Maurice Godelier

Il marxismo e le scienze dell'uomo

Storia del marxismo, Einaudi, Torino 1982, pp. 329-356

Non mi propongo certamente di tracciare un inventario degli effetti positivi o negativi del marxismo nello sviluppo delle varie scienze dell'uomo: sociologia, antropologia, storia, geografia ecc. Il compito sarebbe immane e finirebbe per di più col confondersi con una storia delle scienze dell'uomo a partire dalla seconda metà del secolo XIX. Mi limiterò a qualcosa che mi è più accessibile: indicare che cosa è per me, per la mia diretta pratica di studioso, il marxismo come fonte d'ipotesi che hanno esse stesse i loro limiti e devono essere esaminate, in un momento o in un altro, nei loro fondamenti. Poiché mi è avvenuto di partecipare negli ultimi venticinque anni ai dibattiti e ai contrasti che hanno contrapposto in Francia diverse scuole di pensiero - il funzionalismo d'ispirazione anglosassone, lo strutturalismo di LéviStrauss, varie tendenze del marxismo e varie scuole di psicanalisi, fra cui quella di Lacan - il mio contributo potrà offrire una sorta di bilancio e di diagnosi sulla portata epistemologica del pensiero di Marx nel nostro tempo, limitatamente all'Europa occidentale.

Devo aggiungere che ho deliberatamente ridotto l'analisi del marxismo a quella del pensiero di Marx: senza ignorarli, ho tralasciato gli apporti di Lenin e di Mao Zedong. Già prima della rivoluzione d'Ottobre, il marxismo si era diversificato in Europa e aveva avuto effetti diversi sulla cultura e sulla vita intellettuale, come ha indicato Perry Anderson nel suo saggio sul marxismo occidentale. Nonostante quelle differenze, però, mi sembra che esista un nocciolo duro del marxismo, che in ultima analisi è la fonte di quegli effetti, e che cercherò di individuare nelle pagine seguenti.

1. Il nocciolo attivo del pensiero di Marx nelle scienze umane.

Questo nocciolo duro è costituito da alcune -, elaborate da Marx negli anni 1844-45 ed esposte per la prima volta nell'Ideologia tedesca.

Anzitutto, gli uomini non vivono soltanto in società come gli animali sociali ma producono la società per vivere. Non «evolvono» come le altre specie, ma hanno una storia, e questa storia essi la fanno in determinate condizioni.

In secondo luogo, gli uomini hanno una storia perché hanno la capacità di trasformare la natura che li circonda e in tal modo di trasformare la loro stessa natura sociale. Ma qui è necessario prevenire un equivoco fondamentale: Marx non è anzitutto un economista. Il suo scopo primario non consiste nello spiegare la logica del sistema capitalistico. Marx è un pensatore che in un determinato contesto storico - insieme sociale e scientifico - ha scoperto la funzione di un fattore fino allora non considerato con molta chiarezza nello sviluppo dell'umanità: la funzione del lavoro, della trasformazione della natura, dei rapporti sociali e materiali che gli uomini intrattengono fra loro, operando sulla natura che li circonda. Insomma, più chiaramente di altri, Marx ha capito la funzione del momento economico nella formazione e nella trasformazione dei rapporti sociali, nel movimento della storia. Lo dirà più tardi nel testo metodologico che figura nei Grundrisse, ricordando che prima di lui gli storici si limitavano molto spesso a scrivere una storia ridotta agli avvenimenti politici o alle idee religiose e filosofiche. Per Marx, la storia politica o la storia delle idee rinviano a cause più profonde, che le illuminano, e ad altri attori che esse nascondono, alla storia dei rapporti degli uomini con la natura e ad attori più numerosi, raggruppati in caste, in ordini, in classi.

E ancora: la storia è movimento. ma un movimento contraddittorio, proprio perché ha la sua origine nelle contraddizioni della realtà sociale. Queste sono per Marx di due tipi. Le contraddizioni fra gruppi sociali -ordini, caste, classi - che non occupano nella società le stesse posizioni e non controllano in modo eguale le condizioni materiali e sociali della loro esistenza; le contraddizioni che possono insorgere fra lo sviluppo dei rapporti materiali degli uomini con la natura e le forme sociali d'organizzazione di questi rapporti materiali, le forme sociali della divisione del lavoro e del processo di produzione. Nel 1848, nel Manifesto del Partito Comunista, Marx fa la celebre asserzione: «La storia di ogni società esistita fino a questo momento è la storia di lotte di classi». A partire dal 1855, quando scopre attraverso le opere degli storici dell'antichità, degli etnologi, degli archeologi l'esistenza delle comunità primitive, modificherà il suo schema. La storia è cominciata - pensa - con lo sviluppo di molteplici forme sociali comunitarie, a poco a poco dissoltesi per effetto dello sviluppo di nuovi rapporti con la natura e di lotte sociali, e sostituite da varie forme di società gerarchiche, organizzate in ordini, in classi. L'umanità ha perseguito il proprio sviluppo in seno a queste forme sociali antitetiche, e il capitalismo appare come l'ultima forma sociale antitetica dello sviluppo dell'umanità.

Finalmente, lo sviluppo del. capitalismo crea le basi materiali, le forme sociali e le rappresentazioni intellettuali e politiche di una nuova società, in seno alla quale mezzi di produzione diventeranno proprietà collettiva e il lavoro assumerà la forma della gestione collettiva dei lavoratori associati. Nel Capitale, come nella Critica del programma di Gotha, la visione del futuro più remoto delineata da Marx è quella di un mondo in cui ciascuno riceverà secondo i propri bisogni, dove lo sviluppo delle forze produttive sarà tale che ogni individuo potrà sviluppare le proprie capacità creatrici, dove la divisione sociale del lavoro, che incatena gli individui e i gruppi a un solo compito per tutta la vita, sarà abolita. E' una società che sarebbe sfuggita al regno della necessità per edificarsi in quello della libertà, una volta scomparse le classi e, con loro, lo Stato. Sia una visione profetica o una visione utopica, questa idea di un regno della libertà appartiene fin dagli inizi al pensiero di Marx, e si accompagna continuamente a un appello all'azione per creare le basi materiali del futuro e abolire i contraddittori rapporti sociali di dominio e sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo, che ostacolano la nascita di questa nuova società.

Lungi dal portare alla contemplazione, la visione del futuro è principio d'azione rivoluzionaria. Citerò soltanto una frase di Marx, che si trova nella sua corrispondenza, a proposito dello sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo, regnante nel capitalismo: sfruttamento della classe operaia, sfruttamento dei popoli colonizzati, sfruttamento del lavoro delle donne e dei bambini, ecc. «Soltanto la lotta delle classi sarà la fine di tutta questa merda».

Queste quattro idee-forza mi appaiono come il nucleo attivo del pensiero di Marx: idee che hanno continuato ad agire sulle nostre società e nelle nostre società, a tutti i livelli politici, culturali, scientifici. Prima di esaminarle più da vicino, vorrei ricordare che esse, per l'essenziale, erano state elaborate da Marx prima che egli analizzasse a fondo la logica del funzionamento del modo di produzione capitalistico. Ed esse si sono formate in rottura con la filosofia idealistica hegeliana.

A partire da una prima lettura degli economisti fra il 1843 e il 1844 e anche per influsso di Engels e della sua conoscenza dell'Inghilterra industriale, come pure dall'osservazione dei conflitti fondiari in Germania, Marx, che aveva una formazione filosofica, giuridica e storica, scopre la funzione dei rapporti materiali e dei conflitti fra le classi nella storia. In contrapposizione all'idealismo assoluto di Hegel, per il quale
la storia è movimento dello Spirito assoluto, che oppone se stesso (in quanto Logos) a se stesso (in quanto Natura) e supera l'opposizione nel movimento dello Spirito assoluto, Marx riprende l'idea della storia come movimento e movimento contraddittorio, dialettico. Ma la dialettica non è più fondata, per lui, sul principio dell'identità degli opposti, per cui Hegel, nella Fenomenologia dello Spirito, affermava che il padrone è insieme se stesso e il suo opposto, lo schiavo, e per tale ragione è schiavo del suo schiavo. Essa si fonderà sull'unità degli opposti, e in tal senso il pensiero dialettico di Marx anticipava la moderna teoria dei sistemi e dei processi autoregolatori. Non è, questo, il solo aspetto «moderno» della riflessione marxiana, e per parte mia cercherò di dare un panorama, sui piano dei procedimenti epistemologici, dei suoi metodi e dei suoi concetti che più hanno influito sugli sviluppi della conoscenza nel nostro tempo.

