ETTORE CINELLA

LA RIVOLUZIONE RUSSA

Storia Universale, vol. 23 - RCS Quotidiani Spa, Milano 2004

1.

La storia sta conoscendo un insospettato revival di interesse da parte del pubblico. I due maggiori quotidiani nazionali (la Repubblica e il Corriere della Sera) hanno pubblicato contemporaneamente, diffondendole attraverso le edicole, due corpose Storie universali rispettivamente di venticinque volumi (di cui sedici dalla preistoria ai giorni nostri e otto dedicati alla Storia díItalia dal Risorgimento ad oggi) e di trenta volumi (ventiquattro dei quali dallíAntico Egitto alla Seconda Guerra Mondiale e otto di approfondimenti). La storia de la Repubblica, redatta da un numero rilevante di autori, Ë piØ dettagliata, equilibrata ed esauriente, per quanto piØ ìanonimaî. La Storia del Corriere della Sera, viceversa, Ë monografica: ogni volume Ë opera di un solo autore, specializzato nel periodo in questione.

Una rapida consultazione comparata delle due Opere mette di fronte ad un dato di fatto in parte ovvio. Líaccordo tra agli storici sullíinterpretazione dei fatti diminuisce progressivamente, anche se per alcuni aspetti impercettibilmente, via via che ci si avvicina al nostro tempo. Non ci vuole molto a capire il significato di questo fenomeno. La narrazione storica Ë un esercizio ermeneutico. Per quanto tutti gli storici pretendano di essere neutrali, e fondino questa pretesa sullíapparato documentario di cui si avvalgono, di fatto nessuno puÚ raggiungere líobiettivit ! assoluta. I fatti e i documenti assumono un diverso significato a seconda dellíottica, soggettiva e/o ideologica, in cui sono letti e del peso specifico che si d ! ad essi.

Un esempio che salta allíocchio Ë legato ai fenomeni dittatoriali del XX secolo: fascismo, nazismo e comunismo sovietico. La storia de La Repubblica li riconduce tutti e tre nellíambito del totalitarismo, ma distingue tra le premesse ideologiche, sostanzialmente nazionalistiche, elitarie, occidentalocentriche e xenofobe, da cui muove il nazifascismo, e le premesse, sostanzialmente ugualitaristiche, anticapitalistiche e internazionaliste, da cui prende origine il comunismo sovietico. Si tratta di premesse che vengono giudicate rispettivamente aberranti e utopistiche: tali cioË da permettere di comprendere le degenerazioni totalitarie cui entrambi i regimi sono pervenuti. Eí chiaro perÚ che, in questíottica, i due totalitarismi non possono essere equiparati nÈ assimilati allíinsegna della comune violazione dei diritti umani. Il genocidio degli ebrei perpetrato dal nazifascismo e la repressione brutale dei contadini ricchi e dei dissidenti, che spesso Ë pervenuta alla soppressione fisica, realizzata dallo stalinismo, sono fatti storici entrambi riprovevoli e ìmostruosiî, ma non hanno lo stesso significato storico.

Nei volumi del Corriere della Sera, viceversa, il nazifascismo e il comunismo sovietico vengono equiparati come due facce di una stessa medaglia, la cui matrice Ë la negazione dei principi liberali e la violazione dei diritti inalienabili degli individui. Traspare addirittura la tentazione di interpretare il nazifascismo come inevitabile, per quanto aberrante, reazione alla minaccia di massificazione ugualitaristica del comunismo. Il volume sul fascismo, poi, giunge a negare il carattere totalitario in senso proprio del regime, identificando la sua degenerazione solo nella sciagurata adesione alla dottrina razziale nazista.

Questo solo esempio conferma la natura ermeneutica della disciplina storica (che vanamente si cerca di accreditare di uno statuto scientifico). Tale limite, intrinseco a qualunque disciplina caratterizzata dalla coincidenza tra il soggetto ñ lo storico come individuo - e líoggetto ñ i fatti storici i cui agenti, attivi o passivi, sono essi stessi individui ñ non toglie senso alla riflessione storica. La storia Ë un testo di indefinita complessit ! la cui lettura Ë aperta a interpretazioni molteplici e che, per quanto riguarda i fatti piØ recenti, Ë esposta al rischio di essere influenzata da nuovi documenti o da cambiamenti della temperie culturale.

Negli ultimi anni, dopo il crollo del muro di Berlino, si Ë realizzato appunto un cambiamento piuttosto radicale che ha dato luogo a quello che va sotto il nome di revisionismo. Il revisionismo muove dal presupposto che la storia, a partire dal dopoguerra, Ë stata troppo influenzata, direttamente o indirettamente, dal marxismo, fornendo letture di parte, ideologiche. Esso mira a correggere tali letture in maniera tale da giungere ad una maggiore oggettivit ! o addirittura alla neutralit !, vale a dire ad un punto di vista il piØ fedele possibile ai fatti.

Eí a tal punto vero che tale pretesa Ë essa stessa ideologica che di revisionismi se ne danno almeno due. CíË un revisionismo liberal-democratico, il cui spettro va dal moderatismo al progressismo, e uno di destra, il cui spettro va dal conservatorismo al tentativo di riabilitare il fascismo e il nazismo.

Líanalisi di alcuni volumi delle due storie in questione cercher ! di rendere conto delle notevoli differenze che intercorrono tra storici che adottano diversi punti di vista.

