveniana, frequenta con entusiasmo i festival corali che si tengono in città e nei dintorni. Nella «Fran-conia» ha assunto la funzione di «consulente musicale» - come dice lui stesso. Ciò significa che cura le prove delle esecuzioni musicali ai banchetti goliardici e le dirige anche. Agli occhi dei colleghi studenti egli è il «cavalier Gluck».

Stando alle particolareggiate descrizioni da lui fatte alla famiglia, il calendario delle feste offre una quantità di tentazioni alle quali il giovane amante dell'arte, dopo il periodo di lunghe privazioni nella cupa Naumburg, non riesce a sottrarsi. Non perde nulla: commedie boulevardières nel teatro di Bonn, ma anche i Nibelunghi di Hebbel con la Niemann-Seebach nella parte di Crimilde, un concerto della famosa cantante Adelina Patti, una serata pianistica con Clara Schumann, a Colonia il Fidelio di Beethoven e gli Ugonotti di Meyerbeer! L'unica preoccupazione è il denaro. Nelle lettere alla madre, Nietzsche descrive la sua magra situazione finanziaria. L'assegno mensile è praticamente già tutto speso appena arriva per i debiti contratti, sicché non ha quasi mai denaro in tasca. Bonn passa per una delle più care università tedesche. La Renania con la sua vita gaia e veloce inghiotte più denaro della piatta Germania dell'est. Ma Nietzsche consola se stesso e la madre: il soggiorno qui è un'eccezione, un giorno spenderà di meno.

Ma ciò che lo spinge a godersi questi mesi di Bonn è un pensiero che grava pesantemente sul futuro: quello del servizio militare. L'idea di passare da questa gioviale Atene renana coi suoi boccali spumeggianti e il suo tintinnio di bicchieri all'austero ambiente spartano di una caserma prussiana non è una bella prospettiva. Sarebbe un tornare al luogo da dove era venuto. Forse aveva sbagliato a non prestare il primo anno di servizio subito dopo la maturità. Ma lo convince di più una riflessione contraria: diventare sottufficiale prussiano subito dopo Pforta sarebbe stato troppo: «Libertà ama la fiera del deserto».

Dunque faceva bene a godersi la vita fino in fondo nel poco tempo che gli rimaneva. E se la gode facendo gite in vaporetto sul Reno, e naturalmente osservando con attenzione genti e paesi. Ogni volta fa il confronto con la sua città, Naumburg. Lui, protestante dalla cultura umanistica proveniente dalla Prussia sassone, si trova in una città cattolica, la renana Bonn. Il che vuol dire: stare in guardia, e tener sempre alta la propria bandiera! Non ha dubbi che le zie si spaventeranno a leggere la sua descrizione dell'ambiente in cui si trova: «Data la vicinanza di Colonia, qui a Bonn prevale il cattolicesimo e anche, purtroppo, il gesuitismo», che ha lo scopo di annientare il protestantesimo, il che dà loro per lo meno motivo di seri timori. Il nipote le rassicura garantendo la sua vigilanza come membro dell'associazione «Gustavo Adolfo», dove ha testimoniato la sua attività in favore della causa evangelica con una conferenza sulle «Condizioni religiose dei Tedeschi nell'America del nord». Purtroppo il clero protestante di Bonn non è brillante. Nient'altro che mediocrità, dovunque si guardi!

Il punto culminante del suo soggiorno renano e delle sue personali attività musicali è il Festival musicale del Basso Reno del giugno 1865, con una esecuzione dell'oratorio di Haendel Israele in Egitto nella sala Gürzenich di Colonia. Nel coro di più di seicento coristi e coriste, il cui nucleo è stato fornito dalla Corale maschile di Colonia, con rinforzi dalla Corale cittadina di Bonn, il futuro spregiatore delle messe canta in frack e panciotto bianco con fiocco di seta bianco-rosso. Le signore tutte in bianco con spalline blu e fiori nei capelli, e ognuna con un bouquet in mano! Dopo il famoso duetto, una tempesta di giubilo, - Nietzsche fissa per noi te scena - le trecento coriste gettano i loro trecento mazzo-

lini in faccia ai cantanti: un velato gioco di società borghese sul podio dei concerti della metropoli renana. Il festival dura tre giorni e mostra la città nella veste delle grandi occasioni, tutta imbandierata, col suo duomo e i suoi alberghi lungo il Reno. Nietzsche si guarda intorno e crede di vedere al lavoro i borsaioli che non mancano mai in simili raduni di folla. Almeno così riferisce alla sorella!

Qualche settimana più tardi, nella seconda metà di giugno, Nietzsche è di nuovo a Colonia. Questa volta per il cinquantenario dell'unificazione della Renania con la Prussia. Non soltanto è testimone della visita del re prussiano alla città, ma osserva anche - contrariamente al resoconto ufficiale della stampa - la «freddezza» con cui lo accolgono i suoi abitanti, che non riescono a vedere un beneficio nell'annessione a quello Stato militare. L'osservatore comincia a nutrire i primi dubbi. Forse le cose in Prussia, appena uscita vincente dalla guerra con la Danimarca, non vanno poi così bene; si sono avuti dei malumori contro la politica di Bismarck. Le reazioni degli abitanti di Colonia confermano lo scetticismo di Nietzsche. «Del resto, non capisco davvero da dove debba scaturire oggi addirittura l'entusiasmo per il re e i ministri», dichiara nella sua lettera alla madre e alla sorella.

Ben presto l'università passa in secondo piano di fronte agli impegni privati, soprattutto di natura artistica, alla vita di associazione, alle feste a Bonn e nei dintorni e alla sua attività nell'associazione «Gustavo Adolfo». La sua decisione di studiare teologia era dovuta, più che a una sua intenzione, al desiderio della madre. Ma già il primo semestre vede una sua sensibile diminuzione di interesse per questa facoltà, di cui egli frequenta nel piano settimanale soltanto un corso sulla storia della Chiesa. I suoi studi prendono fin dal principio un'altra direzione. Frequenta le lezioni di Sybel, lo storico nazional-liberale, il cui influsso è avvertìbile nel suo giudizio sulla fredda accoglienza del re da parte degli abitanti di Colonia. Sybel passava allora per un oppositore di Bismarck, e soltanto dopo i successi della politica di Bismarck nei confronti della Danimarca e dell'Austria diverrà un suo risoluto fautore, soprattutto della sua soluzione della «piccola Germania».

Naturalmente, le inclinazioni di Nietzsche sono fin dal principio per la filologia classica, come aveva rilevato anche il suo attestato di maturità. Ma l'adepto giunto da Pforta incontra inizialmente qualche difficoltà. Si tratta di una contesa tra professori. Da una parte sta Otto Jahn, dall'altra Friedrich Wilhelm Ritschl: Jahn studia in particolare la Grecia, è archeologo e inoltre musicista e storico della musica, autore di una biografia di Mozart; Ritschl è più vicino alla scuola storico-critica, è esperto di Omero, conoscitore della tragedia greca, soprattutto di Eschilo, e ha già riconosciuto l'importanza della musica ispirata di origine asiatica nella Grecia degli inizi. È inoltre specialista di grammatica latina. La rivalità dei due colleghi di facoltà, che proprio allora tocca il suo culmine, spiega la singolare esitazione di Nietzsche. È difficile fare una scelta. Ritschl era stato piuttosto sbrigativo con Nietzsche e Deussen quando si erano presentati a casa sua esibendo il loro attestato di Pforta. Nelle lettere si trovano accenni che attestano una iniziale presa di posizione per Jahn, che forse è più vicino alla sua natura. Ma poi vediamo un improvviso passaggio nel campo di Ritschl. Alla svolta ha contribuito anche un lungo colloquio, una «conferenza» che Ritschl gli ha tenuto in un'udienza privata. Nelle settimane che seguono, Nietzsche segue con attenzione il contrasto tra i due contendenti, dove Jahn riesce vincitore grazie all'appoggio dell'amministrazione universitaria, mentre Ritschl dapprima chiede al ministro il suo congedo, mentre prepara il suo passaggio a Lipsia.

Ricordare questi antefatti non varrebbe la pena se la travagliata scelta di Nietzsche non avesse anticipato e contribuito a influenzare la sua vita futura, la sua ascesa accademica come pure il suo fallimento come studioso. La protezione che ora Ritschl gli accorda e che contribuisce alla sua fulminea carriera di filologo classico, prepara anche l'amara fine della sua attività accademica. Con un comportamento singolarmente oscillante, Nietzsche abbandona Jahn. E la stessa mancanza di fermezza che lo accompagnerà nei suoi futuri rapporti con l'università tedesca, fino al suo ultimo vano tentativo di ottenere una cattedra a Lipsia. Abbracciando la filologia storico-critica di Ritschl egli crea da solo quella trappola nella quale questa stessa filologia finirà col farlo cadere. Il rapporto con Ritschl è uno dei primi esempi delle sue scelte fatalmente sbagliate in fatto di uomini che non gli sono veramente affini, ma ai quali egli si accosta inizialmente con l'intensità che gli è propria, diventandone addirittura un seguace, finché non riconosce prima o poi il suo errore.

Questa singolare oscillazione caratterizza anche i suoi rapporti più personali, affiorando in singoli episodi. Al Carnevale Nietzsche non partecipa, ma quasi nello stesso periodo, in febbraio, si trova a Colonia per visitare la città. Durante il suo giro turistico, un fattorino lo porta, sia che volesse mostrare al forestiero un locale per gaudenti, sia che ne venisse espressamente richiesto, in una casa di piacere. Conosciamo l'episodio da quanto riferisce Deussen, cui l'aveva raccontato lo stesso Nietzsche.

Può apparire comprensibile che Nietzsche ci tenesse a sottolineare di essere stato portato nel bordello contro la sua volontà. Ma lo svolgimento della scena non consente di per sé alcun dubbio, perché ci mostra una sua reazione autentica. «Mi vidi improvvisamente circondato da una mezza dozzina di figure in tulle e lustrini, che mi guardavano speranzose», racconta Nietzsche secondo Deussen. «Per un po' rimasi senza parole. Poi istintivamente mi buttai su un pianoforte come l'unico oggetto animato di quella compagnia e accennai alcuni accordi. Questi sciolsero il mio torpore e io guadagnai l'aria aperta».

Questo episodio non pubblicizzato svoltosi in un vicolo della città vecchia di Colonia ebbe naturalmente parecchio peso nel giudizio dei posteri su Nietzsche. Frequentare questo ambiente del vizio poteva benissimo far parte delle consuetudini di vita del futuro «Anticristo». Chi poteva garantire che il visitatore si era sottratto, come egli affermava, alla tentazione con la fuga? E se invece era rimasto, non poteva essere da ricercare già qui la causa dell'affezione luetica che doveva più tardi manifestarsi in lui? Era una tesi troppo sensazionale per lasciarsela sfuggire. Perfino Thomas Mann, il geniale narratore e ammiratore di Nietzsche, le diede credito quando scrisse nell'assolata California il suo romanzo su Faust. In Faust-Leverkühn, il musicista-filosofo, sono personificati molti tratti di Nietzsche, e l'esaltazione creativa si associa a un morbo che circola segretamente nel sangue ed ha qualcosa di proibito agli occhi borghesi. Gli inizi potevano risalire alla casa di tolleranza di Colonia.

Questa tesi è giusta nel senso che Nietzsche si era effettivamente recato da Bonn a Colonia, e per curiosità, o perché raggirato da un «procacciatore», si era trovato in una casa di tolleranza. Ma ciò vuol dire assai poco. Frequentare case di piacere non era considerato affatto scandaloso, se non nelle associazioni, quanto meno nelle corporazioni studentesche («Corps»), anche se si cercava di evitare la pubblicità; anzi, in certe circostanze la cosa avveniva a piccoli gruppi o, qua e là, su espressa raccomandazione di mentori esperti. Giacché simili spedizioni erano nel mondo maschile dell'università un'efficace difesa contro una mésaillance che avrebbe avuto conseguenze spiacevoli e durature per il giovane studente e la sua carriera. Se la piccola Bonn, dove si era in vista di tutti, non era adatta a simili spedizioni, e non vantava una grande offerta, la situazione era assai più favorevole nella vicina Colonia col suo labirinto di viuzze. La cosa ha d'altronde una sua forza dì persistenza fino al giorno d'oggi.

Simili divertimenti segreti rientravano perfettamente nella «menzogna esistenziale» dell'era borghese, quale Nietzsche comincia a percepire proprio durante questi mesi. E in modo particolare nel campo delle istituzioni scolastiche! Al suo arrivo a Bonn, è chiaramente entusiasta della vita universitaria nella sua forma esistente in Germania. Più tardi loderà di questi giorni «l'assenza di ogni piano e meta, il distacco da ogni progetto per il futuro», e a molti anni dì distanza la ricorda «quasi come un sogno». La vita di associazione, in particolare nelle associazioni studentesche, fa proprio per lui. «Chi, da studente, vuol conoscere il suo tempo e il suo popolo, deve farsi membro di un'associazione studentesca», scrive nel maggio 1865 all'amico Gersdorff.

Ma nella stessa lettera aggiunge anche osservazioni metto favorevoli. Certi fatti che continuano a ripetersi nella “Franconia» non gli piacciono: «Ciò vale, per esempio, per il bere e l'ubriachezza, ma anche per il disprezzo e lo scherno verso altre persone e altre opinioni». Questa è una cosa che proprio gli ripugna. Del resto, può darsi che fosse egli stesso bersaglio di certi eccessi di intolleranza, perché Nietzsche con i suoi modi esitanti da miope, non era certo il tipo ideale di goliardo tedesco. Ma egli resiste - almeno agli inizi -, vuole imparare e vede nella sua associazione un'utile scuola preparatoria per la vita, e nella sua corretta frequentazione un contrappeso allo studio universitario.

La sua gita segreta nella città vecchia di Colonia gli offrì una importantissima esperienza privata di strappo alla morale borghese. Molto di più non si può dire circa l'episodio da lui raccontato a Deussen. Si era gettato sui tasti del pianoforte, e il suono degli accordi lo aveva sciolto dal suo torpore: reazione sublime del futuro musicista-filosofo e certo, agli occhi delle «belle», un singolare comportamento da parte di uno strano cliente. Ma in realtà questo comportamento non era poi così singolare. Era Parsifal, che grazie al potere della musica si era difeso dalla seduzione delle fanciulle-fiore. In seguito Wagner scriverà e musicherà questa scena. La versione eseguita da Nietzsche a Colonia spiega perché avrà proprio con quest'opera di Wagner un rapporto così profondamente personale, spinto quasi al fanatismo. Qui si trattava anche del «caso Nietzsche».

La sua viva partecipazione alla vita studentesca, specie alla «Franconia», le mansioni che svolge nell'associazione «Gustavo Adolfo», le numerose gite nei dintorni di Bonn, le prove col coro, il lavoro di composizione in camera sua, avevano compromesso seriamente i suoi studi universitari veri e propri. Nel secondo semestre Nietzsche vede chiaramente il dilemma in cui si trova. Aveva frequentato i corsi irregolarmente, senza seguirne nessuno fino in fondo.

Ora che fa il primo bilancio della sua permanenza a Bonn, trova un attivo assai misero. A Pforta era stato più bravo. Ai fini degli studi, ha sprecato troppo tempo, così egli conclude. Se ne ricerca le cause, dà la colpa soprattutto al tempo perso nell'associazione studentesca, per di più tra colleghi che nelle loro riunioni praticano una rozzezza che non corrisponde alle sue idee e che lo respinge sempre di più. Nei loro rapporti si erano venute gradualmente a creare delle tensioni. Ciò era da aspettarsi dato il suo carattere, era la continuazione naturale del suo modo di vita, sulla linea che ha inizio con la scuola comunale da lui frequentata a Naumburg. Gli altri non sono all'altezza dei canoni da lui fissati. È impossibile corrispondere ad aspettative come le sue: così era stato in passato e così sarà anche in futuro. Dei «Franconi» lo respinge soprattutto il loro modo di comportarsi in pubblico. Non fa stupire che la maggioranza dei suoi colleghi veda in lui un solitario, un estraneo nelle loro file!

Noi sappiamo che l'adesione di Nietzsche alla corporazione studentesca era stata dettata dal desiderio di conoscere una scuola di vita dopo gli anni di isolamento conventuale a Pforta. Era poco più di un esperimento. Che non sarebbe riuscito, doveva immaginarlo istintivamente fin dall'inizio. E proprio questo fallimento confermerà ora non solo i presentimenti, ma anche le sue certezze su se stesso.

Il tutore aveva concesso a Nietzsche due semestri per il soggiorno a Bonn. Ciò era in accordo anche con le sue idee. Nelle lettere ai familiari il suo disagio per la situazione a Bonn durante le ultime settimane sul Reno viene chiaramente sottaciuto. Erano soprattutto i dissidi con i colleghi dell'associazione che lo turbavano e deprimevano il suo umore.