2. Alcuni concetti e procedimenti epistemologici in Marx.

La lettura dei maggiori testi di Marx ci rivela come suo intento primario sia stata l'analisi della «struttura» dei rapporti sociali: per esempio le strutture economiche o le strutture politiche della società.

Che cosa significa per Marx il termine «struttura»? Possiamo notare che esso è l'equivalente di altre due parole tedesche: Form e Gestalt; ma se proseguiamo nell'analisi vediamo che Struktur, Form e Gestalt designano le relazioni di connessione, di mutua dipendenza, di legame reciproco e di articolazione esistenti fra gli elementi di un insieme. In effetti, per Marx, Struktur è l'equivalente di Gliederung, ossia articolazione, e di Zusammenhang, ossia nesso, legame. Per lui, dunque, io studio delle strutture sociali è lo studio di un insieme di elementi o di rapporti, legati in relazioni di mutua dipendenza. Si tratta però di un legame provvisorio, che si riproduce solo entro certi limiti. Per Marx ed egli lo sottolinea energicamente nella prefazione alla seconda edizione del Capitale le strutture sono realtà in movimento, nessi temporanei, che si riproducono durante una certa epoca storica, prima di scomparire, lasciando il posto ad altri.

Occorre però procedere oltre, perché Marx distingue i nessi visibili e i nessi «reali», ed il lavoro della scienza consiste appunto nel passare dalle apparenze alla struttura interna nascosta del reale. Così egli distingue la forma in cui appaiono i rapporti e le strutture, Erscheinungsform, la loro apparenza visibile, e la loro wirkliche Form, la forma reale di un rapporto, che a volte chiama Kern Gestalt, la forma nucleo, oppure KernStruktur, struttura nucleo, ossia un rapporto colto nella sua struttura interna, non direttamente visibile, ma che la conoscenza scientifica deve scoprire e ricostruire. «E' compito della scienza ricondurre il movimento apparente, puramente fenomenico, al movimento reale interno».

Il procedimento epistemologico di Marx si fonda su questa serie di principoi. ogni forma è un rapporto che che si produce e si riproduce entro certi limiti, che è dunque in movimento ed è dunque una forma di movimento.

Ogni rapporto può essere colto nella sua struttura a pparente o nella sua struttura interna. Nella forma in cui appaiono i fenomeni hanno un movimento apparente, che può non avere niente a che fare con il loro movimento reale, quello delle loro strutture interne, dei loro rapporti interni, del loro nucleo. La forma visibile, la forma in cui un rapporto appare può non presentare alla coscienza il nesso interno e il movimento reale di quel rappprto. In tal senso, ogni forma spontanea in cui appare un rapporto lo dissimula, e al tempo stesso ne presenta il nesso in modo parzialmente o totalmente diverso da ciò che esso è in profondità. Questa differenza può arrivare fino a una completa inversione dei rapporti, come nel caso del valore di scambio delle merci, che appare come una proprietà delle stesse cose scambiate, anziché come un rapporto fra gli uomini che scambiano quelle merci.

Il modo di vedere le cose (Vorstellungsweise) dei borghesucci e degli economisti volgari si mostrai dal fatto che nei loro cervelli sempre soltanto si riflette la immediata forma di manifestazione dei rapporti, non la loro intima correlazione. Del resto, se così fosse, che ragione ci sarebbe poi di una scienza?.

Terzo procedimento epistemologico di Marx: bisogna dare priorità metodologica alla conoscenza delle strutture prima di cercare di scriverne la storia, ossia la genesi e le trasformazioni di quelle strutture, la loro evoluzione. E' un principio illustrato perfettamente nel primo libro del Capitale: dopo avere mostrato come il capitale, nonostante le apparenze, sia non una cosa, ma un rapporto sociale, il rapporto fra due classi, una delle quali possiede la proprietà dei mezzi di produzione e del denaro, l'altra la forza lavoro, unica merce che può vendere per vivere, Marx pone il problema della genesi di tale rapporto nei capitoli su quella che viene detta l'accumulazione primitiva, ossia l'origine dei processi che, in seno all'evoluzione del modo di produzione feudale, hanno a poco a poco separato i contadini dalla terra e concentrato le ricchezze monetarie e i mezzi di produzione nelle mani di una classe borghese in via di sviluppo.
A tale proposito bisogna notare che Marx, nell'insieme della sua opera, è tornato più volte sul problema della genesi del modo di produzione capitalistico, praticando due procedimenti distinti, uno «regressivo», l'altro «progressivo». Il procedimento regressivo consiste nel cercare nella storia, nel passato, la genealogia, la genesi di ciascuno degli elementi del modo di produzione capitalistico: genesi del capitalismo industriale a partire dal secolo XV, genesi dell'azienda agraria capitalistica, genesi del lavoro salariato, sviluppo dell'economia monetaria, del mercato mondiale, ecc. Si tratta di un procedimento regressivo nel senso che, partendo dal presente, si risale nel passato per scoprire il processo che ha consentito al presente di essere quello che è. Ma è chiaro che questo metodo è insufficiente, in quanto, retrocedendo nel passato, si analizza,
di quel passato, soltanto ciò che è all'origine di questo presente. Un altro procedimento complementare è dunque necessario: quello che, procedendo dal passato, ritorna verso il presente. Ora, in questo esame, non viene illuminato soltanto il modo di produzione capitalistico, ma anche lo svilupparsi del modo di produzione parcellario dei contadini e degli artigiani proprietari dei loro mezzi di produzione e liberi nella loro persona: un modo di produzione parcellario che si sviluppa parallelamente al modo di produzione capitalistico e coesiste nella stessa storia. Questo metodo progressivo è stato indicato da Marx, tua poco praticato, in quanto ciò avrebbe comportato fare la teoria del modo di produzione feudale, anziché la teoria del capitale. Tuttavia, dal punto di vista epistemologico, entrambi i metodi sono indicati chiaramente da Marx come necessari e complementari per costruire un'interpretazione scientifica del movimento della storia.

Quarto procedimento: Marx avanza l'ipotesi che esistano relazioni di corrispondenza fra la struttura economica di una società e le altre strutture di quella società. Egli presuppone del pari che tale struttura economica da lui chiamata anche «forma sociale della produzione» o «rapporti sociali di produzione » corrisponda a un certo stadio di sviluppo delle forze produttive, ossia delle capacità materiali e intellettuali dell'uomo di agire sulla natura che lo circonda per trarne i mezzi materiali di vita, del suo sviluppo sociale. Insomma, Marx presuppone l'esistenza di leggi di corrispondenza, Entssprechungsgesetze, fra ciò che chiama le basi, le fondamenta (Grundlage) di una società e l'edificio (Uberbau) costruito su quelle basi. Egli ha dunque usato una metafora architettonica per aiutare il pensiero a pensare le relazioni d'ordine esistenti fra il modo di produzione di una società e la struttura delle altre attività sociali. Francesi, inglesi, spagnoli ecc. hanno tradotto questa metafora con i termini di infrastruttura e superstruttura, e tale traduzione si è caricata a poco a poco dell'idea che le sovrastrutture abbiano minore realtà delle infrastrutture, e che al limite possano diventare realtà illusorie, quasi evanescenti, quando si giunga alle idee religiose o alle pratiche simboliche. Vi è qui la tentazione più pericolosa di trasformare il pensiero di Marx in un materialismo volgare, riduttivo, e d'altra parte non è il caso di nascondere che talune formulazioni dello stesso Marx muovono in questo senso.

L'espressione più netta di questa tentazione riduttiva si ritrova, nel nostro tempo, nel saggio di Aithusser sugli «apparati ideologici di Stato». In realtà, ciò che quella metafora vuole suggerire non è altro che questo: come non è possibile costruire il tetto di una casa e i suoi muri prima di averne gettate le fondamenta, così esiste una priorità cronologica e storica delle trasformazioni del modo di produzione in relazione alle trasformazioni delle altre strutture della vita sociale che esse suscitano. Inoltre, come una casa è tanto più solida e in grado di resistere al tempo, quanto più forti sono le sue fondamenta, così una forma di organizzazione sociale ha tante maggiori possibilità di durare e riprodursi nel corso della storia, quanto più si fonda su un modo di produzione capace di evolvere ed estendersi. Ma di là da queste due idee, la metafora sembra esaurire le sue possibilità o quanto meno implicare conseguenze che non pochi marxisti rifiuterebbero, perché, dopo tutto, non si vive nelle fondamenta di una casa, ma nella casa stessa, il che potrebbe anche voler dire che le sovrastrutture sono più importanti delle infrastrutture per spiegare il modo di esistenza sociale degli uomini.

