Niles Eldredge

Darwin

Codice edizioni, Torino 2006

La metodologia di Darwin pp. 46-57

La creatività del genio scientifico di Darwin sta proprio nel modo in cui derivò il fatto stesso dell'evoluzione, nel modo in cui si convinse che le specie non sono immutabili, ma piuttosto danno origine l'una all'altra, molto prima di scoprire la selezione naturale. Tra il 1838 e il 1842-1844, le due componenti - l'evoluzione come fatto e la selezione naturale interagirono nella sua mente in un modo curioso, molto illuminante, e la lettura dei suoi scritti ci offre la rara possibilità di cogliere l'essenza della creatività scientifica, e anche della relazione tra le parti inconsce e le parti analitiche del processo del ragionamento scientifico (o di qualsiasi altro tipo). I taccuini di Darwin, i manoscritti inediti, le lettere e infine le pubblicazioni (in primo luogo, com'è ovvio, L'origine delle specie, ma anche L'origine dell'uomo) svelano in una certa misura la creatività in azione.

Quel che Darwin aveva in mente, quando scrisse di avere «una teoria con cui lavorare», era partire dalla selezione naturale e cercare di derivare, come "predizioni", le conseguenze previste dell'azione della selezione naturale per lunghissimi periodi. Dalla selezione naturale, Darwin cercò di derivare quegli stessi schemi di base che aveva osservato nel mondo naturale, fra cui i tre schemi originari che per primi lo avevano condotto all'evoluzione. Prima, però, si era dovuto imbattere in questi schemi e lasciare che affiorassero alla comprensione cosciente.

Quando si imbarcò sul Beagle, Darwin era ancora fondamentalmente un creazionista, soddisfatto delle argomentazioni del reverendo William Paley, docente a tempo parziale a Cambridge, che attribuiva all'Onnipotente la responsabilità della comparsa di nuove specie. Con una metafora ancora molto viva negli scritti degli artefici del Disegno Intelligente del creazionismo moderno, Paley aveva scritto nella Natural Theology [Teologia naturale] del 1802 che, trovando per caso un orologio per terra, chiunque ne dedurrebbe automaticamente non solo che qualcuno possedeva quell'orologio e accidentalmente lo ha lasciato cadere, ma anche che qualcuno lo ha fabbricato. Le complessità della fattura e della realizzazione sono tali che l'orologio deve essere stato concepito e costruito da un progettista intelligente - in questo caso un essere umano, un orologiaio. E questo è vero, sosteneva Paley, anche per i prodotti della Natura: le complessità del corpo di un animale si possono spiegare soltanto grazie al fatto che è stato concepito non solo dai suoi genitori, ma dal Creatore stesso. Solo Dio può creare un albero.

A Cambridge, quando era ancora molto giovane, Darwin si dichiarò affascinato, deliziato e pienamente convinto dalle argomentazioni di Paley. Ma era pure ambizioso - determinato a «occupare un degno posto» nei nuovi ranghi degli uomini di scienza. Ben consapevole dei suoi obiettivi geologici, era partito per il suo viaggio sapendo di essere capace di trasformare, con l'osservazione e la deduzione, un territorio sconosciuto in un libro aperto in cui leggere e analizzare la storia geologica della regione.

La preparazione di Darwin era tale da dotarlo di queste capacità. Durante il viaggio trascorse a terra quanto più tempo possibile - per conoscere le culture dei luoghi, ma soprattutto per studiare gli strati geologici e per raccogliere rocce, minerali, fossili e poi, più spesso, la flora e la fauna sudamericane. E naturalmente anche per evitare i continui attacchi di mal di mare negli spazi ristretti della nave.