Per la continuazione dei suoi studi aveva preso in considerazione Lipsia. Ma la decisione non fu immediata. A favore di Lipsia militava il fatto che Pforta si trovava nella sua sfera d'influenza, che suo padre aveva fatto l'università a Lipsia, mentre negli anni '60 Bonn, in contrasto con la tradizione lipsiense, era un'università ancora in cerca di affermazione. A favore di quale città doveva risolversi il confronto, non era facile dire. Ma col cambiamento di università il corso della sua vita riceve un impulso le cui conseguenze in quel tempo erano ancora imprevedibili. Giacché a questo cambiamento è immediatamente collegato il passaggio nel campo di Ritschl. Qui è istruttiva la lettera di Nietzsche all'amico Gersdorff del 25 maggio 1865, dunque all'inizio del semestre conclusivo a Bonn. Egli scrive: «Qui a Bonn regna sempre una grandissima agitazione, un'atmosfera di fortis-Slma ostilità, a causa della disputa Jahn-Ritschl. Do senz'altro ragione a Jahn e mi rincresce molto doverlo lasciare a San Michele. Egli è di un'amabilità straordinaria. Da molto tempo ho consegnato ormai il mio lavoro sulla Danae e sono divenuto membro straordinario del seminario».

Non poteva esprimere più chiaramente la sua presa di posizione in favore di Jahn. Ma la stessa lettera si esprime anche su Ritschl, e in termini quanto mai lusinghieri. Nietzsche comunica al suo corrispondente la notizia della partenza di Ritschl per Lipsia. La nomina a una nuova cattedra dopo una contesa tra professori - un evento non certo straordinario! Ma la vera occasione della lettera è per Nietzsche la comunicazione di Gersdorff di voler continuare a Lipsia gli studi universitari iniziati a Gottinga. Con ciò è presa anche la decisione di Nietzsche per Lipsia, dove vuole stare col suo amico. Il che significa però che i suoi studi li continuerà con Ritschl.

In questo modo Jahn diventa per lui d'ora in avanti un insegnante accademico di second'ordine. Di sua iniziativa, ora Nietzsche intensifica il suo rapporto con Ritschl nelle settimane successive, le ultime del suo soggiorno a Bonn. Tra i due c'è una reciproca simpatia. Ritschl, figlio dì un pastore di campagna di Grossvargula in Turingia, trova le sue origini rispecchiate nell'allievo. Oltre a Nietzsche, che conosce già il suo futuro insegnante, Ritschl porterà con sé a Lipsia anche il resto della sua cerchia di Bonn. In questo senso sono entrambi preparati al rapporto dei prossimi anni.

Era di per sé un fatto ammissibile e per nulla scandaloso, ma che però, data l'importanza che assunse in seguito il «caso Nietzsche», potè facilmente dare adito nell'ambiente accademico al sospetto di «nepotismo», come affermerà senza ambagi Wilamowitz-Moellendorff, la suprema autorità della materia.

Ma tutto ciò allora non si poteva sapere. Le ultime settimane di Bonn ci mostrano un Nietzsche già intimamente pronto a un nuovo inizio e decìso a liberarsi gradualmente dei fastidi che l'ambiente gli aveva procurato e che si era lui stesso attirato. Ciò vale in particolare per il suo rapporto coi «Franconi». All'atto di entrare nell'associazione, Nietzsche era rimasto contento della sua decisione. La vita e l'attività dell'associazione lo soddisfano in pieno, a quanto egli stesso afferma. Ma a lungo andare i suoi interessi si fanno così multiformi da non lasciarsi confinare al comportamento richiesto ai suoi membri da una corporazione studentesca che si rispetti. Non è il battersi e il duellare che lo respingono, anzi egli le considera «arti cavalleresche» che approva in pieno. Gli ripugna la volgarità delle bevute, il «materialismo birraiolo» che domina nei banchetti, oltre alla scarsa capacità di giudizio politico dei colleghi. D'altronde è possibile che già qui abbia un fondamento personale la sua futura affermazione che il luteranesimo con la sua teutonicità abbia qualcosa a che fare con la birra, dal momento che tutti i membri della «Franconia» erano protestanti. Ai cattolici era proibito l'accesso a un'associazione abilitata ai duelli.

Infine, durante il secondo semestre Nietzsche scopre di aver fatto un errore entrando nella corporazione. Dietro sua richiesta ottiene, malgrado i suoi giudizi poco lusinghieri sulla «Franconia», la concessione di un «congedo onorevole con nastro». L'associazione tiene alle convenzioni e dimostra un'estrema cortesia. Nietzsche, che parla della sua iscrizione come di un passo falso, avrebbe potuto ritenersi soddisfatto. E finché è a Bonn non si occupa più della faccenda, in cui vede necessariamente un «compromesso». La sua vera reazione verrà solo dopo qualche mese, il 20 ottobre 1865, quando in una lettera da Lipsia denuncia questo «compromesso», spiegando la sua uscita dall'associazione dal suo punto di vista e restituendo il nastro. È una accentuazione del tutto superflua, ma è tutto Nietzsche. Egli motiva un congedo che ha già da tempo ricevuto a condizioni onorevoli. Bisogna far piazza pulita e tagliare un possibile legame tuttora esistente, per evitare ogni malinteso. Il Consiglio risponde a questa dichiarazione espellendolo dalla corporazione, il che significa l'annullamento delle condizioni onorevoli in cui era avvenuto il primo congedo. È in-negabile che questa espulsione abbia duramente colpito Nietzsche; giacché proprio la sua ultima lettera in proposi-° conteneva l'espressa dichiarazione: «Con questo non cesso di stimare altamente l'idea della 'Burschenschaft'». Ma ora era l'associazione che aveva fatto piazza pulita nei suoi confronti.

Questo resoconto degli screzi con la «Franconia» di Bonn, le cui conseguenze si faranno sentire ancora nelle settimane di Lipsia, illumina il dissenso con l'associazione in cui Nietzsche si era trovato durante quell'estate. Essa ne mostra tutta la profondità, e con quanta forza Nietzsche lo avesse voluto. Quindi nelle ultime settimane di Bonn un grave peso lo opprime. Vi si aggiungono dei dolori reumatici, sicché il suo umore è cattivo. Nel ricordo, questi contrasti cancellarono in seguito l'impressione che gli aveva lasciato la fantastica libertà del primo semestre, e spiegano perché retrospettivamente egli ripensasse a Bonn con un senso di disagio.

Nietzsche non sarebbe lo «psicologo» che doveva poi diventare in filosofia se non si fosse dato un'esatta spiegazione circa la sua responsabilità personale negli spiacevoli rapporti con i «Franconi». Stando alle forme del regolamento, egli non poteva dare la colpa che a se stesso per la «persecuzione» di cui lo avevano fatto oggetto i suoi colleghi di associazione. In che altro modo si poteva spiegare! Si era permesso di far loro sapere la sua disapprovazione del loro comportamento. La linea di condotta non gli andava bene, la trovava - lui, il futuro paladino dell'«aristocrazia» - troppo «plebea».

Era lui l'aggressore, che dunque non doveva stupirsi se era stato cacciato nel vero senso della parola dal suo gruppo. Quando, verso mezzanotte, si trova sulla riva del Reno ad aspettare il vaporetto di Colonia che lo riporterà a casa a Naumburg, era animato dal sentimento che poi descrisse nel suo «sguardo retrospettivo» del 1867: «Da Bonn ero partito come un fuggiasco».

Ma ciò che lo aveva spinto all'aggressione era stato fin dal principio un sentimento di inferiorità. Ancora una volta è Nietzsche stesso abbastanza onesto da darci un resoconto preciso in proposito. A distanza di tempo egli può giudicare con minor pregiudizio e addirittura ammettere di essere stato «ingiusto» con i «compagni» dei mesi passati a Bonn. Doveva essere stato in gioco anche un certo risentimento, un atteggiamento fondamentale che percorre come un filo rosso tutta la sua vita: «Mi ero ritirato troppo timidamente in me stesso e non avevo la forza di far la mia parte nelle attività di laggiù». In altre parole: il «filologo» addestrato a Pforta e venuto a Bonn per perfezionarsi, aveva fallito nella cerchia dei giovani amici più vitali di lui. La vita dell'associazione di Bonn si svolgeva in un quadro che non era il suo ed era risultata non idonea a fargli acquistare il profilo desiderato. Chi lo dice? Proprio lo stesso Nietzsche nel suo schizzo autobiografico lipsiense: «Nel primo periodo mi ero sforzato di adattarmi alle regole e di diventare quel che si chiama un allegro compagnone. Ma poiché ciò mi riusciva sempre peggio, e l'alone della poesia che sembra circonfondere tutte queste attività per me era svanito e la rozza mentalità filistea saltava fuori nel bel mezzo di quegli eccessi nel bere, schiamazzare e far debiti, dentro di me cominciò a farsi sentire un lieve brontolio». L'insoddisfatto aveva restituito il colpo, nominando i motivi della sua insoddisfazione con la forza di persuasione di un lucido intelletto.

Sono qui già chiaramente accennati i lineamenti del «metodo» del suo pensiero, è imboccata una strada su cui continuerà a procedere con esiti così importanti.

Cosa aveva scritto nella sua lettera di ritiro dalla «Franconia»? «Con questo non cesso di stimare altamente l'idea della 'Burschenschaft'. Desidero confessare apertamente soltanto questo: che il suo aspetto attuale non è di mio gusto».

La cosa «in sé e per sé» può essere una cosa importante, ed anzi lo è. È solo la sua realizzazione che non soddisfa.

Grazie a una simile distinzione si possono detronizzare religioni, visioni del mondo, dottrine politiche, ideologie. Essa può avere il peso di un poderoso «martello»: «come si hlosofa col martello». Qui esso viene impugnato per la pri-°ia volta. E in un modo personalmente poco vantaggioso Per Nietzsche.

Non era in un buon stato d'animo quando, dopo esser stato accompagnato all'imbarcadero da Deussen e dal nuovo amico Mushacke, «nell'umida notte piovosa ero salito a bordo del vaporetto e guardavo lentamente sparire le poche luci che contrassegnano Bonn sulle rive del fiume».

La sorella Elisabeth annota con asciutta efficacia: «Così, il primo anno di università terminò alquanto melanconicamente».

V
PRIMI PASSI A LIPSIA (pp. 59-71)

Non c'è dubbio: a Bonn gravi ferite erano state inflitte allo studente Nietzsche dai suoi commilitoni della «Franconia». Lo avevano scacciato, come doveva confessare a se stesso. È vero che la motivazione ufficiale del suo trasferimento a Lipsia lo metteva in relazione alla chiamata di Ritschl, ma essa non era del tutto esatta, perché comunque gli era stato concesso soltanto un anno per frequentare l'università renana. Insieme a Drachenfels e a Rolandsbogen, Bonn coi suoi allettamenti goderecci all'insegna «vino, donne e canto», passava per un luogo di studi che invitava alla spesa, non adatto alla lunga al figlio di una vedova di pastore naum-burghese con la sua modesta pensione. Più verosimile era che Nietzsche teneva assai ad essere vicino a Gersdorff, l'amico degli anni di Pforta, che aveva deciso di passare da Gottinga a Lipsia. Questo era stato l'impulso decisivo per Nietzsche. Quando poi fu deciso il trasferimento di Ritschl a Lipsia, la sua risoluzione venne definitivamente confermata. Diminuì di colpo l'interesse per Jahn; d'ora in avanti fu Ritschl il suo uomo, il venerato maestro, a cui si affidò e nelle cui mani doveva mettere la sua carriera. Le lettere scritte da Bonn illuminano passo per passo la successione delle singole decisioni, fino alla partenza definitiva.

La contesa con i «Franconi» non fornì inizialmente alcuna nuova motivazione. Forse Nietzsche non l'avrebbe condotta in quel momento con tanta asprezza se si fosse orientato a rimanere a Bonn più a lungo. Ma ora che l'aveva provocata e si era arrivati a posizioni irremovibili, non prive di un tono ingiurioso, non si poteva più tornare indietro. Anche se Nietzsche non avesse comunque deciso di levar le tende da Bonn, era impensabile rimanervi altro tempo. In questo senso i suoi «Franconi» avevano fatto di lui un «fuggiasco».

Le vacanze lo vedono a Naumburg dai suoi: la madre, la sorella, le due zie. Lo trovano ingrassato. La birra bevuta sul Reno con i colleghi studenti ha lasciato qualche traccia. Ma non è soltanto gioia che si diffonde dalla sua persona. Gli avvenimenti di Bonn contribuiscono alle sue depressioni. Le sue ferite vanno curate. E lui porta con sé anche nuovi «punti di vista», idee «umanistiche» che scoppiano come granate nel semplice mondo concettuale della madre, la preoccupano e la impauriscono. Il futuro rovesciatore dei valori prova la rivoluzione nella cerchia familiare: tutte le affermazioni dei teologi cristiani debbono prima essere verificate. Nulla è sicuro, tutto è vaga credenza, si fonda su ipotesi non sostenute da testimonianze.

Già prima dell'anno trascorso all'università di Bonn, nella famiglia Nietzsche orfana del padre si era affermata una certa «consuetudine»: il figlio provoca la madre credente, che respinge i suoi attacchi contro la religione e lo prega di non toccare più questi argomenti. I colloqui, con la loro solita conclusione, continuano nelle lettere, che ci mostrano quel che doveva accadere durante le visite di Nietzsche. È indiscutibile: il figlio respinge i tentativi materni di dominarlo mettendo in dubbio la «verità cristiana». Qui colpisce la madre nel suo punto più vulnerabile, proprio là dove hanno origine i suoi istinti verso il figlio.

È singolare l'atteggiamento della sorella, che mostra oscillazioni nei confronti del fratello. Ma anche quando crede di rilevare la temerità delle sue affermazioni, non mette in discussione la sua autorità. Sente il bisogno di affidare alla memoria le cose che egli dice, di registrarle per così dire nella mente, trattandole e... ripetendole come verità pronunciate dal Profeta. La cosa arriva al punto che il fratello la invita per lettera a non rinunciare alla sua autonomia di pensiero. Ma ricorrono spesso in lei anche momenti di opposizione e reazioni imprevedibili.

Il trasferimento a Lipsia viene preceduto da un soggiorno di due settimane a Berlino su invito di Mushacke. La capitale prussiana non gli fa una impressione particolarmente favorevole: vede una città in fase di transizione, dove i resti della «vecchia Prussia» vengono smantellati da quel liberalismo industriale che comincia qui a diffondersi. Durante quei giorni non gli venne mai in mente di continuare gli studi universitari a Berlino.

Il 17 ottobre 1865 Nietzsche arriva a Lipsia con l'amico Mushacke. Dalla stazione i due vagano un poco senza meta per il centro, raccogliendo impressioni nelle strade con la loro animazione. In un ristorante leggono gli annunci di un giornale, annotando le offerte di camere mobiliate. Le prime che visitano sono deludenti: gli odori, la vista del misero arredamento respingono i due cercatori di alloggio. In una viuzza laterale, al n. 4 della Blumengasse, Nietzsche trova finalmente una camera adatta. Mushacke decide di abitare nella casa accanto.

Una settimana dopo - frattanto si sono sbrigate le formalità dell'iscrizione all'università - Ritschl, arrivato da Bonn, tiene la sua prolusione inaugurale a Lipsia. L'aula è strapiena quando il famoso cattedratico vi fa il suo ingresso calzando pantofole di feltro. Ritschl soffre di un'affezione ai piedi. Ha piacere di rivedere qui i suoi allievi di Bonn, e fa un amichevole cenno proprio a Nietzsche.

Ora, in queste settimane, cominciano a farsi più stretti i rapporti tra il maestro e l'allievo. Ritschl vuol crearsi una cerchia di fedelissimi, e in essa Nietzsche ha un ruolo particolare. Lo invita a continuare il suo lavoro su Teognide iniziato già a Pforta, ma poi lo sconsiglia dal proseguire quando si viene a sapere che è già iniziata un'edizione critica dello scrittore ad opera di un altro studioso. Per la pubblicazione dei risultati fino allora raggiunti, Ritschl gli mette a disposizione la sua rivista, il «Rheinisches Museum».

E innegabile che Ritschl sa attirare a sé l'allievo Nietzsche, di cui ha subito riconosciuto il talento, stimolarlo, dargli il giusto indirizzo nella sua disciplina. Nietzsche lo ricambia con una sconfinata devozione. Il professore ha dei progetti per questo adepto della sua materia. Invece di Teognide, gli consiglia di occuparsi di Diogene Laerzio, scrittore greco del III secolo d.C. Per un concorso che Ritschl doveva pubblicamente bandire, viene scelto come tema proprio quel Diogene Laerzio che Nietzsche aveva già cominciato a studiare. Dunque il vincitore era già deciso prima ancora che si sapesse del concorso. Il nesso non rimane inosservato.

D'altra parte, il ruolo che Ritschl comincia a svolgere nei confronti di Nietzsche risponde perfettamente al suo bisogno di una mano che lo guidasse. Egli cerca il modello, il maestro, l'educatore. Ciò che ha da offrirgli questo maestro dal grande prestigio accademico, ma anche temuto per la sua abilità negli intrighi, corrisponde in pieno ai suoi desideri. Alla sua guida può affidarsi, ad essa dovrà un impulso decisivo. Così, ora Ritschl lo fa accostare ad Eschilo, le cui opere Nietzsche si era già fatto mandare a Bonn da casa. Eschilo è il più antico dei tre grandi tragediografi greci. Ed è anche il più oscuro, quello che ha più profonde radici nel mondo pre-ellenico, nel più primitivo e sanguinoso sostrato originario della «tragedia», su cui si distende la fitta nebbia della mitologia, dove si incrociano culti che collegano l'«Europa» all'«Asia»: la «tragedia» come sacrificio umano, in cui entrano in gioco gli dèi onnipotenti.