L'idea dell'esistenza di leggi di corrispondenza tra infrastrutture e sovrastrutture ha portato Marx a formulare il concetto di "formazioni-economico-sociali" per designare le logiche sociali originali succedutesi nel corso della storia, ciascuna delle quali corrisponde a uno specifico modo di produzione dominante. E' senza dubbio opportuno segnalare le difficoltà inerenti all'uso di questo concetto di formazione economico-sociale. Per molti marxisti dopo Lenin, questo concetto designa delle società concrete, nella misura in cui la loro economia si fonda sull'articolazione di diversi modi di produzione: in altre parole, si tratta di società in transizione, in seno alle quali un modo di produzione dominante non ha ancora annientato i residui di altri modi di produzione anteriori, che continuano a coesistere subordinandosi alla sua riproduzione. In tal senso è stato utilizzato da Lenin il concetto di formazione economico-sociale nel suo Sviluppo del capitalismo in Russia, appunto per designare le varie forme di produzione esistenti in quegli anni in Russia. Dopo di lui, la maggior parte dei marxisti occidentali ed io fra questi hanno seguito il suo esempio senza preoccuparsi di andare a controllare più da vicino, nei testi di Marx, se tale era per davvero la sua idea.

Dopo un esame degli scritti di Marx in cui si trova impiegata l'espressione ökonomische Gesellschaftsformation, mi sembra di poter asserire che, con Lenin, è avvenuto un vero e proprio slittamento nell'uso di questo concetto. L'espressione può infatti essere tradotta in due modi, egualmente rigorosi sul piano linguistico: formazione economica della società (e in tal caso l'espressione designa il succedersi nella storia delle forme di economia, ossia dei modi di produzione) oppure formazione economico-sociale (e l'espressione designa una totalità coerente, un insieme di strutture sociali corrispondenti fra loro in quanto sono corrispondenti a un modo di produzione determinato, originale). In tal modo Marx designa ciò che negli stessi anni Taylor avrebbe chiamato «cultura » o « insieme culturale». La sua idea è che a un modo di produzione determinato, ad esempio il modo di produzione capitalistico, corrisponde un modo determinato di organizzare la società. La famiglia borghese si sviluppa ma, contemporaneamente, cresce anche la famiglia operaia, che è una trasformazione dell'antica famiglia contadina o artigiana. Si sviluppano nuovi modi di governo, fondati su costituzioni (e che la forma del governo sia monarchica o repubblicana, se non è privo di importanza storica, non è tuttavia essenziale), si afferma un nuovo modo borghese di pensare, di sentire, di godere, sorgono forme artistiche specifiche. Insomma, la vita sociale di una parte dell'umanità assume una logica originale, distinta da tutto ciò che precedeva o da tutto ciò che con essa pur coesiste.

La nozione di formazione economico-sociale è dunque una conseguenza della tesi della priorità delle infrastrutture nell'organizzazione della vita sociale e dell'ipotesi delle leggi di corrispondenza fra tutti gli aspetti della pratica sociale, a partire dalle determinazioni e dai predominio di un modo di produzione. Se questo è vero, le società concrete non sono formazioni economico-sociali, o almeno una società concreta può appartenere a due o più formazioni economico-sociali, nella misura in cui le sue basi materiali si fondano sulla combinazione di più modi di produzione, uno dei quali, antico o recente, domina sugli altri. Ma se una società concreta come la Francia del secolo XIX, in cui sono presenti un modo di produzione capitalistico industriale in via di sviluppo e un modo di produzione parcellario, agricolo e artigianale, che aveva ricevuto impulso dalla spartizione dei beni signorili e comunali nel corso della rivoluzione francese può appartenere a diverse formazioni economico-sociali, nella stessa epoca diverse società concrete possono appartenere, ma in modo ineguale alla stessa formazione economico-sociale Agli occhi di Marx, nel secolo XIXxix parecchi paesi appartenevano in modo ineguale alla formazione economico-sociale capitalistica. L'Inghilterra, che aveva quasi completato la liquidazione della proprietà feudale e della proprietà agricola parcellaria, gli appariva come il paese capitalistico più avanzato in cui venivano elaborandosi forme tipiche del nuovo modo di vita borghese. Per questo nel Capitale e in altri scritti l'Inghilterra è considerata il paese classico dello sviluppo capitalistico, industriale e agricolo, ben prima della Francia, dell'Olanda, dell'America e naturalmente della Spagna, del Portogallo o della Russia, che potevano a loro volta appartenere alla formazione capitalistica nella misura in cui il modo di produzione capitalistico veniva lentamente sviluppandosi.

Una formazione economico-sociale non è una realtà che possa essere presa direttamente e che possa confondersi con il funzionamento visibile delle società concretamente esistenti, ma è una realtà da ricostruire attraverso un pensiero analitico, ed essa è ricostruita quando il pensiero ha scoperto la logica sociale originale che traduce i rapporti di corrispondenza tra lo sviluppo di un nuovo modo di produzione e lo sviluppo di nuove istituzioni sociali. Ciò non significa che il problema dell'articolarsi di vari modi di produzione in seno a una società concreta e in un'epoca determinata non sia un problema reale e difficile da analizzare. Ma non si tratta di questo, bensì del fatto che bisogna evitare di pensare il problema dell'articolarsi dei modi di produzione partendo dal concetto di formazione economico-sociale, che non era stato elaborato a questo fine. Sulla scia di Lenin, è stato invece compiuto questo slittamento nell'uso di un concetto marxiano da chi come in Francia Balibar, Betteiheim e non pochi altri, me compreso vi è ricorso senza troppo riflettervi.

Finalmente, il quinto procedimento epistemologico di Marx: l'idea che i sistemi socio-economici siano soggetti a leggi di sviluppo, Entwicklungsgesetze, fondate sulle contraddizioni interne alle loro strutture. Contraddizioni che sono loro costitutive e quindi ne sono la base insuperabile. Per dare un esempio, la base insuperabile del modo di produzione capitalistico è la separazione e la contrapposizione di due classi: la classe capitalistica, che possiede il monopolio dei mezzi di produzione e del denaro, e la classe operaia, alla quale vengono ad aggiungersi gli impiegati in varie professioni dei servizi, che sono separate dalla proprietà delle condizioni della produzione. Tale separazione è costitutiva del sistema, e la riproduzione di questo la riproduce.

L'idea forte di Marx è che non può darsi produzione che non sia al tempo stesso riproduzione delle medesime condizioni della produzione, riproduzione degli elementi materiali e dei rapporti sociali che consentono la produzione. Su questo punto ritorneremo più avanti. Intanto andrà precisato che la visione marxiana dell'evolversi dei sistemi sociali è quella dello sviluppo di organismi sociali, di totalità organiche che crescono più o meno rapidamente per entrare poi in una fase di decomposizione e lasciare il posto a uno o a più sistemi economico-sociali diversi, uno dei quali alla fine sarà predominante.

Marx ha ripreso da Quesnay l'idea da lui definita geniale della necessita di analizzare le condizioni di riproduzione interna dei sistemi economici assunti nella loro dimensione globale, nazionale o internazionale, macroeconomica. Più tardi dedicherà la fine del primo libro del Capitale e tutto il secondo all'analisi delle condizioni strutturali per la riproduzione del modo di produzione capitalistico, preso nei suo movimento d'insieme, come combinazione di processi molteplici di produzione e di circolazione delle merci e dei denaro fra i settori della produzione e fra le classi. Riducendo volontariamente la struttura interna del modo di produzione capitalistico a due settori complementari, che si scambiano i loro prodotti, il settore della produzione dei mezzi di produzione e il settore della produzione dei mezzi di consumo, Marx ha cercato di determinare le condizioni di equilibrio dinamico del sistema nel suo insieme. Ma questa analisi faceva scorgere anche la possibilità e la necessità per questo sistema di entrare in crisi nel corso della sua espansione e, a più lungo termine, di cedere il posto a un modo di produzione superiore, il modo di produzione dei lavoratori associati, di cui l'evoluzione del capitalismo avrebbe creato le basi materiali e le forme sociali e intellettuali.