Ecco quindi un sensibile giovanotto (Darwin aveva solo 22 anni quando il Beagle salpò dall'Inghilterra), appassionato di storia naturale e desideroso, pur ammirando la Teologia naturale di Paley, di imparare ogni sorta di nozioni. Ma è qualcos'altro che lo contraddistingue dalla maggior parte degli altri scienziati - oggi come allora. Darwin ritenne sempre che, per quanto affascinanti potessero essere i dettagli delle modalità di riproduzione delle primule, le strane anatomie dei fossili di giganteschi mammiferi sudamericani, o lo schema di variazione degli uccelli mimi sul territorio delle isole Galapagos, il vero premio intellettuale di queste indagini accurate, spesso laboriose e impegnative, era ciò che questi "fatti" gli rivelavano della natura del mondo in generale. Le amò entrambe, la meticolosa raccolta di fatti e (più in là negli anni, a Downe) la sperimentazione diretta, ma gioiva in modo particolare per ciò che questi fatti gli rivelavano in generale sul mondo naturale.

Darwin si rese conto di questo suo lato - quanto meno quando, in età più avanzata, poté riflettere su ciò che aveva effettivamente realizzato. Nell'autobiografia, scrisse che considerava di aver lavorato «secondo i principi baconiani raccogliendo, senza seguire alcuna teoria, quanti più fatti aveva potuto», tanto che la sua «mente sembrava diventata una specie di macchina per estrarre delle leggi generali da una vasta raccolta di fatti». Quando Darwin entrò in scena, l'induzione baconiana era ancora il modello cui doveva ispirarsi la pratica scientifica: lo scienziato non ha idee a priori, pregiudizi su che cosa aspettarsi, piuttosto si accosta al mondo naturale libero da congetture su come sono le cose e segue la regola delineata nell'Ecclesiaste: "Parla alla Terra e Lei ti insegnerà".

Già ai tempi di Darwin, l'induzione baconiana aveva iniziato a fare meno presa, specie sulla classe dei giovani scienziati professionisti retribuiti. Quanto mai significativo a questo proposito è un altro brano dell'autobiografia di Darwin: «Ho sempre cercato di tenermi libero da idee preconcette, in modo da poter rinunciare a qualunque ipotesi, anche se molto amata (e io non so trattenermi dal formularne una per ogni argomento), non appena mi si dimostri che i fatti vi si oppongono». Darwin, come ogni bravo scienziato moderno, voleva essere il primo tra i suoi pari ad accorgersi che la sua idea era sbagliata. E molto meglio scoprirlo da soli piuttosto che qualcun altro ce lo faccia notare.

Oggi tutti gli scienziati sono d'accordo con il biologo Peter Medawar, il quale nel 1969 scrisse che «l'osservazione innocente, senza pregiudizi, è un mito». Al posto dei vecchi principi baconiani, oggi considerati irrimediabilmente ingenui, al centro del processo scientifico gli scienziati pongono il cosiddetto "metodo ipotetico-deduttivo". In effetti, uno scienziato ha ben presente nella mente un'ipotesi (o forse due o più alternative) e poi procede formulando previsioni sulla natura del mondo - su che cosa dovrebbe osservare se l'ipotesi fosse vera. Poi, con uno dei più sgradevoli ribaltamenti della logica che si abbia nelle questioni umane, vi è un accordo universale anche sul fatto che scoprire che tali previsioni sono corrette non rende vera ipso facto l'ipotesi di partenza. Se le osservazioni previste non si realizzano, se in realtà si osserva qualcos'altro, allora l'ipotesi è falsa (a meno che non sia stato compiuto un errore nel derivare le previsioni dall'ipotesi, come a mio giudizio capitò a Darwin in un certo settore delle sue riflessioni). Un'ipotesi si può falsificare, ma non la si potrà mai dimostrare. Il meglio che si possa fare è continuare a formulare previsioni e continuare a ottenere conferme. In tal caso, l'ipotesi sarà stata confermata in misura tale da diventare essa stessa un fatto, come avrebbe detto lo stesso Darwin - anche se in linea di principio continua a essere falsificabile.