Le conoscenze su Eschilo e sulla tragedia greca erano ormai acquisite negli anni '60 e inquadrate in un sistema ben ordinato. A prescindere da qualche controversia accademica, in questo campo poteva regnare l'accordo. Ma si trattava di un territorio di confine, pieno di pericoli. E Nietzsche che, spinto da Ritschl, è alla ricerca del vero Eschilo, è in procinto - senza saperlo ancora - di procurarsi gli strumenti per valicare questo confine.

Dopo l'intervallo non troppo felice dei due semestri passati a Bonn, a Lipsia Nietzsche si riallaccia ai tempi del liceo di Pforta, col corso regolare dei suoi studi. La frequentazione personale di Ritschl, che acquista un tono privato grazie alle frequenti visite a casa sua, è quel che ci vuole per prepararlo alla carriera del dotto borghese tedesco. Anche esteriormente c'è un evidente punto di contatto con gli anni di Naumburg, grazie alla fondazione di un circolo erudito. Ritschl aveva privatamente suggerito una «Associazione

filologica», e Nietzsche accoglie il suggerimento con tutto l'entusiasmo di cui è capace. In fondo, un'associazione accademica con i suoi statuti, sedute, conferenze, contribuiti presentati e discussi, era già stato il dominio riservato di Nietzsche insieme ai suoi compagni Pinder e Krug. Qui nessuno poteva facilmente contestare il suo prestigio. Così, anche qui egli è la forza propulsiva, riconosciuta da Ritschl e dai suoi colleghi di facoltà.

Sono sentieri del tutto convenzionali quelli su cui ora si muove Nietzsche. La foto di gruppo dell'«Associazione filologica» di Lipsia, del genere assai di moda allora, ci mostra dieci giovanotti dalle belle speranze. Il vincolo che li unisce è l'amore per gli scrittori classici e l'intelligenza critica nella loro lettura. Sulla loro fronte ci par di leggere scritto il «Principio speranza».

Ma a quest'impressione, che sembra soddisfare tutte le aspettative di carriera, se ne contrappone un'altra, fondata su motivi più segreti. Brani di lettere, appunti privati, colloqui riferiti, ci mostrano ben presto in Nietzsche gli inizi di una doppia vita spirituale. Ci si muove su un secondo binario. Accanto agli aspetti ufficiali c'è qualcosa da mantenere segreto, che deve evitare la luce dell'ufficialità borghese. Ci sono dei dubbi con cui non ci si può arrischiare in pubblico. Di qui, ora, il bisogno spesso manifestato da Nietzsche di cercarsi una guida, un garante cui appoggiarsi! Ritschl, filologo classico di chiara fama, rappresenta la scienza ufficiale.

Ma dove trovare la guida per le regioni inesplorate? Qui l'universitario ventunenne è in perpetua ricerca. E alla fine troverà, ma per caso! Nella stessa casa della Blumengasse, dove aveva affittato il modesto alloggio consistente in una «stanzetta con annessa camera da letto», si trova il libraio antiquario Rohn. Qui, rovistando tra i libri in vendita, farà la sua scoperta decisiva: l'opera principale di Schopenhauer, -" mondo come volontà e rappresentazione.

Lo stesso Nietzsche così descrive quell'evento, che lo porterà a trovare se stesso e che ebbe inizio nella libreria: «Non so quale demone mi sussurrasse: 'Portati a casa questo libro'. La cosa comunque accadde contrariamente alla mia abitudine, che era di non esser mai precipitoso nell'acquisto di libri. A casa mi gettai su un angolo del sofà col mio nuovo tesoro e cominciai a sottopormi all'influsso di quel genio cupo ed energico. Qui era ogni riga a proclamare la rinuncia, la negazione, la rassegnazione: in quello specchio vedevo riflessi in dimensioni terrificanti il mondo, la vita e il mio proprio animo. Da quelle pagine mi fissava l'occhio solare e totalmente disinteressato dell'arte, qui io scorgevo il morbo e la guarigione, l'esilio e il rifugio, il cielo e l'inferno. Il bisogno di conoscermi, anzi di dilaniarmi mi prese con violenza; testimonianze di quella rivoluzione spirituale sono ancor oggi per me le inquiete e melanconiche pagine di diario di quel tempo, piene di vane autoaccuse e della disperata attesa di una santificazione e trasformazione dell'intera sostanza dell'uomo».

L'esperienza che gli procura la lettura di Schopenhauer rappresenta un vero capovolgimento del suo pensiero. Qui ha trovato quel che cercava, qui, nel «pessimismo», in una dottrina di rassegnazione, il suo senso di insicurezza trova le linee direttrici per la sopravvivenza.

Come filosofo, Schopenhauer non aveva avuto il pubblico riconoscimento di Hegel. Non era un accademico né un universitario, anzi era nemico dichiarato di ogni filosofare istituzionalizzato da parte di funzionari statali dipendenti per il loro stipendio dallo Stato o dalla Chiesa. Un filosofo che insegna all'università deve secondo Schopenhauer prima di tutto accertarsi di ciò che il governo che lo ha nominato si aspetta da lui e in che modo può guadagnare il consenso dei suoi studenti. Un rappresentante della «filosofia di facoltà» non può insegnare per tutta la vita contro lo Stato e quelli da esso indottrinati. Quindi non può essere lo «scandalo» che deve rappresentare ogni vero successore di Socrate. Schopenhauer ammetteva una sola eccezione, Kant, perché questi non aveva esposto a Kònigsberg la propria filosofia bensì quella di altri.

L'opinione che Schopenhauer aveva della «filosofia delle università» non poteva certo raccomandarlo alle università stesse. Qui egli rimase sempre una pietra dello scandalo, quand'anche si fosse ritenuto necessario conoscerlo. Ma Schopenhauer era un filosofo per iniziati. Per decenni ebbe pochi seguaci, il suo Mondo stentò a trovare lettori, senza che per questo il suo autore dubitasse mai della verità delle sue dottrine. Quindi egli non fu nemmeno sorpreso quando d'improvviso, negli anni '40 del secolo, il suo nome divenne famoso e la sua filosofia prese a diffondersi in determinati ambienti. In questo successo finale egli aveva sempre creduto.

Schopenhauer si distingueva dai filosofi universitari tedeschi, oltre che per il suo carattere di perfetto originale, per due circostanze notevoli, che influirono direttamente sul suo pensiero. Contrariamente a quasi tutti i grandi filosofi cattedratici tedeschi, Schopenhauer era un uomo facoltoso, che teneva in modo straordinario a far sapere al mondo quanto poco bisogno egli avesse di guadagnarsi il pane con la filosofia. Lungi da lui il pensiero di fare della mancanza di mezzi una virtù. Il suo benessere poteva anche non essere una circostanza favorevole, ma il suo occhio non era offuscato da speranze di pensioni statali o di denaro pagato per i corsi da studenti ricchi. Ciò non voleva dir poco. Per di più era un raffinato stilista, un artista che non aveva il suo pari nella prosa filosofica tedesca. In Hegel egli vedeva «Calibano», lo schiavo selvaggio e deforme della Tempesta di Shakespeare.

Come pensatore, Schopenhauer non corrispondeva al tipo del «filosofo tedesco». Per il suo tenore di vita ricordava più Voltaire che Kant, più un «philosophe» che un «Philosoph», era uno studioso privato, che non aveva l'ambizione di spacciare la sua opinione per quella ufficiale dello Stato, un homme des lettres, quale poteva benissimo immaginarsi nella Francia del XVIII secolo. Viveva di rendita, era un rentier nel senso ancora insospettabile che il termine aveva nel XIX secolo. Una delle basi del suo pensiero furono pur sempre gli interessi che gli venivano dal suo patrimonio privato e lo tenevano al riparo dalle poco gradite pretese di un'opinione pubblica invadente. Viceversa, egli provocava l'opinione Pubblica con la sua ostentata indifferenza per i suoi interessi. La sua natura era totalmente impolitica. L'unico atteggiamento politico che dimostrasse un suo rapporto con 1 tempi fu la sua condanna della rivoluzione del 1848. I rivoluzionari in politica erano per lui dei folli, perché aumentavano senza necessità il dolore del mondo, di per sé già grande abbastanza e inevitabile per tutta l'eternità. Era una condanna dettata da profonde motivazioni personali, perché vedeva nei rivoluzionari delle persone che attentavano alla sua proprietà privata - per creare la propria. Perciò contribuì col suo denaro a un fondo statale di previdenza per i soldati resi invalidi dai rivoluzionari e per i loro familiari.

La filosofia schopenhaueriana bloccava qualunque teoria di progresso prima che si sviluppasse in una dottrina consistente. Ciò la rese sgradita in quei periodi in cui si affermava la forza propulsiva dei mutamenti. Ma si tornava a ricorrere ad essa quando le botti della rivoluzione erano vuote e gli uomini del cosiddetto progresso avevano dissipato in ogni direzione l'eredità da loro raccolta o se ne erano ingrassati; quando lasciavano il mondo in condizioni peggiori di quelle in cui l'avevano trovato! Quando la miseria del mondo si avviava a toccare nuovamente il fondo, le riflessioni di Schopenhauer dovevano di nuovo esser prese in considerazione. Ed egli insegnava: ciò che il «progresso» dà, se lo riprende dai suoi debitori con l'interesse composto. Conoscitore della storia, Schopenhauer ne traeva una conclusione: agli uomini e ai popoli non si fanno regali. Là dove si ha quest'impressione, essa viene subito corretta. Egli lo sa: il mondo nuovo diventa come il vecchio che aveva rovesciato. La «sofferenza» che ci accompagna fin dal principio sopravvive a ogni cambiamento.

Ciò che agli occhi dei filosofi di scuola che ambivano a riconoscimenti statali, al di là delle diverse tendenze, rendeva Schopenhauer un fenomeno unico, anzi apertamente scandaloso, era il fatto che la sua filosofia si presentava come una «filosofia della vita». Era giusto: Schopenhauer, che era rimasto così a lungo nell'oscurità, che si rivolgeva ai «pochi» e il cui nome cominciava solo allora lentamente a diffondersi, esercitava un influsso di natura particolare. Parlava a coloro che erano insoddisfatti delle filosofie insegnate nelle università, che con esse non riuscivano a placare la loro sete di «verità». Nella borghesia in ascesa, col suo rifiuto dello statalismo e la sua preferenza per una condotta privatistica della vita, il suo bisogno di pace dopo gli anni di sommovimenti rivoluzionari e il suo presentimento di nuovi pericoli all'orizzonte, la dottrina schopenhaueriana trovò di colpo il suo posto. Ecco un filosofo che offriva ai suoi lettori la pace dell'anima. Egli si rivolgeva al singolo che vuole scrollarsi di dosso il peso della quotidianità, al borghese in un'epoca che si andava facendo individualistica, ma anche all'artista, al poeta, al musicista.

Quando prende in mano il libro di Schopenhauer e lo divora in un attimo, Nietzsche pensa: ecco uno spirito cui posso sentirmi affine. Da lui apprende per la prima volta in forma dichiarata ciò di cui aveva già l'oscuro presentimento, ossia che la musica è la prima e più sublime delle arti. Con questa appassionata adesione a Schopenhauer, egli contravviene nel contempo a un precetto di Ritsch, che lo aveva dissuaso, in quanto «filologo», dall'occuparsi seriamente di «filosofia». Ma con questa lettura Nietzsche abbandona il «binario dei soliti lavori, pensieri, fastidi», come dice lui stesso, e imbocca di colpo un'altra strada, sulla quale è possibile formulare l'interrogativo sul «senso della vita».

Una delle conseguenze è senza dubbio l'autoanalisi che ora intraprende e cui fa partecipare anche la madre e la sorella. Qui un giovane dall'intelligenza non comune, già diventato l'ornamento della sua facoltà, la grande speranza del suo maestro, trae un suo bilancio. Il risultato è deprimente. Una cosa bisogna tener presente: le considerazioni che trovano posto in una sua lettera del novembre 1865 presuppongono i tradizionali valori cristiani e borghesi, che nella Germania luterana si erano fusi in indiscussa unità. Si tratta delle massime: «Fa' il tuo dovere!» e «Pratica l'astinenza!», con una prassi la cui evoluzione durava da millenovecento anni. Chi avrà il coraggio di metterle in dubbio? L'interrogativo che ora Nietzsche pone alla madre e alla sorella è in verità di una semplicità insuperabile: fa parte, come sempre in lui, degli interrogativi fondamentali dell'esistenza. Esso suona affettuoso e schiettamente familiare: Nietzsche chiede ai suoi tamiliari più stretti come riescono a sopportare la vita: «È dav-Vero tanto semplice per voi tirare avanti tutta questa esisten-

za piena di contraddizioni, dove l'unica cosa chiara è che la medesima chiara non è?». E comunica subito la sua impressione: «Ho sempre l'impressione che ve la caviate prendendola in scherzo».

C'è dello scetticismo, anzi qualcosa di più: l'oscuro presentimento di una miseria esistenziale per superare la quale la dottrina religiosa dello Stato e la dottrina statale della religione allora dominante non offrono ricette. Qui c'è qualcosa che non quadra. Compiere il proprio dovere non deve essere l'unico elemento costitutivo dell'uomo: la «bestia da soma» può più dell'uomo adempiere il dovere che da lei si esige.

E l'astinenza? Qui Nietzsche non muove un attacco decisivo alla verità cristiana. «Il cristianesimo non permette di essere 'vissuto a metà', così en passant, oppure perché è di moda», afferma quasi a mo' di rimprovero. Però: «Si sa che la vita è miserabile, si sa che siamo gli schiavi della vita quanto più vogliamo goderla; ci si priva insomma dei beni della vita, ci si esercita nell'astinenza [...]». Tutto qui rientra nella voce «miseria», il motto del nuovo consigliere filosofico di Nietzsche. E anche negli «schiavi della vita»: nel concetto della privazione come una specie di rassegnazione liberatrice troviamo Schopenhauer che si appresta a mettere in dubbio la concezione nietzschiana del «cristianesimo».

Con queste nuove esperienze intellettuali, Nietzsche nella sua lettera si ritiene in grado di dare alle destinatarie una risposta precisa. «E la vita allora è sopportabile? Certamente, giacché - in accordo con l'esortazione schopenhaueriana a negare la volontà - il suo peso diventa sempre più lieve e nessun legame ci tiene più stretti a lei. Essa è sopportabile, perché possiamo liberarcene senza provare dolore».

Nella risposta della madre risuona tutto il suo disagio per le considerazioni profonde ma anche un po' stravaganti del figlio, nelle quali essa ravvisa la sua «intima lacerazione». Così facendo lo inquadra - senza saperlo - in un ben noto cliché. Giacché il «lacerato» era una figura ben nota fin dagli anni '30 del secolo, con una diffusione europea. «Lacerati» erano i privi di speranze, gli «eroi» del dolore del mondo, coloro che soffrivano della vita; che, come l'Eugenio Onieghin di Pushkin, si precipitavano nella notte fuori dai saloni illuminati a festa o che, come il Manfredi di Byron, cercavano asilo tra le aquile e gli sparvieri sulle cime rocciose dei monti. Della stessa razza era l'Olandese volante di Wagner, l'«ebreo errante dell'oceano». Ma noi ricordiamo: anche il padre di Nietzsche, il pastore di Röcken, che soffriva di mal di stomaco nervosi ed era morto precocemente per una malattia del cervello, poteva considerarsi, nella sua vita ritirata, appartenente al movimento del «dolore del mondo». Il movimento era passato di moda, ma il suo ricordo, e quello delle sue infelici figure, si era conservato. Se ci affidiamo al giudizio della madre, Nietzsche apparteneva ai suoi seguaci.

Questi mesi di Lipsia vedono la preparazione di un'altra decisiva svolta che condurrà gradualmente Nietzsche alle sue future posizioni. Egli non aveva pensato alla filosofia come disciplina da coltivare autonomamente, e né a Bonn né, fino ad allora, a Lipsia, aveva mai frequentato corsi filosofici. La sua prima lettura importante era stata quella di David Friedrich Strauss, che gli lasciò un'impressione notevole, influendo anche sulla sua coscienza critica. Come scrittore teologico Strauss era considerato nel mondo cristiano tut-t'altro che innocuo, al contrario, gli vennero applicate misure di sicuro effetto quali procedimenti disciplinari, l'allontanamento dall'ufficio, persecuzioni da parte dell'autorità ecclesiastica, tutte cose naturalmente che aumentarono lo scalpore da lui creato nell'ambito dello Stato e della Chiesa. La sua Vita di Gesù, dove esaminava le contraddizioni dei quattro Vangeli, sottoponendoli a critica scientifica, passava per un libro malfamato negli ambienti dell'ortodossia ecclesiastica, ma rappresentava un sincero tentativo da parte dell'autore di conciliare la Chiesa con la scienza.

La conoscenza degli scritti di David Friedrich Strauss significò in quel momento per Nietzsche conoscere il rappresentante allora più estremo del «progressismo borghese». Quegli scritti incoraggiarono senza dubbio notevolmente la sua tendenza a sviluppare i propri istinti critici. Deve prima trovare un fondamento filosofico, un modello per il futuro orientamento. A questo gli serve Hegel, la lettura di Kant e Dühring col suo programma di riforma sociale.

