Una difficoltà della psicoanalisi

1916

Voglio dichiarare fin dall'inizio che non mi riferisco a una difficoltà concettuale, a qualcosa che renda la psicoanalisi poco accessibile all'intelligenza di chi attraverso letture o conferenze ne prenda visione, ma a una difficoltà affettiva: qualcosa per cui la psicoanalisi si aliena i sentimenti del lettore o dell'ascoltatore, rendendolo meno disposto a rivolgerle interesse e a prestarle fede. Le due difficoltà, del resto, danno luogo, come è ovvio, al medesimo risultato, giacché chi ha poca simpatia per una cosa non ha certo facilità a comprenderla.

Per riguardo al lettore, che suppongo ancora del tutto ignaro, devo cominciare un po' da lontano. Nella psicoanalisi si è venuta a poco a poco configurando, sulla base di un gran numero di singole osservazioni e determinazioni, una sorta di teoria nota sotto il nome di "teoria della libido". La psicoanalisi si occupa, come è noto, della spiegazione e della abolizione dei cosiddetti disturbi nervosi; ma occorreva trovare un punto di partenza per affrontare questo problema, e ci decidemmo a cercarlo nella vita pulsionale della psiche umana. Fondamento della nostra concezione del nervosismo divennero perciò particolari ipotesi sulla vita pulsionale dell'uomo.

La psicologia che si insegna nelle nostre scuole, quando la interpelliamo sui problemi della vita psichica, ci dà risposte assai poco soddisfacenti; ma in nessun campo le sue informazioni sono più meschine che in quello delle pulsioni.

Stava dunque a noi scegliere il modo migliore per procurarci un primo orientamento. La concezione popolare distingue la fame e l'amore quali rappresentanti, rispettivamente, delle pulsioni che spingono il singolo essere a conservarsi e di quelle che lo spingono a riprodursi. Accettando questa distinzione assolutamente ovvia, anche noi, in psicoanalisi, contrapponiamo alle pulsioni della conservazione individuale o dell'Io, le pulsioni sessuali; e diciamo l'energia con la quale la pulsione sessuale si manifesta nella vita psichica libido (la brama sessuale), concependola come qualche cosa di analogo alla fame, alla volontà di potenza e cosi via, proprie delle pulsioni dell'Io.

Sulla base di questa ipotesi facciamo poi le prime significative scoperte. Apprendiamo infatti che per capire le malattie nevrotiche l'importanza di gran lunga maggiore spetta alla pulsione sessuale; che le nevrosi sono per così dire le malattie specifiche della funzione sessuale; che dipende dalla quantità della libido, e dalla possibilità di soddisfarla e scaricarla attraverso il soddisfacimento, se un uomo in genere si ammala di una nevrosi; che la forma stessa della malattia è determinata dal modo in cui il singolo ha percorso la via di sviluppo della pulsione sessuale o, come noi diciamo, dalle fissazioni che la sua libido ha subito nel corso di quello sviluppo; e che, grazie a una certa tecnica, non troppo semplice, di influenzamento psichico, possediamo un mezzo per chiarire e nello stesso tempo per far recedere alcuni gruppi di nevrosi. La nostra attività terapeutica ha ottenuto il suo miglior risultato in relazione a una particolare classe di nevrosi che sono originate da un conflitto tra le pulsioni dell'Io e le pulsioni sessuali. Capita infatti spesso all'uomo che i bisogni della pulsione sessuale, i quali vanno ben oltre l'essere singolo, appaiano all'Io come pericoli che minacciano la sua conservazione e la sua considerazione di sé. L'Io si mette allora sulla difensiva, non concede alla pulsione sessuale il soddisfacimento desiderato costringendola a deviare verso un soddisfacimento sostitutivo, che si manifesta sotto forma di sintomi nervosi.

La terapia psicoanalitica consente di sottoporre a una revisione il processo di rimozione e di avviare il conflitto a una soluzione migliore, compatibile con lo stato di salute. I nostri incomprensivi avversari ci rimproverano a questo punto la unilateralità del nostro modo di valutare le pulsioni sessuali: l'uomo — essi obiettano — ha, oltre a quelli sessuali, anche altri interessi. Ma ciò noi non l'abbiamo mai, neppure per un istante, dimenticato o rinnegato. La nostra unilateralità è infatti analoga a quella del chimico, il quale riconduce la struttura delle varie sostanze alla forza dell'attrazione chimica: egli non disconosce con ciò la forza di gravità, ma lascia che sia il fisico a occuparsene.

