Considerazioni finali


Ho detto a voce e ho scritto che dedicare a Marx solo cinque Conferenze è una “follia”: equivale, né più né meno, a voler scalare l’Everest con un paio di scarpe da ginnastica.

Il tragitto di fatto è risultato impervio (per me e per gli uditori).

La lettura dei testi delle Conferenze potrebbe sopperire a quel tanto di confusione che si genera quando ci si confronta con una genialità straordinaria. Essa è, però, impegnativa e implica riferimenti continui sia alle opere di Marx che ad una letteratura sterminata.

Il materiale bibliografico (anche non considerando le opere originali di Marx, che sono tutte di ardua lettura) è imponente, ma si tratta pur sempre di un tentativo di vuotare l’acqua del mare con un bicchiere.

Nel suo saggio, Attali rileva che in Marx c’è qualcosa di eccedente, vale a dire di eccessivo e, al tempo stesso, di allusivo a qualcos’altro.

Gli eccessi, su cui ci siamo soffermati, sono riconducibili al tentativo di ingabbiare la storia della specie umana sul pianeta nella cornice di un’interpretazione totalizzante che fa di essa una “rivelazione” dell’uomo a se stesso; rivelazione imprescindibile da un senso e da un fine.

Oggi sappiamo che questa “rivelazione” deve fare i conti con l’indefinita tendenza degli esseri umani a mistificare. Non è forse lecito affermare che essi preferiscono le tenebre alla luce. Non è azzardato sostenere, però, che preferiscono un tenue lucore che consente loro di stare tranquilli, ad una verità inquietante: quella per cui, da sempre e ancora oggi, i mali maggiori che affliggono l’umanità sono dovuti all’uomo stesso, e si aggiungono a quelli che la natura gli ha dato in sorte.

L’allusione riguarda ovviamente il “sogno” di Marx, di un mondo di esseri attivi, collaborativi, solidali e impegnati nel duro compito dell’umanizzazione.

Oggi, quel “sogno” non può più essere riproposto in termini storicistici. Anche mettendo da parte l’ineluttabile determinismo di una rivoluzione comunista, che non è mai stato espresso da Marx, rimane il fatto che non esiste alcun soggetto rivoluzionario (nonostante le immani sofferenze che gravano su di una quota rilevante della popolazione mondiale), né una cultura orientata verso la fuoriuscita dell’umanità dalla sua preistoria, né una volontà politica di andare al di là dell’esistente.

Paradossalmente, però, il “sogno” di Marx sembra trovare riscontro, almeno per quanto concerne la sua realizzabilità, nelle scoperte più recenti sul cervello umano. Le potenzialità ridondanti di cui esso dispone non possono essere ricondotte ad una finalità adattiva. Esse contengono, sia pure in forma embrionale, il modello di uomo onnilaterale o totale cui fa riferimento Marx: di un uomo cioè che, utilizzando gli sforzi produttivi di tutte le generazioni che lo hanno preceduto, utilizza la ricchezza sociale per sviluppare appieno il suo essere sotto il profilo individuale e sociale.

Che tale sviluppo non debba essere necessariamente unilaterale, com’è avvenuto in passato, è attestato dalla dotazione, per un verso, di una empatia intensa, che, comportando l’identificazione con l’altro che soffre, può esitare in una socialità solidale a livello universale, e, per un altro, di un bisogno di individuazione la cui realizzazione, essendo autoappagante, non implica né l’egoismo né un’aspra competitività sociale, bensì piuttosto una valorizzazione dell’individuo vantaggiosa anche per gli altri.

Se le cose stanno così, c’è da chiedersi come mai l’umanità appaia ancora così lontana dall’avviare la realizzazione di tale “sogno” da non rendersi conto che solo essa giustifica l’immane travaglio della storia umana.

Una risposta possibile verte sullo statuto della coscienza umana che appare a tal punto alienata nella fascinazione del mondo stregato prodotto dal Capitalismo da non riuscire a prendere contatto con la ricchezza e l’umanità dei bisogni che essa alberga nel suo intimo.

Sostenere che è la natura umana, vale a dire l’inconscio neurobiologico, il “soggetto” rivoluzionario di cui Marx andava alla ricerca, sembra poco meno che assurdo e ridicolo. Ma è un’assurdità che ha la sua ragione d’essere.