Quello che in seguito Nietzsche combatterà come «socialismo» è in sostanza il socialriformismo di Dühring, che doveva venire causticamente deriso da Engels, e, sul piano della tattica parlamentare, Lassalle.

Ma tutto ciò non rappresenta che una prima ricognizione del terreno. Nulla di più! Solo Schopenhauer e le esperienze della sua dottrina, che Nietzsche ripercorre, mettono in movimento il suo pensiero e invitano anche al confronto. Dopo Schopenhauer, l'ottimismo di Strauss, secondo cui «tutto andrà a finir bene», verrà annullato da Nietzsche, e qualsiasi traccia dell'idea hegeliana del progresso della storia verso la «libertà» non ha più nessuna possibilità di esser presa seriamente in considerazione. Ciò non accade dall'oggi al domani. II mulino della disperazione nietzschiana macina lentamente. Leggiamo: «Da quando Schopenhauer ci ha tolto dagli occhi la benda dell'ottimismo, vediamo con più precisione. La vita è più interessante, anche se più brutta».

Dunque Schopenhauer significa la perdita delle illusioni che anche i sistemi dottrinali di filosofi senza pregiudizi continuano a portare con sé, in quanto destano aspettative che il corso della storia non avvera. Lo studio spontaneo di Schopenhauer è per il giovane Nietzsche la rivoluzione copernicana» del suo pensiero. Ma la direzione che prenderà non sarà univoca, bensì porterà a quella «svolta» che gli propi-zierà la lettura della Storia del materialismo di Friedrich Albert Lange. «L'opera filosofica più importante che sia apparsa negli ultimi decenni è senza dubbio quella di Lange - scrive nel novembre 1866 a Mushacke - Kant, Schopenhauer e questo libro di Lange - tanto mi basta».

Friedrich Albert Lange era originario della Renania e apparteneva al movimento democratico borghese di sinistra, i cui rappresentanti dovevano in seguito passare sotto l'egida della socialdemocrazia tedesca, nella versione della «Associazione generale operaia tedesca» di Lassalle, e qui cadere rapidamente nell'oblio. Contrariamente a Marx e ad Engels, che assistevano dall'Inghilterra con grande diffidenza alle manovre di Lassalle nel parlamento di Berlino, Lange aveva preso le mosse da Kant, non da Hegel, nella sua fondazione morale del materialismo. Ciò significava abbandonare il metodo dialettico, da lui combattuto, e fondare il materialismo su principi etici, sviluppandolo in un'epoca che si andava orientando verso l'industria e la scienza. La natura non spiegabile del cosmo, che per Lange era un dato di fatto, lo faceva riandare ai filosofi naturalisti greci con le loro dottrine degli elementi. Essi rappresentavano per lui il punto di partenza non solo del pensiero materialistico, ma anche della filosofia in assoluto.

Lange aveva composto parte della sua opera durante il suo periodo di insegnamento al ginnasio-liceo di Duisburg. Il libro era un'opera di obiettivo valore scientifico. Lenin, che a quanto dichiarava lui stesso aveva tratto da esso le sue conoscenze sull'evoluzione del pensiero materialistico, al libro riconosceva un'autorità indiscussa.

VI
IL VORTICE ATOMICO DI DEMOCRITO (pp. 72-78)

Quando per secoli si era parlato di filosofia, tre nomi erano sempre primeggiati fra tutti: Socrate, Platone e Aristotele. È vero, non si conoscevano scritti di Socrate perché non ne aveva composti, e ci si affidava per questo a Platone, che riferiva le opinioni e il metodo di Socrate; si poteva chiamare Platone «il divino» o «il nemico dell'arte», considerarlo alla luce di Aristotele o questo alla luce di Platone: ma non era lecito dubitare seriamente dell'idea che con essi il pensiero dei Greci avesse raggiunto il suo vero e proprio culmine.

Lo splendore della filosofia greca mise anche in grave imbarazzo il nascente cristianesimo. Dove andavano collocati questi spiriti «pagani», se le loro «verità» erano costantemente riconosciute e trovavano sempre nuovi adepti nel mondo cristianizzato, se perfino i teologi erano così affascinati dalle loro idee e dai loro metodi?

Si scelse la strada dell'appropriazione. Era tranquillizzante poter attribuire a Platone un'anima naturalmente cristiana, ed Aristotele era giustificato se la successiva teologia normativa di Tommaso d'Aquino si serviva della sua dialettica. Sarebbe stato assai più difficile accettare che simili spiriti fossero stati già così saggi senza l'illuminazione cristiana. A favore di Socrate stava la sua condanna a bere la cicuta che le autorità ateniesi gli avevano inflitto tramite i loro sbirri perché avrebbe corrotto la gioventù, condanna che ricordava il sacrificio di Cristo.

Dunque il cristianesimo contribuì senza volerlo, specie dopo la riscoperta di Aristotele, ad elevare il prestigio della vera e propria età classica della filosofia greca. Ma ciò voleva anche dire che i filosofi anteriori a Socrate venivano vieppiù oscurati. Che fossero esistiti era sicuro, e quel che avevano detto veniva attinto soprattutto da ciò che attribuivano loro Platone, Aristotele, Diogene Laerzio e altri autori posteriori nei loro scritti. Il senso delle loro parole era oscuro, la tradizione frammentaria e per più aspetti malcerta. Se li si confrontava con ciò che Socrate intendeva per pensiero, essi rappresentavano una fase storica pre-civilizzata, pre-razionale, che Socrate e i suoi allievi avevano illuminato della loro luce.

La filosofia presocratica è filosofia naturalistica, pensa in base agli elementi e con gli elementi. Naturalmente li supera occupandosi del vuoto e dei rapporti tra gli elementi in esso, ma sarebbe inimmaginabile senza gli elementi come sua materia. Talete fa derivare ogni cosa dall'acqua, Anassimandro dalla materia infinita, Anassimene dall'aria. Per i pitagorici all'origine sta il numero, per gli eleati l'Uno unico e immutabile.

Tra i presocratici, Nietzsche fu introdotto dalla lettura del libro di Lange soprattutto a Democrito. Questo nome gli era noto dal suo lavoro su Diogene Laerzio, che lo nomina e lo caratterizza nel suo catalogo di filosofi. Tra i filosofi naturalisti, Democrito è il materialista per eccellenza. Il corpo e la mente pensante sono per lui una identica cosa. Come il suo maestro Leucippo, Democrito appartiene alla scuola atomistica. Per Democrito è certo che la divisione delle particelle non può procedere all'infinito, che debbono esistere corpuscoli indivisibili.

Qui ci troviamo agli inizi della teoria atomica. Neil'«atomo» coincidono «parola» ed «essere». La teoria atomica è fondamentalmente la teoria dei corpi indivisibili, di numero infinito. In essi non vi è differenza di qualità, sono tutti della stessa specie, ma di forma diseguale. Gli atomi possono presentarsi in forma di sfere, di falci o di ganci. Sono i momenti quantitativi, come la grandezza, l'ordine e la disposizione, quelli che li fanno differire l'uno dall'altro. Ma proprio questa differenza conferma la comune appartenenza a un'unica materia originaria. L'Essere di Democrito è fondato sull'uniformità degli infiniti atomi con le loro caratteristiche, come l'eguaglianza della qualità e la diseguaglianza della quantità. Mutando posizione essi possono provocare mutamenti grazie ai quali modificano anche le cose da essi costituite.

In questo modo entrava in gioco contemporaneamente il concetto di vuoto. Giacché l'atomo ha bisogno del vuoto in cui possa avvenire il suo movimento. Senza lo spazio vuoto la pluralità degli atomi sarebbe impensabile, e sarebbe impossibile il loro movimento come cambiamento di posizione. Secondo Democrito il vuoto arriva fino nei corpi «porosi» e rappresenta nello stesso tempo lo spazio circostante. Il movimento è per lui il vero processo universale. Gli atomi vengono scagliati nel vuoto da un «automa» e tengono in movimento la natura. Tutto avviene secondo necessità. Le cause finali sono da respingere. Questo è il genuino materialismo.

«Il materialismo è antico quanto la filosofia, ma non più antico». Con questa frase Lange inizia il suo libro. Ciò significa: il materialismo sta agli inizi della filosofia, là dove compare non è mai pre-filosofico, anche se non sempre soddisfa il razionalismo. Qui appaiono chiari gli spunti del pensiero nietzschiano. L'assioma di Democrito: «Nulla viene dal nulla» precede ogni tipo di «nichilismo», con tutta la polivalenza di questo termine cangiante. Il Nulla è al principio e alla fine, e produce di continuo il Nulla. Proprio nel risalire alla filosofia anteriore a Socrate, Nietzsche torna a far presente l'onnipresenza del Nulla. Naturalmente i presocratici erano noti a Kant come a Hegel, ma Nietzsche, invalidando la loro valutazione del pensiero greco, che prendeva le mosse da Platone e da Aristotele, e derivando i suoi canoni interpretativi dai presocratici, che egli poneva al di sopra di Platone e Aristotele, impostò già quella frattura che nella sua filosofia doveva portare alla «trasvalutazione dei valori». La diversità delle cose derivava secondo Democrito dalla diversità nel numero e nella figura degli atomi. La futura teoria nietzschiana delle catastrofi, l'annuncio di eventi fino ad allora inimmaginabili, si rifaceva qui a Democrito. Se i vortici atomici si trovano in pieno movimento, la questione dell'autore degli eventi è impropria, insensata, perché impossibile da risolvere.

Così l'interrogativo posto più tardi da Aristotele circa l'autore del mondo viene risolto dichiarandolo inammissibile. Eraclito la pensava diversamente: «La guerra è la madre di tutte le cose, regina di tutte le cose». Secondo Aristotele, Eraclito ed Empedocle pensano che il mondo nella sua condizione attuale presto perirà per entrare in una condizione diversa, e che ciò continui incessantemente. Al termine di ogni mondo sta la sua conflagrazione. Il fuoco è invincibile, non perisce mai.

Empedocle aveva arricchito l'antico materialismo di quella componente meccanicìstica che giunse a dispiegarsi pienamente nel pensiero di Democrito. Per Empedocle tutto era formato da quattro elementi fondamentali: fuoco, acqua, aria e terra. Sono le radici dell'essere, ossia non sono nati né periranno. Ciò che gli uomini intendono per nascere e perire non è che la mescolanza e lo scambio di elementi diversi. Giacché tutto quanto è nato lo è tramite mescolanza e separazione. Lo stesso «essere» è non nato, indistruttibile, immutabile nella sua qualità. Il «divenire» rappresenta un procedimento automatico. Democrito postula un automa universale, una catapulta di atomi, che li mette coi suoi colpi in un eterno movimento. Questa spiegazione meccanicistica degli atomisti rende superflua una «creazione», che peraltro non può aversi dal nulla. Di più: la rende inimmaginabile. Tutto è fondato sull'Essere senza principio né fine, tutto quanto è, è perché necessario. «Il vortice degli atomi, da cui sorge ogni cosa - così afferma Diogene Laerzio, su cui Nietzsche si era specializzato per consiglio di Ritschl - è la necessità democritea». La lettura del libro di Lange sul materialismo, che Nietzsche loda con tanto entusiasmo e studia con straordinaria intensità, non solo amplia sostanzialmente le sue nozioni sugli inizi della filosofia greca, tratte da Diogene Laerzio e da altri autori, bensì comincia ad affinargli lo sguardo per penetrare in un mondo fino ad allora per buona parte sconosciuto. Trascurare i filosofi greci pre-classici era una consuetudine per così dire sancita ufficialmente. Ciò valeva addirittura anche per Lange, che, pur occupandosi di essi, trattava però in prevalenza Democrito, perché in lui vedeva riassunto il più antico materialismo greco.

Esiste un precursore di Nietzsche che comprese la fondamentale peculiarità dei sistemi dei filosofi naturalisti greci in confronto con la filosofia greca classica. Si tratta di Karl Marx, che nella sua dissertazione di Jena sulla «Differenza tra la filosofia naturale di Democrito e quella di Epicuro» del 1841 aveva criticato Hegel perché non aveva riconosciuto ai filosofi naturalisti la grande importanza che rivestivano agli occhi dei filosofi dell'età classica. Era definitiva la sua osservazione: «Questi sistemi sono la chiave della vera storia della filosofia greca».

Ma in precedenza essi non erano certo visti in questa luce. Nietzsche non conosceva il lavoro di Marx. Ma ha con esso una rilevante affinità: entrambi nelle loro primissime riflessioni filosofiche prendono le mosse da Democrito. Col suo vortice atomico, egli è il loro punto di partenza; meno per Marx, in maggior misura per Nietzsche. Secondo Marx, la tarda età classica non superò mai la potenza del pensiero mitologico nella forma sviluppata dai più antichi filosofi naturalisti: «Prometeo è il più nobile santo e martire del calendario filosofico».

Con simili capovolgimenti dei canoni tradizionali - invece di Socrate è preso a modello o misura una volta Prometeo, un'altra i presocratici - Marx e Nietzsche si muovono nella loro epoca al di fuori della legalità accademica. Pensare e parlare in questo modo è contro ogni regola. Si va preparando la rottura di Marx con la «miseria della filosofia» e la futura espulsione di Nietzsche dalla congrega dei «filologi». Lo studio dei filosofi naturalisti greci e la loro rivoluzionaria interpretazione, che li pone al di sopra di tutti i loro successori, provocano delle decisioni preliminari. Questo passo deve necessariamente portarne con sé un altro.

Per Nietzsche era preparato il terreno per un'altra questione di fondo, quella delle origini orientali del pensiero greco, della Grecia in genere. Giacché «greca» era non solo l'Eliade dell'Attica e del Peloponneso e quella delle isole, che arrivava fino alla Sicilia e all'Italia meridionale; era «greco» anche il continente microasiatico. Ma la costa colonizzata dai Greci aveva una popolazione proveniente dall'interno del continente, da dove si era spostata nel corso di una lunga migrazione in età preistorica. Essa rimandava all'Asia come sua sede originaria.

La questione di che cosa avesse preceduto la Grecia, culmine della civiltà umana, non era nuova. August Wilhelm Schlegel e suo fratello Friedrich l'avevano già posta e risolta indicando l'India e invitando allo studio del sanscrito. La linguistica indogermanica, fondata da Bopp e dai fratelli Grimm nei primi decenni del secolo, osservando l'affinità delle lingue parlate in India con quelle europee, aveva concluso che l'Asia centrale doveva essere il luogo d'origine di una grande famiglia di popoli, i cui componenti si erano messi in moto verso occidente. Le tracce linguistiche di un'ipotetica «lingua originaria» di questo periodo più antico esistevano nelle lingue germaniche, come pure in greco e in latino e nelle lingue romanze derivate dal latino.

Dal punto di vista della lingua, tutto ciò poteva considerarsi certo, grazie al notevole lavoro dell'indogermanistica e della linguistica comparata. Ma le fonti dirette in questo campo erano scarse. Perciò queste idee risultavano poco convincenti per la filologia classica e le sue autorità, per lo spirito di Pforta, dove si leggeva Omero, analizzandolo grammaticalmente e metricamente e se ne gustavano le bellezze poetiche. Anche se erano idee giuste, come si poteva dimostrarle in base ai testi? I sussidii della grammatica e dell'interpretazione testuale non erano sufficienti a giustificarle.

Era questa la situazione in cui Nietzsche si venne a trovare studiando i filosofi presocratici e deviando dalla sua disciplina vera e propria; la situazione in cui si andava preparando, senza che il suo ambiente ancora se ne avvedesse, un lento mutamento di posizione. Ritschl lo aveva dissuaso dal-l'occuparsi di filosofia. La filosofia guasta la testa del filologo, lo rende esposto a speculazioni e credenze di ogni genere e orientamento. Dal suo punto di vista, non è detto che Ritschl non avesse ragione. Esistevano prove sufficienti della validità delle sue vedute.

La filosofia significava il distacco dal sapere certo. Trionfava ovunque la supposizione. Non appena si accennava all'«elemento pre-greco» in Grecia, lo specialista del secolo scorso si vedeva franare sotto i piedi il terreno che poteva garantirgli un giudizio sicuro. E costruire poi addirittura una propria filosofia sull'«elemento pre-greco» doveva portare infallibilmente in zone pericolose.

Era questo un confine di difficile identificazione per gli specialisti. Chi, come Nietzsche, si accinge a varcarlo per penetrare fino alle origini più profonde, deve andare molto cauto.

VIII
LA PRUSSIA, LA SASSONIA E NIETZSCHE (pp. 86-98)

Il motivo originario che aveva spinto Nietzsche a trasferirsi a Lipsia era stata la lettera di Gersdorff in cui l'amico lo informava di voler proseguire i suoi studi per il semestre successivo nella città universitaria della Sassonia. Nietzsche non dovette quindi continuare a ponderare la scelta del futuro luogo dei suoi studi.

Dunque poteva essere esaudito il suo desiderio di trovarsi vicino a Gersdorff. Da Bonn li accompagnava anche Mushacke. Deussen, sempre alquanto tardo, qualità che aveva dimostrato già a Pforta e che nel frattempo si era accentuata, non si unì al gruppo di seguaci di Ritschl in partenza per Lipsia. Del resto, Deussen non aveva gran motivo di rimpiangere la compagnia di Nietzsche, che troppo spesso cedeva alia tentazione di fargli sentire la sua superiorità.