Questo primo articolo, per cosÏ dire sperimentale, Ë dedicato ad uno dei volumi di approfondimento della collana del Corriere della Sera, che, come accennato, si differenzia da quella de la Repubblica per essere costituita da monografie. Il pregio delle monografie, rispetto alle opere storiche scritte a piØ mani, Ë, oltre allíunit ! stilistica, una piØ o meno rilevante caratterizzazione ìideologicaî. In breve, il punto di vista dellíautore Ë inesorabilmente piØ trasparente.

Il volume in questione Ë La Rivoluzione russa di Ettore Cinnella, che, a pieno titolo e senza alcun intento polemico, puÚ essere fatta rientrare nellíambito del revisionismo storico di matrice liberale.

Il presupposto fondamentale del revisionismo liberale Ë che le Rivoluzioni moderne e contemporanee, eccezion fatta per quella che nel 1848 ha contrassegnato il superamento dellíAncien rÈgime e líavvento al potere della classe borghese, sono tutte incidenti di percorso dello sviluppo storico, dalle conseguenze piØ o meno negative, che si sarebbero potute evitare se il Potere monarchico assoluto e la classe nobiliare che lo sosteneva avessero dato piØ spazio alle sollecitazioni riformistiche, le masse popolari ñ proletarie e contadine ñ non avessero spinto irrazionalmente nella direzione di cambiamenti radicali e utopistici della struttura e dellíorganizzazione sociale, e i partiti radicali ed estremisti non avessero utilizzato tali spinte per arrivare al potere, promettendo ciÚ che mai sarebbe stato possibile realizzare.

Eí evidente che tale presupposto, equivalente ad una griglia interpretativa, presume una concezione della storia gradualista, vale a dire centrata sul fatto che i cambiamenti storici non possono avvenire che sulla base di un riformismo, piØ o meno cauto, che permetta di superare il vecchio ordine via via che il nuovo si consolida e diventa funzionale ad assicurare líequilibrio e la coesione della totalit ! sociale.

La concezione storica in questione non Ë, in linea teorica, priva di fondamento. In quanto sistema complesso, qualunque organizzazione sociale non tollera brusche destrutturazioni e ristrutturazioni se non al prezzo di conflitti squilibranti, che possono evolvere in direzioni imprevedibili. I cambiamenti sociali radicali, anche laddove si configurano come necessari, non possono avvenire solo sulla base della sostituzione del potere politico esistente con un altro potere; essi postulano anche complessi mutamenti istituzionali, giuridici, economici, culturali, che abbisognano di tempi lunghi per realizzarsi.

Cionondimeno, se si assolutezza il principio dellíevoluzione graduale, tutti i cambiamenti socio-politiciche non avvengono in termini riformistici sono destinati a fallire o a produrre problemi maggiori di quelli che intendono risolvere, essendo viziati sin dallíorigine da una forzatura storica, vale a dire dallíutopia.

Allo storico riformista non viene in mente che le rivoluzioni corrispondono a blocchi dellíevoluzione di lunga durata, dovuti agli interessi di determinate classi, che creano i presupposti per cui, ad un certo punto, si determina una crisi esplosiva; nÈ che, quando ciÚ accade, i bisogni sociali repressi che affiorano sono estremamente turbolenti e difficili da governare; nÈ, infine, che líesito delle rivoluzioni non dipende solo da chi, bene o male, le governa, ma anche dalle forze conservatrici che si oppongono ai cambiamenti.

Applicare lo schema revisionista alla Rivoluzione russa, oggi, dato líesito catastrofico cui Ë pervenuta líesperienza sovietica, Ë un gioco da ragazzi. Cinnella lo prende a tal punto sul serio da impegnarsi a dimostrare che tale esito era gi ! tutto scritto agli esordi della Rivoluzione in questione, dal momento in cui, nellíottobre del 1917, il bolscevismo leniniano realizzÚ un colpo di Stato mettendo fuori gioco gli orientamenti riformistici del governo provvisorio instauratosi nel febbraio dello stesso anno e escludendo progressivamente dallíesercizio del potere tutte le forze socialiste non bolsceviche.

La dimostrazione assolve due scopi fondamentali. Il primo Ë quello di convalidare il sostanziale realismo del riformismo di matrice liberale del governo provvisorio, sostenuto anche da forze socialdemocratiche,in opposizione allíutopismo estremistico del bolscevismo. Il secondo Ë di caratterizzare il leninismo come un orientamento politico-ideologico e una pratica del potere che contiene in sÈ le premesse sulla base delle quali si svilupper ! lo stalinismo. Attribuendosi il ruolo di erede legittimo di Lenin e riconducendo di continuo al piccolo padre le sue azioni, Stalin avrebbe avuto dunque sostanzialmente ragione.

In questa ottica, tutta líesperienza russa dallíottobre del 1917 al 1989 diventa espressiva del carattere intrinsecamente utopistico, estremistico e dittatoriale della teoria marxista che Lenin prima e Stalin poi hanno tentato di applicare alla lettera.

2.