Consideriamo l'asserzione che la Terra è rotonda ("in realtà" è uno sferoide schiacciato ai poli), I Greci ne erano convinti, se non altro perché la cima dell'albero è la prima parte di una nave che procede in direzione del porto ad apparire a chi ha la vista acuta. Ma quando Colombo fece vela verso ovest per trovare una rotta alternativa per le Indie, per molti era ancora difficile accettare l'idea che la Terra avesse una forma sferica. Il fatto che Colombo e tanti altri che in seguito esplorarono il mondo non cadessero giù dal "bordo" portò rapidamente alla certezza che il mondo è effettivamente rotondo. E nonostante l'ostinazione di certi fautori della piattezza della Terra (i quali sostengono che le riprese sulla Luna fossero un falso), esistono molte fotografie scattate dall'atmosfera superiore e dalla Luna stessa che confermano ampiamente, come tutti possono vedere, che la Terra è proprio una sfera.

Vi è quindi un intero spettro di ipotesi: dalle mere congetture, in molti casi fantasiose e facilmente confutate, fino alle ipotesi plausibili e realistiche che sono state sottoposte a verifica molte volte e sono state regolarmente confermate. Le previsioni derivate da queste ipotesi non sono mai state contraddette dai fatti. La rotondità della Terra è una di queste idee, così come l'evoluzione - ed è stato Darwin a mostrare la strada.

Michael Ghiselin, in The Triumph of the Darwinian Method [Il trionfo del metodo darwiniano] del 1969, esamina con cura (nonostante la sua fervente ammirazione) i metodi alla base del lavoro scientifico di Darwin. Ghiselin, che è un biologo, sostiene con validi argomenti che Darwin fu effettivamente uno dei primi a utilizzare in modo cosciente quel che oggi chiamiamo "metodo ipotetico-deduttivo" e concorda con altri storici e biologi sul fatto che Darwin, nonostante ciò che egli stesso disse dei suoi metodi, non era affatto un induttivista ingenuo, un pedissequo seguace dei principi baconiani. Medawar ha proprio ragione: è impossibile per la mente umana compiere osservazioni senza ordinare in qualche modo le informazioni ed è probabile che tale ordinamento derivi almeno in parte da percorsi mentali già battuti.

Ma è un errore strombazzare i risultati di Darwin unicamente alla luce della sua inclinazione ipotetico-deduttiva moderna. Nonostante il suo acclamato valore scientifico, questo metodo non presta la minima attenzione all'origine delle ipotesi. Verificare ipotesi già formulate, nella propria mente o, com'è più comune, suggerite da altri, va senz'altro bene. Il metodo ipotetico-deduttivo - la ricetta per l'osservazione e la sperimentazione accurate in effetti indispensabile in oni indagine scientifica seria - in realtà è piuttosto blando e insulso. E l'essenza della scienza ordinaria e prosaica, per quanto importante possa essere. Non dà origine a grandi idee. Benché alcuni scienziati lo considerino come l'essenza della scienza, che la contraddistingue da tutte le altre sfere del pensiero umano, in realtà è soltanto buon senso applicato con rigore al mondo materiale. Quando si acquista un'automobile si procede nello stesso modo: si verifica l"ipotesi" che quella sia l'auto giusta per noi facendo un giro di prova, confrontando le sue caratteristiche con quelle di cui pensiamo di avere bisogno e, se è un'auto usata, dando qualche calcetto agli pneumatici.

Il punto realmente interessante è da dove provengano le idee - specialmente le grandi idee, non solo nella scienza, ma nella cultura in generale.

