Il sistema di Carl Gustav Jung

da Tipi psicologici

Newton Compton, Roma 1973

Introduzione alla lettura

A conclusione del suo capolavoro, Jung avverte il bisogno di scrivere un glossario di termini che definiscono l’originalità del suo sistema teorico rispetto a quello freudiano e, com’è chiaro a posteriori, rispetto a qualunque altro sistema psicoanalitico.

Il glossario rende del tutto evidente l’intento di Jung di dare alla sua Psicologia analitica un carattere universale atto, se non a spiegare, ad inquadrare concettualmente qualunque fenomeno mentale.

Nonostante il carattere originale di molti concetti (per es. introversione, estroversione, individuazione, intuizione, ecc.), l’ambizione di Jung ha un limite evidente. In opposizione alla seconda topica freudiana, che riconduce l’attività mentale a tre funzioni (Es, Super-io, Io), Jung abbandona il punto di vista strutturale, si riconduce, in un certo qual modo, alla prima topica, distinguendo coscienza e inconscio e introduce la nozione di Sé, destinata ad avere uno straordinario successo.

E’ singolare che un autore, il quale ha valorizzato in maniera così profonda il principio di individuazione, considerandolo come complementare rispetto a quello di appartenenza e atto a compensare il pericolo di omologazione in questo implicito, non abbia intuito che esso postula una funzione o substruttura psichica per realizzarsi, che ho definito Io antitetico, né che abbia preso atto che la teoria del Super-io freudiana, pure profondamente errata, conteneva l’intuizione necessaria per permettere di comprendere la replicazione culturale e la tendenza all’omologazione culturale.

Nonostante questi limiti, il sistema junghiano è potente e articolato. Purtroppo, esso prescinde quasi del tutto da una metodologia scientifica: è, insomma, ampiamente speculativo

Definizioni pp. 377-442

Il lettore penserà probabilmente che è superfluo dedicare un intero capitolo alla definizione dei termini. Se lo faccio però, è perché ho più volte notato che, nei lavori di psicologia in particolare, non ci si preoccupa mai abbastanza dei concetti e delle espressioni. L'immensa variabilità del senso attribuito ad uno stesso termine provoca molto spesso i più tenaci malintesi.

Questo increscioso quanto fastidioso stato di cose non sembra derivare solamente dal fatto che la psicologia è una scienza relativamente giovane, ma soprattutto dall'impossibilità in cui ci si trova di presentare sotto forma concreta i materiali di esperienza e l'oggetto considerato da questa scienza. Per poter rendere la realtà osservata ed esaminata con cura, lo psicologo si vede continuamente costretto ad esprimere questa realtà con circonlocuzioni e descrizioni indirette (metafore); non vi può essere una questione di resoconto diretto che per fatti elementari che possono essere espressi con criteri quantitativi. Ora, ce ne sono molti di questo genere nella psicologia reale dell'uomo e nell'osservazione o l'esperienza che se ne ha. Certi fatti rientrano proprio in questa categoria; io penso di aver chiaramente mostrato che anche i fatti più complicati sono accessibili ad un metodo quantitativo. Ma quando si è compreso più profondamente l'essenza della psicologia, quando si ha l'alta pretesa di limitare una scienza condannandola a condurre una esistenza miserabile nei limiti imposti dalla metodologia delle scienze naturali, ci si rende immediatamente conto che mai il metodo sperimentale ha potuto e potrà rendere completamente giustizia all'anima umana, né formulare un'immagine almeno pressapoco fedele dei suoi fenomeni tanto complicati.

Ma se abbandoniamo i fatti accessibili ad un criterio quantitativo soltanto i concetti debbono farne le veci. La precisione che la valutazione quantitativa offre al fatto analizzato non può dunque essere compensata se non dalla precisione del termine concettuale.

I sapienti, i ricercatori e tutti quelli, insomma, che si dedicano alla psicologia, non sanno che troppo spesso la terminologia psicologica soffre di una grande imprecisione e della molteplicità di significati dei suoi termini; di conseguenza, è molto difficile potersi capire.

Prendiamo, per esempio, la nozione di "sentimento" e cerchiamo di rappresentarci tutto ciò che questo concetto significa; in questo modo avremo un'idea dei molteplici significati che può avere un concetto psicologico. Tuttavia ciò che questa parola esprime è qualcosa di caratteristico, di inaccessibile, certamente, ad una valutazione quantitativa ma di un'esistenza innegabile. E' impossibile scartano semplicemente, come fa Wundt nella sua psicologia fisiologica, e negare la sua natura di fenomeno fondamentale e sostituirvi qualche fenomeno elementare, o riportarlo a questi. Questo rappresenterebbe la soppressione di una parte importante della psicologia.

E' nostro compito, dunque, se vogliamo sfuggire agli inconvenienti generati da una stima esagerata della metodologia delle scienze naturali, ricorrere a termini precisi; per riuscirvi ci serve la collaborazione di molti autori, un vero e proprio "consensus gentium". Giacché è impossibile ottenerlo immediatamente, ill primo compito di ogni psicologia dovrà essere di determinare e di scoprire dei termini che vengono usati anche se approssimativamente; la cosa migliore è discutere il significato di quelli che ognuno di noi conosce. Per venire incontro a questa esigenza, io definisco qui sotto, in ordine alfabetico, i principali termini psicologici che utilizzo: il lettore potrà in caso di bisogno ricorrere a questi. E' naturale che queste definizioni vogliono precisare soltanto il senso in cui io mi servo di questi termini, senza pretendere di affermare che l'uso che ne faccio sia il solo possibile e l'unico esatto.

1 ) AFFETTIVITA'. - Termine coniato da Bleuler; cornprende, "non soltanto gli affetti propriamente detti ma anche i tenui sentimenti o le tonalità affettive di piacere o di pena»

Bleuler distingue dall'affettività, da una parte le sensazioni sensoriali e cinestesiche, dall'altra i "sentimenti" cioè i processi interni di percezione (per esempio: sentimento di certezza, di probabilità) o i pensieri e le conoscenze imprecise.

2) AFFETTO (o emozione, n. 18). - Per affetto bisogna intendere uno stato di sentimento caratterizzato sia da un'innervazione corporea percettibile, sia da un'agitazione specifica del decorso rappresentativo. Il termine affetto è, per me, sinonimo del termine emozione; ma, a differenza di Bleuler (vedere ad Affettività), io distinguo 'il sentimento dall'affetto, sebbene non ci sia tra i due alcun limite netto, dato che ogni sentimento che raggiunge un certo livello di intensità fa scattare delle innervazioni corporee e si trasforma in affetto. Per comodità, tuttavia, sarà bene distinguere l'affetto dal sentimento: quest'ultimo, effettivamente, può essere una funzione di cui si dispone a propria volontà, mentre in generale l'affetto non lo è. Allo stesso modo l'affetto si distingue nettamente dal sentimento per l'innervazione percettibile del corpo che manca totalmente nel sentimento, o vi si trovano con una intensità così fievole che occorrono degli strumenti particolarmente sensibili per scoprirla. All'affetto si aggiunge la percezione delle innervazioni fisiche che questo fa scattare; è questo il punto di partenza della teoria di james-Lange che fa derivare ogni affetto dall'innervazione fisica che ne sarebbe la causa. In contrapposizione a questa radicale teoria, io considero l'affetto ora uno stato 'psichico del sentimento, ora uno stato fisiologico d'innervazione, che si aggiungono e agiscono l'uno su l'altro; detto in altro modo, al sentimento rinforzato si aggiunge una componente sensoriale che avvicina l'affetto alla sensazione e lo distingue specificandolo dallo stato di sentimento. Io ordino gli affetti nettamente sottolineati, accompagnati cioè da violente innervazioni corporee, non nel dominio della funzione del sentimento, ma in quello della funzione sensoriale (v. Funzione, n. 21).

3) ANIMA. - Le mie ricerche sulla struttura dell'inconscio mi portarono a stabilire una distinzione concettuale tra psiche e anima. Io intendo per psiche la totalità dei processi psichici, consci e inconsci; l'anima, al contrario è un complesso delimitato di funzioni nettamente determinate. Bisogna tirare fuori il termine di "personalità" per fornire una caratterizzazione approssimativa. Per precisare la mia concezione sarei così dovuto ricorrere a osservazioni assai lontane da me. Sono i brillanti lavori della scuola francese sulla dissociazione della personalità, il sonnambulismo, lo sdoppiamento di carattere, etc. che ci pongono dinanzi all'ipotesi di una pluralità di personalità in un unico individuo. Mai questo tipo di pluralità si osserva nel normale; ma la dissociazione della personalità, spesso costatata, deve esistere anche nel normale, per lo meno sotto forma di vago abbozzo. Si scoprono molto facilmente nel più normale individuo i segni di uno sdoppiamento di carattere.

Seguiamo qualcuno da vicino in diverse circostanze della vita; saremo colpiti dalla trasformazione che subisce la sua personalità nel passaggio da un ambiente all'altro. Il proverbio: "Angelo nella strada diavolo in casa" esprime l'esperienza quotidiana della realtà di questo fenomeno corrente della scissione della personalità. Ogni ambiente esige un atteggiamento appropriato. Questo atteggiamento diviene tanto più abituale quanto più a lungo e frequentemente ci si sottomette ad esso. Molte persone delle classi colte sono obbligate a muoversi in due ambienti assolutamente dissimili, la cerchia della loro famiglia e la loro sfera professionale ed entrambi vogliono un atteggiamento differente. Da ciò uno sdoppiamento del carattere secondo il grado di identificazione (v. n. 25) dell'io con l'atteggiamento necessario.

Seguendo i bisogni e le condizioni dell'ambiente il carattere sociale si orienta secondo le esigenze e le aspettative professionali da una parte e dall'altra secondo le tendenze e le intenzioni sociali dell'individuo. L'atteggiamento domestico si regola ordinariamente piuttosto secondo le qualità del cuore (Gemut) e il desiderio di agio dell'individuo. Così l'uomo fermo, energico, tenace, anche brutale nella vita pubbica, è spesso, nella sua vita privata, buono, delicato, accomodante, debole. Dove è il vero carattere, dove l'autentica personalità? Problema spesso insolubile. Così lo sdoppiamento del carattere non è assolutamente impossibile anche nell'uomo normale. E' compito dunque della psicologia normale lo studio del problema della dissociazione della personalità. Bisognerebbe, a mio avviso, rispondere al problema dicendo che un uomo come quello non ha un vero carattere, che non è individuale (v. n. 31), ma collettivo (v. n 9), che corrisponde alle circostanze, alle aspettative di ordine generale. Se fosse autonomo, il suo carattere resterebbe lo stesso nonostante ogni diversità dei suoi atteggiamenti; non si identificherebbe con l'atteggiamento passeggero e non potrebbe (né vorrebbe) impedire alla sua individualità di manifestarsi in qualche modo in ogni stato particolare; egli è individuo quanto un altro, ma inconsciamente. Con la sua identificazione più o meno completa con l'atteggiamento del momento, egli inganna qualche volta se stesso e spessissimo gli altri sul suo carattere. Egli indossa una maschera che sa corrispondere ai suoi fini e alle idee o aspettative del suo ambiente; in lui l'elemento personale e l'influenza altrui predominano alternativamente.

I due atteggiamenti segnalati più sopra rappresentano due personalità collettive che noi designeremo brevemente con i nomi di Persona o Personae. La vera individualità non è simile né all'una né all'altra. La persona è un complesso funzionale costituito per motivi di adattamento o di comodità, ma che non si confonde con l'individualità. Questo complesso funzionale non concerne che il rapporto con gli oggetti. Bisogna distinguere bene il rapporto dell'individuo col soggetto da quello che egli ha con gli oggetti esterni. Io intendo per soggetto quei vaghi e oscuri movimenti, sentimenti, idee e sensazioni che non derivano dalla continuità coscientemente sperimentata nell'oggetto; essi turbano e intralciano, qualche volta aiutano; provengono dai nostri recessi tenebrosi, dalle profondità, dal sottosuolo della coscienza; il loro insieme costituisce la percezione che noi abbiamo della vita inconscia. Il soggetto in quanto oggetto "interno" è l'inconscio. Così come l'atteggiamento esteriore corrisponde all'oggetto esterno, l’atteggiamento interiore sottolinea il rapporto con l'oggetto interno.