Il giudizio di valore che sottende il libro Ë esplicito fin dallíIntroduzione, nella quale líautore chiarisce che, nello scriverlo, il suo interesse principale ìnon era appurare le cause della crisi finale del sistema e dellíimpero [sovietico], bensÏ capire le ragioni della lunghissima durata dellíesperimento politico avviato nel 1917î (p. 4). Dato che lëarco temporale ricostruito va dal 1917 al 1921, Ë evidente che quellíinteresse implica che tutto ciÚ che Ë accaduto successivamente Ë semplicemente uno sviluppo necessario e fatale del bolscevismo leninista, e che questo, a sua volta, rappresenta líunica possibile traduzione sul piano politico e economico del pensiero di Marx.

Se si d ! una specificit ! dellíesperienza sovietica, questa Ë riconducibile solo al particolare terreno su cui si Ë impiantata. Concludendo líIntroduzione, Cinnellascrive: ìOggi, dopo il crollo dellíURSS, non dovrebbero esserci dubbi sul fatto che il maggior risultato storico della rivoluzione bolscevica fu líimbalsamazione del mummificato impero zarista, che nel 1917 si stava decomponendo. Lenin e i suoi successori, che ne avessero o no coscienza, ridiedero vita ad un ingombrante e olezzante cadavere, imbellettandolo con una nuova ideologia e consentendogli di marciare alla conquista di nuovi territori. Fu un autentico miracolo storico, che solo i comunisti erano in grado di compiere, grazie alla loro incrollabile e ferocissima determinazione. Di tanti altri orripilanti prodigi possono menar vanto i comunisti russi: la sanguinosa collettivizzazione delle campagne e la distruzione dellíagricoltura, la creazione di una mastodontica e inefficiente industria di Stato, líedificazione di una societ ! díantico regime dominata da una casta burocratica privilegiata, la costruzione di un onnipotente Stato di polizia. La loro azione politica, malgrado le altisonanti parole díordine modernizzatici, fu una gigantesca reazione, che recise per sempre líesile filo che legava la Russia alla civilt ! europeaî (p. 7).

La tesi non Ë del tutto nuova. Gli esiti delle rivoluzioni, come accennato, in conseguenza degli squilibri socioeconomici da cui muovono e che esse incrementano, sono imprevedibili. La Rivoluzione russa, in particolare, Ë stata spesso giudicata dagli storici come líimpianto su di una struttura sociale dominata dallíautocrazia di un regime dittatoriale. Gli storici di destra sono giunti addirittura ad attribuire ad essa la responsabilit ! dellíavvento del fascismo e del nazismo che sarebbero insorti nel cuore dellíEuropa come difesa della civilt ! occidentale dalla minaccia comunista.

Cinnella non arriva a tanto. CiÚ che gli interessa Ë dimostrare che la rivoluzione bolscevica ha praticamente posto fine ai tentativi di modernizzazione liberal-democratica della Russia, che si sarebbero potuti avvalere del concorso delle forze socialdemocratiche riformiste, che essa ha avviato un esperimento a vicolo cieco, vale a dire la costruzione di una societ ! senza classi a partire da una situazione di estrema arretratezza socioeconomica, e che la trasformazione del regime dei Soviet in una dittatura spietata Ë stata uno sviluppo intrinseco allíideologia leninista, nella misura in cui essa sovrapponeva alla realt ! i suoi schemi, tentando di assoggettarla a questi.

Adottando questíottica, il problema di fondo non sono le circostanze storiche, gli uomini, i movimenti, gli interessi di classe, le influenze esterne, ecc.; il problema Ë la dottrina comunista, intrinsecamente e irrimediabilmente illiberale e dittatoriale.

Per argomentare questa tesi, Cinnella ìrivedeî alcuni punti essenziali della storiografia classica sulla Rivoluzione russa, che egli interpreta come troppo influenzati dalla propaganda sovietica o dagli storici marxisti. Il primo punto concerne il fallimento della rivoluzione liberale del 1905; il secondo la presa del potere da parte del bolscevismo; il terzo la guerra civile; il quarto líeconomia di guerra.

Riguardo al primo punto, líintento di Cinnella Ë piØ che chiaro. Egli ritiene una leggenda, alimentata da pubblicisti e storici, ìche líinsurrezione di Ottobre, guidata dal partito di Lenin, abbia rappresentato il momento culminate e il coronamento di tutto il processo rivoluzionarioî (p. 9); ìla rivoluzione va vista e studiata come un movimento dalle lunghe e ramificate radici, un movimento che non ebbe termine con la presa del potere da parte dei bolscevichi e che era cominciato assai prima del 1917, almeno con il grandioso sommovimento del 1905-1907î (p. 9). Il grandioso sommovimento in questione era dovuto prevalentemente a forze liberali: quella era la rivoluzione giusta, che, se non fosse abortita, avrebbe assicurato alla Russia uníevoluzione riformistica che líavrebbe portata, in tempi lunghi, a venire a fare parte delle democrazie occidentali. La convocazione della prima Duma, scrive Cinnella, fu uníoccasione storica unica nellíevoluzione della Russia (p. 45). Nel primo parlamento nazionale, infatti, sia pure eletto sulla base di uníîiniqua e macchinosa legge elettoraleî (p. 40), la maggioranza relativa (40%) fu conquistata dai Cadetti, il partito nel quale erano rappresentate le forze liberaldemocratiche moderate e progressiste, e la sinistra contava appena il 10%. Sarebbe stato dunque possibile avviare un lento e graduale processo riformistico, senza rischiare una degenerazione estremistica. La responsabilit ! del fallimento della rivoluzione ricade sulle spalle del potere zarista e della componente retriva della classe nobiliare che lo sosteneva. La Duma venne infatti sciolta díautorit ! nel 1907, e ciÚ creÚ le premesse della rivoluzione violenta che sarebbe sopravvenuta a distanza di dieci anni, avendo incrementato líattivit ! clandestina dei partiti di sinistra.