Durante il lavoro terapeutico dobbiamo preoccuparci della ripartizione della libido nell'ammalato; cerchiamo di capire a quali rappresentazioni oggettuali la libido è legata e la rendiamo libera per metterla a disposizione dell'Io. Siamo giunti in tal maniera a farci un quadro singolare della ripartizione originaria, iniziale, della libido nell'uomo, e siamo stati indotti ad ammettere che, all'inizio dello sviluppo individuale, tutta quanta la libido (e cioè ogni impulso erotico, ogni capacità di amore) è collegata alla propria persona, o — come noi diciamo — investe lo stesso Io del soggetto. Solo più tardi accade che, appoggiandosi ai grandi bisogni dell'esistenza, la libido trabocchi dall'Io sugli oggetti esterni: solo cosi ci è consentito di riconoscere le pulsioni libidiche come tali, e di distinguerle dalle pulsioni dell'Io. La libido può però venir nuovamente staccata da quegli oggetti e ritirata nell'Io.

Chiamiamo narcisismo lo stato in cui l'Io trattiene presso di sé la libido, e ciò in ricordo della favola greca del giovane Narciso, che s'innamorò della propria immagine riflessa.

Pensiamo dunque che l'individuo compia un progresso passando dal narcisismo all'amore oggettuale. Riteniamo tuttavia che la libido non possa mai passare nella sua interezza dall'Io agli oggetti. Un certo importo libidico rimane sempre nell'Io; un certo grado di narcisismo continua cioè a sussistere anche se l'amore oggettuale è fortemente sviluppato. L'Io è un grande serbatoio, da cui defluisce la libido destinata agli oggetti, e in cui essa ritorna a refluire. La libido oggettuale era all'inizio libido dell'Io, e può tornare a convertirsi in libido dell'Io. È essenziale per la completa sanità della persona che la libido non perda la sua completa mobilità. Per rendere intuibili questi rapporti, pensiamo a un animaletto protoplasmatico, la cui materia viscosa emetta degli pseudopodi, e cioè delle propaggini o protuberanze in cui la sostanza vitale si protende, le quali possono però venir ritratte quando che sia, in modo da ristabilire la forma originaria della piccola massa protoplasmatica.

Ciò che ho cercato di illustrare con queste considerazioni è la teoria della libido nelle nevrosi; su di essa si fondano tutte le nostre concezioni intorno all'essenza di questi stati morbosi e il nostro procedimento terapeutico per combattere questi stati. È chiaro tuttavia che riteniamo validi i presupposti della teoria della libido anche per il comportamento normale. Parliamo di un narcisismo del bambino piccolo, e attribuiamo a un eccessivo narcisismo dell'uomo primitivo il fatto che egli creda all'onnipotenza dei suoi pensieri e voglia perciò influire sul corso degli avvenimenti del mondo esterno mediante la tecnica della magia.

Dopo questa introduzione, vorrei mostrare come al narcisismo universale, all'amor proprio dell'umanità, siano state fino a ora inferte tre gravi umiliazioni da parte dell'indagine scientifica.

a)  Dapprima, all'inizio delle sue indagini, l'uomo riteneva che la sua sede, la terra, se ne stesse immobile al centro dell'universo, mentre il sole, la luna e i pianeti si muovevano attorno ad essa con traiettorie circolari. L'uomo seguiva in ciò, in maniera ingenua, l'impressione ricavata dalle sue percezioni sensoriali: non avvertiva infatti un movimento della terra, e dovunque volgesse liberamente lo sguardo, si trovava sempre al centro di un cerchio che racchiudeva il mondo esterno. La posizione centrale della terra era comunque una garanzia per il ruolo dominante che egli esercitava nell'universo, e gli appariva ben concordare con la sua propensione a sentirsi il signore di questo mondo.

La distruzione di questa illusione narcisistica si collega per noi al nome e all'opera di Niccolò Copernico nel sedicesimo secolo. Assai prima di lui i pitagorici avevano già dubitato della posizione privilegiata della terra, e Aristarco di Samo nel terzo secolo avanti Cristo aveva affermato che la terra è assai pili piccola del sole e si muove attorno a questo corpo celeste. Anche la grande scoperta di Copernico era dunque già stata fatta prima di lui. Quando tuttavia essa fu universalmente riconosciuta, l'amor proprio umano subì la sua prima umiliazione, quella cosmologica.