Darwin sapeva quel che voleva, forse più di chiunque altro io abbia incontrato o letto, ed è comprovato che, a prescindere dal fatto che fosse o meno ingenuo (e quando salpò con il Beagle dal punto di vista della biologia lo era davvero), grossomodo sapeva come gli era accaduto originariamente di rendersi conto dell'evoluzione, o quanto meno lo capì a posteriori. Era accaduto lasciando che gli schemi penetrassero nella sua mente, in modo quasi inconsapevole, solo per farli emergere e, a tempo debito, farli diventare pensieri coscienti che indicavano una grandiosa generalizzazione o "legge":l'evoluzione. Quando capì in modo cosciente che cosa fossero quegli schemi, ne ricercò altri. E poi, quando si convinse che la vita si è evoluta, ribaltò la situazione e si domandò: che cosa ci aspetteremmo di vedere se la vita si fosse evoluta? In seguito, soprattutto dopo aver individuato il meccanismo della selezione naturale, verso la fine degli anni Trenta, si spinse ancora più in là e cercò di derivare dalla selezione naturale i suoi schemi, le sue "prove indirette", di evoluzione. Darwin è l'incarnazione di ciò che a mio parere accade in tutte le grandi menti scientifiche creative: gli schemi invadono la mente, suggerendo allo stesso tempo una domanda e una risposta. La risposta, una volta compresa, consente di vedere gli schemi originari della natura quali "aspettative", come amava chiamarle Darwin. Quali furono gli schemi che invasero la sua mente mentre era a bordo del Beagle (anche se per il momento è una petizione di principio, quando e dove avvenne che l'evoluzione si cristallizzò in un'idea coerente e conscia)? Lo rivela lo stesso Darwin in quattro brani critici. Il primo fu segnalato da Francis Darwin nell'introduzione a The Foundations of the Origin of Species, la preziosa edizione da lui curata e commentata dello Sketch del 1842 e dell'Essay del 1844, pubblicata nel 1909 per celebrare il centenario della nascita del padre:

Nel suo taccuino, alla data 1837 [Charles Darwin] scrisse: «A luglio inaugurato primo taccuino sulla "trasmutazione delle specie". Ero stato molto colpito circa dal marzo precedente da carattere fossili sudamericani e specie arcipelago Galapagos. I fatti origine (in particolare queste ultime) di tutte le mie concezioni».

Il secondo brano è il paragrafo che precede la frase della "confessione di un delitto", nella lettera che Darwin scrisse a Joseph Hooker l’11 gennaio 1844:

Oltre a un generale interesse per le terre del sud, ora è da quando sono tornato che mi dedico a un lavoro molto presuntuoso e per chiunque io conosca anche molto sciocco. Sono stato tanto colpito dalla distribuzione degli organismi delle Galapagos ecc. e dal carattere dei mammiferi fossili americani ecc., da decidere di raccogliere alla cieca ogni genere di fatti che in qualsiasi modo possa essere in relazione con ciò che sono le specie. Ho letto mucchi di libri di agricoltura e orticoltura e non ho mai smesso di raccogliere fatti. Alla fine è arrivato qualche sprazzo di luce e sono quasi convinto, contrariamente alle opinioni da cui ero partito, che le specie non sono (è come confessare un delitto) immutabili.

Il terzo brano è, appropriatamente, il paragrafo con cui si apre L'origine delle specie:

Mentre ero, in qualità di naturalista, a bordo del vascello di S.M. Britannica Beagle, rimasi profondamente colpito da certi fatti relativi alla distribuzione degli abitanti dell'America meridionale ed ai rapporti geologici tra gli abitanti attuali e quelli antichi di detto continente. Mi sembrò che questi fatti contenessero qualche elemento riguardante l'origine delle specie, questo mistero dei misteri, secondo l'espressione di uno dei nostri maggiori filosofi.

E infine, nell'autobiografia (pagina 52), Darwin è più specifico e suddivide gli schemi in tre insiemi:

Durante il viaggio sul Beagle mi aveva molto colpito lo scoprire nella formazione pampeana grandi animali fossili ricoperti da armature simili a quelle degli armadilli viventi, ed ero rimasto impressionato dal modo con cui animali molto affini si sostituiscono l'uno all'altro procedendo verso il sud nel continente, e infine dal fatto che la maggior parte delle specie dell'arcipelago delle Galapagos ha caratteri nettamente sudamericani e soprattutto che in ogni isola del gruppo esse si presentano con piccole differenze caratteristiche, benché nessuna di queste isole appaia geologicamente molto antica.