In realt !, Cinnella stesso offre gli elementi per contestare la sua interpretazione. Il partito dei Cadetti era troppo eterogeneo per portare avanti un progetto di riforme adeguate alla gravit ! dei problemi sociali da affrontare. Tra liberali moderati e liberali progressisti cíerano ben pochi punti programmatici in comune. Nel partito poi era confluita una componente di rappresentanti dei contadini, i trudovichi, che, avendo una conoscenza profonda della tensione critica che serpeggiava tra le masse rurali e temendo uníesplosione di inusitata violenza, proponevano una riforma agraria radicale incentrata sulla socializzazione della terra, vale a dire sullíesproprio (indennizzato) dei latifondisti. Non per caso, dopo pochi mesi, i trudovichi si separarono dai cadetti e costituirono un gruppo a sÈ. Da questo momento in poi, scrive Cinnella, ìla rivoluzione liberale e quella plebea avrebbero marciato su binari distinti senza poter mai piØ fondersi nÈ incontrarsiî (p. 45). Ma che significa questo se non che la rivoluzione liberale rimaneva senza una base sociale, e che quella plebea avrebbe dovuto trovare nuovi referenti?

La realt ! Ë che, nei primi anni del Novecento, il grandioso sommovimento era avvenuto nelle viscere della Russia contadina. Líabolizione della servitØ della gleba nel 1861 non solo non era stata seguita dalla diminuzione dei privilegi signorili, ma aveva addirittura prodotto un peggioramento netto del tenore di vita dei contadini, ridotti alla fame. La risposta del potere zarista agli endemici disordini agrari, vere e proprie jacqueries, era stata univocamente e brutalmente repressiva, con la conseguenza di attizzare e rendere sempre piØ virulento il malcontento della massa sterminata di lavoratori della terra (lí82% della popolazione).

Non certo migliori erano le condizioni degli operai inurbati, che rappresentavano il 2% della popolazione, le cui condizioni di vita erano durissime, essendo assoggettate al duplice sfruttamento dei capitali stranieri e degli imprenditori locali.

Lo scarto tra i costituzionalisti liberali, che si proponevano semplicemente di affrancare la Russia dallíautocrazia e di avviarla sulla strada della democrazia parlamentare, e le masse popolari esasperate e giunte al limite di rottura era profondissimo.

Cíera insomma in Russia un potenziale rivoluzionario enorme e enormemente pericoloso rispetto al quale la ricetta del riformismo liberale, anche nei suoi accenti piØ progressisti, era assolutamente inefficiente. Che il sistema dovesse andare incontro ad uníimplosione destrutturante era prevedibile e ovvio. Si trattava solo di capire quale via di deflusso esso avrebbe assunto.

3.

Su questo sfondo tumultuoso e turbolento, sempre piØ critico di anno in anno, la partecipazione della Russia alla prima guerra mondiale si puÚ ritenere la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Líimpreparazione e líarretratezza della Russia trasformarono infatti quella partecipazione in un gigantesco sacrificio umano. Gi ! ridotti alla fame, i contadini, strappati alle terre e alle famiglie, e gli operai vennero utilizzati come forza díurto, come carne da macello. La classe condannata a morire di fame doveva ora morire sul campo di battaglia per difendere líonore di un sistema autoritario, gerarchico e semifeudale, che essa odiava, nonostante forse, un atavico, residuo rispetto nei confronti dello Zar.

Fu la guerra che, nel febbraio del 1917, determinÚ la caduta del potere zarista e líavvento di un governo provvisorio dominato dai liberali. Líimpegno riformistico del nuovo governo, alimentato dalla pressione esercitata dai Soviet degli operai e dei soldati, che rappresentavano un potere di base, fu a tal punto ampio da portare repentinamente la Russia, sul piano formale, ad avere una libert ! politica e sindacale maggiore di numerose altre potenze europee.

Ancora una volta, ìnel rivolgimento del febbraio-marzo 1917 síintrecciaronoÖ le due forze motrici della rivoluzione russa: líazione politica dei ceti liberali, che mirava al rinnovamento costituzionale del Paese, e il movimento sociale delle masse plebee, volto al soddisfacimento dei piØ elementari bisogni delle classi oppresseî (p. 50).

Cinnella trascura, forse non per caso, che le forze motrici non erano affatto due: i liberali illuminati e la plebe tumultuosa. Dopo il 1905, líattivit ! clandestina dei partiti socialisti ñ sia del partito dei socialisti rivoluzionari, dal quale si separarono i populisti di estrema sinistra, che del partito socialdemocratico russo, scisso in due tronconi (menscevichi e bolscevichi) ñ aveva determinato un radicamento degli stessi tra i contadini e tra gli operai. Cíera insomma uníorganizzazione politica di base, la cui massima espressione erano i Soviet, nei quali confluivano tutti i socialisti, che tentava di incanalare la protesta popolare per evitare un suo slittamento sul piano dellíanarchia irrazionale. I dati statistici del resto parlano chiaro. NellíAssemblea costituente del novembre del 1917 i socialisti rivoluzionari rappresentavano il 40%, i bolscevichi il 23%, i menscevichi il 3%, altri partiti socialisti il 15%, mentre i cadetti erano ridotti al 4,6% e i conservatori e i proprietari terrieri allí8%.