b)  L'uomo, nel corso della sua evoluzione civile, si eresse a signore delle altre creature del mondo animale. Non contento di un tale predominio, cominciò a porre un abisso fra il loro e il proprio essere. Disconobbe ad esse la ragione e si attribuì un'anima immortale, appellandosi a un'alta origine divina che gli consentiva di spezzare i suoi legami col mondo animale. È curioso come questa presunzione sia estranea tanto al bambino piccolo, quanto al selvaggio e all'uomo delle origini. Essa è il risultato di un ulteriore sviluppo delle pretese umane. Il primitivo, nello stadio del totemismo, non trovava difficoltà a far derivare la propria stirpe da un progenitore appartenente al regno animale. Il mito, in cui si trovano i residui di questa antica forma di pensiero, fa assumere agli dèi aspetti animali, e l'arte delle origini rappresenta gli dèi con teste di bestie. Il bambino non coglie alcuna differenza tra l'essere proprio e quello degli animali, e non si meraviglia che nelle favole le bestie pensino e parlino; sposta un affetto d'angoscia, che si riferisce al padre umano su un cane o su un cavallo, e ciò senza il proposito di denigrare il padre. Soltanto quando sarà cresciuto si sentirà cosi estraniato dagli animali da poter usare i loro nomi per ingiuriare gli uomini.

Sappiamo che le ricerche di Charles Darwin e dei suoi collaboratori e predecessori hanno posto fine, poco più di mezzo secolo fa, a questa presunzione dell'uomo. L'uomo nulla di più è, e nulla di meglio, dell'animale; proviene egli stesso dalla serie animale ed è imparentato a qualche specie animale di più e a qualche altra di meno. Le sue successive acquisizioni non consentono di cancellare le testimonianze di una parità che è data tanto nella sua struttura corporea, quanto nella sua disposizione psichica. E questa è la seconda umiliazione inferta al narcisismo umano, quella biologica.

e) La terza umiliazione, di natura psicologica, colpisce probabilmente nel punto più sensibile.

L'uomo, anche se degradato al di fuori, si sente sovrano nella propria psiche. Ha creato in un qualche luogo, nel nucleo stesso del suo Io, un organo ispettivo che sorveglia i suoi impulsi e i suoi atti, per controllare se corrispondono alle sue esigenze. Se ciò non accade, tali atti e impulsi vengono inesorabilmente inibiti e trattenuti. La sua percezione interna, la sua coscienza, ragguaglia l'Io su tutti i processi importanti che si svolgono nella psiche, e la volontà, guidata da tali informazioni, dà corso a quanto è compatibile con l'Io, mentre modifica ciò che tenderebbe ad attuarsi in modo indipendente. Infatti questa psiche non è qualcosa di semplice, ma piuttosto una gerarchia di istanze egemoni e subordinate, un groviglio di impulsi i quali tendono ad attuarsi indipendentemente l'uno dall'altro, in corrispondenza della molteplicità delle pulsioni e delle relazioni col mondo esterno, pulsioni e relazioni spesso contrastanti e tra loro incompatibili. È necessario, per la integrità funzionale, che l'istanza superiore abbia nozione di tutto ciò che può accadere, e che la volontà di questa istanza possa penetrare ovunque per imporre il suo influsso. L'Io, comunque, si sente sicuro tanto della completezza e fedeltà delle informazioni di cui dispone, quanto dei mezzi col cui tramite rende effettivi i suoi comandi.

In determinate malattie, e specialmente nelle nevrosi che noi abbiamo studiato, le cose vanno diversamente. L'Io si sente a disagio, incontra limiti al proprio potere nella sua stessa casa, nella psiche. Appaiono improvvisamente pensieri di cui non si sa donde provengano; e non si può far nulla per scacciarli. Questi ospiti stranieri sembrano addirittura più potenti dei pensieri sottomessi all'Io, e tengono testa a tutti quei mezzi, pur già tante volte collaudati, di cui dispone la volontà; non si lasciano turbare dalla confutazione logica, né li tange la testimonianza opposta della realtà. Oppure sorgono impulsi che sono come quelli di un estraneo, talché l'Io li rinnega, pur essendo però costretto a temerli e a prender le proprie misure contro di essi. L'Io dice a sé stesso che si tratta di una malattia, di una invasione straniera, e accentua la propria vigilanza; ma non può capire perché gli accada di sentirsi inceppato in una maniera tanto strana.