E' comprensibile che questo atteggiamento interiore, per la sua natura estremamente intima e difficilmente accessibile, è cosa di gran lunga più ignota di quell'atteggiamento esteriore che ognuno può senz'altro vedere; farsene un'idea non è però impossibile. Inibizioni, capricci, disposizioni affettive, sentimenti vaghi, frammenti immaginativi, parole casuali che sconvolgono l'attività concentrata e qualche volta la tranquillità dell'uomo più normale, e che la nostra abitudine di razionalizzare riporta a cause corporee o ad altri motivi, non provengono quasi mai da fonti che la nostra coscienza attribuisce loro; sono proprio delle percezioni di processi inconsci.

Bisogna naturalmente includere tra questi fenomeni i sogni, che si ha la tendenza a far risalire a cause esteriori e superficiali come indigestioni, all'aver dormito supini ed altri che tuttavia non possono resistere ad una critica seria. Di fronte a questi fatti l'atteggiamento dell'uomo varia enormemente. In certi casi non si lascia turbare da essi e li trascura totalmente; in altri se ne lascia assolutamente dominare; appena si presentano, un'impressione o un'immagine spiacevole turbano il suo umore per tutta la giornata; un vago malessere gli fa temere una malattia ignota; un sogno gli lascia, anche se non è mai stato superstizioso, un nero presentimento.

Alcuni sono soltanto periodicamente sensibili a questi stimoli inconsci, altri soffrono soltanto di alcuni, altri non ne hanno mai avuta coscienza e non hanno mai pensato che potesse esserci materia di riflessione; altri vi trovano un'occasione di meditazioni quotidiane. C'è qualcuno che li crede fisiologici o li attribuisce alla condotta altrui, altri invece vi scoprono una illuminazione religiosa. Questi differenti tipi di comportamento di fronte agli stimoli inconsci sono in tutto così abituali come gli atteggiamenti di fronte ad un oggetto esterno.

Quando i processi psichici sembrano passare del tutto inosservati, non manca affatto un atteggiamento interiore tipico così come non manca un tipico atteggiamento esteriore nei casi in cui l'effetto esterno, e cioè la realtà dei fatti, passa costantemente inosservato. In quest'ultimo caso, molto frequente, la persona mostra una mancanza totale di rapporti e di riguardi, un accecamento e una rigidità che non cedono che ai colpi più duri del destino. Non è raro che tali individui, i quali manifestano una carenza totale di rapporti o di preferenze, abbiano verso l'inconscio un atteggiamento estremamente influenzabile. Assolutamente inaccessibili e ribelli ad ogni influenza dell'esterno, essi sono cedevoli e flosci fino alla debolezza in quello e per quello che avviene dentro di essi. Il loro atteggiamento interiore corrisponde dunque ad una personalità diametralmente opposta all'esterno. Conosco un uomo che ciecamente e impietosamente ha spezzato l'esistenza dei suo prossimo; ma interrompe un importante viaggio d'affari per godere della bellezza del margine di una foresta che ha intravisto dal vagone. Casi analoghi s'incontrano spesso e dunque non moltiplico gli esempi.

Se l'esperienza quotidiana ci autorizza a parlare di una personalità esteriore, essa ci autorizza ugualmente ad ammettere l'esistenza di una personalità interiore, costituita dal comportamento verso il processo psichico; è l'atteggiamento interiore, il carattere verso l'inconscio. Io chiamo l'atteggiamento esteriore, il carattere esteriore, con la parola persona; l'atteggiamento interiore è l'anima. Quanto più un atteggiamento è abituale, più costituisce un complesso funzionale solidamente costruito, con il quale l'io può identificarsi più o meno integralmente. Il linguaggio corrente esprime chiaramente la differenza: di un uomo che si comporta in maniera abituale in certe occasioni si dice: diventa "diverso" in questa o in quella circostanza, esprimendo così l'indipendenza del complesso funzionale dall'atteggiamento abituale. Si dirà che una personalità diversa si impadronisce di lui, "che un nuovo spirito lo anima". Questa autonomia, rivolta molto spesso all'atteggiamento esteriore, l'atteggiamento interiore la rivendica per sé. Rifondare la persona per modificare l'atteggiamento esteriore è uno dei compiti più ardui dell'educazione, così come quello di rimodellare l'anima la cui struttura è formata così solidamente come quella della persona. Questa costituisce spesso la totalità apparente del carattere individuale e può, in certi casi, non subire alcuna variazione per tutta la vita; allo stesso modo l'anima mostra frequentemente contorni così definiti, qualche volta costantemente stabili e autonomi, che permettono di caratterizzarla e di descriverla.

Per quanto riguarda l'anima, il principio generale al quale mi hanno condotto i miei studi è che essa è, grosso modo, complementare del carattere esterno e riafferma tutte le qualità generalmente umane che fanno difetto all'atteggiamento cosciente. Il tiranno soggetto ad incubi, a cupi presentimenti, a terrori subdoli, è una figura tipica; duro, crudele, inaccessibile all'esterno, esso è interiormente preda di ogni ombra, il giocattolo di ogni umore passeggero, l'essere meno autonomo, il più malleabile. Debolezza e determinabïlità, che gli fanno totalmente difetto fuori, prendono dentro la loro rivincita. La persona è intellettuale? L'anima sarà indiscutibilmente sentimentale. Questo carattere complementare assegna anche il sesso al soggetto: io ho molte volte potuto costatare che più gli atteggiamenti esteriori della donna sono femminili, più la sua anima è virile e viceversa; più l'atteggiamento esteriore dell'uomo è virile, più la sua anima è femminile.

Questo contrasto deriva dal fatto che l'uomo non è esclusivamente virile in ogni cosa; normalmente, egli possiede sempre certi tratti femminili. Più è maschio il suo atteggiamento esterno, più i tratti femminili ne sono esclusi; così questi ultimi si manifestano nell'inconscio. Da ciò la debolezza caratteristica dell'uomo particolarmente virile; l'inconscio lo determina e gioca con lui come con una donna. Al contrario, la donna i cui sintomi esteriori rispondono perfettamente al suo sesso, misconosce generalmente l'esperienza interna; essa è spesso talmente ignorante, testarda, ostinata che non si trova tanta intensità che nell'atteggiamento esteriore dell'uomo. Se dunque noi parliamo dell'anima dell'uomo, bisognerebbe, coerentemente, parlare di animus della donna per dare alla sua anima il nome che le conviene.

Mentre nell'atteggiamento esteriore dell'uomo logica e realismo predominano o sono per lo meno il suo ideale, nella donna è il sentimento che ha una maggiore importanza. Nell'anima, è il contrario; interiormente l'uomo si abbandona ai sentimenti e la donna decide. Così l'uomo si dispera prima in circostanze in cui la donna può sempre consolarsi e sperare, e ricorre più facilmente al suicidio. Se la donna diviene facilmente vittima delle condizioni sociali (nella prostituzione, per esempio) l'uomo soccombe così agevolmente ai colpi dell'inconscio, tipo l'alcoolismo o altri vizi simili. Si può sempre andare, per quel che riguarda le qualità generalmente umane, dal carattere della persona al carattere dell'anima. Tutto ciò che dovrebbe normalmente fare parte dell'atteggiamento esteriore, ma vi fa difetto, si trova infallibilmente nell'atteggiamento interiore. E' questa una regola fondamentale, sempre confermata. Per le qualità individuali, esse non si lasciano dedurre dal caso; si osserva soltanto che esse sono associate all'anima ogni volta che c'è identificazione con la persona. Da ciò il simbolo onirico di gravidanza dell'anima, analogo all'immagine primordiale della nascita dell'eroe; il fanciullo che deve nascere è l'individualità ancora inconscia. Espressione di adattamento all'ambiente, la persona ne subisce ordinariamente l'influenza e ne porta l'impronta. L'anima per conto suo è fortemente sottolineata dall'inconscio e dalle sue qualità.

In un ambiente primitivo, la persona assume quasi necessariamente tratti primitivi; l'anima invece i tratti arcaici dell'inconscio, ma anche il suo carattere simbolico e prospettico. Da ciò l'aspetto divinatorio dell'atteggiamento interiore, il suo aspetto "creatore". L'identità con la persona condiziona automaticamente un'identificazione inconscia con l'anima, poiché se l'io non è differenziato dalla persona, non può avere rapporti coscienti con i processi inconsci. Chi s'identifica incondizionatamente con il suo atteggiamento esterno è inevitabilmente preda dei processi interiori; egli sarà cioè necessariamente spinto a contrastare la sua parte esteriore o a condurla ad absurdum. Gli diventa impossibile conservare la sua linea individuale; passa continuamente da un estremo all'altro. In questo caso, l'anima è sempre proiettata su un oggetto conveniente con il quale ha un rapporto di dipendenza quasi assoluto. Tutte le reazioni scatenate da questo oggetto esercitano sul soggetto un'azione immediata che lo prende dall'interno. Spesso sono tragici legami (v. l'Immagine dell'anima, n. 28).

4 ) APPERCEZIONE. - L'appercezione è un processo psichico attraverso il quale un nuovo contenuto è riallacciato a dei contenuti analoghi già presenti dimodochè lo si considera come chiaro, compreso. Si distingue un'appercezione attiva e un'appercezione passiva. Essa è attiva quando il soggetto, per motivi propri, coglie consciamente coll'attenzione un nuovo contenuto e lo assimila ad altri contenuti pronti a riceverlo; essa è passiva quando il nuovo contenuto si impone alla coscienza dall'esterno (attraverso la via dei sensi), o dall'interno (attraverso la via dell'inconscio), e forza in qualche modo l'attenzione e la considerazione del soggetto. Nel primo caso l'accento dell'attività poggia sull'io, nel secondo, sul nuovo contenuto che si impone.

5) ARCAISMO. - Con arcaismo io indico il carattere antico di contenuti o funzioni psichiche. Non si tratta affatto di quell'antichità d'imitazione, di quei modi arcaicizzanti, che hanno le opere d’arte dell'ultimo periodo di Roma o il "Gotico" del XIX secolo, ma di qualità che hanno la caratteristica d'essere delle sopravvivenze. Tali sarebbero, in prima linea, i tratti psicologici che corrispondono, essenzialmente, alla qualità della mentalità primitiva. L'arcaismo è evidentemente inerente prima di tutto alle fantasie dell'inconscio, ai prodotti dell'attività immaginaria inconscia che raggiungono. Un'immagine è arcaica se possiede delle rassomiglianze mitologiche incontestabili. Arcaiche solo le associazioni per analogia dell'immaginazione inconscia e per il suo simbolismo (v. Simbolo); il rapporto di identità (n. 26) con l'oggetto; la “partecipazione mistica" (n. 44); la concretezza del pensiero e del sentimento, e inoltre la coartazione e l'incapacità di dominarsi (abbandono di se stesso); la fusione tra di loro di funzioni psicologiche (v. Differenziazione), per esempio delle funzioni intellettuali e affettive, o affettiva e sensoriale, o affettiva e intuitiva; la fusione delle parti di una stessa funzione (audizione colorata); l'ambivalenza e l'ambitendenza (Bleuler); in altre parole, la fusione con l'antagonista, per esempio sentimento e sentimento opposto.

6) ASSIMILAZIONE. - L'assimilazione è adeguamento di un nuovo contenuto cosciente a dei materiali soggettivi disponibili coi quali si fonde; è soprattutto la rassomiglianza del nuovo contenuto e di questi materiali disponibili che è messa in evidenza, talora a danno delle sue qualità particolari.

L'assimilazione è insomma un processo di appercezione (v. n. 5); ma essa si distingue dall'appercezione pura per la fusione con i materiali soggettivi. E' per questo che Wundt dice: "Questo modo di formazione (l'assimilazione) si manifesta specialmente nel processo di rappresentazione, quando gli elementi assimilatori sono suscitati dalla riproduzione e gli elementi assimilati da un'impressione immediata dei sensi. Gli elementi delle immagini-ricordi sono allora, per così dire, trasferiti nell'oggetto esterno in tal modo che, soprattutto se esso se ne distingue considerevolmente, la loro percezione sembra un'illusione che ci inganna sulla vera natura delle cose". Io estendo un po' il senso del termine assimilazione e me ne servo per esprimere la fusione dell'oggetto nel soggetto in generale. Ad essa io contrappongo la dissimilazione come fusione del soggetto nell'oggetto con alienazione dell'io a profitto dell'oggetto esterno o psicologico, per esempio un'idea.