La vita a Lipsia comincia per Nietzsche sotto buoni auspici. Non è più contrassegnata dalla libertà godereccia dei primi mesi di Bonn. Già qui egli aveva cercato espressamente di entrare nelle cerchie dei professori di quella università. Ora il rapporto fattosi personale con Ritschl e anche con sua moglie, che condivide la stima che ha di lui suo marito, sembra mostrarcelo sul punto di arricchire la categoria del «professore tedesco» di un altro assai onorevole esemplare.

La giornata di Nietzsche a Lipsia è contrassegnata da un ordine ferreo, alternato a una moderata fantasia. Egli conserva l'abitudine di alzarsi presto che risale al periodo di Pforta. Le prime ore del mattino vengono impiegate nello studio, e il loro frutto gli consente una maggiore disponibilità del tempo per il resto della giornata: è una divisione del tempo che adotterà spesso anche in seguito.

Nietzsche aveva imparato dalle sue esperienze di Bonn. La sua vita a Lipsia sarebbe stata quindi dedicata a una libera frequentazione sociale, non più compromessa da obblighi di corporazione. E intanto ha imparato che cosa può giovargli e da cosa deve guardarsi. Lipsia è una città dove vale qualcosa la pratica del mondo. Perciò il padre di Goethe l'aveva scelta per gli studi di diritto del figlio. Gli studenti amano ricordare che qui aveva soggiornato il poeta. Perciò il rettore ammonisce le matricole, tra cui si trova Nietzsche, a non prendere esempio dai suoi costumi. Ciò che è bene per Giove, non lo è certo per il bue. Dura allusione, che Nietzsche deve ingoiare da parte di un rappresentante della scienza amministrata dallo Stato!

Per Nietzsche Lipsia è ciò che era stata a suo tempo per Lessing e per Goethe: una città di teatri, caffè e taverne. La vita degli studenti naturalmente non è completa senza numerose passeggiate. Per istinto, e per i consigli della madre, Nietzsche sa quel che deve al suo fisico. Impara a cavalcare e talora si presenta alle lezioni con la frusta in mano. Ciò avviene a Lipsia, dove il filologo classico Gottfried Hermann aveva tenuto per anni i suoi corsi con stivali e speroni, dunque niente di straordinario. Il caffè si prende da Kintschy, che Nietzsche preferisce perché vi è proibito fumare; mentre la taverna di Simmer è un altro punto d'incontro prediletto dalla cerchia di amici.

Anche la Sassonia era stata immediatamente coinvolta nella guerra tra le due grandi potenze germaniche per il predominio nello Stato confederale. Agli occhi della Prussia, era considerata l'alleata naturale dell'Austria, e anche in passato era apparsa regolarmente come tale. I motivi dell'alleanza erano evidenti fin dai tempi di Federico il Grande. Come potenza in ascesa, la Prussia significava una minaccia per gli Stati di antica fondazione, che avevano particolarmente apprezzato dell'impero germanico degli Asburgo la mano di velluto, per non dire la debolezza. La cancelleria austriaca aveva sempre saputo tessere abilmente i fili della rete in cui doveva impigliarsi questo parvenu del Nord.

A Dresda il ministro Beust era un uomo di fiducia della politica di Vienna, a Monaco von der Pforten guidava il partito austriaco contro il re, rimasto a lungo irresoluto. Qui Bi-smarck aveva collocato efficaci contromine, incaricando Richard Wagner tramite il suo antico compagno di studi a Gottinga Francois Wille, e suo protettore a Zurigo, di intervenire presso Ludwig II in favore della Prussia.

Nella sua reazione, la Prussia all'inizio delle ostilità con l'Austria non fece complimenti con la Sassonia, scegliendola come regione di transito più opportuna nella marcia verso la Boemia, dove si combatté la battaglia decisiva. I Prussiani invasero la Sassonia e le dichiararono guerra.

Nietzsche segue con attenzione gli eventi da Lipsia. Poiché proviene dalla provincia di Sassonia, non dal regno, Nietzsche è cittadino prussiano, e nella seconda metà di giugno assiste nella città universitaria sassone all'ingresso delle truppe prussiane, dunque dei soldati della sua patria. «Noi viviamo dunque a Lipsia, città prussiana», scrive alla madre e alla sorella in una lettera di questo periodo. Anche se i suoi sentimenti sono divisi, anche se ogni tanto simpatizza per la Sassonia, per Lipsia e la sua vita, per l'università col suo prestigio - la lettera esprime chiaramente la sua presa di posizione per la Prussia e per Bismarck. Ma non è una posizione acritica né priva di preoccupazione! «Enorme è il pericolo in cui versa la Prussia - vi leggiamo -: che essa, con una piena vittoria, sia in grado di attuare il suo programma, è assolutamente impossibile. Fondare lo Stato unitario tedesco in questo modo rivoluzionario, è un colpo ardito di Bismarck; coraggio e coerenza senza scrupoli non gli mancano certo, tuttavia egli sottovaluta le forze morali che sono nel popolo. In ogni caso, le ultime mosse sono eccellenti: soprattutto egli ha saputo rovesciare sull'Austria una gran parte, se non la maggior parte, della responsabilità».

Potremmo sorvolare su queste righe con le loro interessanti impressioni personali e le loro allusioni all'attualità, se non contenessero già alcuni elementi fondamentali delle posteriori opinioni nietzschiane. Ammirazione per le grandi gesta, per la mancanza di scrupoli nell'impiego dei mezzi, per i colpi di mano con cui si forza la storia là dove essa è fondata sulla semplice sterile tradizione. E ammirazione per il grande uomo d'azione, il cui agire è paragonabile all'arte! La morale rimane importante, ma declassata dalla forza delle circostanze, dalla necessità. Come dottrina, ciò può essere impugnabile: ma nella realtà della «storia universale», della quale Nietzsche fissa qui, come in un caleidoscopio, una breve scena dell'anno 1866, si procede così e non altrimenti.

In queste settimane Nietzsche aveva visto coi suoi occhi la violenza in piena azione nella figura di Bismarck. Era stato proprio Bismarck ad abbattere d'un sol colpo convenzioni che vigevano in Germania da secoli, guadagnandosi addirittura delle adesioni. Il re di Sassonia aveva preferito fuggire dal suo regno. C'era così il vantaggio che la nazione e il re restavano intatti, diversamente dall'Hannover e dall'Assia-Kassel: «Semplicemente si è dato il colpo di grazia a un altro re e a un altro principe elettore», così Nietzsche celebra quella violenza, con l'opportuno commento: «Questa è la più recente definizione del principato 'per grazia di Dio'», e dà addirittura libero corso alla sua ammirazione per Bismarck «In fondo questo modo prussiano di disfarsi dei principi è il più comodo del mondo».

Le rapide vittorie prussiane hanno messo Nietzsche in queste settimane nella posizione dichiarata di «Prussiano impegnato» nei confronti del suo ambiente sassone. La sua condizione di borghese comincia a inquietarlo. «Informatevi un po', con molta precisione, presso l'ufficio regionale, quando avverrà il richiamo dei 'volontari per un anno', e comunicatemelo presto», scrive a casa. Non vede l'ora di trovarsi tra le fila dell'esercito vittorioso. D'altra parte non disconosce i vantaggi di trovarsi ora a Lipsia: Naumburg è una città senza giornali, dove tutt'al più è diffusa l'opinione della conservatrice «Kreuzzeitung». Ma comunque il conservatorismo che si scaglia contro un Bismarck impegnato in questi grandi movimenti, non serve più a nulla. Meno male che i «conservatori di Naumburg-Zeitz» alle ultime elezioni hanno fatto «un magnifico fiasco», afferma Nietzsche nel seguito della stessa lettera. Questi «egoisti» non hanno compreso l'importanza dell'ora.

L'opinione dei cittadini di Lipsia in questa guerra è divisa. Troppo forti sono qui le simpatie per l'Austria, baluardo della Restaurazione. Si spargono voci, come avviene di solito in guerra, circa gravi perdite dei Prussiani, tra le quali quindicimila prigionieri. Nietzsche parla di «miserabili menzogne viennesi» e ha pronta una spiegazione: «A Vienna, per rincuorare le masse, tutti i dispacci vengono falsificati e capovolti». Grande è il suo orgoglio per essere, nella sua qualità di prussiano, dalla parte dei vincitori. All'amico Gersdorff scrive qualche settimana più tardi: «Dobbiamo essere fieri di avere un simile esercito, anzi addirittura [...] un tale governo, che non fa i suoi programmi soltanto sulla carta, ma li rispetta con la massima energia, con enorme dispendio di denaro e di sangue». E continua: «Ogni partito che approva queste mete politiche è in sostanza un partito liberale, e anche nella considerevole massa di conservatori della Camera dei deputati riesco a vedere perciò soltanto una nuova sfumatura del liberalismo».

In queste frasi indirizzate a Gersdorff parla uno che nel giro di qualche settimana è diventato non solo un «Prussiano impegnato», ma anche un fautore dell'unità tedesca. A Bonn il suo tono era stato più scettico.

Ora esplode in pieno il suo entusiasmo per i successi prussiani in politica e sul campo di battaglia: «Mai, da cinquantanni a questa parte, siamo stati così vicini all'avverarsi delle nostre speranze di Tedeschi». E subito dopo, nello spirito dell'epoca «del sangue e del ferro», l'anticipazione del postulato della sua futura filosofia: «Poco alla volta, comincio a capire che non c'era veramente altro mezzo, più mite, se non quello terribile di una guerra di sterminio». Se qualcosa vuol cadere, bisogna abbatterla.

Questa massima della sua posteriore dottrina della «volontà di potenza» è dedotta dall'esperienza dei grandi successi della politica di Bismarck, la cui sostanza viene ora pienamente approvata. Vi si esprime la testimonianza, il sentimento del contemporaneo che ha la fortuna di veder coi suoi occhi un gigante della politica che con due o tre colpi di mano provoca un cambiamento della scena europea quale nessuno prima aveva ritenuto possibile. Mediante la diplomazia, congiunta alla superiorità militare, si erano creati in brevissimo tempo dei fatti compiuti.

Ma non è probabile che la situazione resti così. Torna a farsi sentire la vena scettica di Nietzsche. Con pochi tratti, egli delinea la probabile controstrategia dell'Austria. Uno Stato così esperto delle arti politiche come l'Austria non si può togliere di mezzo dall'oggi al domani. Le colonne che cadono possono ancora sostenersi l'un l'altra e reggere l'edificio ancora per qualche tempo: «Il fatto è che un edificio tanto antico non si sgretola così facilmente. Per quanto pericolante esso possa essere, esisteranno pur sempre dei vicini 'buoni e fidati' pronti a sostenerlo, giacché anche le loro case potrebbero venir danneggiate dal crollo di quello». L'Austria - questo è il pronostico del giovane corrispondente - dopo la rottura dell'equilibrio causata dalla vittoria della Prussia si rivolgerà al suo garante europeo, dunque alla Francia. E la Francia, cui stava a cuore l'Europa della tradizione, dovrà reagire. Era giusto: è qui già previsto il decorso ulteriore degli avvenimenti, con lo scontro tra la Francia di Napoleone III e la Prussia di Bismarck.

L'amico Gersdorff, destinatario della lettera, è già arruolato nell'esercito prussiano e si trova col grado di tenente col suo reggimento a Norimberga, nella zona francone della Baviera, dove può godere delle prevalenti simpatie per la Prussia. Davanti alle vittorie prussiane, Nietzsche, come abbiamo visto, si mostra impaziente: non vede l'ora di esser chiamato alle armi. Ora lega il suo destino a quello della Prussia. «Vittoria o morte» è la parola d'ordine. La guerra deve andare avanti con la sua personale collaborazione. Risuona qui tutto lo spirito eroico dell'epoca, quando leggiamo: «Alle nostre aspirazioni nazionali non verrà risparmiato il compito di sovvertire lo stato di cose in Europa, o in ogni caso di tentare di sovvertirlo. Se questo fallisce, noi due possiamo sempre sperare di cadere sul campo di battaglia, colpiti da una pallottola francese».

Di fronte a questi sentimenti così intensi e a uno stato d'animo in subbuglio, espresso non senza pathos, il giudizio di Nietzsche sull'ambiente sassone che lo circonda si fa visibilmente più negativo. Il tono di un simile linguaggio è ovviamente appropriato agli eventi di un grande periodo di sovvertimento. Nietzsche se ne fa immediatamente travolgere. Vale a dire: la sua simpatia per la Sassonia, per il paese e la sua gente, si raffredda ora assai presto e visibilmente. Nota con amarezza la crescente resistenza interna che vi si osserva, dopo la passata inattività militare dei Sassoni. La gente non lascia nulla sperare-. «I Sassoni autentici spuntano di nuovo rigogliosi». Tutto ciò gli riesce «insopportabile». Particolarmente sospetto gli riesce «il disgustoso sproloquiare da politicanti dei Sassoni» sotto il manto di un'apparente imparzialità politica. Perciò si sente particolarmente a suo agio nel caffè Kintschy, dove tutti i pomeriggi c'è «un vero e proprio accampamento prussiano», col proprietario svizzero sempre alla testa. Un vero commento alla situazione di Lipsia sono le scene che si vedono ogni sera, con fanti prussiani che si intrattengono con ragazze del paese. Nietzsche osserva: «La gente qui non è capace né di un odio profondo né di una simpatia intensa». Qui a Lipsia, stando al giudizio del suo cocchiere, si ha la tendenza ad adattarsi e ad essere sempre «cordiali».

Ma è anche la piacevolezza della vita che Nietzsche loda di Lipsia, raccomandandola particolarmente all'amico al campo e pregandolo di venirlo presto a trovare. Anche su Deussen fa pressioni perché venga a Lipsia. I motivi sono evidenti. Qui aveva trovato una urbanità nella condotta della vita ignota a Naumburg e inesistente anche a Bonn. La sua vita di universitario è in via di consolidarsi sotto la guida di Ritschl. Comincia già ad avvertire terreno solido sotto i piedi, specialmente grazie all'incarico, procuratogli da Ritschl, di scrivere per l'editore Teubner una voce di un lessico eschileo. La sua partecipazione alla vita teatrale e musicale di Lipsia è straordinariamente intensa. Ora vi si aggiunge l'interesse per l'attrice Hedwig Raabe, che è in tournée a Lipsia con la compagnia di Emil Devrient. Lipsia è entusiasta di Hedwig Raabe, che è il tipo dell'«angelo biondo». 11 ciclo di recite, nel quale essa interpreta Jane Eyre nell'Orfana di Lodewood della Birch-Pfeiffer e la parte della protagonista nella commedia dall'eloquente titolo Ella scoprì il suo cuore, di Mùller von Königswinter, dovette venir più volte

prolungato. Nel frattempo, Nietzsche si è trasformato da spettatore anonimo in ammiratore e addirittura in corteggiatore. Come segno di omaggio personale, fa pervenire all'artista alcuni lieder da lui composti.

Questo gesto era inteso da Nietzsche come un primo approccio per fare la conoscenza personale della stella della scena. Sappiamo come andò a finire: nel nulla. Le prospettive iniziali non sono sfavorevoli, avrebbero potuto essere buone. Giacché Hedwig Raabe durante la sua tournée a Lipsia abita presso suo zio a Gohlis. Nietzsche ricorda con terrore di aver trascurato i rapporti con questi suoi parenti. Non vede quindi alcuna possibilità di andarla a trovare nella nuova situazione.

Gli viene quindi l'idea di scrivere a Hedwig Raabe. La lettera deve servire da accompagnamento ai lieder, o seguire al loro invio. Ad onta di qualche cortese formalità, è una genuina effusione personale. Vero è che nella frase che serve da introduzione contiene un'amabile menzogna: «Nulla è più lungi dalle mie intenzioni che voler attirare la Sua attenzione sulla mia persona», ma è vero: Nietzsche non le manda, come sottolinea espressamente, delle «poesie», bensì dei «lieder», ossia ciò che gli stava a cuore più di ogni altra cosa. Sono una parte di sé stesso. Si potrebbe liquidare la lettera come una manifestazione convenzionale di omaggio all'artista, se non fosse per quella triste nota della «giovinezza perduta» che è così caratteristica del giovane Nietzsche e che già conosciamo dai Ricordi della mia vita da lui scritti a quattordici anni. Egli assicura Hedwig Raabe: «Con la stessa dolcezza e melanconia con cui la mia infanzia si presenta alla mia anima come qualcosa di perduto, eppure di esistito una volta, io penso anche ai Suoi personaggi, così originali e pur sempre reali e di una bontà genuina». Parla qui un misantropo nei migliori anni della sua vita, che dichiara di aver perduto per le avversità subite ogni speranza in qualcosa di più grande, ma di avere ora, nell'incontro con le figure rappresentate dall'artista, riacquistato la «fede». Si tratta a dir poco di un'esagerazione, ma in forma di lettera di omaggio, dove predomina una modestia di maniera, e ineccepibile come lamento sul passato per sempre irrecuperabile ed espressione di riconoscenza per l'artista.