E' il caso di sottolineare che, dopo Quesnay e Marx l'economia, come pure la sociologia o l'antropologia hanno sempre progredito ogni volta che sono partite dall'ipotesi che le realtà sociali formano un sistema e hanno cercato di scoprirne la logica interna.

3. Funzionalismo, strutturalismo e marxismo: un confronto epistemologico.

Ai termine di questo inventario dei vari principi epistemologici applicati da Marx nei suoi procedimenti di analisi, è possibile confrontare il marxismo con altre correnti dominanti oggi nel campo delle scienze dell'uomo e della società, il funzionalismo, lo strutturalismo, ecc. Queste correnti hanno in comune con il marxismo l'idea che occorre analizzare i rapporti sociali non già isolatamente uno dall'altro, bensì prendendoli nelle loro reciproche relazioni, considerandoli come totalità costituenti un sistema. Esse condividono del pari il principio secondo cui è necessario analizzare un sistema nella sua struttura e nella sua logica interna prima di studiarne la genesi e l'evoluzione.

Ma di là da queste valutazioni comuni, strutturalismo e marxismo sono concordi anche nell'opporsi al funzionalismo in quanto, per Radcliffe-Brown e Nadel, una struttura sociale non è altro che l'ordine delle relazioni visibili degli uomini fra loro, giudicando puro misticismo supporre l'esistenza di una struttura interna, di un ordine invisibile di là dalle relazioni visibili. Per LéviStrauss come per Marx, la scoperta delle strutture avviene attraverso un movimento che alla fine rende manifesti dei rapporti, una logica, illuminanti il significato dei comportamenti umani, senza che gli attori stessi ne appaiano consapevoli nelle interpretazioni, spontanee o dotte, della loro esistenza. D'altra parte per LéviStrauss come per Marx, le strutture formano un sistema, nei senso che fra esse esistono rapporti di compatibilità costituenti una specie di ordine nascosto, il cuore della logica sociale. In alcune pagine dell'Antropologia culturale e del Pensiero selvaggio, poi, LéviStrauss si riferisce a Marx per suggerire che quell'ordine nascosto corrisponde al principio della priorità delle infrastrutture nella genesi e lo sviluppo delle istituzioni sociali.

D'altra parte, strutturalismo e marxismo si contrappongono su due punti essenziali. LéviStrauss, per ragioni di metodo, legittime in un certo momento della sua analisi, separa lo studio della forma dei rapporti sociali dall'analisi delle loro funzioni. Non che tali funzioni siano ignorate, ma esse vengono esplorate solo parzialmente. Così vengono studiate le forme elementari della parentela lasciando da parte le funzioni dei rapporti di parentela nell'organizzazione della vita materiale, nell'appropriazione della natura, nella produzione e trasmissione delle ricchezze, di un patrimonio. LéviStrauss assume dunque come oggetto del suo lavoro una totalità che ha valore analitico, la totalità delle forme elementari della parentela, fondate su diversi principi di scambio ristretto o generale delle donne, e separa così i rapporti di parentela da tutti gli altri aspetti della società in cui essi funzionano. In questo senso, a differenza dei funzionalisti, LéviStrauss non studia mai delle società concrete, delle totalità organiche specifiche, ma preleva nei materiali etnografici concernenti tali società i dati riguardanti i principi formali di funzionamento dei rapporti di parentela che in esse esistono, e confronta poi queste realtà, ridotte alle loro forme, con altre forme simili o opposte per scoprire se esse appartengono tutte, per le loro differenze stesse, a un medesimo gruppo di trasformazioni. un procedimento legittimo, che produce risultati scientifici molto importanti, ma per il fatto che i rapporti sociali sono analizzati nella loro architettura formale, separati dalle loro funzioni concrete, il problema dell'articolazione reale dei livelli strutturali in una società concreta non può essere realmente posto. E in tale movimento la storia reale delle società concrete finisce coi restare assente.

Vorrei tuttavia precisare in contrasto con una critica spesso ricorrente a proposito dei limiti dello strutturalismo, e di cui troviamo un esempio negli scritti di Henri Lefebvre, che non è il metodo strutturale a impedire a LéviStrauss di analizzare la funzione delle infrastrutture nella logica sociale e nel movimento della storia, ma è lo stesso LéviStrauss che arresta il suo metodo e si distoglie dall'analisi delle infrastrutture. O meglio, per essere più precisi, LéviStrauss ha sempre privilegiato nello studio delle infrastrutture i vari aspetti dei rapporti degli uomini con la natura: conoscenze biologiche, tecnologiche, astronomiche, divisione sessuale o d'altro tipo del lavoro. Ciò che manca è l'analisi dei rapporti degli uomini fra loro nell'appropriazione della natura: quello che Marx chiama il campo dei rapporti sociali di produzione nell'appropriazione delle condizioni e dei risultati del lavoro. Davanti a questo, LéviStrauss si ferma o lo affronta con l'atteggiamento e i presupposti dei funzionalisti, di cui pure critica l'empirismo ogni volta che affrontano i campi di cui egli è specialista: lo studio dei rapporti di parentela e lo studio dei sistemi di rappresentazioni mitiche e simboliche.

Questo mi sembra il posto, a un certo livello epistemologico, del pensiero di Marx in seno alle scienze dell'uomo in questa fine del secolo XX.

Ma ormai il marxismo non si confronta più con il pensiero di Marx e spesso opera all'opposto delle intenzioni del suo fondatore: sono contraddizioni che in parte nascono dai limiti stessi del pensiero di Marx, dall'inevitabile incompiutezza della sua opera; in parte, dai dubbi che l'evoluzione dei paesi che si proclamano socialisti ha suscitato ponendo in discussione la validità stessa delle ipotesi marxiane.

4. Il marxismo e le altre correnti teoriche al confronto con lo sviluppo attuale delle scienze dell'uomo.

Non pochi punti delle ipotesi di Marx si scontrano con difficoltà insorte nello sviluppo attuale delle scienze dell'uomo. Anzitutto il termine Produktionweise, che può essere tradotto con «modo di produrre» o «modo di produzione», è un'espressione usata da Marx almeno in tre modi diversi. Compare nei Manoscritti del 1844 e inizialmente ha un valore meramente descrittivo, per significare nient'altro che «il modo di produrre le cose». Questo uso empirico descrittivo non scomparirà nel prosieguo dell'opera di Marx: lo ritroviamo ancora in vari passi dei Grundrisse e del Capitale, per designare appunto il modo, materiale e sociale, di produrre qualcosa. Ma già nell'Ideologia tedesca, accanto a quel primo uso, ne troviamo un altro che si colloca, come abbiamo già visto, al livello filosofico di una teoria generale della storia, tendente a investire l'insieme dei modi di produrre le condizioni materiali dell'esistenza sociale.

Questa ipotesi filosofica diventa, secondo le parole stesse di Marx, «il filo conduttore» di tutte le sue ricerche ulteriori. Ciò non basta tuttavia a trasformare il concetto di modo di produzione in strumento d'analisi dei rapporti economici. Ciò che ancora manca a Marx nel 1845 è il concetto di «rapporto di produzione». Da notare che il termine ricorre nel manoscritto, ma viene cancellato e sostituito con Verkehrsform o Verkehrsverhaltnisse, forma di scambio o rapporto di scambio, di commercio fra gli uomini, purché s'intenda con commercio non solo gli scambi economici, ma tutti i rapporti sociali che designava, negli autori del Settecento e ancora in Hegel, il concetto di società civile, ossia il complesso delle istituzioni sociali ad eccezione dello Stato. Il concetto di rapporto di produzione verrà elaborato più tardi, fra il 1846 e il 1859, in seguito all'approfondimento critico dell'economia politica.

Esiste tuttavia nell'uso del concetto una difficoltà, che Marx ha cercato di risolvere attraverso la distinzione fra «sussunzione formale» e « sussunzione reale», una distinzione di notevole portata teorica in quanto determina la sua interpretazione dei processi di transizione fra sistemi economico-sociali, fra diversi modi di produzione. Occorre infatti tenere presente che un modo di produzione è l'insieme di rapporti sociali di produzione e di forze produttive, messe in atto in diversi processi lavorativi, che hanno una base tecnica, storicamente determinata. In alcuni testi, Marx indica i rapporti di produzione «forma sociale della produzione», e individua due tipi di relazioni fra i rapporti di produzione e le forze produttive combinate in un processo lavorativo, ossia relazioni di sussunzione formale e relazioni di sussunzione reale. E' una distinzione, questa, che gli consente di periodizzare le diverse tappe della nascita e dello sviluppo del modo di produzione capitalistico in Europa fra il secolo XV e il secolo XIX. Nel secolo XV il modo di produzione capitalistico è solo ai suoi inizi: esiste qua e là nell'agricoltura e nelle attività industriali in modo sporadico e subordinato. Fra il secolo XVI e il XVIII si sviluppa in connessione con l'espansione coloniale e la creazione del mercato mondiale: è il periodo del capitalismo manifatturiero. Alla fine del secolo XVIII la rivoluzione industriale si sviluppa in Inghilterra e la manifattura viene via via sostituita dall'industria, che utilizza il sistema delle macchine.