7) ASTRAZIONE. - Come la stessa parola indica, astrarre significa letteralmente "estrarre" o "isolare" un contenuto (un carattere generale) da un insieme di elementi ii cui combinarsi in un tutto è qualcosa di unico, di individuale, che non può paragonarsi a niente altro. Ciò che è unico, individuale, incomparabile, ostacola la conoscenza. Così ogni elemento relegato al contenuto sentito come essenziale deve sembrare estraneo alla volontà di conoscere. L'astrazione è, di conseguenza, questa operazione mentale che libera il contenuto o il dato trovato come essenziale dal suo legame con gli elementi giudicati non necessari; essa lo distingue e la differenzia dal resto. Astratto, nel senso più lato del termine,- è tutto quello che è estratto da una connessione di elementi non necessari alla sua specificazione.

L'astrazione è un'attività propria di tutte le funzioni psicologiche. C'è un pensiero e un sentimento astrattivo come una sensazione e una intuizione astrattiva. Il pensiero astrattivo distacca un contenuto, caratterizzato dalle sue qualità logiche e ideative, dagli elementi che gli sono eterogenei; il sentimento astrattivo fa lo stesso per quanto riguarda i contenuti caratterizzati sentimentalmente; anche la sensazione e l'intuizione fanno la medesima cosa riguardo ai contenuti che si riferiscono alla loro sfera rispettiva. Ci sono di conseguenza pensieri e sentimenti astratti.

I sentimenti astratti, come io li concepisco, corrisponderebbero ai sentimenti «superiori" o "ideali" di Nahlowsky. Io li metto allo stesso piano dei pensieri astratti. La sensazione astratta potrebbe chiamarsi sensazione estetica per opporla alla sensazione concreta. Per quanto riguarda l'intuizione astratta, sarebbe l'intuizione simbolica in opposizione all'intuizione fantastica (v. Intuizione, n. 37).

Nella presente opera, io riallaccio al concetto di astrazione l'idea di un processo psicoenergetico che gli è legato. Quando io prendo di fronte ad un oggetto un atteggiamento astratto, non è l'oggetto nella sua totalità che lascio agire su di me. Io ne prendo una parte che ricollego alle sue connessioni escludendo le parti estranee. La mia intenzione è di sbarazzarmi dell'oggetto in quanto totalità unica e individuale e di non trattenerne che una parte. La vista dell'insieme mi è evidentemente data ma io non mi ci perdo; il mio interesse non va verso il tutto, se ne ritira, insieme con la parte scelta, torna verso di me, cioè torna al mondo dei miei pensieri disposti e costellati in vista dell'astrazione di una parte dell'oggetto ( non si può astrarre che in virtù d'una costellazione soggettiva di concetti). Io chiamo "interesse" l'energia, la libido (V n. 41) che attribuisco come valore all'oggetto, o che quest'ultimo attira a s, eventualmente mio malgrado, o senza' neppure che io ne sia cosciente.

Dunque, per me il processo di astrazione consiste nel ritiro della libido dall'oggetto, e nel fatto che essa refluisce dal valore che abbandona l'oggetto per ritornare al contenuto soggettivo e astratto. L'astrazione equivale dunque ad un deprezzamento energetico dell'oggetto; in altri termini, è un movimento introverso della libido.

Io chiamo astrattivo un atteggiamento (vedere n. 8) che, da una parte, è introverso e che, d'altra parte, assimila ai contenuti astratti preformati nel soggetto una parte dell'oggetto sentito come essenziale. Più un contenuto è astratto meno è rappresentabile. Io mi ricollego, a questo punto, alla concezione di Kant nella sua Logica: un concetto è tanto più astratto "quanto più si sfrondano le differenze degli oggetti", il che vuoi dire che l'atrazione, ai suo estremo grado, si allontana talmente dall'oggetto che è completamente impossibile averne una rappresentazione. E' proprio questa astrazione che io chiamo idea. Invece, l'astrazione che tollera ancora una qualche rappresentazione e che ha ancora qualcosa di immaginoso in sé, è un concetto concreto (vedere Concretezza, n. 12).

8) ATTEGGIAMENTO. - Concetto relativamente nuovo in psicologia, fu introdotto da Miller e Schumann. Külpe vede nell'atteggiamento una predisposizione dei centri sensoriali o motori a una determinata eccitazione o a un impulso permanente. Per Ebbinghaus, l'atteggiamento, in senso lato, è una maniera d'agire che introduce l'abituale nell'atto particolare che ne differisce. E' in questo senso che noi ci serviamo di questo termine.

L'atteggiamento è, per noi, una disposizione della psiche ad agire o a reagire in una determinata direzione. La sua importanza è grande soprattutto per la psicologia dei fenomeni complessi dell'anima, poiché essa enuncia questo fatto psicologico curioso che, in alcune circostanze, talvolta certi stimoli determinano una forte impressione, mentre in altre essi non ne determinano che una debole, o non ne determinano affatto. Avere un atteggiamento significa essere disposto a una cosa determinata, anche se essa sia inconscia; questo significa: avere a priori una direzione verso un obiettivo determinato, conscio o inconscio. La disposizione che è per me atteggiamento, consiste sempre nella presenza di una certa costellazione soggettiva, combinazione determinata di fattori o di contenuti psichici, che determina questa o quella direzione dell'attività, o questa o quella interpretazione dello stimolo esterno. Senza atteggiamento, 1'appercezione (v. Appercezione) attiva è impossibile.

L' atteggiamento ha sempre un obiettivo, conscio o inconscio; infatti ogni combinazione stabilita di contenuti fa infallibilmente risaltare nell'atto d'appercezione di un contenuto nuovo le qualità, che il fattore soggettivo riconosce confacenti a se stesso. C'è dunque qui una scelta, o un giudizio, che esclude ciò che non conviene. E' la combinazione di contenuti pronti, o costellazione, che decide di ciò che è o non è conveniente. Poco importa per l'attività selettiva dell'atteggiamento che l'obiettivo sia conscio o inconscio effettivamente, la scelta che l'atteggiamento fa è già data a priori e si compie automaticamente. Nella pratica ogni volta si fa distinzione tra atteggiamento cosciente e atteggiamento inconscio; poiché molto spesso ci sono due atteggiamenti, l'uno conscio, l'altro inconscio. La coscienza può avere delle disponibilità i cui contenuti sono differenti da quelli dell'inconscio; questa dualità è particolarmente manifesta nella nevrosi.

Il nostro concetto di atteggiamento ha qualche affinità con l'appercezione di Wundt, con questa differenza che talvolta quest'ultima racchiude in sé il processo dei rapporti dei contenuto disponibile al nuovo contenuto da percepire, mentre l'atteggiamento concerne unicamente il contenuto soggettivo disponibile. L'appercezione è in qualche modo il ponte che riunisce i due contenuti, mentre, per noi, l'atteggiamento e il nuovo contenuto rappresentano i forti contrasti di questo ponte su due rive opposte. L'atteggiamento equivale ad una aspettativa la quale conduce sempre alla scelta e all'orientamento. Un contenuto emotivo molto accentuato che si trovi nel campo visivo della coscienza forma (eventualmente con altri contenuti) una costellazione che equivale a qualche atteggiamento determinato; infatti un tale contenuto attiva la percezione e l'appercezione del congenere e inibisce quella dell'eterogeneo. Esso crea così l'atteggiamento che gli corrisponde. Questo fenomeno automatico è una ragione essenziale dell'unilateralità dell'orientamento cosciente. Condurrebbe a un disquilibrio completo, non a una funzione autoregolatrice e compensatoria (v. Compensazione) della psiche, che corregge l'atteggiamento cosciente. In questo senso la dualità di atteggiamento è un fenomeno normale; essa non diviene un turbamento psichico se non quando l'unilateralità cosciente è eccessiva.

Sotto forma di attenzione abituale, l'atteggiamento può non essere che un fenomeno parziale e relativamente insignificante, o, anche, diventare un principio generale e determinante della psiche interna. La disposizione soggettiva, l'influenza dell'ambiente, l'educazione, l'esperienza, le convinzioni possono tutte dare luogo a una costellazione abituale di contenuti che suscitano, a loro volta, qualche atteggiamento, determinato spesso fin nei suoi minimi dettagli. Colui che sente profondamente ciò che vi è di pietoso nella vita prenderà naturalmente un atteggiamento di dispiacere, di attesa continua, che il suo inconscio compenserà con un atteggiamento teso 'verso i! piacere. L'oppresso si aspetta l'oppressione; egli la cerca nella sua esperienza, egli la piange dappertutto; ma il suo atteggiamento inconscio tende verso la potenza e il dominio. La psicologia intera dell'individuo, anche nelle sue grandi linee, prende un orientamento differente secondo il tipo di atteggiamento abituale. Poiché le leggi psicologiche di ordine generale valgono per tutti, esse non caratterizzano mai l'individuo particolare; il loro tipo di azione dipende dall'atteggiamento generale. Questo risulta dall'insieme di tutti i fattori che possono influenzare essenzialmente la psiche: disposizione innata, influenza dell'ambiente, esperienza acquisita durante la vita, punti di vista e convinzioni, rappresentazioni collettive, etc...

Non è l'importanza, comunque fondamentale, dell'atteggiamento, ma l'atteggiamento generale che provoca tante enormi rimozioni di forze, tali modifiche di rapporti di funzioni particolari fra loro, che ne risultano effetti di insieme che mettono qualche volta in questione il valore delle leggi psicologiche generali. Ad esempio si ritiene indispensabile per ragioni psicologiche e fisiologiche che la funzione sessuale possa esercitarsi in una certa misura; nonostante ciò, degli uomini possono senza dispiacere, cioè senza che niente di patologico si manifesti o senza che si possa incontrare presso di loro la più piccola difficoltà per quanto riguarda la loro possibilità d'azione, astenersene quasi completamente; in altri casi, al contrario, il più piccolo turbamento in questo campo può portare gravi conseguenze di ordine generale. E' nel piacere e nella pena che si sottolinea meglio quali immense differenze esistono tra gli individui. Ogni regola non è sempre valida. Non vi è nulla che non possa portare all'uomo, secondo il caso, sia piacere, sia dispiacere alternativamente? Ogni istinto, ogni funzione può subordinarsi ad un'altra per mettersi al suo seguito. Così l'istinto di sé o di potenza può mettersi al servizio della sessualità o al contrario sottometterla; la funzione intellettuale può soffocare tutte le altre, o la funzione affettiva assorbire le funzioni intellettuali e sensoriali seguendo l'atteggiamento che prevale.

In termini rigorosi, l'atteggiamento, fenomeno individuale, sfugge allo studio scientifico. Ogni volta si distinguono empiricamente alcuni atteggiamenti tipo, come d'altra parte si distinguono certe funzioni psichiche. Quando una funzione diviene abitualmente predominante, ne seguirà un atteggiamento tipico. Ciascuna funzione differenziata provoca una costellazione di contenuti che suscita l'atteggiamento corrispondente. L'intellettuale, l'affettivo, il sensitivo, l'intuitivo, hanno ciascuno i loro atteggiamento tipico. Al di fuori di questi atteggiamenti puramente psicologici, che si potrebbero moltiplicare, esistono dei tipi sociali che portano l'impronta di rappresentazioni collettive condizionate che caratterizzano delle parole in «-ismo". Questi atteggiamenti collettivamente condizionati hanno in ogni caso grandissima importanza, più grande talvolta degli atteggiamenti individuali.

9) COLLETTIVO. - Io chiamo collettivo ogni contenuto psichico proprio non a un 'solo individuo, ma a un gran numero di individui contemporaneamente: società, popolo o anche l'umanità intera. Tali sarebbero le "rappresentazioni mistiche collettive" descritte da Lévy-Bruhi ('). Egualmente le concezioni generali del diritto, della religione, della scienza, etc.- correnti tra i popoli civili. Oltre alle concezioni e le opinioni, anche i sentimenti possono essere collettivi. Secondo Lévy-Bruhi, le rappresentazioni collettive del primitivo sono simultaneamente dei sentimenti collettivi. E' a causa del loro valore collettivo affettivo che le chiama mistiche: esse non sono soltanto intellettuali, ma anche emozionali. Presso i popoli civili, a certi concetti collettivi: idea di Dio, del diritto, della patria, si ricollegano dei sentimenti del medesimo ordine. Questo carattere collettivo non appartiene esclusivamente a elementi o contenuti psichici; riguardano talvolta delle funzioni (v. n. 21) intere. Così il pensiero, in quanto funzione totale, può possederlo se ha un valore generale conforme, per esempio, alle leggi della logica. Parimenti, il sentimento, se è identico al sentimento in generale, vale a dire a una attesa comune, per esempio alla coscienza morale corrente. Egualmente, la sensazione o certe qualità della sensazione, dell'intuizione proprie di un gruppo. Al collettivo si oppone l'individuale- (v. Individualità ) .