La fenotipizzazione storica dei bisogni intrinseci ha avuto una lunga gestazione. Nel momento in cui la Rivoluzione francese ha sancito l’uguaglianza e la libertà come diritti naturali, il processo di fenotipizzazione è giunto a termine sul piano giuridico e costituzionale. Purtroppo, l’egemonia raggiunta dalla borghesia ha associato a quei diritti quello di proprietà privata. Questa associazione ha invalidato il pieno dispiegamento dell’essere umano sul piano della socialità e dell’individualità.

Marx ha sostenuto che quei bisogni sono stati generati dallo sviluppo storico. E’ senz’altro vero. Il “parto” però non sarebbe potuto avvenire se essi non avessero fatto parte da sempre della natura umana. La storia che li ha prodotti ha determinato, però, finora il loro riconoscimento formale, ma non sostanziale. Anche in un contesto democratico, l’uguaglianza e la libertà individuale sono in perpetua contraddizione tra loro. L’individuo borghese si afferma anestetizzando la sua sensibilità, naturalizzando o ritenendo fatali gli squilibri sociali, dedicandosi all’interesse privato e rimuovendo il riferimento alla sua appartenenza.

Come venire fuori da questa trappola? Marx ha identificato nella classe proletaria la levatrice di un mondo nuovo. Tale identificazione è stata smentita dalla storia e non è più proponibile perché è ormai evidente che, laddove il Capitalismo si afferma, esso produce “naturalmente” l’egemonia di una mentalità piccolo-borghese che cattura la maggioranza della popolazione e rappresenta lo zoccolo duro di un Potere che lo tutela.

Questo inesorabile inquinamento della Democrazia, previsto da Tocqueville come un pericolo da scongiurare e che invece si è compiutamente realizzato, spiega le aberrazioni del Comunismo così come si è realizzato sinora.

Come tutte le tragedie storiche, anche quella comunista comporta, però, un insegnamento. Un progetto di superamento dell’esistente non può prescindere da un’avanguardia che, realizzando un modo di essere affrancato da quello borghese, sostanzialmente compulsivo e infelice, affascini l’umanità e promuova l’intuizione collettiva che un altro mondo è possibile.

Sono coloro che, sormontando l’alienazione, riusciranno a recuperare e a coltivare un contatto autentico con la loro natura umana, i precursori di una Rivoluzione antropologica, economica, sociale e culturale. In Breve storia del futuro, Attali li definisce “transumani”.

Il termine è suggestivo e, dunque, equivocabile.

E’ arduo essere d’accordo con Attali il quale ritiene che esso faccia riferimento a una genia di “tecnocrati” illuminati. L’illuminazione, senza la passione dell’umano, porta inesorabilmente all’elitarismo. I “transumani” saranno semplicemente e presumibilmente soggetti umanizzati, se per umanizzazione s’intende la passione illuminata che porta l’individuo a concepire il suo sviluppo integrale come tributo alla storia della specie cui appartiene.

Un marxismo che riconosca la sua matrice nella neurobiologia sembra aberrante. Ma non è aberrante pensare che il “destino” dell’uomo si giochi in rapporto all’uso che egli riuscirà a fare di una “natura” che egli non ha prodotto e che, finora, ha amministrato in un modo al tempo stesso esaltante e tragico.

C'è infine un ultimo problema, di ordine politico. Cosa potranno mai fare i "transumani" in una società egemonizzata dalla mentalità piccolo-borghese?

E' a questo punto che il pensiero di Marx va riconosciuto nella sua potenza. Egli ha analizzato in maniera impeccabile la logica degenerativa intrinseca al capitalismo. Questa logica è in atto, ma comporta all'orizzonte una crisi non superabile dalla democrazia liberista.

La globalizzazione economica trascende i confini delle nazioni, e pretende di utilizzare i territori planetari come aree di sperimentazione della valorizzazione del denaro. Le nazioni, però, esistono e i governi sono locali. Essi tentano disperatamente di difendersi dalla forza d'urto del capitalismo selvaggio, ed è questa difesa, peraltro poco efficace, ad assicurare loro il consenso di una maggioranza della popolazione spaventata, ma incapace di capire cosa sta avvenendo. Allorché i capitali finanziari avranno demolito, con la loro stessa crescita, le barriere opposte dai governi nazionali, i cittadini non avranno più difese dal gelido e indifferente vento della globalizzazione che, come Marx ha previsto, spazza via tutto ciò che ad esso si oppone.

La precarietà assoluta e intollerabile, se non la miseria, aprirà finalmente gli occhi alla gente. Allora, forse, la partita della storia si giocherà nuovamente all'insegna di un motto prematuramente rimosso: Socialismo o Barbarie.