Ma quel che era stato concepito in forma di lettera rimase un abbozzo. Non sappiamo se venisse finito e spedito una volta completato. Dato il carattere di Nietzsche, è assai verosimile che il tentativo di accostare Hedwig Raabe rimanesse allo stato di intenzione. Nella sua vita ci saranno altri tentativi di avvicinarsi a una donna. Ma l'esito è sempre lo stesso. Sono tentativi che si muovono nel campo del Nulla, la grandezza fissa del suo pensiero posteriore, partono da lui e finiscono in lui. Così era accaduto quella notte a Colonia, quando aveva manifestato la sua agitazione con una serie di accordi al pianoforte. Non diverso è il caso di Hedwig Raabe. La lettera per lei concepita rimane in ogni caso senza esito. Non ha quindi molta importanza se lui l'abbia spedita e lei l'abbia ricevuta. Comunque, il suo ciclo di recite sarà presto finito. In seguito non si sentirà più parlare di lei.

Ma il lamento sull'«infanzia» come qualcosa di «perduto» non aveva forse un motivo reale, rintracciabile nella storia personale di Nietzsche? È un interrogativo da non sottovalutare. Esso tocca qualcosa di fatale, ossia la malattia che doveva manifestarsi in seguito, le cui origini si vollero individuare nel suo soggiorno lipsiense, se non già nell'anno di studio universitario a Bonn. Si allude alla presunta infezione sifilitica con tutte le micidiali conseguenze per il futuro che se ne potevano dedurre. Il valore speculativo di questa malattia era grande. Forniva una base, nei giudizi posteriori, alla «patologia» di Nietzsche, le attribuiva momenti di deviazione da qualsiasi norma e si prestava a rendere spiegabile lo «scandalo» Nietzsche. Era facile far riferimento a questa malattia. Dal momento in cui 1'«ateismo» e il «nichilismo» vennero pienamente sviluppati dal pensiero nietzschiano e furono visti in connessione con la sua storia e la sua fine, si aveva anche pronta una spiegazione che sembrava appropriata. Era dunque questa l'origine del male. L'«ateismo» e il «nichilismo» erano le conseguenze della «follia» in un cervello che era stato attaccato dai veleni di un morbo lento ma dall'azione sicura. Qui c'era un nemico del cristianesimo che, dopo un passo falso e una malattia trascurata, aveva incontrato una fine meritata o per lo meno comprensibile. L'una cosa andava vista in rapporto con l'altra: tutto molto semplice. La cosa doveva risalire alla vita segreta, non ufficiale, proibita dai canoni borghesi, che Nietzsche aveva condotto durante gli anni di Lipsia. In effetti nell'autunno del 1866 aveva infuriato a Lipsia un grave morbo: il colera, che aveva mietuto numerose vittime. Nemmeno Naumburg venne risparmiata: per sfuggire al pericolo, Nietzsche con la madre si era rifugiato a Kòsen, mentre la sorella si tratteneva presso parenti in Sassonia. Il loro alloggio consisteva in una camera non riscaldata, in quella stagione che andava già facendosi fredda. Nietzsche doveva indossare un soprabito e tenere una coperta sui piedi mentre scriveva a Gersdorff. Il disagio era tanto che si pensò di tornare a casa e sfidare il colera, che andava diminuendo.

L'isolamento nella squallida stanza senza una stufa dà a Nietzsche l'opportunità di trarre un bilancio interiore. È il momento dei ricordi eternamente ricorrenti, dai quali non riesce a liberarsi. Pforta, Bonn, Lipsia, tutti messi a confronto l'uno con l'altro. Pforta e i suoi insegnanti come al solito ne escono bene. I rapporti con alcuni di loro, come Corssen, non sono ancora cessati. Da Lipsia viene annunciata a Nietzsche la morte del filosofo Weisse, vittima del colera, mentre Bonn è ai suoi occhi l'immagine deprimente di una fase nefasta da lui superata. Invece com'è piacevole, a Lipsia, essere oggetto della predilezione di Ritschl, senza esser conscio di meriti particolari.

Purtroppo nel modesto alloggio manca un pianoforte, quindi Nietzsche non può suonare Schumann, come vorrebbe. Ma è stato tanto previdente da portare con sé una novità musicale, la riduzione per pianoforte della Valchiria di Wagner. La conoscenza di questo compositore rientra in un «Leitmotiv» che in quel tempo gli era ancora ignoto e che in passato era risuonato una sola volta, quando aveva acquistato la riduzione per pianoforte del Tristano e Isotta, fatta da Hans von Bùlow. Nietzsche non sa dei suoi futuri rapporti con Wagner a Lipsia. Sulle prime trova difficile da comprendere la musica della nuova opera. I suoi sentimenti sono contrastanti, non si arrischia ad esprimere un giudizio:

«A grandi bellezze [...] fanno da contrappeso altrettanto grandi bruttezze». Per il resto, le sue informazioni su Wagner devono dipendere dai giornali e dalle voci, secondo le quali il compositore sta preparando un'«opera sugli Hohen-staufen». Naturalmente ci si dilunga sui suoi rapporti col re di Baviera, Ludwig II. Nietzsche vede assai favorevolmente questo accordo. Una cosa del genere è un bene per Wagner, «naturalmente però in cambio di una decente rendita vitalizia» (lettera a Gersdorff dell'I 1 ottobre 1866).

Lipsia, dove frattanto Nietzsche ha fatto ritorno, rappresenta il terreno più favorevole per tutte queste cose: il godimento delle arti, del teatro e dei concerti, l'università e infine la possibilità di esser testimoni di grandi ed esaltanti eventi politici come la guerra austro-prussiana. Di ciò Nietzsche diventa sempre più consapevole. «Sempre più mi avvezzo alla buona Lipsia e temo che non me ne verrò via tanto presto», scrive nel novembre 1866 a Mushacke. Si interessa vivamente anche alle elezioni, e come Prussiano è un risoluto oppositore del partito dei particolaristi sassoni. Qui le cose sembrano essersi messe in movimento, ma l'atmosfera di entusiasmo iniziale non dura a lungo, gli ulteriori successi della politica di Bismarck spingono sempre di più la Sassonia in un angolo morto della politica europea. Comunque: Nietzsche aveva modestamente partecipato anche lui per breve tempo alle discussioni dei politicanti da caffè, e in una lettera a Mushacke riconosce agli abitanti del paese che lo ospita: «Per quanto i buoni Sassoni siano di vedute ristrette in fatto di politica [...] la Sassonia produce tuttavia bibliotecari gentili e servizievoli».

Questo giudizio è possibile solo perché deve ancora venire la conoscenza con Richard Wagner, nativo di Lipsia.

Il benessere di Nietzsche a Lipsia è dovuto non da ultimo alla sua amicizia con Erwin Rohde. Rohde fa parte dello stesso gruppo di allievi che hanno seguito Ritschl da Bonn a Lipsia. È nato ad Amburgo, ha un anno meno di Nietzsche al quale lo lega, oltre all'interesse per la stessa disciplina, anche la passione per la musica. Anche lui si converte a Schopenhauer al quale resta fedele per tutta la vita, al pari di Deus-sen ma contrariamente a Nietzsche. Rohde è quel che si dice un carattere difficile, pari in tutto a Nietzsche nella frequentazione quotidiana, assai superiore a lui per talento linguistico e oltre a ciò, nelle cerchie di amici, maestro nell'imitazione comica delle persone. Nei suoi riguardi Nietzsche non può adottare il «tono di superiorità» che ama assumere nei rapporti con gli altri, soprattutto con Deussen.

E possibile che ciò favorisse la nascita della loro amicizia. Con Rohde bisogna fare i conti, la sua opinione va sempre tenuta in considerazione, lui deve essere consultato.

Dato il loro avanzamento negli studi, erano tutti e due esentati dal frequentare i corsi. In un isolamento spontaneamente scelto, essi trascorrono gran parte della giornata insieme, non tanto studiando quanto conversando, discutendo questioni controverse, che li vedono per lo più in disaccordo. In queste occasioni Rohde dà sulla voce all'amico. Nel suo sguardo retrospettivo agli anni di Lipsia, Nietzsche riferisce sul suo rapporto con Rohde: «Nella mia vita soltanto allora mi è capitato di veder nascere un'amicizia su base etico-filosofica».

Il ricordo di Rohde in questo periodo è senza alcuna nube. I due frequentano i caffè, passano intere nottate alla Società di tiro a segno, fanno gite sulla Pleisse, si sdraiano sulle sue rive e, in perfetta armonia col proprio temperamento, si sentono «artisti». Al centro delle discussioni sta la «questione omerica». Se a livello intellettuale non si nota allora alcuna differenza, Rohde soffre però già di una relativa difficoltà di scrittura, che non lo abbandonerà nemmeno come futuro filologo. Ovviamente, solo in confronto a Nietzsche.

Il comune soggiorno a Lipsia termina con un viaggio, che attraversa la Selva Boema e finisce - cosa indicativa della loro comunanza di interessi - a Meiningen, dove assistono al locale festival musicale: piccola residenza principesca e «musica dell'avvenire». Qui il padrone e signore è Liszt. Ma signore come precursore di uno più grande, che deve ancora venire!

I concerti di Meiningen ispirano ai due visitatori musi-cofili sentimenti molto contrastanti. Nietzsche parla di «stravaganti orge musicali», sotto la direzione di Liszt divenuto «abate». Naturalmente i due turisti di Lipsia vogliono anche verificare il rapporto dei «musicisti dell'avvenire» con la filosofia schopenhaueriana, alla quale si ispiravano. Un poema sinfonico di Hans von Bùlow, dall'eloquente titolo di Nirvana, rispetto al quale le composizioni sacre di Liszt appaiono molto piacevoli, sembra a Nietzsche «orribile».

A Meiningen i due viaggiatori si separano. Rohde continuerà gli studi all'università di Kiel.

IX
LA SVOLTA SEGRETA (pp. 99-103)

Senza che ne trasparisse nulla all'esterno, senza soprattutto che se ne accorgesse il suo maestro Ritschl, in Nietzsche studente all'università di Lipsia andavano nascendo le prime riserve. L'ottimismo scientifico del «filologo» mostra delle incrinature. Sorgono dubbi sulla sicurezza con cui gli specialisti vedono le cose del «mondo antico».

Sarebbe difficile affermare alcunché di sicuro in proposito, se non esistessero ora in Nietzsche sintomi rivelatori di una svolta che si va preparando. Ma soprattutto la veemenza con cui il suo primo scritto di Basilea, La nascita della tragedia, introduce il mutamento, e la mancanza di riguardi per le convenzioni tradizionali che accompagna questo mutamento, attestano un lungo periodo di incubazione delle nuove idee. Questo non fu un ripensamento dalla sera alla mattina. Qui c'è uno che ha inserito i vortici atomici di Democrito, questo automa universale, in una visione per la quale la questione di una causa prima del mondo era priva di senso. Qui è già all'opera uno che conosce il «nulla» da cui non può derivare altro che il «nulla». Il pensiero è un movimento da «nulla» a «nulla» e verrà in seguito espressamente affermato come «nichilismo», è anche una professione di fede nel «nulla»: «Tutto ho puntato sul Nulla». Nel compendio dei «presocratici» non è contraddittorio che il «nulla» coincida con l'«essere»; non è quindi nemmeno contraddittorio che Nietzsche come filosofo del «nulla» crei poi una filosofia dell'«essere» e una filosofia del «divenire». Giacché per Eraclito in principio era il «divenire». Tutto

scorre, è in perpetuo movimento. Se il «divenire» vale come principio universale, è impensabile la creazione del mondo ad opera di un creatore. Tutto esisteva fin dall'eternità, non esiste altro principio che il «divenire» stesso. E alla «guerra», che Eraclito aveva chiamato la «madre di tutte le cose», corrispondeva il vortice di Democrito come mutamento di posizione degli atomi, di cui non si poteva individuare causa alcuna, solo la necessità.

La frequentazione dei presocratici rafforza la certezza di Nietzsche che grazie alla loro autorità si possa gettare lo sguardo sul «mondo pre-greco», qualunque cosa si intenda con ciò. È uno sguardo rivolto agli elementi, ma anche al regno delle divinità naturali, che non possono venir controllate da alcuna democrazia della polis ateniese, né scongiurate dai suoi filosofi con tutta la sicumera dei loro giudizi. È soprattutto la scoperta del dominio di Dioniso, il dio dell'ebbrezza e della passione, dalla potenza irresistibile. Là dove egli arriva e invita alla danza, nessuno respingerà l'invito.

Qui affiora l'idea del «Mediterraneo». Il Mediterraneo con le divinità abitanti le sue acque, le sue isole e le sue sponde, è l'elemento mediatore dove si incontrano 1'«Eliade» dei filologi tedeschi e l'Asia con le sue culture più antiche. Le sue onde sono più antiche della Grecia della tragedia, della filosofia, delle arti figurative; alla loro nascita hanno contribuito decisivamente queste divinità domate in seguito e oppresse dalla costituzione statale e dalla legislazione. Senza l'idea del Mediterraneo, che in Nietzsche arriva ad assumere sfumature ecologiche, non si può comprendere la sua dottrina dei valori.

Per il complesso della dottrina naturale dei presocratici, l'obiezione di Aristotele secondo cui Democrito avrebbe trascurato di nominare l'autore originario del vortice atomico, era priva di senso. Chi sarebbe venuto prima di questo autore?

In seguito Nietzsche sottolineerà: la dottrina aristotelica di una causa fondante del mondo e il mito giudaico-cristia-no del Dio creatore, che ha creato il mondo dal nulla, sono pure ipotesi, la cui superiorità non è garantita da nulla.

In questo modo naturalmente si minacciano le basi fondamentali dell'intero sistema scolastico e universitario che Nietzsche aveva fino allora conosciuto a Pforta, Bonn e Lipsia. Chi afferma il contrario di questi fondamenti farà meglio a non farsi più vedere, perde ogni prospettiva di promozione e carriera. Schopenhauer ne era stato un pervicace esempio.

Non si può dire che Nietzsche avesse già previsto queste conseguenze per sé alla metà degli anni '60. Le sue idee erano ancora troppo immature. È il momento della prima presa di conoscenza del materiale con cui costruirà in seguito. Ma vi sono già i segni di un distacco critico nei confronti dell'offerta dottrinale del seminario di filologia classica di Lipsia. Esteriormente, tutto procede come prima: Nietzsche giustifica la benevolenza di Ritschl col brillante impiego delle proprie doti in qualità di suo più stretto collaboratore e con le solite referenze dello studente nei confronti del suo protettore. Ma avverte, anche se non ne parla, i difetti del sistema educativo e soprattutto le carenze del tipo di studioso e di funzionario che qui si andava formando. Come ai tempi di Bonn in occasione della rivalità tra Jahn e Ritschl, quando con un improvviso mutamento di campo si era schierato, con un occhio al suo avvenire, dalla parte di Ritschl, il futuro teorico della potenza ha il fiuto fine per i rapporti di forza esistenti, e dandosi da fare nell'ambiente dei circoli accademici e con piccoli omaggi alle autorità, sa schierarsi con coloro che hanno il coltello dalla parte del manico. Le sue manovre sono abili e discrete. Anche su questo è fondato il suo prestigio come membro del seminario e famulus del maestro.

Ma questa è solo mezza verità. Al periodo dell'acuta osservazione, della raccolta e compilazione, segue ora quello delle sottili mine collocate e rapidamente fatte saltare. Ogni cosa a suo tempo. Che Nietzsche conoscesse queste regole, era stato dimostrato nella sfera privata soprattutto dalla sua rottura a posteriori con i «Franconi» di Bonn. Ora entra in azione un metodo personalissimo del Nietzsche di Naumburg. Egli si è prefisso qualcosa, di cui naturalmente non vede ancora con sicurezza il traguardo, ma è già in procinto

di individuare la direzione. Anche l'avversario sembra già definito nei suoi approssimativi contorni: le convenzioni esistenti nelle scienze, nella filosofia, nel sistema educativo, nelle religioni storiche. Tutto ai suoi occhi ha bisogno di un rinnovamento, forse anche di più: tutto è maturo per essere rovesciato.

Ciò può non far stupire in un giovane di poco più di ventidue anni, anche in un'epoca in cui il fuoco della rivoluzione del '48 si era spento nelle vene della nuova gioventù. Ma fa stupire che questo studioso che può aspirare alle più lusinghiere prospettive borghesi nella sua professione tenga una precisa contabilità al fine di contrastare queste stesse prospettive. È un fatto che durante il suo periodo universitario a Lipsia Nietzsche viene preso, quanto più esso si avvicina alla fine, da una crescente insoddisfazione per la sua disciplina e i metodi con cui viene esercitata. Ne seguirà ben presto un continuo malumore e perfino l'avversione. Non era da biasimare se non la lasciava trasparire. Da questa disciplina doveva dipendere il suo destino, doveva essere questo il senso della sua vita? Il bilancio che egli trae nella sua lettera a Rohde del 20 novembre 1868, dove menziona e condanna «tutto questo affaccendarsi da talpe, con le cavità mascellari rigonfie e lo sguardo cieco» dei lavoranti filologi che ha intorno era già preparato in lui da lungo tempo. Lo hanno preceduto due anni di esperienza quotidiana, ed esso preannuncia l'intenzione di una rottura con la sua disciplina. La «filologia» non è una professione bensì un «destino» al quale vorrebbe sfuggire cambiando facoltà, come propone a Rohde, e dedicandosi alla chimica. Ma ormai è troppo tardi.