10) COMPENSAZIONE. - Compensare vuol dire controbilanciare o sostituire. Questa nozione fu introdotta nella psicologia delle nevrosi da Adler.

Per compensazione, Adler intende una funzione che controbilancia il sentimento di inferiorità per mezzo di un sistema psicologico compensatore, paragonabile allo sviluppo compensatore di organi nell'insufficienza organica. Egli dice nei suoi Studi sull'insufficienza degli organi: "Appena separati dall'organismo materno, questi organi e sistemi di organi insufficienti entrano in lotta col mondo esteriore, lotta inevitabile e molto più intensa che se si trattasse di apparati normalmente sviluppati. Il carattere fetale aumenta le possibilità di compensazione e di supercompensazione, rinforza le loro facoltà di adattamento a resistenze ordinarie e straordinarie e assicura la costituzione di nuove e più alte forme e di nuove e più alte produzioni". Il sentimento d'inferiorità del nevrotico, che, secondo Adler, corrisponderebbe eziologicamente a un'insufficienza organica, provoca una "costruzione ausiliaria", una compensazione, che consiste in una finzione destinata a controbilancia-re l'insufficienza. La finzione, o «linea fittizia di condotta», è un sistema psicologico che tende a trasformare l'insufficienza in maggior valore. Ciò che vi è di particolarmente importante in questa concezione è che essa riconosce l'esistenza empiricamente innegabile di una funzione compensatrice che, nel dominio dei processi psicologici, corrisponde a una funzione analoga, sul piano psicologico, di autodirezione o di autoregolazione dell'organismo.

Per Adler, la compensazione non ha altra funzione che di controbilanciare il solo sentimento d'inferiorità. Io prendo questa nozione in un senso più generale e vedo nella compensazione un bilanciamento funzionale, una specie di autoregolazione di ogni apparato psichico. Secondo me, l'attività dell'inconscio (vedere Inconscio, n. 30) compensa anche l'esclusivismo dell'atteggiamento generale dovuto alle funzioni coscienti.

Agli psicologi piace paragonare la coscienza all'occhio; si parla d'un "campo visivo", d'un "centro ottico" della coscienza, espressioni che caratterizzano perfettamente la natura delle funzioni coscienti. Troppo pochi contenuti possono arrivare simultaneamente al livello superiore del cosciente; un numero limitato di essi può solo mantenersi nello stesso tempo nel suo campo. L'attività della coscienza è dunque essenzialmente selettiva; ora la selezione richiede sempre una direzione determinata, che, da parte sua, esige l'esclusione di tutto ciò che non conviene. Da ciò una certa unilateralità dell'orientamento della coscienza. I contenuti esclusi dalla direzione prescelta o inibiti cadono nell'inconscio; ma per la loro stessa esistenza essi fanno da contrappeso all'orientamento cosciente che si accresce con l'aumento dell'unilateralità della coscienza e finisce per suscitare una tensione sempre più percettibile. Questa tensione apporterà una certa molestia all'attività cosciente, molestia che può ancora tuttavia essere superata grazie a uno sforzo cosciente aumentato. A lungo andare, frattanto, questa tensione aumenta fino al punto che i contenuti inconsci inibiti si introducono nella coscienza sotto forma di sogni e di immagini spontanei. Più è grande l'unilateralità dell'atteggiamento cosciente più i contenuti scaturiti dall'inconscio si indirizzano contro di essa, in modo che si può parlare di un vero conflitto tra il conscio e l'inconscio. In questo caso, la compensazione si manifesta sotto forma di funzione contrastante. E' un caso estremo: in genere, la compensazione per l'inconscio non rappresenta un contrasto. Essa controbilancia l'orientamento cosciente, o lo completa. L'inconscio libera, per esempio in un sogno, tutti i contenuti costellati dalla situazione cosciente ma inibiti dalla scelta cosciente e la cui conoscenza sarebbe indispensabile alla coscienza per giungere ad un adattamento vitale.

Nello stato normale, la compensazione è inconscia; in altre parole essa regolarizza inconsciamente 1' attività cosciente. Nella nevrosi, il conflitto tra l'inconscio e il conscio è così violento che la compensazione ne è turbata. Perciò la terapia analitica cerca di rendere consci i contenuti inconsci per ristabilire così la compensazione.

11) COMPLESSO DI POTENZA. Termine con il quale io designo a volte la complessa totalità delle rappresentazioni e delle aspirazioni che tendono a porre l’io al di sopra delle altre forze, per sottometterle, sia che queste influenze emanino da persone o circostanze esterne, sia che sorgano da pensieri, sentimenti, o istinti soggettivi.

12) CONCRETISMO. - Particolarità determinata del pensiero e del sentimento opposta all'astrazione. Letteralmente, concreto significa: unito nella crescita, "con-crescere". Un concetto concreto è tale in quanto è rappresentato come fuso, unito con altri; non è né astratto, né distinto, né esistente in sé; Si deve rapportare a qualcosa con cui si compenetra, non ancora differenziato, è come invischiato nella massa del materiale trasmesso dai sensi. Il pensiero concretista si pone al centro di concetti ed intuizioni concrete, rapportandosi sempre alla sensorialità. Allo stesso modo, al sentimento concretista non manca mai la partecipazione sensoriale.

Il pensiero ed il sentimento primitivo sono esclusivamente concretistici, sempre in rapporto con il sensoriale. Il pensiero del primitivo non possiede una completa indipendenza ed è vincolato permanentemente al fenomeno materiale; tutt'al più si innalza al livello dell'"analogia". Lo stesso avviene per il sentimento primitivo: entrambi hanno per fondamento la sensazione, dalla quale non si distinguono molto; da ciò deriva il carattere arcaico del concretismo (v. Arcaismo). L'influenza "magica" del feticcio non è mai vissuta dal primitivo come uno stato affettivo soggettivo, ma viene percepita come una forza magica: è un esempio, questo, di concretismo dei sentimento. Il primitivo non si rende conto che il pensiero che egli ha del suo Dio è un contenuto psichico soggettivo: l'albero sacro, domicilio del Dio, è esso stesso Dio (“concretismo intellettuale"). Questo concretismo del pensiero e del sentimento si trova anche nell'uomo civile, nella sua incapacità di pensare se non sotto forma di dati sensoriali, di evidenza immediata, o di distinguere il sentimento soggettivo dal suo oggetto, percepito dai sensi. Il concetto di concretismo rientra nel concetto più generale della partecipazione mistica (v. n. 45) che è, propriamente parlando, uno stato di fusione dell'individuo con l'oggetto esterno, mentre il concretismo è la fusione del pensiero e del sentimento con la sensazione. A causa del concretismo, l'oggetto del pensiero e del sentimento è sempre, nello stesso tempo, -oggetto della sensazione. Questa confusione impedisce la differenziazione delle due funzioni, che sono trattenute nella sfera della sensazione, dunque della partecipazione sensoriale; né l'una né l'altra possono raggiungere lo stato puro, ma restano subordinate alla sensazione. Ne deriva il primato del fattore sensoriale nell'orientamento psicologico (v. per il fattore sensoriale: 'Sensazione e Tipo, nn. 52 e 57).

Lo svantaggio del concretismo è di legare la funzione alla sensazione; essendo la sensazione percezione di stimoli fisiologici, il concretismo mantiene la funzione all'interno della sfera sensoriale, o comunque ve la riporta continuamente. Ne risulta un attaccamento delle funzioni psicologiche ai sensi, cosa che disturba lo sviluppo dell'autonomia psichica dell'individuo, a profitto dei dati sensoriali. Questo atteggiamento di base è prezioso per riconoscere i fatti, ma lo è molto meno per interpretarli e per cogliere il loro rapporto con l'individuo. Il concretismo, per di più, comporta la prevalenza del significato dei fatti: annienta l'individualità e la sua libertà a profitto del processo oggettivo. Poiché l'individuo non è determinato unicamente da stimoli fisiologici, ma anche da fattori opposti, in certi casi, di fronte a fatti esterni, il concretismo ha per effetto la proiezione di questi fattori interni nei fatti esterni: ne deriva una sopravvalutazione quasi superstiziosa del fatto puro e semplice, esattamente come nel primitivo. Si può citare come esempio di concretismo affettivo quello di Nietzsche, con la sua sopravvalutazione, formulata come corollario, del regime alimentare; e il materialismo di Moleschott ("l'uomo è ciò che egli mangia"). Come esempio di sopravvalutazione dei fatti, citiamo l'ipostasi del concetto di energia nel monismo di Ostwald.

13) COSCIENZA. - Intendo per coscienza il riferimento dei contenuti psichici dell'Io; c'è coscienza nella misura in cui l'Io percepisce questo rapporto (vedere Io, n. 41). Le relazioni con l'Io che questo non percepisce come tali sono inconsce. Il conscio è la funzione o l'attività che regola i rapporti dei contenuti psichici con l'lo. Per me il conscio non è identico alla psiche, poiché quest'ultima costituisce la totalità dei contenuti psichici. Ora, essi non sono tutti necessariamente né direttamente collegati all'lo e non ne partecipano sempre al punto da possedere la qualità di coscienza.

14) COSTRUTTIVO, METODO. Uso questo termine pressapoco nello stesso senso di sintetico, per spiegare in qualche modo quest'ultimo. Il termine "costruttivo" insiste sull'idea del costruire: con "costruttivo" e "sintetico", intendo un metodo che è l'opposto del metodo riduttivo. Il metodo costruttivo si applica alla relazione dei materiali inconsci, sogni, fantasie, etc. Suo punto di partenza è la produzione inconscia, che esso considera come un' espressione simbolica (v. Simbolo) che anticipa in un' immagine un frammento dello sviluppo psicologico. Maeder attribuisce all'inconscio anche una funzione prospettica propriamente detta, che anticiperebbe, come per gioco, lo sviluppo psicologico futuro Anche Adler riconosce all'inconscio una funzione anticipatrice. E' certo che non bisogna contentarsi di considerare i prodotti dell'inconscio unicamente come qualcosa di compiuto, che è stato fatto, che è divenuto, come delle elaborazioni in qualche modo finali, perché questo equivarrebbe a negare loro ogni significato in rapporto con l'evoluzione dell'esistenza. Freud stesso riconosce al sogno una funzione teleologica, almeno in quanto "protettore del sonno", riducendo essenzialmente ai soli "desideri" la sua funzione prospettica. Tuttavia, non si può negare a priori il carattere finalistico delle tendenze inconsce, per analogia con altre funzioni psicologiche o fisiologiche. Per questo noi consideriamo il prodotto dell'inconscio come un'espressione orientata verso un fine o un'intenzione che esso caratterizza mediante un linguaggio simbolico.

Conformemente a questa concezione, il metodo costruttivo non si occupa delle fonti propriamente dette, né degli elementi originali dei prodotti dell'inconscio: esso cerca una traduzione chiara e comprensibile della creazione simbolica. Le associazioni libere che si presentano allo spirito in relazione alla produzione dell'inconscio sono esaminate meno sotto l'angolo della loro possibile provenienza, che in rapporto ad un loro eventuale fine. Le si considera dal punto di vista del fare e del non fare futuri; la loro relazione con lo stato momentaneo della coscienza deve essere particolarmente considerata, perché, secondo la concezione compensatrice, l'attività inconscia controbilancia sempre lo stato di coscienza, o lo completa. Poiché si tratta in questo caso di un pre-orientamento, il rapporto reale con l'oggetto ha un'importanza molto minore che nel metodo riduttivo, che si occupa di rapporti veramente esistiti con l'oggetto stesso. L'argomento di cui stiamo trattando riguarda soprattutto l'atteggiamento soggettivo in cui l'oggetto è prima di tutto un indice delle tendenze del soggetto. Il metodo costruttivo cerca di stabilire il significato della produzione dell'inconscio per l'atteggiamento futuro del soggetto; ora, potendo, l'inconscio creare di regola solo espressioni simboliche, il metodo in questione serve a chiarificare il significato di queste espressioni, in modo tale da trarne un'indicazione che possa mettere la coscienza sulla buona strada; essa procura al soggetto quell'accordo con l'inconscio di cui ha bisogno per agire.