Il fatto che Darwin non stesse apertamente ricercando questi schemi è confermato con precisione dai suoi stessi racconti sulla casualità della scoperta. Anche se in effetti a Darwin capitò di mangiare armadilli, il che gli offrì la possibilità di confrontare in maniera approfondita la loro anatomia con quella di Glyptodon, una specie gigantesca e dotata di armatura dell'ordine degli sdentati, composto da mammiferi primitivi privi di denti (come gli armadilli - di qui l'uso di Darwin del termine "affini", in una certa misura una petizione di principio evoluzionistica), senza dubbio era molto prudente nei suoi paragoni. Fu colpito, come dice egli stesso, dal fatto che nelle rocce terziarie dell'Argentina meridionale si trovasse una gigantesca forma estinta che, pur non essendo affatto un'antenata diretta degli armadilli, era comunque chiaramente dello stesso stampo generale. Perché un Creatore avrebbe prodotto forme moderne simili a qualche specie estinta, limitandone però la comparsa esclusivamente al Sud America? (Gli armadilli riescono ad arrivare anche in Nord America, ma Darwin non lo sapeva.)

Mentre stava letteralmente mangiando la prova del suo secondo schema, d'un tratto, quasi troppo tardi, la situazione gli si chiarì. Darwin aveva sentito alcuni rancher e gaucho argentini parlare dell'esistenza di un secondo nandù (quello che lui chiamava "struzzo" sudamericano), a quanto pare più piccolo e diverso per colori e comportamento dal nandù comune della pampa. Una sera, mentre insieme ai suoi compagni di viaggio consumava un pasto a base di carne di nandù a bordo del Beagle, Darwin trasalì rendendosi conto che in realtà quello che gli era sembrato un giovane esemplare di nandù comune era il nandù più piccolo - che da tempo cercava invano. Riuscì a conservare la testa, il collo, un'ala, le zampe e alcune delle piume più grandi e spedì in Inghilterra i resti dell'animale, che alla fine fu dichiarato membro di una nuova specie, Rhea darwinii. (Molte specie che presero il nome da Darwin erano rappresentate da campioni da lui raccolti durante il viaggio sul Beagle, ma il caso volle che alcuni esemplari di Rhea darwinii fossero già stati scoperti e battezzati da Alcide d'Orbigny, esploratore, collezionista e naturalista francese. Una prova ulteriore della sua natura competitiva: Darwin si angosciò alla notizia che d'Orbigny avesse attraversato molti dei luoghi che egli stesso aveva visitato, temendo che avesse scoperto tutti gli animali, le piante e i fossili importanti prima di lui. Nel caso del "nandù di Darwin", il suo timore si dimostrò ampiamente giustificato.)

Non vi è ragione di pensare che nei resti del piccolo nandù trovato sulla tavola fra i resti della cena Darwin abbia visto qualcos'altro oltre la conferma di una specie differente - un tipo diverso di nandù, una specie di cui aveva soltanto sentito parlare, a quel punto confermata. Non è dato sapere quando questo lo indusse a pensare a uno schema generalizzato di sostituzione di specie "strettamente affini" su grande scala (gli areali dei due nandù in Sud America sono leggermente sovrapposti). Ma, di nuovo, la domanda era: perché Dio aveva scelto di sostituire una specie perfettamente riuscita con un'altra specie molto simile, nei territori che si visitano attraversando il continente sudamericano da un capo all'altro?

La tavola da pranzo compare anche nel terzo insieme generale di schemi che portarono Darwin all'inevitabile conclusione che le specie non possono essere immutabili. A quanto pare, il governatore delle isole Galapagos disse a Darwin, alla fine della sua visita, che esistevano sulle diverse isole varietà distinte - o specie distinte - di testuggini. Insieme all'equipaggio, a Darwin era capitato di catturare testuggini per cibarsene (e portò in patria un piccolo esemplare vivo), seguendo l'antica tradizione marittima. (Si dice che le alche, uccelli nuotatori dell'Atlantico settentrionale, siano state portate all'estinzione all'incirca verso la metà dell'Ottocento, da numerosi naviganti che le mandavano direttamente nella dispensa facendole camminare sulla passerella.) I carapaci con caratteristiche diverse da isola a isola venivano buttati in mare come rifiuti senza tante cerimonie. Darwin suppose che l'opinione dominante fosse corretta, vale a dire che qualche navigante aveva importato queste testuggini da un altro luogo del Pacifico, popolando le isole di una futura fonte di cibo. A quanto pare fu soltanto dopo aver lasciato le Galapagos che prese sul serio lo schema di variazione delle testuggini da un'isola all'altra.