Tutto lo scontento accumulato e represso a Lipsia per i metodi didattici dell'università trova sfogo in uno scritto dal titolo Sulla filologia, anch'esso del novembre 1868. Il consuntivo, dovunque si guardi, è desolante: «I filologi sono per la maggior parte operai al servizio della scienza», «i più lavorano con fervida perseveranza su una viterella», senza avere una visione dell'insieme. Egli lamenta soprattutto l'eccessivo peso della storia, nel senso del dominio di cose morte sulla vita. Il rimprovero di trascurare la filosofia è chiaramente indirizzato a Ritschl. La disciplina così come viene ora coltivata è perfettamente idonea a produrre il «filisteo della cultura», quel tipo che Nietzsche dovrà in seguito combattere e che vedrà personificato nella figura di David Friedrich Strauss.

XII
LA NOMINA E LE SUE CONSEGUENZE (pp. 117-132)

Nietzsche non doveva arrovellarsi più a lungo per la questione che tanto lo tormentava: se doveva sostenere l'esame di Stato o no. Noi sappiamo che si era deciso per la carriera universitaria, tenuto conto di tutti gli elementi imponderabili che comportava una tale decisione. Sappiamo anche i motivi che lo avevano spinto. Ne aveva parlato esaurientemente nelle sue lettere a Rohde. Era il desiderio della massima indipendenza consentita dalle circostanze, insieme con il bisogno di tempo libero per le sue riflessioni e i suoi impegni, cui il lavoro come «maestro di scuola» gli sembrava meno adatto.

Ma per diventare professore universitario non era necessario l'esame di Stato: bastavano la laurea e l'abilitazione. A lungo egli si chiede in che modo riuscirà a soddisfare quanto gli si richiede. Certo, si era procurato una nuova difficoltà con lo spostamento quasi clandestino, non osservato o forse sottovalutato da Ritschl, dei suoi interessi dal campo della filologia a quello della filosofia. Con una tesi filosofica uscirebbe dai limiti del seminario classico di Ritschl, dove dominava la scuola storico-critica, e dovrebbe prevedere di venire invitato a spaziare da allora in poi nel terreno filosofico in senso lato e meno tra i più stretti confini delle lingue antiche e dell'antichità greca e romana. Secondo le rigide idee di Ritschl in proposito, la cosa avrebbe dovuto portare alla sua uscita dalla congrega dei filologi classici.

A questa situazione difficile, i cui prodromi Nietzsche si trovava allora ad affrontare, egli venne di colpo sottratto dalla nomina a professore di filologia classica dell'università di Basilea. Era una cosa così inaspettata che sulle prime non vi potè credere, e i suoi dubitarono seriamente della verità della notizia. Era troppo inverosimile, e naturalmente venne presa dai colleghi come un esempio di inammissibile favoritismo.

Cos'era accaduto? Uno studente ventiquattrenne non ancora laureato, che non aveva mai sostenuto un pubblico esame, era stato nominato professore universitario. L'appoggio di Ritschl era andato assai oltre quel che Nietzsche pensava e riteneva possibile. A una richiesta del consigliere per l'educazione di Basilea, che gli chiedeva di sottoporgli un candidato per una cattedra vacante, Ritschl aveva raccomandato Nietzsche, senza tacere che gli mancavano ancora le qualifiche necessarie per il rituale di nomina. Tuttavia, la proposta di Ritschl non era senza fondamento. Poteva riferirsi alle pubblicazioni isolate di Nietzsche, che erano state giudicate positivamente dagli specialisti. Infine fu decisivo il prestigio di Ritschl, che fece prevalere il suo parere. Con un procedimento d'urgenza, Nietzsche viene laureato a posteriori dalla facoltà di Lipsia. Si laurea un professore già nominato, ma si rinuncia alla discussione, perché non sta bene esaminare pubblicamente un collega.

Con Nietzsche diventa professore universitario - quale contraddizione! - uno schopenhaueriano. Nietzsche, che accetta fieramente la nomina a professore straordinario con lo stipendio di 3000 franchi, avverte subito la difficoltà della situazione. C'è qui una netta contraddizione con la dottrina del suo maestro di filosofia e anche con le proprie idee. È in procinto di far carriera. In proposito si era pronunciato inequivocabilmente con la sorella, esprimendo un'opinione che essa, evidentemente per influsso di lui, condivideva. «Fritz ed io consideravamo il far carriera come una cosa abbastanza indecente, dato che era legato a una certa mancanza di spina dorsale». Ma per lui c'era una giustificazione, che egli stesso non può respingere: la cattedra gli era stata offerta, non aveva minimamente brigato per averla.

Con l'accettazione della nomina si ha un'ulteriore spaccatura nella sua esistenza borghese, la cui portata è difficile allora da valutare, ma che prefigura il suo futuro. Nietzsche rinuncia alla sua cittadinanza prussiana; o meglio richiede, nel linguaggio dell'epoca, il «rilascio» dalla comunità dei sudditi prussiani, e lo ottiene. Lui, il Prussiano che aveva pronunciato parole d'ordine patriottiche durante la guerra del 1866, che a Lipsia non si considerava assolutamente un Sassone e sottolineava con vigore la sua appartenenza a quella monarchia che aveva nominato suo padre pastore di Röcken, non è più suddito prussiano. La motivazione è plausibile e accettabile. Nietzsche vuole esercitare il suo nuovo ufficio non soltanto in tempi di pace, ma essere a disposizione dell'autorità che lo ha nominato anche in caso di guerra. Come cittadino prussiano dovrebbe in caso di necessità prestare servizio nell'esercito dal quale era stato congedato per motivi di malattia. Questa alta valutazione del nuovo ufficio non era fuori dell'usuale e da parte prussiana venne condivisa senza difficoltà, come un apprezzabile esempio di coscienza professionale. La sua onorabilità borghese non ne venne compromessa. Il richiedente non voleva che la guerra o la pace decidessero della sua possibilità o meno di assolvere il suo ufficio.

Ne seguì un distacco irrevocabile, che in seguito - la cosa non si poteva allora prevedere - doveva fare di lui un senza patria. Dal cristianesimo aveva già cominciato ad allontanarsi, i «Franconi» di Bonn lo avevano cacciato da Bonn nel vero senso della parola e tagliato ogni legame con la corporazione studentesca, al quale egli segretamente teneva molto. Ai suoi occhi di «filosofo» il sistema universitario era già assai vacillante, sicché non ci si poteva arrischiare ad affidare ad esso il proprio futuro. Non era nemmeno ufficiale della riserva, ossia aveva perso la prospettiva di diventarlo. Che cosa rimaneva che potesse distinguere o addirittura promuovere quel giovane da sempre ambizioso? Non molto! Per il momento gli restava Basilea con le speranze che la cattedra gli apriva, oltre a Richard Wagner a Lucerna.

Sul momento prevale la gioia e l'evidente fierezza per la nomina, che aveva trasformato da un giorno all'altro uno studente in professore universitario. Fa subito stampare dei biglietti da visita che lo dichiarano «Professore straordinario di filologia classica a Basilea» e ordina dei vestiti su misura che per la stoffa, il colore e il taglio fanno pensare a un uomo anziano. Perfino la sorella nota questo «abbigliamento forse troppo serio», ma lo trova «eccellente» e «anche adatto al gusto di Basilea». Per l'incarico che sta per assumere ci vuole anche secondo lui un «domestico». Dà alla madre e alla sorella l'incarico di trovargli una persona adatta, che deve però soddisfare certe condizioni: «Non deve essere troppo giovane e deve essere incline alla pulizia e all'onestà. Sarebbe bene che avesse fatto il soldato. Detesto il dialetto di Naumburg. Un'eccessiva stupidità non sarebbe di mio gradimento. Costui può esercitare contemporaneamente anche un mestiere, purché pulito e non maleodorante». L'usanza che un professore universitario avesse il suo domestico, che lo assisteva per le esigenze private e quelle dell'ufficio, era ancora in pieno vigore, anche se l'epoca della sua fioritura, quando ad esempio a Bonn August Wilhelm Schlegel si faceva seguire da un servitore in livrea con la cartella dei suoi corsi, era ormai tramontata. Qui dei tratti dell' ancien regime erano rimasti infiltrati nelle strutture del personale prevalentemente borghesi dell'università tedesca. È interessante vedere con quanta decisione Nietzsche vi si riferisse. Ma c'era qualcosa di più: qui parlava il provinciale tedesco che veniva da una città come Naumburg, protetta dalla chiusura delle mura cittadine, che aveva conosciuto a Lipsia il più ampio respiro di un'importante metropoli commerciale e qui aveva riconosciuto nell'angustia soffocante della scuola filologica di Pforta un innaturale oltraggio alla vita; ma che ora vedeva finalmente giunto il momento di prendere parte a questa vita.

Questo, come doveva ben presto apparire, era naturalmente un errore. In Basilea egli doveva trovare una città che non offriva nulla di quella mondanità metropolitana che dominava a Lipsia e al cui godimento si era tutto dedicato durante il suo soggiorno laggiù. Basilea era una comunità che coi suoi 30.000 abitanti, il suo duomo e le sue viuzze, faceva pensare piuttosto a una Naumburg allargata. In ogni caso era questa l'impressione che poteva dare all'esterno.

Basilea, malgrado la sua importanza storica come centro commerciale, con la sua ricchezza diffusa tra la popolazione, che fin dal Medioevo aveva sempre coltivato anche le arti e le scienze, non poteva misurarsi con Lipsia. Aveva cessato da tempo di svolgere un ruolo importante, al pari della stessa Svizzera, che era stata un tempo una grande potenza militare europea, ma che la storia aveva mandato in pensione, trasformandola in uno Stato su base cantonale. Come cantone, la città di Basilea, che dopo la separazione dai distretti basileesi circostanti aveva dovuto rassegnarsi anche alla divisione dei beni comuni, non era nient'altro che un territorio statale come qualunque altro della Svizzera. Molti erano i ricordi del passato, anche del tempo in cui Basilea era un centro dell'umanesimo, con Erasmo alla testa. Erasmo si era trattenuto per anni a Basilea non da ultimo per poter sorvegliare sul posto la stampa delle sue opere.

Si poteva vivere di questi ricordi, ma il presente verso la metà del secolo scorso non era alla loro altezza. La piccola università aveva bensì un suo carattere locale e traeva in gran parte il suo sostentamento da sovvenzioni e donazioni che affluivano al suo fondo da lasciti e da patrimoni familiari. In questo modo venne naturalmente ad emergere un elemento oligarchico, che prese a influire sull'amministrazione e sul personale insegnante. Nella gestione e nella prassi didattica dell'università erano impegnate di preferenza famiglie di Basilea. Se servivano altre forze, le si reclutava all'estero, soprattutto in Germania, che con la sua cultura universitaria, insuperata nel XIX secolo, offriva un inesauribile serbatoio di studiosi della prossima generazione. Essi cominciavano a Basilea una carriera che di solito li riportava poi in una università tedesca coi suoi maggiori guadagni, il più evoluto godimento dei diritti acquisiti, il maggior risalto delle posizioni eccezionali, la pensione garantita.

Nel rapporto di lavoro del funzionario tedesco, che quando era professore universitario poteva godere di introiti pari all'inarca a quelli di un ministro, erano venute a inserirsi norme feudali che nella borghese Svizzera mancavano. Ora nel novero di questi professori di prima nomina, di cui si presumeva la disponibilità a tornare in patria, entrò lo studente Friedrich Nietzsche appena dimesso dall'università di Lipsia.

Il 13 aprile 1869, di mattina presto, Nietzsche si mette in viaggio da Naumburg per Basilea. La sera verso le undici il treno arriva a Colonia, dove Nietzsche fa la prima tappa per proseguire la mattina seguente per Bonn. A Bonn, cui lo legano ricordi lieti non meno che tristi, percorre le strade ben note e incontra qua e là facce conosciute. Il viaggio continua per battello fino a Biebrich, la cittadina che aveva avuto qualche importanza nella vita di Richard Wagner, di cui Nietzsche aveva appena fatto la conoscenza. Qui Wagner, in una villa che dava direttamente sul Reno, aveva cominciato a comporre i Maestri cantori e cominciato lo studio delle parti del Tristano e Isotta con Schnorr von Carolsfeld e sua moglie. Wiesbaden, dove si reca col treno, non esercita su di lui la minima attrazione. Perciò prosegue a mezzogiorno della stessa giornata subito per Heidelberg. La sera vede le rovine del castello coi fiorenti dintorni nella luce più bella, proprio secondo i clichés che il romanticismo di vecchia data proponeva ai turisti a mo' di istruzioni per l'uso. In una modesta locanda comincia a stendere la sua prolusione inaugurale. Il tema è la questione omerica, che già a Lipsia era stata un importante oggetto delle sue riflessioni, di discussioni e anche di una conferenza. Il problema è così affascinante proprio perché non si riesce a risolverlo. Esso suona, con i suoi interrogativi accessori: Chi era Omero? È mai esistito? È lui il poeta cui si possono attribuire l’Iliade e l’Odissea. Nella trattazione del tema, in cui Nietzsche afferma la contemporaneità di Omero e di Esiodo, deve venir riassunto anche qualche elemento del metodo che intende adottare nel suo programma didattico a Basilea, e cioè: un lento distacco dalla critica filologica dei testi e un orientamento verso la riflessione filosofica: proprio ciò che doveva allontanarlo da Ritschl, che non aveva potuto ancora rendersene pienamente conto.

Il viaggio da Heidelberg a Basilea subisce un'improvvisa interruzione. In una piccola stazione, un quarto d'ora prima dell'arrivo a Karlsruhe, salgono nello scompartimento dei giovani che vogliono assistere ai Maestri cantori. Nietzsche non sa resistere alla tentazione di vedere la sera stessa 1'«opera preferita». Col piccolo gruppo scende anche lui dal treno, si fa prolungare di un giorno la validità del biglietto e la sera è seduto nel teatro di corte. Il giorno dopo prosegue il viaggio per Basilea, dove prende alloggio nella locanda «Alla Corona».

Dopo l'addio dato in maniera evidente alla Germania con i Maestri cantori visti a Karlsruhe, il contatto con la Svizzera significa, pur con tutti gli elementi comuni nella lingua e nella cultura, l'ingresso in un mondo sconosciuto. Nietzsche era prussiano, aveva trascorso qualche anno della sua vita in Sassonia, veniva quindi da due paesi che anche negli anni '60 non rinnegavano la loro origine dalle strutture politiche del XVIII secolo. Entrambi gli Stati avevano contato qualcosa nel concerto del sistema statale europeo, avevano avuto un ruolo classico. Avevano svolto in certo senso, grazie al puro assolutismo che vi regnava, la funzione di portavoce. Ciò non escludeva la tendenza della Sassonia a cambiare di quando in quando partito per gli intrighi delle cancellerie. Le conseguenze della Rivoluzione francese del 1789 e dell'interludio napoleonico avevano cancellato gli elementi fondamentali della società, ma non al punto da non farli riaffiorare dopo il 1815, quando Metternich, il vero vincitore di Napoleone nell'Europa centrale, dettò la politica dei sovrani tedeschi e dei loro gabinetti. Nel disagio di tutti coloro che in Germania auspicavano un rinnovamento politico, e nelle azioni di polizia con le quali i governi tedeschi perseguitavano e costringevano a espatriare le persone non gradite, veniva alla luce la differenza dalla peculiarità della Svizzera, che si offriva come asilo ai fuggiaschi. L'emigrazione tedesca giunse in Svizzera in più ondate; le motivazioni dei singoli dissidenti e gruppi di dissidenti erano diverse. All'inizio degli anni '40, dunque tra la rivoluzione del '30 e quella del '48, il paese aveva attratto soprattutto gli insegnanti di liceo e di scuola tecnica, che poterono trovar lavoro e pane grazie al favore che la Svizzera mostrava per gli esperimenti educativi nel nome di Pestalozzi e dei suoi allievi, e sfuggire così alle controversie con le più severe autorità educative tedesche, soprattutto prussiane. Spesso era la pacifica esistenza della popolazione che li faceva rimanere volentieri in Svizzera. Al loro desiderio venivano incontro le esigenze del paese, la cui scuola superiore era rimasta arretrata e aveva bisogno di insegnanti altamente qualificati. Ma soprattutto, fino agli anni '60 inoltrati, la Svizzera li integrò a tal punto che la distinzione tra emigrati e borghesi benestanti ben presto scomparve.

Gli esuli trovarono, se non proprio l'affetto, almeno la simpatia, il grande pubblico riconosceva in loro gente delle sue stesse opinioni perseguitata. Questo atteggiamento fondamentale continuò anche quando vennero a cessare i momenti di persecuzione più acuta. Un mutamento intervenne soltanto a partire dal 1870-71 in occasione della guerra franco-prussiana, quando, per la prevedibile vittoria della Prussia, l'antico sistema di potenze, facilmente visibile proprio dal punto di osservazione di Basilea e favorevole alla Svizzera, minacciava di squilibrarsi, e la bilancia di pendere chiaramente dalla parte della Germania.