Nessun metodo di interpretazione psicologica può basarsi unicamente sulle associazioni del soggetto analizzato; anche il metodo costruttivo ricorre a certi termini di paragone. L'interpretazione riduttiva prende in prestito i suoi dalla biologia, dalla fisiologia, dal folklore, dalla letteratura etc. Ugualmente il procedimento costruttivo, per trattare i problemi intellettuali, ricorre ai fatti paralleli presentati dalla filosofia, dalla mitologia, dalla storia delle religioni, quando si tratti di problemi dell'intuizione.

Il metodo costruttivo è necessariamente individualista, perché un atteggiamento collettivo futuro si sviluppa solo partendo dall'individuo. Al contrario, il metodo riduttivo, riportando ogni fatto individuale all'atteggiamento o al fatto fondamentale e generale, è collettivo. Si può applicare da se stessi il metodo costruttivo ai propri materiali soggettivi: esso diviene allora un metodo intuitivo, diretto all'elaborazione del senso generale della produzione dell'inconscio. Questa elaborazione si fa per concatenazioni associative (ma non per appercezione attiva; V. Appercezione, n. 5) di materiali che arricchiscono e approfondiscono l'espressione simbolica (per esempio il sogno) in modo tale da arrivare alla chiarezza che ne permetta la comprensione conscia. Approfondita e arricchita in questo modo, l'espressione simbolica si trova posta all'interno di connessioni più generali che ne permettono l'assimilazione.

15) DIFFERENZIAZIONE. - E' lo sviluppo di differenze, l'atto di isolare delle parti da un tutto. In questo saggio, mi servo del termine differenziazione soprattutto a proposito delle funzioni psicologiche. Fin quando una funzione è ancora fusa con una o più altre, per esempio il sentimento con il pensiero o il sentimento con la sensazione, ecc., al punto da non potersi manifestare isolata e indipendente, essa si trova in uno stato arcaico (v. Arcaismo, n. 6), non è differenziata, cioè non costituisce una parte speciale distinta da un tutto. Il pensiero non differenziato è incapace di pensare liberandosi dall'influenza delle altre funzioni: sensazioni, sentimenti o intuizioni si compenetrano senza posa; una funzione del sentimento non differenziata, ad esempio, si compenetra con sensazioni e fantasie: così la sessualizzazione del pensiero e del sentimento nella nevrosi (Freud).

In genere la funzione non differenziata è caratterizzata dall'ambivalenza e dalla ambitendenza, cioè ogni posizione, ogni volizione si accompagna in maniera percettibile con la propria negazione; ne derivano quelle inibizioni caratteristiche che si manifestano nell'attività d'una funzione non differenziata. Le sue parti sono fra loro unite: così la sensazione non differenziata è parzialmente disturbata dalla confusione delle sfere sensoriali ("audition colorée"); la funzione affettiva non differenziata, invece, dalla mescolanza di amore e di odio.

Finché una funzione rimane totalmente o in gran parte inconscia, è necessariamente indifferenziata, le sue parti sono confuse fra loro o con altre funzioni: differenziare, infatti, è separare l'una dall'altra le funzioni o le parti di una stessa e sola funzione. Senza differenziazione, non è possibile una direzione, perché la direzione di una funzione, il suo orientamento, si basa sulla separazione e sull'esclusione degli elementi che non servono. Lo stato di fusione con numerosi ostacoli rende impossibile la formazione di un orientamento; solo la funzione differenziata ha un valore di orientamento per l'individuo.

16) DISSIMILAZ10NE (v. Assimilazione, n. 6).

17) EINFÜHLUNG. - L'"Einfühlung" è introiezione dell'oggetto. (Per la definizione esatta del termine, vedere Proiezione, n. 47).

18) EMOZIONE (v. Affetto, n. 2).

19) ENANTIODROMIA. - Letteralmente significa "corsa in senso contrario" (1) ed esprime l'antagonismo del divenire, l'idea che tutto ciò che c'è si trasforma in senso contrario.

"Ciò che vive muore, ciò che era morto rinasce; ciò che è giovane invecchia e ciò che è vecchio ridiventa giovane; ciò che era sveglio si addormenta e ciò che dormiva si sveglia; mai s'arresta la corrente della distruzione e della creazione".

"Creare e distruggere, distruggere e creare, questa è la regola che comprende tutti i cicli della natura, dai più piccoli ai più grandi. Il cosmo stesso, sorto da poco dal fuoco primordiale, ripiomberà un giorno nel fuoco - doppio processo che si svolge a periodi fissi, ma incommensurabili". Questa è l'enantiodromia di Eraclito, secondo i suoi maggiori interpreti.

I passaggi di Eraclito che contengono questa idea sono numerosi : "La natura stessa tende all'antagonismo; da questo deriva la sua armonia, non dall'identico".

"Appena nati, si preparano a vivere e quindi a subire la morte"

"E' morire per l'anima passare allo stato di acqua, è morire per l'acqua passare a quello di terra; la terra diventa acqua e l'acqua diventa anima".

"L'alternanza dei cambiamenti è perpetua: il tutto diviene fuoco e rinasce per diventare tutto; così l'oro si cambia in merce e la merce in oro".

Applicando psicologicamente questo stesso principio, Eradito dice: "La ricchezza possa non mancarvi mai, o abitanti di Efeso, affinché la vostra depravazione appaia alla luce del sole".

Io chiamo enantiodromia la manifestazione dell'opposizione inconscia, in particolare nello svolgimento temporale. Questo fenomeno caratteristico si presenta quasi sempre quando una tendenza estremamente unilaterale domina la vita conscia, in modo che poco a poco si forma nell'inconscio un atteggiamento opposto, ma stabile, che si manifesterà dapprima con un'inibizione del rendimento conscio, poi con un'interruzione progressiva del suo orientamento troppo unilaterale.

La psicologia di San Paolo e la sua conversione al cristianesimo è un buon esempio di enantiodromia, come la conversione di Raymond Lulle, l'identificazione di Nietzsche con Cristo durante la pazzia, la sua deificazione di Wagner e la successiva ostilità verso di lui, la metamorfosi di Swedenborg da saggio in visionario ecc... ecc...

20) ESTROVERSIONE. - Estroversione significa orienta mento della libido verso l'esterno (v. Libido). Chiamo estroverso un rapporto del soggetto con l'oggetto tale che l'interesse soggettivo si muove positivamente verso l'oggetto. Nello stato di estroversione, si pensa, si sente e si agisce relativamente all'oggetto, in modo evidente e direttamente percettibile, tanto che l'atteggiamento positivo del soggetto a riguardo dell'oggetto è fuori di dubbio. In un certo senso, è un atto di trasferimento dell'interesse del soggetto nell'oggetto. Se si tratta di un'estroversione del pensiero, il soggetto si pensa in qualche modo nell'oggetto; se si tratta invece di un'estroversione del sentimento, questo compenetrerà l'oggetto come dall'interno. Nello stato d'estroversione il soggetto è fortemente, ma non esclusivamente, condizionato dall'oggetto. L'estroversione è attiva quando è intenzionale, voluta dal soggetto; passiva, al contrario, quando è l'oggetto che l'ottiene per forza, attirando, suo malgrado, l'interesse del soggetto. L'estroversione abituale produce il tipo estroverso (v. Tipo).

21) FUNZIONE. - Intendo per funzione psicologica una certa forma di attività psichica, che nonostante il cambiamento delle circostanze, resta sempre identica a se stessa. Dal punto di vista energetico, c'è una forma con cui la libido si manifesta (v. Libido, n. 40); variando il contingente, essa resta nella sua essenza identica a se stessa, come una forza fisica che può ogni volta essere considerata una forma determinata dell'energia potenziale.

Io distinguo in tutto quattro funzioni fondamentali: due razionali e due irrazionali: il pensiero, il sentimento, l'intuizione, la sensazione. Non potrei dare a priori le ragioni di questa distinzione: anni di esperienza e di osservazione mi hanno portato a questa concezione. Distinguo queste funzioni l'una dall'altra, perché è impossibile rapportare o ridurre l'una all'altra. Il principio del pensiero, ad esempio, è rigorosamente distinto da quello del sentimento, ecc... L'attività fantastica (v. Immaginazione, n. 27) è una forma particolare di attività psicologica; la distinguo per principio dalle altre quattro funzioni, perché può manifestarsi in ciascuna di esse.

Quanto alla volontà (v. Volontà), essa mi sembra un fenomeno psichico secondario, come l'attenzione.

22) FUNZIONE INFERIORE. - Chiamo funzione inferiore quella che arriva in ritardo, al momento del processo di differenziazione. L'osservazione dimostra, in effetti, che le condizioni generali rendono quasi impossibile lo sviluppo simultaneo di tutte le funzioni psicologiche. Le esigenze dell'ambiente sociale fanno in modo che l'uomo differenzi sempre particolarmente e in primo luogo la funzione che meglio corrisponde alle sue disposizioni naturali o che gli offre una maggiore prospettiva di successo. Molto spesso - è quasi la regola - egli si identifica più o meno completamente con questa funzione privilegiata, che sviluppa perfettamente: questa è l'origine dei tipi psicologici. L'unilateralità di questo processo di sviluppo ritarda necessariamente la maturazione delle altre funzioni. A ragione, quindi, si potranno chiamare "inferiori", psicologicamente parlando, ma non nell'accezione psicopatologica del termine, perché la funzione inferiore non è morbosa, è semplicemente in ritardo in rapporto alla funzione più favorita. Spesso, nei casi normali, la funzione inferiore resta conscia, nella nevrosi, al contrario, cade più o meno interamente nell'inconscio.

Se tutta la libido è portata alla funzione privilegiata, la funzione insufficiente subisce uno sviluppo regressivo: ritorna alla posizione preliminare o arcaica. Essa diviene così incompatibile con la funzione priviliegiata, conscia. Se una funzione che dovrebbe essere normalmente conscia ricade nell'inconscio, vi passa ugualmente la sua energia specifica. Una funzione naturale, per esempio il sentimento, è un sistema vivo fortemente coordinato, naturalmente dotato di un'energia che non può essergli sottratta del tutto. Se la funzione inferiore diventa inconscia, i residui di energia suscitano un'animazione anormale dell'inconscio da cui nascono le fantasie che corrispondono alla funzione ormai arcaica. Una liberazione, attraverso l'analisi, della funzione inferiore sottratta al peso dell'inconscio, si potrà verificare solo se le formazioni fantasiose inconsce da essa liberate siano innalzate fino alla coscienza. Eì grazie alla presa di coscienza di queste formazioni fantasiose, la funzione inferiore riprende contatto con la coscienza, ritrovando così le sue possibilità di sviluppo.

23) FUNZIONE TRASCENDENTE (v. Simbolo).

24) IDEA. - In questo saggio, uso a volte il concetto di idea per indicare un certo elemento psicologico che si trova in stretta relazione con ciò che io chiamo immagine (v. Immagine). L' immagine può essere di origine personale o impersonale; in quest'ultimo caso, l'immagine è collettiva e caratterizzata da qualità mitologiche: io la chiamo immagine primordiale; chiamo invece idea quella priva di carattere mitologico, cioè di qualità rappresentativa, e non collettiva. Uso dunque la parola idea per esprimere il senso di un'immagine primordiale, senso che è stato tratto, astratto dal concretismo dell'immagine: in quanto astrazione sembra essere derivata o sviluppata da qualcosa di più elementare, una produzione del pensiero. Così Wundt (1) e altri considerano l'idea. Ma nella misura in cui l'idea non fa che formulare semplicemente il senso di un'immagine primordiale che la rappresentava simbolicamente, essa non è più, nella sua essenza, un prodotto derivato, ma costituisce, psicologicamente parlando, un a priori, come possibilità data dal legame con il pensiero. Nella sua essenza (ma non nella sua espressione), l'idea è dunque una grandezza psicologica determinata, che esiste a priori. In questo senso le idee sono per Platone degli archetipi o originali delle cose in sé; secondo Kant, l'idea è il prototipo dell'uso della ragione (concetto trascendente che supera, come tale, i limiti dell'esperienza possibile), o anche un concetto della ragione "di cui l'oggetto non può trovarsi nell'ordine dell'esperienza". Kant dice ancora: "Benché si possa dire dei concetti razionali trascendentali che non sono che idee, non li consideriamo, tuttavia, superflui e vani, perché anche se nessun oggetto può essere determinato da essi, possono, però, in principio e in maniera insensibile, servire alla comprensione (Verstand) di regole (Kanon) con un uso vasto ed uniforme. In verità esso non conosce in questa maniera altri oggetti oltre a quelli che conosce con i propri concetti. Tuttavia una tale conoscenza si esplica meglio e progredisce di più, senza parlare del fatto che questi concetti rendono forse possibile il passaggio dai concetti fisici a quelli pratici e possono anche procurare alle stesse idee morali rapporti con le conoscenze speculative della ragione".