La Russia insomma era, allíepoca, socialista, e di un socialismo piuttosto radicale tenendo conto che i programmi dei partiti socialisti anche piØ moderati sarebbero ritenuti oggi estremisti. Le forze liberali avevano ormai uníinfluenza minima, perchÈ le loro proposte erano molto lontane dai bisogni reali della popolazione: formalmente, sul piano costituzionale, ineccepibili, forse, ma del tutto astratte.

Del resto, in seguito alla guerra, negli ultimi mesi del 1917 si realizzÚ ìlíultima e la piØ vasta delle rivolte contadine che, periodicamente, avevano sconvolto la Russia in et ! moderna e contemporaneaî (p. 61); in pratica, ìi contadini mettevano a ferro e a fuoco le campagne cacciando via i proprietari terrieri e impadronendosi dei loro beniî (p. 62). Líanarchia, insomma, era alle porte, e non sarebbero certo bastate le ricette liberali a sedarla. Occorrevano risposte radicali.

Cinnella sostiene che ìpiØ della risolutezza dimostrata nel lanciare líinsurrezione armata a Pietrogrado, la tempestiva comprensione dellíentit ! della jacqueriecontadina deve considerarsi il vero capolavoro politico di Leninî (p. 104). Egli intende dire che questi sfruttÚ ñ tatticamente o cinicamente ñ la protesta radicale delle masse proletarie per impadronirsi del potere, senza che le masse, eccezion fatta per un nucleo consistente di operai, fossero bolsceviche. Líintento univoco di Lenin era quello di instaurare la dittatura del proletariato,e, a tal fine, egli non esitÚ, ai primi di gennaio del 1918, a sciogliere líAssemblea costituente eletta nel novembre del 1917, nella quale il partito bolscevico, come accennato, aveva conquistato solo il 23% dei suffragi, trasferendo tutto il potere ai Soviet. Si trattÚ dunque di un colpo di Stato che pose repentinamente fine alla democrazia in Russia.

Questa lettura del colpo di Stato bolscevico, che di fatto si realizzÚ, non tiene conto di due aspetti. I disordini agrari che rischiavano di gettare la Russia nel caos in parte erano la conseguenza della miseria cronica e dello sfruttamento delle masse proletarie, in parte dipendevano dalla prosecuzione della guerra che, allontanando i contadini e gli operai dalle famiglie, aveva accentuato al massimo grado il disagio di queste. Per impedire il caos, tranne a non volere fare ricorso a misure brutalmente repressive, occorrevano interventi assolutamente eccezionali. Tali interventi erano dettati dalla realt !: occorreva por fine a qualunque costo alla guerra, permettendo ai militari di tornare alla vita civile, e distribuire rapidamente ai contadini le terre dei latifondisti. Senza la cessazione della guerra, la distribuzione delle terre, che era anche nel programma dei socialisti rivoluzionari, non sarebbe servita assolutamente a nulla per difetto di manodopera. Questa fu líintuizione di Lenin, associata allíidea di trasformare il ritiro dalla guerra in un messaggio internazionalista rivolto alle masse proletarie occidentali, perchÈ esse stesse si ribellassero alla carneficina imperialista.

Tale intuizione, che trovÚ addirittura non poche resistenze allíinterno del partito bolscevico, non era perÚ condivisa da nessuna delle altre forze politiche rappresentate nellíAssemblea costituente. Per essere piØ precisi, essa trovava ascolto solo presso i socialisti rivoluzionari di sinistra che, nel novembre del 1917, si erano separati dal partito socialista rivoluzionario.

La cessazione della guerra non sarebbe stata dunque mai approvata dallíAssemblea costituente, nella quale prevalevano anche tra le file dei socialisti orientamenti nazionalisti e sciovinisti. Essa trovava, invece, un ampio consenso presso i Soviet, nelle cui file erano ormai numerosissimi militari. I Soviet insomma sembravano infinitamente piØ vicini alla sensibilit !, ai bisogni e alle aspirazioni delle masse popolari dellíAssemblea costituente, infinitamente piØ ricettivi di una situazione sociale giunta al limite della rottura. Il dualismo dei poteri tra governo provvisorio e Soviet era un dato di fatto della realt ! politica russa: sul problema della guerra la contrapposizione era frontale. Oggettivamente, perÚ, i Soviet avevano ragione: il sacrificio di un intero popolo sullíaltare del nazionalismo era assurdo e ingiustificato.

Sul piano formale, questo non giustifica il colpo di Stato bolscevico, ma d ! ad esso un diverso significato rispetto alla lettura di Cinnella. Líambizione di potere e la volont ! dittatoriale di Lenin sembrano, infatti, in rapporto alle circostanze oggettive, variabili secondarie rispetto allíintento di salvare la Russia dalla catastrofe e di fornire una risposta allíesasperazione cieca delle masse operaie e contadine.

4.