Vero è che per questi casi la psichiatria contesta che si tratti di estranei e maligni spiriti i quali si sarebbero insinuati nella vita psichica; ma poi con un'alzata di spalle si limita a dire: "Degenerazione, disposizione ereditaria, minorazione costituzionale!" La psicoanalisi si propone invece di spiegare queste inquietanti forme morbose, intraprende lunghe e accurate indagini, si crea all'uopo concetti e costruzioni teoriche, e può alla fine dire all'Io: "Nulla di estraneo è penetrato in te, ma una parte della tua vita psichica si è sottratta alla tua conoscenza e al dominio della tua volontà. Proprio per questo la tua difesa è cosi fiacca. Con una parte delle tue forze tu combatti contro l'altra parte, non puoi raccogliere tutte le tue energie come contro un nemico esterno. E non è neppure la parte peggiore o meno rilevante delle tue forze che si è messa contro di te e si è resa indipendente da te. La colpa, dobbiamo dire, è tua. Hai sopravvalutato la tua potenza quando hai creduto di poter fare quel che volevi con le tue pulsioni sessuali, e hai ritenuto che non fosse necessario avere alcun riguardo per i loro propositi. Perciò si sono ribellate e hanno seguito le loro oscure vie per sottrarsi alla repressione e farsi giustizia da sé in un modo che non può più andarti a genio. Come siano giunte a ciò e quale strada abbiano seguito non lo sai; solo il risultato di questo lavoro, il sintomo, che tu avverti come sofferenza, ti è noto. Per questo non lo riconosci come un derivato delle tue stesse pulsioni ripudiate, e non sai che esso ne costituisce il soddisfacimento sostitutivo.

"L'intero processo è tuttavia reso possibile solo dal fatto che sei in errore anche su un altro punto essenziale. Tu confidi nel fatto di essere informato su ciò che accade nella tua psiche, giacché la coscienza ti comunica tutto quello che ha una certa importanza. Quindi se non hai ricevuto notizia alcuna di qualche cosa che è avvenuto nella tua psiche, giudichi fiduciosamente che non vi sia dentro nulla. Già, e ti spingi addirittura al punto da ritenere che psichico sia identico a cosciente, ossia noto a te; e questo malgrado vistosissime testimonianze che nella tua vita psichica ci sono assai più cose di quante possono divenir note alla tua coscienza. Lascia dunque che ti dica una cosa su quest'ultimo punto. Lo psichico non coincide affatto in te con ciò che ti è cosciente. L'attuarsi di qualche cosa nella tua psiche e il fatto che questo qualche cosa ti sia anche noto, son due faccende diverse. D'abitudine, ammettiamolo pure, il servizio d'informazioni della tua coscienza basta ai tuoi bisogni; ma in molti casi, come ad esempio in quello di un simile conflitto pul-sionale, esso vien meno; e allora il tuo volere non va al di là del tuo sapere. In altri casi, inoltre, queste notizie della tua coscienza sono incomplete e inattendibili; e accade abbastanza spesso che tu venga informato degli avvenimenti dopo che questi si sono già compiuti e non puoi più modificarli. Nessuno può, anche se non sei ammalato, valutare tutto quello che si agita in te e di cui non sai nulla o sei falsamente informato. Tu ti comporti come un sovrano assoluto che si accontenta delle informazioni del suo primo ministro senza scendere fra il popolo per ascoltarne la voce. Rientra in te, nel tuo profondo, se prima impari a conoscerti, capirai perché ti accade di doverti ammalare; e forse riuscirai a evitare di ammalarti."

Cosi la psicoanalisi voleva istruire l'Io. Ma le due spiegazioni — che la vita pulsionale della sessualità non si può domare completamente in noi, e che i processi psichici sono per sé stessi inconsci e soltanto attraverso una percezione incompleta e inattendibile divengono accessibili l'Io e gli si sottomettono — equivalgono all'asserzione che l'Io non è padrone in casa propria. Esse costituiscono insieme la terza umiliazione inferta all'amor proprio umano, quella che chiamerei psicologica. Non c'è quindi da meravigliarsi se l'Io non concede la propria benevolenza alla psicoanalisi e continua ostinatamente a non crederle.

Probabilmente pochissimi uomini hanno compreso che ammettere l'esistenza di processi psichici inconsci significa compiere un passo denso di conseguenze per la scienza e per la vita. Affrettiamoci comunque ad aggiungere che un tale passo la psicoanalisi non l'ha compiuto per prima. Molti filosofi possono esser citati quali precursori, e sopra tutti Schopenhauer, la cui "volontà" inconscia può essere equiparata alle pulsioni psichiche di cui parla la psicoanalisi. Si tratta del resto dello stesso pensatore che, con enfasi indimenticabile, ha anche rammentato agli uomini l'importanza, tuttora misconosciuta, delle loro aspirazioni sessuali. La psicoanalisi ha quest'unico vantaggio: che non si limita ad affermare astrattamente i due principi, tanto penosi per il narcisismo, dell'importanza della sessualità e della inconsapevolezza della vita psichica, ma li dimostra mediante un materiale che riguarda personalmente ogni singolo individuo, costringendolo a prendere posizione di fronte a questi problemi. Ma appunto per questo essa attira su di sé quell'avversione e quelle resistenze che di fronte al gran nome del filosofo non osavano ancora manifestarsi.