Schopenhauer afferma: "Sotto il concetto di idea comprendo quei gradi determinati e fissi dell'oggettivazione della volontà in quanto questa è cosa in sé e, come tale, estranea alla pluralità, gradi che si comportano veramente rispetto alle singole cose come loro forme eterne e prototipi". Di conseguenza, secondo Schopenhauer, l'idea è, e rimane, intuitiva, ed è concepita proprio secondo il senso che io attribuisco all'immagine primordiale. Ma essa non può essere conosciuta dall'individuo e non si rivela che "quando ci si innalza allo stato di soggetto conoscente puro, al di sopra della volontà e dell'individualità".

Hegel sostanzializza completamente l'idea, dandole l'attributo di unico reale. Secondo lui essa è "il concetto, la realtà del concetto e l'unità dei due". Essa è "la procreazione eterna". Secondo Lasswitz, l'idea è "la legge che determina la direzione che deve prendere lo sviluppo della nostra esperienza": essa è «,la realtà più certa e più alta". Per Cohen, essa è "l'autocoscienza del concetto", "il fondamento primo dell'essere".

E' inutile continuare le citazioni - quelle che ho dato sono sufficienti - che attestino la natura primaria dell'idea, che generalmente viene concepita come grandezza fondamentale esistente a priori. Essa prende quest'ultima qualità dallo stadio precedente, l'immagine primordiale e simbolica (v. Immagine), mentre le qualità secondarie d'astrazione e derivate le assume dall'elaborazione razionale che l'immagine primordiale subisce per adattarsi alle esigenze della ragione. L'immagine primordiale è una quantità psicologica che si rinnova ovunque e sempre sotto forma autoctona. In certa misura si può dire la stessa cosa dell'idea. Tuttavia, a causa della sua natura razionale, è molto più soggetta alle modificazioni dell'elaborazione razionale che influenzano fortemente il tempo e le circostanze e che le procurano espressioni conformi allo spirito del momento.

Data la sua provenienza dall'immagine primordiale, alcuni filosofi le attribuiscono un carattere trascendente. Come la concepisco io, l'idea non potrebbe possedere questo carattere che invece conviene all'immagine primordiale, che è fuori del tempo perché sempre e dovunque considerata come parte integrante dello spirito umano. L'idea deriva la propria autonomia dall'immagine primordiale non creata, ma sempre presente, che entra nella percezione da se stessa: si potrebbe dire che essa stessa tende a realizzarsi, poiché lo spirito la sente come una potenza determinante e attiva. D'altra parte questa concezione non è generale, dipende probabilmente dall'atteggiamento (v. cap. vii). L'idea è una grandezza psicologica che determina non soltanto il pensiero, ma anche, sotto forma di idea pratica, il sentimento. Io uso questo termine solo quando si tratta della determinazione del pensiero in colui che pensa, tuttavia lo userò anche per la determinazione a priori di una funzione non differenziata. La doppia natura dell'idea, insieme primordiale e secondaria, provoca la sua confusione con l'immagine primordiale. "Primum movens" per l'atteggiamento introverso, l'idea è, per l'atteggiamento estroverso, un prodotto.

25) IDENTIFICAZIONE. - Con identificazione si deve intendere un processo psichico di dissimilazione parziale o totale di se stessi (v, Assimilazione, n. 7). L'identificazione significa per il soggetto alienarsi a vantaggio dell'oggetto che egli prende, in qualche modo, come copertura. Identificarsi con il padre, ad esempio, significa, in pratica, adottare il suo portamento, il suo modo di parlare e di agire, come se si fosse del tutto simili a lui ed egli non avesse una individualità propria. L'identificazione si distingue dall'imitazione in quanto è una imitazione inconscia; l'imitazione è una risorsa indispensabile per una personalità giovane in via di sviluppo; è utile in quanto non è semplicemente al servizio della pigrizia e non turba lo sviluppo di un metodo individuale appropriato.

L'identificazione è anche un aiuto preciso quando la via individuale è ancora impraticabile; ma dal momento in cui prende forma qualche possibilità individuale più vantaggiosa, essa manifesta un carattere patologico, perché invece di sostenere e di stimolare lo sviluppo diventa un ostacolo più o meno difficile da superare. Esercita fin da allora un'azione dissociatrice sulla personalità del soggetto che è come scisso in due parti estranee l'una all'altra.

L'identificazione non riguarda unicamente le persone, ma anche. le cose: movimento intellettuale, affari, funzioni psicologiche; quest'ultima possibilità ha un'importanza del tutto particolare: l'identificazione, in questo caso, determina la costituzione di un carattere secondario. L'individuo, infatti, si identifica con la sua funzione privilegiata (la meglio sviluppata) al punto da allontanarsi completamente, o in gran parte, dalle sue disposizioni originali; respinge nell'inconscio ciò che è in sé la propria individualità. Questa è la regola per coloro nei quali è presente una funzione differenziata. Bisogna, d'altronde, necessariamente seguire questa via per arrivare all'individuazione. L'identificazione con i genitori o i membri della famiglia è un fenomeno in parte normale: coincide con l'identità familiare che esiste a priori. Per essere precisi non si tratta qui d'identificazione ma piuttosto d'identità. L'identificazione differisce dall'identità in quanto non è data a priori. E' invece una produzione secondaria dovuta al processo seguente: l'individuo, svincolato dalla primitiva identità familiare, incontra, nel corso del suo adattamento e del suo sviluppo, un ostacolo difficile da superare: ne deriva un arresto di libido (stasi, accumulo di libido) che cerca a poco a poco di scorrere per vie regressive. La regressione fa rivivere gli stati arcaici della psiche, fra gli altri l'identità familiare. E' questa identità quasi interamente superata e riattivata a costituire l'identificazione. Ognuna, si compie allo stesso modo: il suo scopo è d'ottenere invariabilmente qualche vantaggio e di superare qualche ostacolo o di risolvere qualche problena alla maniera altrui.

26) IDENTITA'. - Parlo d'identità quando c'è una equivalenza psicologica. L'identità è sempre un fenomeno inconscio, perché l'equivalenza conscia presuppone necessariamente la coscienza dei due oggetti equivalenti e, di conseguenza, la differenziazione del soggetto e dell'oggetto, ciò che eliminerebbe il fenomeno stesso. L'identità psicologica ha dunque per condizione pregiudiziale l’incoscienza che è un tratto caratteristico della mentalità primitiva e il fondamento reale della "partecipazione mistica". Essa non è altro che la sopravvivenza dello stato primordiale della non-differenziazione psicologica fra soggetto e oggetto, o incoscienza primordiale; inoltre caratterizza anche lo stato di spirito della prima infanzia e l'inconscio del civile adulto, che, se non è diventato contenuto conscio, resta allo stato d'identità con gli oggetti. L'identificazione (v. .n. 25) si basa sull'identità con i genitori, come la possibilità di proiezione e di introiezione (v. Proiezione, n. 46, e Introiezione, n. 35). L'identità è prima di tutto equivalenza inconscia all'oggetto; tuttavia non è una identificazione (identificare = fare equivalere): è un fenomeno a priori, una similitudine che non è mai stata conscia. E' sull'identità che si fonda l'ingenuo pregiudizio che la psicologia dell'uno è simile a quella dell'altro, che gli stessi motivi hanno dovunque lo stesso valore, che ciò che è piacevole per me lo è anche per gli altri, che ciò che io considero immorale lo è necessariamente anche per gli altri. Dall'identità deriva inoltre la tendenza così diffusa a voler correggere nei propri simili i difetti che bisognerebbe cominciare a correggere in sé; su di essa si basa infine la possibilità di suggestione e di contagio psichico.

L'identità si manifesta con un'evidenza tutta particolare in certi casi patologici, per esempio nel delirio di interpretazione paranoica, in cui il malato presuppone senza esitare negli altri i propri contenuti psichici. Ma, d'altra parte, l'identità rende responsabile il collettivismo conscio e un certo atteggiamento sociale conscio che ha trovato la sua massima espressione nell'ideale cristiano dell'amore per il prossimo.

27) IMMAGINAZIONE (Fantasia). - Si presenta sotto due forme che non bisogna confondere: 1 ) l'immaginazione in quanto fantasma; 2) l'attività immaginativa.

1 . - Il fantasma. - E' un complesso di rappresentazioni la cui caratteristica è nel non corrispondere a niente che sia nella realtà esterna, perché, sebbene si possa basare originariamente su immagini-ricordi di esperienze vissute, il suo contenuto non corrisponde mai a nessuna realtà esterna. Esso dà origine, essenzialmente, dall'attività creatrice dello spirito ad un'azione o prodotto di combinazioni di elementi psichici dotati di energia. Com'è possibile in una certa misura dare l'orientamento voluto all'energia psichica, si può anche provocare coscientemente ed a proprio piacimento il fantasma, sia completamente che in parte: nel primo caso è solo una combinazione di elementi consci, Si tratta, allora, di un'esperienza artificiale e di valore unicamente teorico. Nella realtà dell'esperienza psicologica quotidiana il fantasma è quasi sempre vincolato ad un atteggiamento intuitivo d'attesa oppure è dato dalla spontanea irruzione, nella coscienza, di contenuti inconsci.

Si possono distinguere fantasie attive e fantasie passive. Le prime sono suscitate dall'intuizione, cioè da un atteggiamento percettivo verso i contenuti dell'inconscio : la libido s'impadronisce immediatamente degli elementi che ne emergono, per attribuire loro, associandoli a materiali analoghi, la massima chiarezza e il più grande risalto. Le seconde sorgono dapprima sotto forma di immagini, senza un atteggiamento precedente o simultaneo da parte del soggetto che resta assolutamente passivo. Esse fanno parte degli "automatismi psicologici" (Janet). Fenomeni di questo genere possono naturalmente presentarsi soltanto al momento di una relativa dissociazione della psiche, perché la loro manifestazione presuppone che una quantità considerevole d'energia si sia sottratta al controllo del conscio per legarsi a materiali inconsci. Così la visione di Saul presuppone che egli fosse inconsciamente cristiano da lungo tempo, benché questa trasformazione fosse sfuggita al suo pensiero conscio. La fantasia passiva è sempre svincolata da un processo inconscio opposto alla coscienza, processo che accumula in sé una quantità di energia quasi uguale a quella dell'atteggiamento conscio e che, di conseguenza, è in grado di vincerne la resistenza.

La fantasia attiva, al contrario, non deriva soltanto da un processo inconscio di intenso contrasto, ma anche dalla disposizione che spinge l'atteggiamento conscio a impadronirsi delle allusioni- o frammenti di rapporti inconsci relativamente poco accentuati, per portarli, dopo averli associati ad elementi analoghi, alla massima espressione. Pertanto non si tratta necessariamente, nel caso della fantasia attiva, di uno stato di dissociazione della psiche, ma piuttosto della partecipazione positiva della coscienza. Se la forma passiva della fantasia comporta spesso un carattere morboso, o almeno anormale, la sua forma attiva costituisce frequentemente una delle più alte attività dello spirito umano: nel crogiuolo della fantasia attiva si fondono la personalità conscia ed inconscia del soggetto per dare origine all'atto unitivo e sintetico. Una fantasia creatrice può diventare l'espressione suprema dell'unità di un'individualità o anche generare quest'ultima con l'espressione perfetta della sua unita. La fantasia passiva non è quasi mai l'espressione di un'individualità che ha raggiunto l'unità: essa presuppone sempre, come dicevamo, una forte dissociazione, che può derivare da un antagonismo altrettanto forte fra conscio e inconscio. La fantasia suscitata da un tale stato, per irruzione nella coscienza, non potrà mai essere l'espressione perfetta di un'individualità in sé unificata, che esprime invece soprattutto il punto di vista della personalità inconscia. La vita di San Paolo ne offre un buon esempio: la sua conversione al cristianesimo corrispose all'accettazione del suo atteggiamento fino ad allora inconscio e alla rimozione delle sue opinioni anticristiane manifestate soprattutto con attacchi isterici. La fantasia passiva ha sempre bisogno di essere sottoposta ad una critica cosciente, altrimenti dà valore soltanto al punto di vista antagonista dell'inconscio. La fantasia attiva, al contrario, prima produce un atteggiamento cosciente non opposto all'inconscio, poi processi inconsci che compensano la coscienza invece di opporlesi: essa non ha quindi bisogno di nessuna critica, chiede solo comprensione.