Dallíavvento del potere bolscevico al 1921, nonostante il ritiro dalla guerra e la distribuzione delle terre ai contadini, le condizioni economiche della Russia precipitarono drammaticamente. La produzione agricola e industriale crollarono. Il colpo di grazia fu dato dalla terribile carestia del 1921, che falcidiÚ milioni di persone.

Uníinterpretazione classica di questo tracollo fa riferimento agli errori commessi dai bolscevichi e alla necessit ! di investire una quota imponente delle gi ! scarse risorse nellíarginare la guerra civile, prolungatasi per quattro anni.

Anche a questo riguardo, Cinnella intende sfatare la leggenda del bolscevismo aggredito dalle potenze straniere. ìNon bisogna esagerare la portata e gli effetti dellíintervento straniero in Russia, come fecero allora i bolscevichi per ragioni di propaganda e come ha sovente ripetuto la storiografia fino ai nostri giorni. Non va dimenticato, innanzitutto, che fino alla conclusione della guerra mondiale la presenza piØ temibile e massiccia sul suolo dellíex impero zarista fu quella della Germania, che continuava a violare il trattato di Brest-Litovsk occupando líUcraina e ampi territori della Russia occidentale e meridionale. Líintervento dellíIntesa potÈ dispiegarsi soltanto dopo líautunno del 1918, in seguito alla sconfitta degli Imperi centrali: a dicembre i francesi sbarcarono a Odessa, per tentare di salvare gli ingenti capitali investiti nelle miniere ucraine prima della guerra, mentre gli inglesi preferirono occupare Baku e i campi petroliferi del Caucaso. Ma anche allora, i conflitti di interesse e le divergenze strategiche tra i paesi dellíIntesa impedirono una decisiva e prolungata intromissione armata nelle vicende della Russiaî (p. 240).

Che i bolscevichi abbiano enfatizzato líintervento straniero, sino al punto di indurre quella sindrome della patria del comunismo perseguitata che in Stalin raggiunger ! líacme della paranoia, Ë fuor di dubbio. Cinnella perÚ Ë troppo proteso a salvaguardare líonore dei Paesi occidentali liberali, il cui intervento sarebbe stato rivolto solo a recuperare i capitali investiti nella Russia zarista, per valorizzare il ruolo svolto dagli Imperi centrali. Le durissime condizioni da questi imposte alla Russia, che Lenin faticÚ a fare accettare al partito bolscevico, avevano di mira due obiettivi: mettere la Russia bolscevica in gravi difficolt !, in maniera tale da votare al fallimento líesperimento socialista avviato, e attenuare líimpatto della rivoluzione russa sui partiti socialdemocratici occidentali. Caratterizzati da una rigida gerarchia dominata dalla casta militare e dai grandi proprietari terrieri, gli Imperi centrali avevano i loro buoni motivi per temere il contagio della rivoluzione russa. Fino al termine della guerra mondiale il saccheggio dei territori occupati e la minaccia incombente sulla Russia bolscevica rappresentarono dati di fatto.

Dopo la fine della guerra mondiale, le potenze occidentali ñ Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti ñ si mobilitarono contro il bolscevismo in nome della libert ! conculcata. Eí vero che il loro intervento militare diretto non fu massiccio, ma líaiuto fornito in denaro, in armi e sotto forma di consiglieri militari fu continuo, e valse a prolungare per quattro anni la guerra civile. Furono, peraltro, le stesse potenze occidentali a caldeggiare líattacco della Polonia alla Russia nel 1920. La reazione dellíesercito russo fu a tal punto decisa da giungere a minacciare Varsavia, finchÈ la controffensiva delle forze polacche non pose fine alla guerra, imponendo alla Russia una pace piuttosto umiliante. Le potenze occidentali festeggiarono la vittoria dei Polacchi equiparandola alla vittoria di Carlo Martello sugli arabi, che pose fine allíespansionismo islamico. Esse posero tra parentesi il fatto che la Russia era stata aggredita dalla Polonia. Leggere nella reazione ad uníaggressione il primo indizio dellíespansionismo sovietico, della volont ! intrinseca al bolscevismo di esportare il comunismo sulla punta delle baionette, Ë alquanto singolare.

Cinnella interpreta la disfatta dellíesercito sovietico alla demotivazione dei militari e alla perdita di consenso interno del regime sovietico. Ma se questo fosse vero, come spiegare che quellíesercito riuscÏ nel giro di due anni a debellare completamente gli eserciti bianchi operanti in Russia? La verit ! Ë che, nonostante la crisi economica, il regime sovietico allíepoca godeva ancora di un grande prestigio presso la popolazione, memore del passato zarista.

5.