Secondo Marx, la nuova forma sociale di produzione, quella capitalistica, alla sua nascita e nei primi tempi del suo sviluppo subordina a sé i vari processi lavorativi che conquista, così come sono, quali sono da essa ereditati dal loro sviluppo in seno al modo di produzione feudale. La forma sociale del processo lavorativo è mutata, ma agli inizi ciò non muta affatto la base materiale, tecnica dei vari processi lavorativi di cui il capitale si è appropriato.

In un primo tempo, il capitale subordina a sé il lavoro nelle condizioni tecniche, storicamente date, in cui lo trova. Perciò non cambia immediatamente il modo di produzione.

Sebbene all'inizio il modo capitalistico di produzione quasi non modifichi la base materiale del processo lavorativo che subordina a sé, agisce tuttavia su quel processo rendendo il lavoro più continuo e più intenso. Ma, a poco a poco, queste modifiche si rivelano insufficienti alle esigenze di sviluppo della produzione mercantile; il modo capitalistico di produzione comincia allora a rielaborare, a seconda dei suoi bisogni, la base tecnica, materiale che gli era servita come punto di partenza. Nell'ambito dell'attività manifatturiera, a poco a poco, l'operaio individuale cede il posto all'operaio collettivo; ma alla base della produzione manifatturiera rimane sempre il lavoro manuale, artigiano, finché essa, comportando l'invenzione di tutta una serie di nuove attrezzature semplici, non porta all'invenzione delle prime macchine utensili, insieme di strumenti semplici, che saranno alle origini, nell'ultimo terzo del secolo XVIII, della rivoluzione industriale in Inghilterra. Grazie al macchinismo viene costituendosi la grande industria, che alla fine rovinerà le manifatture e si sostituirà ad esse. Con il macchinismo e la grande industria la forma capitalistica di produzione dispone finalmente di un modo materiale di produzione ad essa adeguato. Essa ha costruito la sua base tecnica e «si regge sulle sue gambe», creando ormai le proprie condizioni materiali d'esistenza e di sviluppo, producendole e riproducendole, anziché trovarle già fatte. Per la prima volta le leggi della produzione mercantile capitalistica, le leggi del valore possono affermarsi in pieno. Il processo di produzione si basa allora su forze produttive realmente «sociali», e alla vecchia sussunzione formale del processo lavorativo sotto il capitale si sostituisce la sussunzione reale di tale processo, ormai interamente determinato dalle condizioni di produzione e riproduzione del capitale.

L'aumento di produttività del lavoro, provocato dallo sviluppo delle forze produttive, fa diminuire il costo della forza lavoro e, di conseguenza, il tempo necessario per la sua riproduzione. Lo sfruttamento della forza lavoro si fonda sempre più sulla produzione e l'accumulazione di plusvalore relativo. Si è passati dalla sussunzione formale del lavoro sotto il capitale alla sua sussunzione reale. Ma, secondo Marx, il movimento non può arrestarsi a questo punto, e questo stato di corrispondenza reciproca fra i rapporti sociali di produzione e la loro base materiale non è lo stato finale, definitivo del sistema: è solo un momento dello sviluppo che conduce ancora più lontano, verso la gigantesca socializzazione dei processi di produzione e di scambio, tendente a entrare sempre più in conflitto con la forma produttiva capitalistica.

Per Marx, negli anni fra il 1865 e il 1883, in cui scriveva i vari libri del Capitale, stava prendendo piede una nuova fase di sviluppo del modo di produzione capitalistico: il passaggio da questo modo di produzione a un modo di produzione nuovo, superiore, dei lavoratori associati, che sarebbe stato in accordo con la nuova base materiale, le forze produttive direttamente sociali create dal modo capitalistico di produzione.

La teoria delle due forme di sussunzione fra rapporti di produzione e basi materiali di un processo lavorativo è dunque una teoria della dinamica a lungo termine dei modi di produzione, dalla loro nascita fino alla loro piena fioritura e oltre, fino alla loro decomposizione e sostituzione con un altro modo di produzione. È una teoria seducente, che pone tuttavia vari problemi se confrontata con le condizioni storiche in cui sono stati instaurati sistemi produttivi socialisti in Russia o in Cina, in Vietnam o in Angola ecc. Lungi dall'essere comparse qua e là sporadicamente, in seguito allo sviluppo delle forze produttive interne a quelle società, queste forme di produzione sono state riprese dai paesi dell'Occidente e introdotte in società profondamente diverse in seguito a rivoluzioni politiche e militari rivolte contro potenze coloniali dell'Occidente. La teoria della transizione reale al socialismo resta dunque da elaborare, e non è certo lo scritto di Lenin sulla Russia, anello più debole del sistema capitalistico, che può bastare a spiegare la nascita del socialismo e delle sue forme in diversi paesi d'Europa, d'Asia, d'Africa e dell'America meridionale.

D'altra parte, se anziché rivolgersi alla storia contemporanea, si cercasse di ricostruire la diversità dei modi di produzione esistenti nelle società primitive prima della formazione delle classi e della comparsa dello Stato, e se si cercasse di comprendere quali sviluppi delle forze produttive abbiano condotto alla dissoluzione di quelle forme comunitarie di produzione e di esistenza sociale, non è certo che sia possibile ricostruire questo processo e mostrare il nesso esistente fra loro e i diversi sistemi di parentela che, in quella fase, funzionavano anche come quadro sociale della produzione. Torneremo più avanti su questo punto, che ci spinge intanto a porre il difficile problema della natura della distinzione fra infrastrutture e sovrastrutture.

5. Una distinzione di funzioni, non d'istituzioni.

Gli economisti di professione e, con loro, il grande pubblico si raffigurano la struttura economica di qualsivoglia società a immagine di ciò che avviene nella nostra, ossia come un insieme d'istituzioni distinte dagli altri rapporti sociali, politici, familiari, religiosi ecc. Nell'ambito del modo di produzione capitalistico, il processo produttivo avviene all'interno di aziende, che sono unità sociali distinte dalla famiglia, dalle chiese, dai partiti politici, dalle comunità razziali ecc. Diverso è il caso nelle società precapitalistiche o non capitalistiche di un tempo come pure d'oggi: su questo punto Marx se non i marxisti fu il primo a condannare ogni tentativo di applicare all'insieme delle società la nostra particolare visione dell'economia. Un secolo dopo passando per Max Weber ritroviamo la stessa posizione in Karl Polanyi e nella corrente «sostantivistica» dell'antropologia economica. Storici e antropologi, quando cercano d'isolare la struttura economica delle società precapitalistiche, osservano in effetti di doverla cercare nei rapporti sociali, classificati dai marxisti come sovrastrutture: rapporti di parentela, rapporti politici, rapporti religiosi ecc. Per illustrare queste possibilità, sceglieremo tre esempi nell'infinita serie che offrono la storia e l'antropologia.

Le antiche società aborigene australiane viventi di caccia, raccolta, talvolta pesca erano divise in gruppi di parentela che scambiavano fra loro delle spose, circolanti di generazione in generazione nelle medesime direzioni. Ma i rapporti di parentela e le divisioni sociali che essi originavano, non regolavano soltanto il matrimonio e la filiazione, secondo la funzione esplicita e universale dei rapporti di parentela: servivano anche da quadro per l'appropriazione della natura, determinando insieme il controllo da parte dei vari gruppi di questa o quella porzione del territorio tribale e delle sue risorse, e servendo da quadro per la cooperazione degli individui e dei gruppi nelle diverse attività della caccia, della raccolta e della pesca, attraverso le quali essi si appropriavano di quelle risorse. I rapporti sociali di parentela funzionavano dunque, in queste società, come infrastrutture e come sovrastrutture.