Nella fantasia si distinguono il significato manifesto e il significato latente (come nel sogno che è una specie di fantasia passiva). Il significato manifesto deriva dall'intuizione immediata dell'immagine, dall'enunciazione immediata del complesso di rappresentazioni immaginative. Del resto molto spesso esso merita appena questo nome, benché sia sempre molto più sviluppato che nel sogno. Questo deriva probabilmente dal fatto che in genere la fantasia onirica non ha bisogno di un'energia particolare per opporsi efficacemente alla debole resistenza della coscienza assopita: per questo tendenze debolmente contrastate e solo leggermente compensatrici possono già raggiungervi la percezione. Nello stato di veglia, al contrario, la fantasia deve disporre di una notevole energia per poter superare 'l'inibizione provocata dall'atteggiamento cosciente. L'opposizione deve dunque essere forte per penetrare fino alla coscienza. Se essa non fosse costituita di indizi vaghi e quasi impercettibili, non sarebbe mai in grado di attirare su di sé l'attenzione (la libido conscia) al punto d'interrompere la continuità dei contenuti di coscienza. Il contenuto inconscio deve dunque presentare una forte coerenza interna che si esprime precisamente in un significato manifesto e pronunziato. Questo significato ha sempre il carattere di un processo immaginoso e concreto che, a causa della sua irrealtà oggettiva, non può soddisfare l'esigenza di comprensione della coscienza.

Essa cercherà così un altro significato, un'interpretazione; in altre parole, il significato latente. Benché all'inizio l'esistenza di questo significato sia tutt'altro che certa, tanto da poterne mettere in dubbio la possibilità, il desiderio di una spiegazione esauriente è tuttavia sufficiente ad indurre ad un esame minuzioso e dettagliato, che può essere dapprima una ricerca di ordine puramente causale: ci si domanda quali siano le origini psicologiche dell'apparizione immaginativa; ma questa ricerca porta a motivi precedenti, e nello stesso tempo alla scoperta di forze istintive che hanno fornito l'energia necessaria alla produzione immaginativa. Come si sa, Freud ha lavorato moltissimo in questa direzione. Ho chiamato riduttiva questa forma di interpretazione, e si comprende facilmente cosa giustifica questo modo di vedere, ed è del tutto naturale che, per alcuni temperamenti, questa interpretazione dei fatti psicologici sia abbastanza soddisfacente da eliminare ogni desiderio di comprensione più approfondita. Una richiesta di aiuto si spiega in modo soddisfacente, quando si sia dimostrato che qualcuno si trovava in pericolo di vita; se, di fronte al sogno di una tavola riccamente imbandita, si sia riuscito a dimostrare che, al momento di andare a letto, si aveva fame, il sogno avrà avuto una spiegazione soddisfacente; se l'istinto sessuale rimosso fa scattare nel soggetto (per esempio un santo del Medioevo) fantasie carnali, queste si spiegheranno benissimo riportandole alla sessualità repressa.

Ma, se vogliamo spiegare la visione di S. Pietro con la fame che avrebbe spinto il suo inconscio a fargli mangiare animali impuri, o anche dicendo che il mangiare animali di questo genere non è in definitiva che l'esaudimento di un desiderio represso, tale spiegazione non sarebbe affatto soddisfacente. Non saremmo soddisfatti nemmeno se si spiegasse la visione di Saul riportandola alla rimozione della gelosia suscitata in lui dal prestigio di cui godeva Gesù presso i suoi compagni, o all'identificazione con Gesù che ne sarebbe la conseguenza. Queste due spiegazioni possono anche contenere un pò di verità; ma non si accordano con la psicologia di S. Pietro o di S. Paolo, che è invece determinata dai momento storico: sono troppo facili. Non si può trattare la storia universale come si tratta un problema di fisiologia o una cronaca scandalistica personale; sarebbe un punto di vista troppo ristretto.

Bisogna dunque ampliare considerevolmente la nostra concezione del significato latente della fantasia, e proprio dal punto di vista causale; non si può spiegare completamente la psicologia dell'individuo, se non attingendo in lui stesso. Bisogna anche tenere conto che essa è condizionata dalla sua epoca, e, in quanto lo è, non costituisce soltanto un problema fisiologico, biologico o personale, ma costituisce anche un problema di storia contemporanea. Oltre a questo, il fatto psicologico non si può spiegare a fondo solo per mezzo della sua causalità; ognuno di noi è un fenomeno vivente, preso indissolubilmente nella continuità del processo vitale, di modo che egli è sempre nello stesso tempo un divenuto e un divenire, un divenire che sarà lui stesso creatore. Come Giano bifronte, il momento psicologico guarda davanti e dietro; mentre si realizza prepara ciò che sarà. Se fosse altrimenti, l'intenzione, lo scopo, le mire successive, la premeditazione, il presentimento, sarebbero allora psicologicamente impossibili. Per esempio, spiegare un'opinione con un'altra precedente, è insufficiente dal punto di vista pratico; per comprenderla dobbiamo non soltanto conoscere la causa che la determina, ma anche penetrarne il senso, l'intenzione, lo scopo; tutto ciò è necessario per soddisfarci. Nella vita quotidiana noi aggiungiamo alla spiegazione, senza esitazioni e del tutto istintivamente, un punto di vista finalistico; non è raro che lo consideriamo decisivo, trascurando completamente la causalità in senso stretto e riconoscendo così d'istinto l'elemento creativo che inerisce allo psichico. Se l'esperienza quotidiana ci fa agire in tal modo, la psicologia scientifica deve tenerne conto, non giudicando unicamente dal punto di vista strettamente causale, preso a prestito dalle scienze naturali, ma preoccupandosi anche dell'aspetto finalistico dell'elemento psichico. Ora, se per l'esperienza quotidiana l'orientamento finalistico dei contenuti della coscienza è fuori di dubbio, non c'è ragione alcuna, fino a prova contraria, di negarlo per quelli dell'inconscio. Secondo le mie osservazioni, niente permette di mettere in dubbio l'orientamento finalistico dei contenuti inconsci: al contrario, numerosi casi non possono essere spiegati convenientemente se non ci si colloca in questa prospettiva.

Consideriamo la visione di Saul in rapporto alla missione universale di S. Paolo: Saul era coscientemente un persecutore del cristianesimo, di cui aveva però inconsciamente adottato la dottrina; divenne apertamente cristiano nel momento in cui fu investito dall'irruzione di contenuti inconsci, perché la sua personalità inconscia tendeva da parecchio tempo a questo fine, di cui comprendeva istintivamente la necessità e l'urgenza. Questa interpretazione dei fatti storici mi sembra molto più adeguata della loro semplice riduzione a motivi personali, benché questi ultimi abbiano avuto certamente la loro importanza; il "troppo urnano", non fa assolutamente difetto. Anche l'interpretazione finalistica della visione di S. Pietro, che gli altri indicano appena, è molto più soddisfacente di un'ipotesi di fisiologia individuale.

Per riassumere, possiamo dire che la fantasia deve essere compresa secondo le sue cause e i suoi fini. Sintomo di uno stato psicologico o personale, risultato di avvenimenti precedenti all'interpretazione causale, essa è simbolo dell'interpretazione finalistica che cerca di apprendere o di caratterizzare con l'aiuto di materiali disponibili, sia uno scopo definito, sia piuttosto una certa linea psicologica di sviluppo futuro. Essendo la fantasia attiva il criterio principale dell'attività artistica dello spirito, l'artista non è soltanto un interprete, ma un creatore e, di conseguenza, un educatore; le sue opere hanno il valore di simboli che abbozzano le linee future dello sviluppo. La validità sociale più o meno ristretta o universale del simbolo, dipende dalla capacità vitale - più o meno forte dell'individualità che lo crea: più questa individualità si distacca dalla normalità, cioè meno è vitale, più il valore sociale del simbolo che crea è limitato, benché esso sia sempre assoluto per l'individualità in questione. Si potrà discutere il significato latente della fantasia solo se si metterà in dubbio quello dei processi naturali. Ora, questo senso è scientificamente dimostrato sotto forma di leggi della natura. Si ammette generalmente che queste leggi siano ipotesi formulate dall'uomo per spiegare i processi suaccennati; noi abbiamo il diritto di parlare del significato dei fenomeni naturali nella misura in cui le leggi formulate sono conformi ai processi oggettivi, e del significato della fantasia nella misura in cui possiamo dimostrare che essa obbedisce a determinate leggi. Ma il significato manifesto non è soddisfacente, o, in altre parole, la conformità alle leggi merita questo nome solo se queste ultime esprimono l'essenza stessa della fantasia. Vi è una conformità alle leggi nel processo naturale e una conformità alle leggi dello stesso processo; sognare è conforme alle leggi naturali quando si dorme, ma ciò non ci insegna nulla sull'essenza del sogno, ne rappresenta una semplice condizione. Mostrare che la fantasia ha una fonte psicologica equivale a dare una condizione della sua esistenza, non la legge: la legge della fantasia, fenomeno psicologico, non può che essere psicologica.

2. - Attività immaginativa. Resta ora da definire la seconda forma dell'immaginazione, l'attività immaginativa; essa è l'attività creatrice, o riproduttiva, dello spirito in generale: non è una facoltà speciale, perché si può manifestare in tutte le forme essenziali della vita psichica: pensiero, sentimento, sensazione, intuizione. Secondo me, in quanto attività immaginativa, la fantasia è semplicemente l'espressione immediata dell'attività vitale, dell'energia psichica, data alla coscienza esclusivamente sotto forma di immagini o di contenuti, analoga in questo all'energia fisica che non potrebbe manifestarsi che come stato fisico, attraverso lo stimolo degli organi sensoriali del corpo. Dal punto di vista energetico, uno stato fisico è solo un sistema di forze che appaiono alla coscienza; così si può dire che l'immaginazione, in quanto fantasma, non è altro che una determinata quantità di libido che può manifestarsi alla coscienza soltanto sotto forma d'immagine. La fantasia in quanto fantasma è una "idea-forza"; in quanto attività immaginativa s'identifica con lo svolgimento del processo dell'energia psichica.