Líultima leggenda che Cinnella síimpegna a sfatare riguarda il comunismo di guerra, vale a dire il sistema economico sovietico dallíestate del 1918 alla primavera del 1921. Secondo tale leggenda, ìil severo e militaresco dirigismo economico, tipico di quegli anni, sarebbe stato imposto dalle circostanze esterne ( in primo luogo dallo scoppio della guerra civile e dallíintervento straniero) (p. 291). Avendo gi ! contestato líincidenza della guerra civile sullíevoluzione del sistema sovietico, Ë ovvio che Cinnella predilige líipotesi alternativa secondo la quale ìfu líideologia bolscevica la causa principale dellíinesorabile costruzione, nel periodo 1918-1921, díun sistema economico esasperatamente centralistico e statalistico, retto da una disciplina di casermaî (p. 291). In questa ottica, il cambiamento avvenuto nel 1921 con la NEP fu solo di ordine tattico e opportunistico: ìLa presa di potere pose Lenin e i bolscevichi di fronte a compiti inattesi, costringendoli a rivedere la loro dottrina alla luce delle nuove esperienze e difficolt !. Senza dubbio, essi esercitarno uníimplacabile violenza sulla realt !, tentando di coartarla tutte le volte che si discostava dai loro principi e progetti, ma Ë altresÏ certo che la realt ! si prese la sua amara rivincita trasformando quegli esaltati e arroganti detentori del potere, che bramavano costruire un mondo a propria immagine e somiglianza. Se la trasformazione della societ ! russa, sconvolta e annichilita dagli esperimenti bolscevichi, fu díimmani proporzioni, non dobbiamo ignorare la metamorfosi dei nuovi signori del Cremino negli anni del comunismo di guerra. Impegnato in disperate battaglie contro tutti, il partito bolscevico ne uscÏ abbrutito e sfigurato, finendo col perdere il fogliame socialisteggiante, che ancora in parte lo copriva e abbelliva fino allíottobre 1917. Posti di fronte ad una realt ! che non si sottometteva docilmente alla loro realt !, Lenin e i suoi seguaci non ricorsero solo alla massima ferocia; piØ díuna volta, per non soccombere, essi dovettero anche racconciare il loro programma, cozzante contro gigantesche forze ostiliî (p. 295)

Anche a riguardo, i dati stessi che Cinnella offre inducono a ritenere che cíË del vero nella leggenda e nella sua confutazione.

Líerrore fatale originario commesso da Lenin fu in realt ! di segno opposto al dirigismo statalistico. Tale errore consistette prima nella distribuzione delle terre ai contadini e poi nel consentire ai comitati di fabbrica degli operai di impadronirsi delle strutture produttive. Dietro tali errori traspare un principio ideologico ereditato da Marx: quello della creativit ! rivoluzionaria delle masse, vale a dire di uníorganizzazione socialista dal basso. Da questo punto di vista, il controllo centrale doveva solo servire a canalizzare tale organizzazione e a vigilare su eventuali, e temibili, deviazioni borghesi.

Lenin si rendeva perfettamente conto che le masse rurali erano del tutto avulse da uníadesione cosciente ai principi del socialismo. Distribuendo le terre secondo un criterio di assoluto egualitarismo (tanto a testa), egli riteneva che i contadini sarebbero stati immediatamente cooptati al socialismo. In difetto di statistiche sullo sterminato territorio russo, sulla fertilit !, sulla produttivit !, sulle attrezzature, nessun altro criterio sarebbe stato adottabile immediatamente. Quella distribuzione realizzÚ il paradosso di una terra equamente distribuita ma scarsamente produttiva, e quindi di uníeconomia di sussistenza che inesorabilmente avrebbe diminuito criticamente líapporto di derrate nel grandi citt !.

Cíera solo una possibilit ! per scampare al disastro. I contadini avevano bisogno di attrezzature. Se líindustria ne avesse assicurato la produzione, si sarebbe potuto realizzare uno scambio,

Ma sarebbe stato possibile, dopo avere consentito ai contadini di riappropriarsi del loro strumento di produzione ñ la terra -, negare agli operai di riappropriarsi delle fabbriche? Il problema Ë che la riappropriazione delle fabbriche da parte dei comitati operai produsse un netto e drammatico decremento della produzione industriale. Nonostante infatti líimpegno eroico degli operai consapevolmente comunisti, molti altri profittarono del venir meno del controllo padronale per disimpegnarsi.

Líerrore di fondo dunque fu tuttíaltro che dirigista; fu piuttosto fondato sullíingenua fiducia che, affrancati dallíoppressione padronale, contadini e operai trovassero spontaneamente il modo di organizzare la produzione su base socialista.

Solo nella primavera del 1918, preso atto del declino della produzione agricola e industriale, e prevedendo il drammatico affamamento delle citt !, i bolscevichi avvertirono líesigenza di assumere il controllo centrale dellíeconomia, di avviare il dirigismo e la pianificazione. Eí in questa fase che essi vennero ad urtare contro una difficolt ! insormontabile: il difetto di capitali da investire nella riorganizzazione dellíeconomia. Tale difetto faceva capo sia agli ingenti debiti contratti con líInghilterra, la Francia e la Germania, sia alla necessit ! di investire le risorse residue nellíesercito impegnato a lottare contro gli eserciti bianchi.

Líazzeramento dei debiti deciso da Lenin non poteva che incrementare quella difficolt !, mobilitando le potenze occidentali ad intervenire nella guerra civile e a fornire aiuti di ogni genere agli eserciti bianchi, con il fine ultimo di abbattere il potere bolscevico e recuperare i loro capitali.

Il comunismo di guerra Ë stato dunque imposto dalle circostanze. Esso fa capo senzíaltro ad errori di tipo ideologico. Ma laddove Cinnella vede in tali errori líespressione di un fanatismo settario, sembra piØ probabile che essi siano stati commessi per un eccesso di fiducia nelle masse proletarie e nella convinzione che líaspirazione alla giustizia coincidesse con una vocazione al socialismo, che invece richiede una lunga preparazione delle coscienze (oltre che circostanze oggettive favorevoli, vale a dire uníeconomia giunta al massimo grado di sviluppo).