Com'è noto, Darwin si lasciò sfuggire anche gli schemi di variazione delle 13 specie di quelli che oggi sono noti collettivamente come "fringuelli di Darwin" sulle isole Galapagos. In genere questi uccelli sono grigiastri e difficili da identificare, tuttavia Darwin, esaminandone principalmente il becco, pensò che appartenessero a un certo numero di gruppi diversi (in altre parole, non a una collezione coerente di fringuelli affini). Non aveva pensato di annotare le isole in cui aveva raccolto i campioni di questi uccelli. Solo quando john Gould, dopo aver esaminato i campioni, gli disse che gli uccelli appartenevano tutti allo stesso gruppo, Darwin si rese conto che, come nel caso delle testuggini, non aveva saputo cogliere l'occasione giusta per documentare la variazione in ogni isola e su isole diverse dell'arcipelago delle Galapagos.

Darwin, però, non si lasciò sfuggire gli uccelli mimi. Si rese conto che su isole diverse vivevano tipi differenti di mimi - anche se non sapeva dire se si trattasse di specie distinte o di varietà di un'unica specie. (Per la verità, come vedremo, la difficoltà di distinguere le "varietà" dalle "autentiche specie" confrontando forme simili in luoghi distinti e confinanti è, come direbbe Darwin, proprio quel che ci si aspetta di trovare se vi è evoluzione.)

Consideriamo che cosa scrisse Darwin sui mimi delle Galapagos - in un taccuino distinto, intitolato OrnithologIcal Notes, molto tempo dopo che il Beagle aveva abbandonato queste isole. Sono le prime parole di Darwin finora ritrovate che accennano al suo rendersi conto dell'idea stessa di evoluzione; sebbene la sezione sia specificamente dedicata ai mimi (che nei suoi appunti indica con il nome comune, Thenca), fa un'osservazione anche a proposito delle testuggini:

Questi uccelli sono strettamente affini ai Thenca del Cile. [...] Ho esemplari di quattro delle isole più grandi. [...] I campioni delle isole di Chatham e di Albesuarle sembrano uguali; ma gli altri due sono diversi. In ciascuna isola, se ne trova esclusivamente un tipo; le abitudini di tutti sono indistinguibili. Quando rammento la forma del corpo, la struttura delle scaglie e le dimensioni generali; il fatto che gli Spagnoli sanno dire immediatamente da quale Isola una data Testuggine provenga; quando vedo queste isole, tutte in vista l'una dell'altra e ciascuna in possesso solo di uno scarso patrimonio di animali, abitate da questi uccelli, differenti solo lievemente nella struttura e occupanti la stessa posizione nella Natura, devo sospettare che siano solo varietà. L'unico fatto analogo di cui sia a conoscenza, è la differenza costante/ dichiarata tra le volpi simili a lupi delle isole Falkand orientali e occidentali. Se queste osservazioni sulla zoologia degli Arcipelaghi hanno un minimo fondamento, varrà bene la pena esaminarle, giacché questi fatti potrebbero compromettere la stabilità delle specie. [Galapagos MS 73.]

Nora Barlow, che pubblicò queste annotazioni nel 1963, riteneva che fossero state scritte nel settembre-ottobre 1835, quasi un anno prima della fine del viaggio sul Beagle. Oggi si ritiene che risalgano all'estate del 1836, quando il Beagle stava tornando in Inghilterra. In ogni caso, è chiaro che Darwin stava già contemplando l'idea dell'evoluzione mentre era ancora a bordo del Beagle. Era sempre più vicino a comprendere che cosa potessero realmente significare queste osservazioni apparentemente casuali - a parte la loro novità, l'entusiasmo e l'intrinseca importanza per la scienza e quindi per la sua nascente carriera. Perché Dio aveva voluto mettere mimi diversi, testuggini diverse (e, come avrebbe scoperto in seguito, piante molto diverse) sulle varie isole delle Galapagos e in altri arcipelaghi?