Se prendiamo invece l'esempio dell'antica Mesopotamia, notiamo che in città come Assur, la maggior parte delle terre della città erano considerate proprietà del dio Assur, che viveva, circondato dai suoi sacerdoti, nel suo tempio posto al centro della città. L'economia funzionava in una specie di sistema centralizzato, posto sotto l'autorità del tempio e dei sacerdoti, che si appropriavano di una parte del lavoro e dei prodotti delle collettività locali e degli individui. In questo esempio, i rapporti religiosi costituiscono il quadro per l'appropriazione della natura e funzionano come rapporti sociali di produzione.

Finalmente, ultimo esempio, nella città-Stato di Atene, nel V secolo, notiamo che solo i cittadini per nascita hanno il diritto esclusivo di possedere porzioni del territorio della città e di coltivarle o farle coltivare dai loro schiavi. L'appartenenza per nascita a una città-Stato dava insieme un certo diritto sulle risorse, accesso alle responsabilità politiche e alle magistrature, l'obbligo di difendere il suolo della patria e infine il vantaggio della protezione degli dèi della città. Come si vede, il fatto di appartenere a una polis, d'intrattenere rapporti «politici» con gli altri membri della città, supera da ogni parte ciò che oggi intendiamo come possesso dei diritti politici o diritto di svolgere attività politica.

Attraverso questi tre esempi vediamo altresì come la distinzione fra rapporti di produzione e sovrastrutture non sia una distinzione di istituzioni, ma anzitutto di funzioni. Proprio questa è l'idea originale di Marx: basta rifarsi al celebre testo delle Forme dei Grundrisse per ritrovare l'equivalente dei tre esempi qui addotti in base a lavori recenti di studiosi di storia e di antropologi. Vediamo così Marx soffermarsi su ciò che chiama «modo di produzione tribale», sul fatto che in seno a una tribù l'individuo accede alla terra e alle sue risorse soltanto per diritto di nascita, ossia attraverso un rapporto con queste risorse preliminare a ogni lavoro, a ogni atto di appropriazione concreta. Così pure elabora il concetto di « modo di produzione asiatica » per designare società in seno alle quali le risorse appartengono a una comunità superiore, a uno Stato personificato da un sovrano reale o da un dio, un signore immaginario. E nello stesso testo definisce il modo di produzione asiatico come un modo di produzione di individui membri per nascita di una città-Stato, e dove la proprietà privata esiste solo come contrapposto e complemento della proprietà statale. In altre parole, i dati accumulati dalla ricerca storica e antropologica muovono nella stessa direzione, e pongono il problema teorico di scoprire le ragioni e le condizioni che hanno portato i rapporti di produzione a cambiare, nel corso della storia, di collocazione e quindi di forme e di effetti. Proprio a tali questioni devono rispondere oggi le scienze sociali.

In realtà, esistono già alcune risposte, ma esse ci sembrano piuttosto dei vicoli ciechi. Taluni studiosi spiegano che, se i rapporti di parentela funzionano in certe società come rapporti di produzione, è perché la parentela domina il pensiero e regola il comportamento dei membri di quelle società. E questa la posizione di Radcliffe-Brown a proposito degli aborigeni australiani. Altri, come Louis Dumont, in Homo hierarchicus,
spiegano che in India l'economia non ha una funzione determinante, perché essa è svolta dalla religione e dal regime delle caste. Altri, infine, come Eric Will, spiegano che nell'antica Grecia l'economia era subordinata alla politica. Non si può fare a meno di osservare che più che di spiegazioni si tratta di tautologie, in quanto si limitano a ripetere sotto altra forma ciò che si impone attraverso i fatti: il predominio della parentela fra gli aborigeni australiani, della religione in India, della politica in Grecia, ma senza spiegare tale predominio.

Per cercare di giungere a una spiegazione è forse il caso di confrontare tra loro questi tre casi. E superfluo osservare che in queste tre società esistono dei rapporti di parentela, ma sono predominanti solo in un caso; che esiste la religione, ma solo in India essa prevale nel funzionamento generale della società. Avanziamo allora l'ipotesi che i rapporti sociali diventano dominanti solo quando funzionano allo stesso tempo come rapporti di produzione, come quadro sociale dell'appropriazione materiale della natura. Se ciò viene verificato, si può supporre che ci sia, tra le funzioni che devono assumere i rapporti sociali perché una società esista come tale, come una totalità organica che si riproduce, una gerarchia. Quando i rapporti sociali, quali che siano, funzionano come rapporti di produzione, essi dominano la riproduzione della società e al tempo stesso le rappresentazioni che organizzano ed esprimono questi rapporti dominanti, dominano il pensiero. Sarebbe questa una parziale verifica dell'ipotesi di Marx sul ruolo determinante, in ultima istanza, del processo di produzione della vita materiale nell'ambito del processo di produzione della società.

Un'altra conseguenza di questa analisi è l'impossibilità per un'unica scienza sociale - si tratti dell'economia, dell'antropologia o della sociologia - di verificare queste ipotesi e di rendere conto della complessità e varietà del movimento della storia. Altri problemi restano da affrontare, e uno dei maggiori che ancora oggi si presenta, e che già Marx aveva incontrato, è quello della funzione delle idee nella formazione e nella trasformazione dei rapporti sociali, quella che chiamerei l'analisi della parte ideale della realtà sociale.

6. La parte ideale del reale e la distinzione fra momento ideologico e non ideologico nel pensiero.

Basta analizzare un processo lavorativo qualsiasi per notare che esso contiene due realtà intimamente mescolate: una parte materiale (il corpo dell'uomo stesso, gli attrezzi che adopera) e una parte ideale (le regole di fabbricazione e d'uso di quegli attrezzi, le rappresentazioni della natura su cui il lavoro si esercita, ecc.). Queste rappresentazioni sono indispensabili per la messa in opera e lo svolgimento regolato del processo lavorativo. Scopriamo dunque all'interno di ogni attività materiale dell'uomo sulla natura un insieme complesso di realtà ideali, la cui presenza e il cui intervento sono necessari perché tale attività abbia luogo. Procedere all'inventario di queste realtà ideali incluse nei diversi processi materiali, e che sono diverse a seconda delle culture e delle epoche, è un compito sterminato e assai arduo, intrapreso da alcuni grandi storici come Needham, per quel che riguarda la Cina, o da antropologi come Conklin, specialisti dei saperi popolari, che si autodefiniscono «etnoscientisti».

Questa parte ideale del processo lavorativo costituisce in qualche modo la sua armatura interna, lo schema organizzatore della sua messa in azione. Ora, queste rappresentazioni non esistono soltanto nel pensiero astratto, ma sono idee espresse in una lingua e comunicate, di generazione in generazione, nel corso dell'apprendimento delle tecniche. Naturalmente questo apprendimento non si riduce alla trasmissione di un sapere attraverso le parole, ma, di là dal linguaggio, passa anche attraverso l'apprendimento corporale. In ogni modo, la conclusione logica di tutto ciò è che il pensiero e il linguaggio funzionano in parte come un elemento delle forze produttive. Ancora una volta, la distinzione fra infrastrutture e sovrastrutture non è una distinzione sostanziale, di realtà realtà materiale o immateriale, ma una distinzione di funzioni. Certo, in un processo lavorativo troviamo anche altre rappresentazioni che «spiegano» perché questo o quel compito deve essere riservato alle donne piuttosto che agli uomini, ai giovani, agli schiavi, agli uomini liberi, agli aristocratici ecc. Insomma, ci troviamo davanti a rappresentazioni che legittimano il posto degli individui e dei gruppi all'interno dei vari processi lavorativi o, se tali processi sono loro proibiti, che legittimano questo divieto.

La stessa dimostrazione potrebbe essere fatta per qualsiasi tipo di rapporti sociali, e ad esempio mostrare che un sistema di parentela, qualunque sia, non può esistere né riprodursi senza mettere in azione realtà ideali ben note agli antropologi: le regole di filiazione, di matrimonio, di residenza, la terminologia della parentela e tutto un insieme di principi che definiscono e legittimano diritti e doveri personali collegati con quei rapporti di parentela e che delimitano ciò che significa in una società essere parenti in rapporto al fatto di essere amici, nemici, estranei, non parenti. Ancora una volta, i rapporti di parentela, anziché esistere al di fuori di quelle realtà ideali e senza di esse, le presuppongono di continuo per esistere. Certo, i rapporti di parentela non si riducono alla sola parte ideale, ma sono al tempo stesso un insieme di rapporti personali di dipendenza sociale e di obblighi materiali. Non sono quindi soltanto ciò che sono nel pensiero, ma anche ciò che fanno fare, concretamente, socialmente. La stessa dimostrazione potrebbe essere svolta a proposito delle attività religiose. E ogni volta ci troviamo davanti a rappresentazioni che organizzano delle attività sociali e al tempo stesso le legittimano.

