Affetto

(ingl. Affect; ted. Affekt; fr. affect)

Termine psicoanalitico che indica l'espressione qualitativa della quantità di energia pulsionale. L'affetto può essere infatti penoso o gradevole, vago o specifico, a scarica violenta o a tonalità diffusa. Secondo S. Freud l'affetto è sempre legato a una rappresentazione (§ 1, a) perché affetto e rappresentazione sono le due modalità con cui ogni pulsione si esprime.

. Psicoanalisi. Il concetto di affetto compare nelle prime opere di Freud, che interpreta la sintomatologia isterica a partire da un evento traumatico a cui non è seguita una scarica dell'affetto ad esso connesso. In questi casi l'azione terapeutica consiste, tramite la rievocazione del ricordo, nel provocare la reviviscenza dell'affetto, consentendone il deflusso. Qualora l'-» abreazione non abbia luogo e l'affetto rimanga bloccato, tre sono, per Freud, gli esiti possibili: «Conosco tre meccanismi: 1. conversione dell'affetto (isteria di conversione); 2. spostamento dell'affetto (ossessione); 3. trasformazione dell'affetto (nevrosi d'angoscia, melanconia)» (1887- 1902, p. 74).

Le tre variazioni sottintendono un'autonomia dell'affetto dalle sue manifestazioni per spiegare la quale Freud ricorrerà alla distinzione tra affetto, che è la traduzione soggettiva della quantità di energia pulsionale, e importo d'affetto dell'energia pulsionale, a proposito della quale Freud scrive che «corrisponde alla pulsione nella misura in cui quest'ultima si è staccata dalla rappresentazione e trova un modo di esprimersi proporzionato al suo valore quantitativo in processi che vengono avvertiti sensitivamente come affetti» (1915a, p. 43).

In seguito Freud formulerà l'ipotesi genetica degli affetti secondo la quale essi sarebbero «riproduzioni di eventi più antichi, di vitale importanza, magari preindividuali, e questi affetti li paragoniamo, quali attacchi isterici universali, tipici e innati, agli attacchi della nevrosi isterica, acquisiti tardi e individualmente» (1925a, p. 281).

O. Fenichel elenca tra i meccanismi di difesa contro gli affetti: a) il -► blocco che si tradisce nei sogni, nei sintomi e nelle formazioni sostitutive; b) la -► posposizione con manifestazione ritardata della scarica affettiva; c) lo -► spostamento che trasferisce l'affetto connesso a una rappresentazione intollerabile su un'altra rappresentazione di per sé indifferente, ma che in seguito allo spostamento dell'affetto diventa oggetto di un'attenzione ossessiva; d) la formazione reattiva che si produce nel tentativo di dominare un affetto inaccettabile con l'esagerazione della tendenza opposta; e) 1'-► isolamento dell'affetto dall'intera connessione psichica; f) la -► proiezione attraverso la quale si attribuiscono ad altri quegli affetti che non si accetta di possedere.

2. Psicologia analitica. C.G. Jung afferma che «per affetto è da intendersi uno stato di sentimento caratterizzato da un lato da percettibili innervazioni corporee, dall'altro da un peculiare disturbo del decorso rappresentativo. Come sinonimo di affetto uso anche emozione. Contrariamente a Bleuler distinguo il sentimento dall'affetto per quanto frontiere precise non ne esistano: ogni sentimento, infatti, quando acquista una certa intensità, dà luogo a innervazioni corporee trasformandosi quindi in affetto. Tuttavia per motivi di ordine pratico sarà bene distinguere l'affetto dal sentimento, giacché quest'ultimo può essere una funzione di cui la volontà può disporre a suo piacimento, il che di solito non si può dire dell'affetto» (1921, p. 415). Approfondendo questa distinzione Jung prosegue dicendo: «Io concepisco l'affetto da un lato come uno stato di sentimento di natura psichica, dall'altro come uno stato di innervazione corporea di natura fisiologica; tali stati, sommandosi, agiscono l'uno sull'altro; vale a dire che, centua, si associa ad essa una componente sensoriale attraverso la quale l'affetto si accosta alla sensazione differenziandosi nettamente dallo stato di sentimento. Io considero gli affetti particolarmente pronunciati, accompagnati cioè da violente innervazioni corporee, come appartenenti al campo della funzione sensoriale e non a quello della funzione di sentimento» (1921, p. 415-416).