Nietzsche è fortunato! Quando arriva a Basilea, il 20 aprile 1869, può essere certo di un caloroso benvenuto, come chi è venuto dalla Germania per mettere la sua dottrina e la sua attività al servizio dello Stato basileese negli anni che seguiranno. Ma queste circostanze favorevoli non sono destinate a durare. Già un anno più tardi, quando l'esercito prussiano nella guerra contro la Francia si avvicina a grandi passi alla capitale francese e la politica di Bismarck, ormai avvezza ai successi, si avvia al suo punto culminante, che verrà toccato con la fondazione del Reich e la proclamazione dell'imperatore a Versailles, l'atteggiamento degli Svizzeri verso la vicina Germania muta di colpo. Finisce per sempre l'epoca in cui la Svizzera era un Eldorado per gli educatori e in seguito per gli attivisti tedeschi, ma anche per gli artigiani e i commercianti che si erano stabiliti qui per motivi di guadagno. Nietzsche godette dell'ultimissima fase della tradizionale e ininterrotta simpatia della Svizzera tedesca per la sorella maggiore. In questo periodo si avvia anche la demolizione della Basilea medievale. Le mura che la circondano vengono abbattute e sostituite da giardini alberati. Si vuol dare spazio e aria alla città soffocata al pari di Naum-burg, spalancare le porte alla nuova epoca. Appena arrivato, Nietzsche può dare un ultimo sguardo alla vita della vecchia Basilea, la cui forma arcaica ora va lentamente scomparendo.

Per il resto, Nietzsche ha difficoltà a trovare un alloggio adatto. Cerca un garni, che gli sembra più adatto di tutti alle sue esigenze. Ma chi affitta camere a Basilea? Qui si vuole abitare indisturbati a casa propria. Da tempo ha rinunciato a trovarsi un cameriere, perché nel frattempo gli è sembrato che i fastidi siano maggiori della comodità. La sua prima abitazione, quanto mai semplice, si trova all'indirizzo Spalentorweg 2, proprio accanto alla torre; più tardi si trasferirà nello Schützengraben.

Subito dopo il suo arrivo, Nietzsche affronta con grande energia i compiti che deve svolgere. Il 28 maggio tiene nell'aula magna dell'università la sua prolusione inaugurale. Essa viene accolta con ammirazione e simpatia dal pubblico, e il risultato si può constatare a livello personale: si sente accettato da Basilea. Poi deve subito sottoporsi agli obblighi di rito. Deve presentarsi ai colleghi, e anche altre famiglie di notabili vogliono conoscere colui che in futuro dovrà svolgere una funzione pubblica importante.

Il programma didattico che ha scelto è ambizioso. Ogni mattina dalle 7 alle 8 tiene lezione sui lirici greci per i primi tre giorni della settimana, negli altri sulle Coefore di Eschilo. In principio ha sette uditori: più tardi se ne aggiungerà un altro. Nietzsche può riferire a casa con orgoglio: sono tutti quelli che studiano filologia a Basilea, con in più un teologo. Il loro impegno non lascia nulla a desiderare. Nessuno perde una lezione. Nell'ultima classe del Pädagogium spiega nelle lezioni di sua competenza Platone e Omero. Il consigliere per l'educazione, Vischer, lo ha presentato agli allievi come un grand'uomo.

Nel complesso, quello che si è prefisso è un programma didattico immenso. Nel suo primo semestre non dispone di manoscritti già pronti e deve quindi prepararsi per ogni le-ione. L'unica facilitazione consiste nel fatto che si muove in una materia che i suoi studi universitari gli hanno resa familiare. Però avverte ben presto la stanchezza, si sente spossato, sogna il riposo, non vede l'ora che vengano le ferie. Incomincia a rifiutare gli inviti che gli arrivano. Si avverte l'esigenza di riposo.

Pensa perciò a qualche alleviamento, progetta di far venire a Basilea Rohde, considera anche la possibilità che dei colleghi si trasferiscano o vadano in pensione. Ma soprattutto si fa sentire la sua precaria situazione finanziaria. Lo stipendio risulta insufficiente date le circostanze, non copre le spese, come egli aveva inizialmente sperato. E inoltre viene pagato due volte l'anno, e Basilea è cara. Non fa stupire che i suoi proventi non gli bastino e che debba chiedere perciò denaro alla madre, con sommo rincrescimento di lei. Lei è preoccupata, crede che il figlio tenda a scialacquare e lo rimprovera di conseguenza. D'altro canto lo spinge a una vita di rappresentanza e gli annuncia l'arrivo della granduchessa Alessandra di Altenburg, una delle tre principesse di cui era stato istitutore il padre di Nietzsche. Questi accetta di buon grado l'incarico, e va alla stazione a riceverla con un mazzo di fiori. La sera la intrattiene da uomo di mondo e comunica immediatamente ai suoi le sue piacevoli impressioni di quella giornata.

La differenza tra la sua terra di origine, la Prussia, e la vecchia Basilea è palpabile per il nuovo venuto. Nella popolazione trova una tendenza alla sedentarietà che non si riscontra nella classe dei funzionari che davano il tono in Prussia. In Prussia il servitore dello Stato è preparato a essere trasferito, almeno per un certo periodo della sua vita, addirittura da provincia a provincia, da un luogo all'altro; e deve adattarsi alle usanze di volta in volta praticate. Niente del genere a Basilea. Qui il singolo abitante inquadrato nel suo settore professionale è legato al suolo cittadino, alla casa e alla proprietà. Tutto ha un solido fondamento e profonde radici. La ricchezza qui ha una grande importanza, ma non meno importante è la sua antichità. I rapporti di proprietà esistenti sono spesso preparati da lungo tempo, non sono di ieri e meno che mai di oggi. Perciò le pretese, la mentalità, la vita delle poche famiglie che sono sempre in gioco quando si tratta di governare, sono in tutto e per tutto aristocratiche, ma non si fondano più sulle imprese belliche di una casta militare come in Prussia, bensì sull'amministrazione del patrimonio ereditario, sulla custodia, la conservazione e la previdenza che riduce il rischio al minimo.

Verso la metà del XIX secolo la Svizzera già preferisce guardare alla sua grande storia del passato piuttosto che avere la sensazione di parteciparvi ancora attivamente. I veri attori sono altri. La Prussia sta avanzando ed è pronta a togliere di mezzo tutti i concorrenti. Aveva la speranza dalla sua parte. Negli anni '60 la Prussia era pur sempre uno Stato giovane in piena ascesa. Ad essa erano legate le aspettative anche dei giovani. Lo Stato e la sua organizzazione avevano il futuro dalla loro.

In Svizzera, dal punto di osservazione di Basilea, le cose hanno un aspetto diverso. Questa è l'impressione che Nietzsche riceve molto presto. La fede prussiana nello Stato, che non gli era estranea, che anzi condivide in pieno, si scontra qui con lo scetticismo, personificato nella figura di Jacob Burckhardt. Basilea è una repubblica governata da un patriziato borghese il cui dominio, visto dalla Germania, dà l'impressione della democrazia, e indubbiamente possiede tratti democratici. Ma qui la perplessità circa il potere è più grande della fede nella sua stabilità. È vero, le città svizzere col loro potenziale militare avevano avuto in passato quel potere politico che la Prussia di Bismarck si accinge a conquistare in Europa. Ma esso si era dissolto, si era trasformato nel denaro e nella proprietà privata della classe borghese dominante delle repubbliche cittadine. Verso il potere militare questa classe, che dispone di altri mezzi, è per sua natura diffidente.

In Jacob Burckhardt, suo collega di facoltà, Nietzsche incontra questo spirito borghese di Basilea nella sua forma esemplare. Burckhardt è nato nel 1818, nello stesso anno di Karl Marx, è dunque della stessa generazione del padre di Nietzsche, ma un po' più giovane. Anche lui proviene da un ambiente di pastori. Il padre, decano della Chiesa riformata di Basilea, era stato al centro di controversie che avevano fatto rumore in città e che spinsero il figlio a iniziare la sua carriera universitaria a Zurigo. Gli occorse molto tempo per superare la sua personale avversione per la città natale.

La formazione culturale di Burckhardt era per molti riguardi affine a quella di Nietzsche. Aveva cominciato studiando teologia ed era poi passato agli studi storici. A Berlino era stato allievo di Ranke. Un periodo trascorso all'università di Bonn gli dava diversi punti di contatto con l'allievo di Ritschl appena arrivato. Ma furono soprattutto gli interessi artistici a fare da elemento unificatore. Nella sua qualità di storico del mondo antico e del Rinascimento, Burckhardt era uno studioso dell'arte di un tipo prima sconosciuto. Si trovava a suo agio nell'antichità greca e romana come nell'Italia del Quattrocento. Il dubbio circa ogni credenza tramandata caratterizzava la sua scrittura. I Greci non furono un popolo felice: questa era la sua opinione, che era rivolta contro l'ideale di armonia del classicismo e che spazzò via le illusioni dominanti. Anche nella questione della persecuzione dei cristiani da parte degli imperatori romani, egli corresse i luoghi comuni correnti. Ad esempio Diocleziano, che non pensava affatto a combattere i cristiani, venne costretto ad azioni persecutorie solo quando si accorse che dei funzionari cristiani della sua cancelleria volevano rovesciarlo. Simili tesi esprimevano il rifiuto di Burckhardt di prestar fede ai valori convenzionali. L'antichità classica e le tirannidi nell'Italia del tardo Medioevo gli avevano insegnato a vedere nei gesti miti di chi offriva pace l'umana infamia mascherata. L'idea, presa sul serio alla metà del secolo scorso, che ogni cosa non potesse che migliorare, ispirava a Burckhardt un malinconico sorriso. Le grandi opere d'arte del Rinascimento italiano, sul quale aveva pubblicato il suo libro rivoluzionario due anni prima dell'arrivo di Nietzsche a Basilea, erano state create in un terreno paludoso, di assassinii, tradimenti, veleni, torture. Uno sviluppo progressivo della storia umana era impensabile, un'evoluzione apparente finiva sempre sull'orlo di abissi che la fermavano.

Burckhardt aveva scrutato a fondo l'antichità studiando il tramonto della Grecia e di Roma. Neanche per la Germania erano lecite speranze per il futuro. Stavano emergendo le masse. Negli Stati del mondo antico erano già state provate tutte le forme costituzionali: aristocrazia, oligarchia, monarchia, tirannide, democrazia, secondo un ritmo di ascesa e declino. Nessuna aveva avuto stabilità: questa era l'unica sicurezza offerta dallo studio dell'evoluzione storica. In concreto, ciò valeva per le speranze che parte della borghesia riponeva nella democrazia prima e dopo il 1848. Qui Burckhardt, che pure giudicava vivendo a Basilea, in una polis democratico-repubblicana, era decisamente contrario. In Grecia come a Roma, le democrazie, in quanto fasi in cui entravano in gioco il «popolo», le «masse», erano sempre state periodi di degenerazione. Fin dal principio portano in sé il germe del declino.

Quando Nietzsche, poco dopo il suo arrivo a Basilea, conosce personalmente Burckhardt e vede in lui, scrittore più anziano e già famoso, il maestro di cui ha ancora bisogno, le sue pubblicazioni scientifiche sono già concluse. Negli ultimi trent'anni della sua vita, Burckhardt fu attivissimo come conferenziere e docente, ma non pubblicò praticamente più nulla. Ciò che scrisse in seguito, come la Storia della civiltà greca e le Considerazioni sulla storia universale, venne pubblicato postumo.

Nietzsche avrebbe voluto ascoltare le lezioni di Burckhardt. Ma a Basilea non era consentito ai professori assistere alle lezioni dei colleghi. Così Nietzsche aspetta alla porta dell'aula la fine della lezione per accompagnare Burckhardt a casa e informarsi sul suo contenuto.

Ciò che Burckhardt ha da dirgli colma una sua lacuna. E quello che ancora gli mancava dopo Democrito e Schopenhauer. Per Burckhardt la regola è il caos, la mancanza di regole. Egli aveva tratto da storico le conseguenze dalla dottrina democritea della catapulta atomica, senza riferirsi espressamente ad essa. E ciò anche per il futuro! Secondo lui il mondo si sarebbe staccato dagli ultimi puntelli dell'ordine e sarebbe precipitato in una «condizione di violenza assoluta» ad opera degli stessi «democratici», come ebbe a scrivere nel 1872.

Ciò che Nietzsche ancora non sapeva, anzi cadeva al di fuori del suo orizzonte di Lipsia, o addirittura contrastava con le sue opinioni, lo viene ora ad apprendere da Burckhardt, e ben presto porterà acqua al suo mulino. Il suo scetticismo schopenhaueriano riceve ora grazie a Burckhardt l'ultimo tocco. E non basta: in questo perfezionamento il suo schopenhauerismo muta di forma finché non verrà abbandonato, come risulterà evidente nella sua futura dottrina della «volontà di potenza». Ogni potere nella storia del mondo si fonda sulla forza, e ha alle sue origini l'impiego in qualche modo della violenza. Il potere è per sua essenza cattivo per quanto indispensabile, ma può produrre buoni effetti, come dimostra proprio l'arte, nel caso dei tiranni committenti degli artisti.

Ciò comporta già una trasvalutazione dei valori come quella effettuata in seguito da Nietzsche. La storia come storia del potere nell'accezione di Burckhardt non ha più nulla a che fare con la dottrina di Ranke, secondo cui ogni epoca è in immediato rapporto con Dio. In questa concezione del suo maestro di Berlino, Burckhardt scorgeva una illecita armonizzazione dei fatti della storia. La storia del mondo nel suo svolgimento visibile appariva a Burckhardt un abisso ribollente, al quale era assurdo attribuire un senso, un fine ultimo della sua evoluzione.

Vale a dire: le rivoluzioni nelle quali il secolo XVIII e XIX avevano creduto tradiscono il significato che vantano di avere. Come storico, Burckhardt aveva studiato il principio rivoluzionario nella sua applicazione dal mondo antico fino alla presa della Bastiglia, interrogandolo sul suo aspetto pratico. Ogni volta esso scende in campo con la pretesa di produrre un'innovazione in nome di un qualche sistema, che sia la democrazia o l'aristocrazia. Si parla sempre di una crisi che bisogna superare, e che alcuni uomini dal sangue freddo e decisi a tutto si dichiarano capaci di dominare. Ma nel corso di questo superamento viene a galla la genia dei predoni, gli specialisti nell'uccidere, rubare e mettere al sicuro il bottino, che sono ancora in scena quando gli idealisti rivoluzionari, nel corso di nuove crisi conseguite alla prima, sono da tempo scomparsi o inghiottiti dal movimento stesso. Frattanto, il loro seguito si è da tempo dimenticato dei traguardi proposti in origine, anzi non se ne è mai molto preoccupato, ed è proprio questo il motivo della sua stabilità, della sua capacità di sopravvivenza. Il movimento nella sua evoluzione si è staccato dalle sue finalità originarie e se ne distacca sempre di più. Naturalmente ciò che è in gioco è sempre il possesso. Se non tiene d'occhio i rapporti di proprietà esistenti, ogni movimento rivoluzionario viene a mancare delle motivazioni effettivamente convincenti. La proprietà come possesso di terra e di persone, come incarichi statali, reddito sicuro rivendicato sotto forma di prebende, pensioni, rendite «perpetue» e quindi ereditabili! I novatori non hanno motivo di essere scontenti della crisi, che ha i suoi lati buoni: ad essa debbono la loro ascesa.

Ma la crisi non può durare in eterno, né deve «esser fatta retrocedere, ma fermarsi nel punto esatto in cui la proprietà è stata messa al sicuro» (Considerazioni sulla storia universale), vada come vuole ai vecchi possessori che ne sono stati spogliati, e allo stesso diritto in nome del quale ne sono stati spogliati.

Esempi di questo procedimento dai tempi della Grecia e di Roma, che Burckhardt conosceva a fondo, non ne mancavano: il nuovo proprietario o titolare dei diritti prende il posto dell'antico, che egli, accusandolo di violazione del diritto, ha spogliato insieme alla famiglia della sua proprietà e dei suoi diritti, ha ucciso o imprigionato o condannato all'esilio e alla miseria. Una volta che si è messo al suo posto, continuando a condannare il suo predecessore per giustificare il suo agire, ben presto ne seguirà le orme, per volere e necessità, capriccio e costrizione. Il mutamento prodotto da questa alternanza, per quanto possa apparire importante all'esterno e fatale per le vittime, per lo più è così trascurabile dal punto di vista della storia del mondo da non essere neppure visibile, anzi, non avrebbe dovuto nemmeno avvenire.

Questo è ciò che Nietzsche apprende frequentando Burckhardt. Data la profonda conoscenza che Burckhardt aveva delle basi economiche del mondo antico e del Medioevo, vi troviamo la visione opposta a quella delle teorie rivoluzionarie che circolavano durante il XIX secolo. Qui Nietzsche è assai poco informato, perché evidentemente per origine ed

educazione gli era mancata ogni intenzione di documentarsi. Esiste una lista di libri da portarsi in vacanza da lui compilata nel 1865, dove oltre al nome di «Beethoven» si trova quello di «Marx». Non è detto con ciò che lo leggesse effettivamente, e tanto meno che meditasse a fondo un testo non meglio specificato. Ma l'unica reazione che possiamo immaginare da parte sua non avrebbe potuto essere altro che l'opposizione alle idee in esso contenute.

Dopo Democrito e Schopenhauer, l'ultimo suo maestro è Burckhardt, anche lui uomo di scienza e artista nella stessa persona, lo studioso disincantato della storia mondiale. Dopo questi corsi privati, la mancanza di illusioni di Nietzsche sarà difficile da superare.

Fu a Lange che Nietzsche dovette la sua prima, profonda introduzione allo studio dei filosofi naturalisti greci.