È questa la caratteristica della creatività: far sì che le osservazioni si organizzino a sufficienza al livello subconscio e poi essere in grado di farle emergere, ordinarle e prenderne nota consciamente. E questo il lato creativo. Quando Darwin si rese conto consciamente della natura di questi tre tipi di schemi - i fossili, gli schemi geografici su larga scala e gli schemi di variazione a una scala più piccola, da isola a isola - in ciascuna situazione, con forme simili, sebbene distinte, che si sostituivano l'una all'altra, Darwin si domandò necessariamente perché. Perché Dio voleva fare così? Non esisteva una spiegazione naturale più semplice?

Darwin dapprima intuì e poi si rese conto consciamente di ciascuno di questi tre schemi. Li descrisse sempre come schemi generali: «Il modo in cui animali strettamente affini si sostituiscono l'uno all'altro procedendo verso sud nel continente», ad esempio, inizialmente si basava (quanto meno per quel che si può ricavare dai suoi taccuini e poi dai Transmutation Notebooks) su un solo esempio: i due nandù. Quando tornò a casa, cominciò a informarsi e in poco tempo raccolse molti altri esempi simili di tutto il mondo, basandosi sugli studi di altri. Ma lo schema di sostituzione geografica gli balenò in mente dopo un solo esempio!

Per quanto riguardava i fossili, aveva qualche altro esempio, come l'estinto bradipo gigante di terra, che è un predecessore (anche se non un antenato diretto) delle due specie di bradipi ancora esistenti in Sud America. Darwin riteneva inoltre (a torto, come sappiamo oggi) che il mammifero dal grosso cranio Toxodon rappresentasse un parente estinto del capibara sudamericano, il più grande roditore vivente di tutto il mondo. Richard Owen lo indusse in errore con la sua conclusione scorretta secondo cui il fossile Macrauchenia è un lontano predecessore del cammello sudamericano, il lama. Quindi di quattro esempi solo due si dimostrarono validi. E per quanto concerneva le Galapagos, aveva gli uccelli mimi - e forse le testuggini - ma non i fringuelli, e le prove del regno vegetale sarebbero arrivate molto dopo il suo ritorno a casa.

Tuttavia questi pochi esempi furono sufficienti a suggerirgli l'esistenza di schemi regolari e ripetitivi - nel corso di tutta la storia geologica della vita e sull'intera superficie del globo. Gli esempi che raccolse furono tanto numerosi che nelle opere finite, in particolare nell'Origine, citò appena i suoi primi casi. Mostrò però di riconoscerli: erano state grandi intuizioni di un giovanotto, poco più che un ragazzo, che in realtà, quando la Natura gli riempì la mente dei suoi prodotti, era un induttivista baconiano assai sensibile più che il meticoloso seguace del metodo ipotetico-deduttivo che sarebbe diventato in seguito. Quando era un giovane imberbe, come ha osservato il mio collega Joel Cracraft, Darwin “Si lasciava pervadere dalla Natura”. Fu solo dopo essere arrivato alla verità dell'evoluzione mediante l'intuizione e l'induzione che Darwin si dedicò a verificare rigorosamente l'ipotesi - a partire dalla sua teoria dell'evoluzione per selezione naturale...

La differenza tra il giovane naturalista alle prime armi c'il brizzolato scienziato famoso non è una differenza di classe, ma solo di livello. Sul Beagle, Darwin fu incredilmente intuitivo e attento nella sua diligente raccolta di fatti; con il passare degli anni, affinò le sue capacità di ragionamento, previsione e sperimentazione - cercando soprattutto di essere molto sicuro dei fatti. Ma non perse mai di vista quello che, in definitiva, era sempre stato il suo obiettivo: scoprire qualche "legge" fondamentale del modo in cui la natura da sempre è solita comportarsi.