Non Ë sorprendente, infine, dato il punto di vista da cui muove, che Cinnella veda nel viraggio verso la NEP, vale a dire nellíintroduzione dellíeconomia di qualche elemento di libert ! commerciale, intervenuto tra il febbraio e il marzo del 1921, un semplice espediente tattico. Che tale viraggio sia avvenuto subito dopo la conclusione della guerra civile viene considerato un fatto secondario, imposto dalle rivolte contadine, operaie e militari. Per questo motivo, Cinnella dedica ad esso poche parole.

6.

La critica deve fare parte della storia intesa come esercizio ermeneutica. Ma la demonizzazione dei personaggi, dei movimenti, delle ideologie eccede la critica. Diventa un modo per iscrivere alcunimomenti di sviluppo della storia nellíambito del male assoluto.

Cinnella demonizza sia Lenin sia il bolscevismo rivoluzionario. Líintento Ë chiaro: dimostrare che lo stalinismo Ë stato uno sviluppo coerente del leninismo e dellíideologia bolscevica. Numerosi dati, come si Ë visto, contestano questa tesi. Il piØ rilevante Ë, perÚ, intrinseco allíanalisi stessa di Cinnella. PiØ volte egli sottolinea il geniale e demoniaco opportunismo di Lenin, capace di adattare il suo pensiero e la sua azione alle circostanze oggettive. Líespressione piØ rilevante di tale opportunismo Ë il viraggio dal comunismo di guerra alla NEP, che dava spazio in qualche misura allíeconomia di mercato entro una cornice di controllo statale della ricchezza sociale. Anche interpretata tendenziosamente, una dote del genere non Ë riconoscibile in Stalin, la cui rigidit ! nellíidentificare il comunismo con un capitalismo di Stato assoluto Ë stata costante e implacabile.

Non Ë un caso forse che Cinnella non dedichi alcuna attenzione al cosiddetto Testamento di Lenin, vale a dire alle Lettere che questi, gi ! malato, indirizzÚ al Congresso del Partito bolscevico tra il dicembre del 1921 e il gennaio del 1922. Il giudizio che Lenin fornisce su Stalin, sollecitando la sua rimozione dal ruolo di Segretario generale, Ë inappellabile (ìIl compagno Stalin, divenuto segretario generale, ha concentrato nelle sue mani un immenso potere, e io non sono sicuro che egli sappia servirsene sempre con sufficiente prudenzaî; ìStalin Ë troppo grossolano, e questo difetto, del tutto tollerabile nell'ambiente e nel rapporti tra noi comunisti, diventa intollerabile nella funzione di segretario generale. PerciÚ propongo ai compagni di pensare alla maniera di togliere Stalin da questo incarico e di designare a questo posto un altro uomo che, a parte tutti gli altri aspetti, si distingua dal compagno Stalin solo per una migliore qualit !, quella cioË di essere piØ tollerante, piØ leale, piØ cortese e piØ riguardoso verso i compagni, meno capriccioso, ecc.î). Al di l ! di questo giudizio, che potrebbe essere ritenuto semplicemente idiosincratico, cíË un particolare di grande importanza. Lenin si appella al partito perchÈ esso mantenga la sua funzione di rappresentante delle due classi che avevano contribuito alla Rivoluzione del 17, quella operaia e quella contadina (ìIl nostro partito si fonda su due classi, e sarebbe perciÚ possibile la sua instabilit !, e inevitabile il suo crollo, se tra queste due classi non potesse sussistere un'intesa. In questo caso sarebbe inutile prendere questi o quel provvedimenti e in generale discutere sulla stabilit ! del nostro CC. Non ci sono provvedimenti, in questo caso, capaci di evitare la scissione. Ma spero che questo sia un avvenimento di un futuro troppo lontano e troppo inverosimile perchÈ se ne debba parlare.î). La NEP faceva capo allíesigenza di evitare tale scissione, recuperando il consenso soprattutto delle masse contadine messe a durissima prova dal comunismo di guerra. Stalin, visceralmente contrario alla NEP, porr ! fine ad essa avviando lo sviluppo del sistema industriale sulla base della collettivizzazione dellíagricoltura e del saccheggio operato sulle risorse agricole al fine di alimentare quello sviluppo.

Stalin riteneva presumibilmente di essere un marxista piØ coerente rispetto a Lenin: in realt ! era un comunista volgare, e tale sarebbe apparso agli occhi di Marx.

En passant, devo aggiungere che Cinnella firma anche il capitolo sulla Rivoluzione russa contenuto nel dodicesimo volume della collana de la Repubblica. Líimpianto Ë ovviamente lo stesso, ma i toni sono piØ sfumati, i giudizi critici meno virulenti, le aggettivazioni ingiuriose nei confronti di Lenin pressochÈ inesistenti. Questo attesta che la storia non solo puÚ essere interpretata diversamente da autori diversi; essa puÚ addirittura essere raccontata diversamente, per alcuni aspetti, dallo stesso autore. CiÚ significa nÈ piØ nÈ meno che il lettore di storia deve impegnarsi attivamente a interpretare le interpretazioniÖ