Ma se le idee non sono semplicemente quelle che sono, bensì anche ciò che fanno fare, come distinguere le idee ideologiche da quelle che non sono tali? E' questo in effetti un problema che la filosofia va affrontando da quando è nata, quando già con Platone cercava di risolvere le differenze fra conoscenza e opinione. Ed è ciò che cercano di fare le scienze dell'uomo quando vogliono rendere conto delle rappresentazioni che i membri di una società si fanno dei propri rapporti sociali, e insieme propongono un'interpretazione differente, ricostruita in seguito a osservazioni compiute da un osservatore straniero.

L'ideale è dunque il pensiero in tutte le sue funzioni, presenti e operanti in tutte le attività dell'uomo, che esiste solo in società in quanto società. Per pensare l'ideale è dunque necessario pensare il pensiero, distinguere le diverse funzioni delle nostre rappresentazioni. Quali sono queste funzioni?

a) Le rappresentazioni rendono presenti al pensiero realtà esterne o interne all'uomo, fra cui il pensiero stesso. Queste realtà possono essere materiali e/o intellettuali, visibili e/o invisibili, concrete e/o immaginarie ecc.

b) Tuttavia, presentare al pensiero una realtà significa sempre, da parte del pensiero, interpretare quella realtà. Interpretare significa spiegare, definire la natura, l'origine e il funzionamento di una realtà presente al pensiero. Non può esistere rappresentazione che non sia al tempo stesso un'interpretazione e che non presupponga l'esistenza di un sistema di rappresentazioni regolate da una logica e da una coerenza specifiche, quali che siano. Queste interpretazioni esistono soltanto attraverso e nel pensiero: quando rappresentano un mondo o una legge invisibile, questo mondo invisibile comincia a esistere socialmente, anche se non corrisponde a niente che esista nella realtà rappresentata.

c) A partire da tali rappresentazioni-interpretazioni, il pensiero organizza i rapporti degli uomini fra loro e con la natura. Esso serve insieme da armatura interna e da finalità astratta. Esiste allora sotto forma di regole di condotta, di principi d'azione, di permessi e divieti, ecc.

d) Finalmente, le rappresentazioni della realtà sono interpretazioni che legittimano o non legittimano i rapporti degli uomini fra loro e con la natura.

Tali, a mio parere, le quattro funzioni principali del pensiero: esse appunto assumono in modo distinto o mescolato le varie realtà ideali indicate negli esempi fatti. possibile, con l'aiuto di tali distinzioni, definire le forme ideologiche del pensiero in rapporto a quelle che non lo sono? La risposta abituale dei marxisti, già presente in Marx, è che le rappresentazioni ideologiche vanno considerate come illusorie, tendenti a legittimare a posteriori rapporti sociali che sarebbero nati senza di esse e di cui esse mascherano il contenuto oppressivo. E' una definizione che, senza essere del tutto falsa, non rende conto però della complessità dei fenomeni di dominio e oppressione. Proprio quando non appaiono agli sfruttati come illusioni o strumento del loro sfruttamento, le idee tanto più contribuiscono a far accettare tale sfruttamento. Ciò significa che queste idee illusorie, per coloro che vi credono, non sono illusioni, e se non lo sono è perché sono considerate «vere» dai dominati come dai dominanti. Spiegare il modo in cui tali rappresentazioni sono condivise fra gruppi d'interessi opposti, fra caste, classi o sessi diversi, dove regnino il dominio e l'oppressione dei maschi, è appunto uno dei problemi chiave della riflessione teorica.

Tale problema si pone a tutte le scienze dell'uomo, come pure alla filosofia, e richiede perché si possa giungere a una risposta una rigorosa analisi dei vari elementi che fanno la forza di un potere di dominio e di oppressione. Di là da questo problema, ma in stretta connessione, si profila il problema di dare una spiegazione alla formazione delle classi dominanti e dello Stato. Su questi due punti sarà necessario soffermarsi.

Ogni potere dominante si compone di due elementi indissolubilmente legati, che ne costituiscono la forza: la violenza e il consenso. Ma se si esclude il caso in cui il dominio è effetto diretto della violenza reale (la guerra) o virtuale (minaccia di ricorrere alla forza) si può dire che, di quei due fattori del potere, la maggior forza non provenga dalla violenza dei dominanti, ma dal consenso dei dominati alloro dominio. Violenza
e consenso non sono in fondo, d'altra parte, realtà escludentisi a vicenda: il consenso è una forza sociale che viene ad aggiungersi alla violenza, pure in opposizione ad essa, e contribuisce a conservare il contrasto, se esiste, fra dominanti e dominati entro forme e proporzioni compatibili con la riproduzione durevole del dominio degli uni sugli altri. Perché individui e gruppi dominati possano consentire coscientemente e inconsciamente alloro dominio, è necessario che questo appaia loro come un servizio reso dai dominanti: ma, ancora una volta, è allora necessario che le medesime rappresentazioni siano condivise da dominanti e dominati, portando a interpretare la divisione dei compiti e i diritti e doveri reciproci come uno scambio necessario.

Prendiamo ad esempio gli inca, che costituivano una società statale, dove lo Stato era personificato dall'Inca, figlio del Sole e dio vivente. Nel giardino del tempio del Sole a Cuzco venivano conservate, come offerte agli dèi, vari esemplari in oro di tutte le piante e di tutti gli animali del Tawantinsuyu, l'Impero dei quattro quartieri, e al primo rango stavano riproduzioni di pannocchie di mais, di lama e di pastori. Ogni anno l'Inca e i membri del suo lignaggio seminavano in un altro giardino, coltivavano con cura e raccoglievano il mais destinato alle grandi feste del culto solare. Che i servizi resi dall'Inca appaiano oggi a noi come «immaginari», mentre il lavoro nei campi dell'Inca o del Sole suo padre, o quello effettuato nei cantieri di costruzione delle strade, dei templi, delle città, dei granai ci appaiano come forme di oppressione e sfruttamento, rivela almeno due cose: che quell'immaginario non era concepito come differente dal reale o ad esso contrapposto; che il monopolio dell'Inca e della sua parentela delle forme « immaginarie » di riproduzione della vita costituiva una delle condizioni fondamentali del loro diritto ad appropriarsi parte del suolo e del lavoro delle comunità di villaggio. Se questo è vero, ciò significa che la religione non è soltanto un riflesso dei rapporti sociali, ma è una condizione della loro formazione, che diventa parte dell'armatura interna dei rapporti di produzione e di sfruttamento.

Tuttavia è anche necessario che i servizi resi dai dominanti non siano stati puramente «illusori » o « invisibili » perché si sia sviluppato il movimento che formava nuove divisioni di ordini, caste, classi. Se prendiamo l'esempio del faraone che nell'antico Egitto era considerato un dio vivente, figlio del Nilo, signore della terra e delle acque, unica sorgente di tutte le forze vitali, di quelle dei suoi sudditi come pure di quelle di tutte le creature esistenti, possiamo notare come non tutto fosse simbolico in questo potere e in questa rappresentazione di un dio benefico, padrone della vita. Non era stata forse necessaria la monarchia capace di realizzare l'unificazione dei due regni dell'alto e basso Egitto, perché gli uomini giungessero a imbrigliare il corso del Nilo, regolandone il flusso, che ogni anno arrecava l'alluvione da cui traeva vita la terra «nera», fertile, circondata da ogni parte dalla terra «rossa », sterile, del deserto?

E' dunque necessario qualcosa di più che la religione, perché questa possa dominare gli animi e la vita sociale; occorrono condizioni storiche particolari perché essa diventi il centro di formazione di rapporti gerarchici, dando forma alla sovranità di una minoranza nella società. Bisognerebbe quindi interrogarsi in collaborazione con archeologi e studiosi di preistoria sui processi che hanno fatto nascere sulla superficie del globo nuove gerarchie di statuti e poteri fra gruppi sociali che conservavano sempre rapporti di parentela in seno a una stessa unità sociale globale (che noi chiamiamo in termini generici « tribiù»). L'archeologia ci insegna che questi processi sono cominciati con la sedentarizzazione di alcuni gruppi di cacciatori-raccoglitori, che disponevano localmente di vaste risorse naturali. Ma tali processi assunsero ampiezza e soprattutto caratteri di diversità soltanto con lo sviluppo dell'agricoltura e dell'allevamento. E' da supporre che proprio lo sviluppo di questi nuovi rapporti materiali degli uomini con la natura e fra loro abbia creato maggiori possibilità di differenziare gli interessi dei gruppi e anche di contrapporli. Ciò creò al tempo stesso la necessità di controllare ritualmente e direttamente una natura sempre meno selvaggia, sempre più addomesticata, senza la quale l'uomo non poteva riprodursi e che a sua volta non poteva riprodursi senza l'uomo (specie animali e vegetali dell'agricoltura e dell'allevamento). E' probabile che queste nuove condizioni materiali e questi nuovi interessi distinti abbiano provocato divisioni apparse inizialmente vantaggiose per tutti, differenze al servizio degli interessi di tutti e, come tali, legittime.

Così, proprio con un paradosso - la necessità di considerare che il processo di formazione di caste e classi dominanti, e di nascita dello Stato sia stato in qualche modo legittimo - vorremmo concludere questo rapido panorama del problema. In questo modo si può pensare che il pluslavoro, esistente in tutte le società senza classi, si sia gradualmente trasformato in superlavoro, in forma di sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo. Per pluslavoro si intendono tutte le attività materiali destinate a riprodurre una comunità in quanto tale, e non gli individui o le famiglie che la compongono. In numerose società, che vengono definite primitive, il lavoro destinato a riprodurre l'individuo e la sua famiglia viene praticato separatamente, mentre esistono forme collettive di lavoro che raggruppano tutte le famiglie o la maggior parte, per la produzione dei mezzi di riproduzione della comunità in quanto tale (celebrazione dei riti, dei sacrifici, preparazione alla guerra, ecc.). E possibile che sia intervenuto un cambiamento nella funzione e nel significato del pluslavoro fornito normalmente per riprodurre la comunità da parte delle famiglie che la compongono, quando tale lavoro era destinato a riprodurre le condizioni d'esistenza di coloro che rappresentavano ormai da soli la comunità stessa e ne incarnavano gli interessi comuni. Così il pluslavoro ha potuto gradualmente trasformarsi in superlavoro, ossia in una forma di sfruttamento.

Questo tipo di analisi, fondato su dati etnografici, archeologici e storici, dovrebbe essere sviluppato fino a consentire di rendere conto dei processi che hanno fatto comparire nella storia degli uomini forme di gerarchia sociale, che in termini piuttosto generici vengono oggi chiamati gli "ordini" della società antica e della società feudale, le "caste" dell'India, le "classi" della moderna società industriale. Da notare inoltre che in tutte queste società esistono forme di Stato e che lo Stato stesso non costituisce pertanto un'unica realtà. Se gli ordini non sono le classi, al pari di queste sono forme di dominio e di sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo, tali da rinviare a un certo grado di sviluppo delle capacità di agire sulla natura e di sfruttare il lavoro umano. Ci sembra che sarebbe errato voler cercare dietro gli ordini antichi o medievali, come pure dietro le caste dell'India classi che sarebbero state «invisibili» per i membri di quelle società, ma che sarebbero visibili per gli storici o gli antropologi moderni, ispirati dal pensiero di Marx. Il marxismo consente non di vedere una cosa diversa, ma di vedere altrimenti.

Ci siamo limitati a esaminare un piccolo settore riguardante i problemi posti dallo studio dei rapporti fra il marxismo e le scienze dell'uomo. Sarebbe stato necessario evocare gli sviluppi recenti dell'ecologia e dell'antropologia culturale, portate a mostrare come le società si siano adattate a diversi ecosistemi e si siano evolute in modo multilineare. L'evoluzionismo unilineare del secolo XIX abbandona ormai definitivamente la scena, sostituito da una visione più complessa dei molteplici modi in cui l'uomo può sfruttare le possibilità del suo ambiente. Tuttavia questa approssimazione ecologica non è priva di tentazioni riduzionistiche: in altre parole, si fa fortemente sentire la tendenza a ricondurre tutte le forme di produzione di nuovi rapporti sociali a un processo di adattamento culturale, a coercizioni biologiche.

Tuttavia il marxismo, proprio perché mette l'accento sulla funzione di talune condizioni materiali, capaci di pesare sul movimento delle società, può trarre molti suggerimenti e contributi dalle analisi dell'ecologia culturale. Va anche notato che sta lentamente riannodandosi un certo dialogo fra marxismo e psicanalisi. Che la sessualità sia oggetto di censura e di repressione, che l'esistenza individuale si costituisca attraverso rapporti intersoggettivi che, sin dalla prima infanzia, comportano identificazione e opposizione tra il fanciullo e coloro che lo circondano, siano essi dello stesso sesso o del sesso opposto, è un'idea che costituisce ormai un'acquisizione della conoscenza, e il marxismo, dal momento che si sforza di spiegare le forme molteplici attraverso cui storicamente l'individualità si sviluppa, non può non confrontarsi con questi risultati.

Complessivamente si può dire esistano tre grandi lacune che attraversano (e non solo il marxismo). Non esiste ancora un teoria soddisfacente dell'incesto, che è peraltro un divieto esistente in tutte le società. In che modo questo divieto si ricollega con basi materiali, ed è possibile pensare che scompaia con l'evolversi di tali basi? Nel pensiero marxista non esiste nemmeno una teoria soddisfacente della religione e delle pratiche simboliche. Inoltre, da tutte le parti viene richiesta una teoria della produzione dei significato che rivestono i rapporti sociali, per gli attori stessi che li inventano e li mettono in pratica. Perché è falsa l'opposizione fra materialismo e idealismo. Come si è visto, l'ideale non è una realtà che sarebbe creata a posteriori; i rapporti sociali nascono sempre nella coscienza e insieme al di fuori di essa. Per questo fra pensiero e realtà sociale esiste sempre un intimo rapporto essenziale. Né si può dire che oggi esista una teoria marxista del linguaggio: vi sono analisi di tendenza marxista che mettono in risalto gli aspetti sociali del linguaggio; ma chi parli a chi, e in che modo, e in quale contesto, non è chiarito. Resta sempre da spiegare la realtà non circoscrivibile della differenza fra le lingue naturali, fra le lingue fondate su toni, su accenti, ecc.

E infine - e questo ci riporta all'attualità bruciante dell'oggi - bisogna notare che non vi è una teoria marxista dei processi che hanno condotto alla comparsa del socialismo in paesi come la Cina, il Vietnam, l'Angola, Cuba. Nel 1881 Marx aveva pensato che la Russia potesse risparmiarsi l'esperienza del capitalismo, per passare direttamente al socialismo, a condizione d'incorporare le acquisizioni dello sviluppo delle forze produttive nate dal capitalismo. Nel 1893, due anni prima di morire, Engels pensava che il socialismo non fosse più possibile in Russia, diventata un paese capitalistico, giovane ma dinamico. Nel 1905 la rivoluzione scoppiava in Russia e falliva. Nel 1917 riusciva. Lenin spiegava questo con la teoria dell'anello più debole della catena, e in seguito altri anelli si sono spezzati in paesi non previsti dai marxisti occidentali. L'eccezione è divenuta la regola, e sarebbe necessario capirla, spiegandola teoricamente.

Esiste poi un'ultima, colossale difficoltà. Il marxismo è diventato nei paesi socialisti una filosofia di Stato, un modo di pensare obbligatorio, non solo per analizzare il reale, ma anche per occupare una posizione nella società, per fare carriera. Il marxismo, a questo punto, ha cominciato a degenerare e da strumento di analisi critica, capace di servire cause rivoluzionarie, è diventato un modo conformista di argomentare, che evita accuratamente di confrontarsi con la sua impotenza nel rendere conto della realtà. Fra il pensiero di Marx e noi è venuta a crearsi una barriera creata da un secolo di sviluppi imprevisti, fra cui dobbiamo anche annoverare la nascita di vari marxismi, come quello di Mao Zedong, di Kim Il Sung o di Brenev, che si allontanano sempre più da Marx, reinterpretandolo come possono, in funzione delle realtà concrete che devono affrontare. Non esiste più, nell'ambito delle scienze umane, un unico punto dal quale si possa procedere all'interpretazione totalizzante dei diversi aspetti della realtà.