28) IMMAGINE. - In questo saggio, quando parlo di immagine, non mi riferisco alla semplice copia psichica dell'oggetto esterno, ma ad una specie di rappresentazione immediata, descritta efficacemente dal linguaggio poetico, fenomeno immaginativo che ha solo rapporti indiretti con la percezione degli oggetti; prodotto dell'attività immaginativa dell'inconscio, essa si manifesta alla coscienza in maniera più o meno improvvisa, come una visione o un'allucinazione, senza averne però il carattere patologico, cioè senza far mai parte della tabella clinica di una malattia. Il suo carattere psicologico è quello di una rappresentazione fantastica, non ha mai la quasi-realtà dell'allucinazione, in altre parole non prende mai il posto del reale: il soggetto la distingue sempre dal reale sensoriale perché la percepisce in quanto immagine "interna". In genere, non ha nessuna proiezione nello spazio, salvo in qualche caso eccezionale in cui può manifestarsi dall'esterno; si tratta allora di un aspetto della manifestazione arcaica (v. Arcaismo), se non addirittura patologica; cosa che, del resto, non esclude il primo carattere. Ad un grado primitivo, cioè nella mentalità primitiva, l'immagine intra-psichica si trasforma frequentemente in visione, o in allucinazione auditiva nello spazio, senza mai divenire patologica Benché non si debba attribuire all'immagine nessun valore nell'ordine delle realtà esterne, essa tuttavia può, in certe circostanze, avere per l'esperienza psichica un'importanza molto grande, un valore psicologico enorme, come espressione di una "realtà" interna che supera, all'occorrenza, l'importanza psicologica della realtà "esterna". In questo caso l'individuo è meno preoccupato d'adattarsi alle esigenze esterne che a quelle interne. L'immagine interna è una grandezza complessa formata dai materiali più eterogenei e d'origine completamente diversa, non è però un semplice conglomerato: è un prodotto che ha in sé un'unità, un suo significato particolare L'immagine è un'espressione concentrata della situazione psichica globale, e non soltanto o in maggior parte, dei contenuti inconsci. Certamente essa ne è un'espressione, ma non di tutti, ne esprime alcuni, quelli che sono costellati in quel momento. Questa costellazione risponde da una parte alla creatività propria dell'inconscio, e, dall'altra, all'influenza dello stato momentaneo della coscienza; essa provoca sempre l'attività di materiali subliminali che entrano in r1azione con essa, e nello stesso tempo inibisce tutti gli altri

L'immagine è dunque contemporaneamente espressione della situazione momentanea della coscienza e dell'inconscio. Si può di conseguenza interpretarla unicamente tenendo conto del rapporto reciproco tra questi, e quindi né con l'uno, né con l'altro presi separatamente. Chiamo primordiale ogni immagine di carattere arcaico, che presenta, cioè, una notevole concordanza con i motivi psicologici conosciuti. Essa esprime allora, innanzitutto e soprattutto, materiali collettivi inconsci, e nello stesso tempo indica che la coscienza nel suo stato momentaneo è meno personale che sottoposta ad un'influenza collettiva. Un'immagine personale non ha né un carattere arcaico né un significato collettivo, esprime contenuti personali inconsci e una situazione personalmente condizionata dalla coscienza.

L'immagine primordiale, che io ho altrove chiamato anche "archetipo", è, al contrario, sempre collettiva, cioè comune a tutta un'epoca o almeno a tutto un popolo. Molto probabilmente, i principali motivi mitologici si ritrovano in tutte le razze, in tutti i tempi; sono riuscito a dimostrare l'esistenza di motivi della mitologia greca nei sogni e nelle fantasie dei negri puro sangue colpiti da alienazione mentale.

L'immagine primordiale è un sedimento mnemonico, un engramma che deve la sua origine alla condensazione d'innumerevoli processi, analoghi gli uni agli altri. Essa ne è prima di tutto un deposito, la forma fondamentale tipica di una certa esperienza psichica continuamente ripetuta. Se si presenta sotto forma di motivo psicologico, nello stesso tempo ne è anche una sua espressione attiva, rinnovata in continuazione, che evoca l'esperienza psichica in questione, o le procura una formula appropriata. Così l'immagine primordiale è l'espressione psichica, con tutta probabilità, di una disposizione anatomo-psicologica determinata.

Se si ammette che ogni struttura anatomica è dovuta all'effetto delle condizioni ambientali sulla materia vivente, l'immagine primordiale, nella sua accezione perpetua e universale, corrisponderebbe ad una certa influenza esterna anch'essa permanente e generale, che deve avere il carattere di una legge naturale. Si potrebbe in questo modo riportare ogni mito alla natura: per esempio il mito del sole al suo sorgere e tramontare quotidiano, o alle rivoluzioni delle stagioni, anch'esse percettibili dai sensi. Tuttavia questo non spiega perché il sole e le sue metamorfosi non formino il contenuto diretto del mito. Il fatto che il sole o la luna, o i processi metereologici non appaiono mai che sotto questa forma, per lo meno allegorica, tradisce una collaborazione autonoma della psiche, che di fatto non può essere né un prodotto né una semplice copia delle condizioni ambientali. Da dove, infatti, le verrebbe la facoltà di porsi al di fuori dalla percezione sensoriale? Da dove il potere di fare di più o anche del solo convalidare la testimonianza dei sensi? Di conseguenza ci vediamo costretti ad ammettere che la struttura del cervello, come noi la costatiamo, non è dovuta esclusivamente all'influenza dell'ambiente, ma anche alla costituzione specifica e particolare della sua materia vivente, in altre parole ad una legge fondamentale data con la vita.

La costituzione dell'organismo è dunque un prodotto insieme delle condizioni esterne e di quelle inerenti a ciò che vive. Ne risulta che l'immagine primordiale deve senza alcun dubbio essere in rapporto con alcuni processi percettibili della natura che si riproducono continuamente e sono sempre attivi, ma d'altra parte è ugualmente indubbio che essa si ricollega anche a certe condizioni interne della vita dello spirito e della vita in generale. Alla luce, l'organismo risponde con un nuovo organo: l'occhio; al processo della natura, lo spirito oppone l'immagine simbolica che capta questo processo, come l'occhio la luce; e ugualmente, mentre l'occhio attesta l'attività creatrice ed autonoma della materia vivente, l'immagine primordiale esprime la forza creatrice ed incondizionata dello spirito.

L'immagine primordiale è dunque un'espressione d'insieme del processo vitale; essa presta alle percezioni sensoriali e a quelle interne dello spirito, ancora incoerenti e caotiche, un senso che le ordina e le collega fra di loro; e libera con questo l'energia psichica legata alla percezione bruta e incompresa. D'altra parte essa collega l'energia svincolata dalla percezione dello stimolo ad un senso determinato che dirige l'azione secondo la via che corrisponde a questo senso; infine essa libera l'energia accumulata e non utilizzata, orientando lo spirito verso la natura e dando una forma spirituale all'istinto puramente naturale.

L'immagine primordiale è lo stadio preliminare, la zona in cul si forma l'idea (v. n. 24): è partendo da essa che, dopo aver eliminato il concretisrno (v. n. 12) particolare e necessario all'immagine primordiale, la ragione sviluppa un concetto - idea - che si distingue da ogni altro per il fatto che non è un dato empirico e perché si finisce anche con l'inferire ciò che è alla base di ogni esperienza. L'idea assume questa proprietà dall'immagine primordiale che, espressione della struttura specifica del cervello, dà all'esperienza la sua forma determinata.

Il grado di efficacia psicologica dell'immagine primordiale è determinato dall'atteggiamento individuale. Se quest'ultimo è introverso, ne risulta naturalmente, come conseguenza del riflusso della libido dall'oggetto esterno, un'accentuazione maggiore dell'oggetto interno, il pensiero. Ne deriva uno sviluppo particolarmente intenso del pensiero sulla linea inconsciamente tracciata dall'immagine primordiale. Questa è la prima manifestazione indiretta; proseguendo questo sviluppo intellettuale, si arriva all'idea, che non è nient'altro se non l'immagine primordiale formulata nell'ordine del pensiero. Solo lo sviluppo della funzione antagonista permette di superare l'idea, in altre parole, l'idea, una volta appresa dall'intelletto, tende ad agire sulla vita; essa fa appello al sentimento, molto meno differenziato in questo caso e di conseguenza più concreto del pensiero. Il sentimento non è ancora purificato, differenziato, anzi è confuso con l'inconscio: l'individuo è incapace di unirlo, sotto questa forma, all'idea; è allora che l'immagine primordiale appare, sotto forma di simbolo, nel campo visivo interno. In virtù della sua natura concreta, essa riceve il sentimento concreto ancora indifferenziato; ugualmente si comporta, grazie al suo significato, verso l'idea di cui è la madre, e così compie la loro fusione. L'immagine primordiale ha una funzione mediatrice e dimostra così l'efficacia redentrice che ha sempre avuto nelle religioni. Perciò preferivo applicare all'immagine primordiale ciò che Schopenhauer dice dell'idea, poiché come l'ho esposta nella definizione della parola Idea, questa non è interamente ed essenzialmente a priori, ma deve essere, al contrario, concepita come qualcosa di derivato che si è sviluppato da un'altra cosa. Prego dunque il lettore di sostituire sempre, nella seguente citazione (di Schopenhauer), il termine idea con immagine primordiale, per cogliere totalmente la mia concezione: "L'individuo in quanto individuo non la può mai conoscere (l'idea); per concepirla bisogna liberarsi da ogni volontà e individualità ed innalzarsi allo stato di soggetto conoscente puro: vale a dire che essa è nascosta a tutti, tranne che al genio e a colui che, grazie ad un'esaltazione della sua facoltà di conoscenza pura (dovuta di solito ai capolavori dell'arte), si trova in uno stato vicino al genio; l'idea non è essenzialmente comunicabile, lo è solo relativamente perché, una volta concepita ed espressa nell'opera d'arte essa si rivela a ciascuno proporzionatamente al valore dei suo spirito".

"L'Idea è l'unità che si trasforma in pluralità per mezzo dello spazio e del tempo, forma della nostra apprensione intuitiva".

"Il concetto assomiglia ad un recipiente inanimato, ciò che vi si deposita rimane nello stesso ordine; ma non se ne può trarre con il giudizio analitico niente di più di ciò che vi è stato messo con la riflessione sintetica. L'idea, al contrario, rivela a chi l'ha concepita delle rappresentazioni completamente nuove: è come un organismo vivente, che cresce e prolifica, capace in una parola di produrre ciò che non vi era stato introdotto".

Schopenhauer riconosce dunque perfettamente l'impossibilità di raggiungere l'idea (o immagine primordiale, seguendo la mia terminologia) per la via che porta al concetto, o all'idea definita da Kant "concetto suscitato dalle nozioni". Solo un elemento al di sopra l'intelletto formulatore vi può arrivare. “Lo stato vicino al genio", di cui parla anch'egli, è solo uno stato affettivo, perché dall'idea si arriva all'immagine primordiale solo se la via che conduce all'idea stessa continua oltre il suo punto culminante per raggiungere la funzione antagonista.

L'immagine primordiale ha, sulla chiarezza dell'idea, il vantaggio di essere viva. E' un organismo che vive la propria vita, dotato di "forza generatrice", organizzazione ereditata dall'energia psichica, sistema solido; non soltanto espressione, ma possibilità di svolgimento del processo psichico. Essa caratterizza innanzitutto il modo secondo il quale, fin dai tempi più remoti, esso si svolge sempre nella stessa maniera e rende possibile nello stesso tempo questo flusso regolare. Essa infatti permette di cogliere, psichicamente, situazioni in modo tale da poter dare alla vita una continuazione. Essa è dunque la compagna necessaria dell'istinto, attività diretta verso un me di ordine teleologico, ma che suppone anche l'apprensione sensata e conforme al fine della situazione di ogni istante. Questa apprensione della situazione data è garantita dall'immagine primordiale sempre presente a priori. E' una formula di utilità pratica, senza la quale sarebbe impossibile cogliere nuovi fatti.

29) IMMAGINE DELL'ANIMA - L'immagine dell'anima è un caso particolare delle immagini psichiche (v. n. 27) prodotte dall'inconscio. Come la Persona (atteggiamento esteriore) appare generalmente nei sogni sotto l'aspetto di persone che hanno ad un grado notevole le qualità corrispondenti; così l'anima, l'atteggiamento interiore, è rappresentata dall'inconscio per mezzo di personaggi che presentano qualità evocatrici di quelle dell'anima. Io chiamo una tale rappresentazione immagine dell'anima. Talvolta si ricorre a esseri del tutto sconosciuti o a personaggi mitologici. In genere, per l'uomo l'inconscio rappresenta l'anima sotto figura di donna, per la donna sotto i tratti di personaggi maschili. Quando l'individualità è inconscia, si trova, a causa di questo, associata all'anima, la cui immagine sarà allora dello stesso sesso.

Nel caso in cui il soggetto s'identifica con la Persona (v. Anima) in cui, di conseguenza, l'anima è inconscia, la sua immagine si ritrova trasferita, proiettata su una persona reale che diventa l'oggetto di amore intenso o di odio anche violento (a volte anche di paura). L'influenza di questa persona è immediata, incondizionata, costrittiva, perché essa suscita infallibilmente una risposta affettiva. L'affetto deriva dall'impossibilità di adattamento reale e conscio all'oggetto che rappresenta l'immagine dell'anima. Questa impossibilità, quest'assenza di rapporto oggettivo produce una stasi di libido, che arriva poi ad una violenta manifestazione affettiva, perché l'affetto prende sempre il posto dell'adattamento mancato. Un adattamento conscio all'oggetto che rappresenta l'immagine dell'anima è impossibile, perché per il soggetto l'anima stessa è inconscia. Se non ne avesse coscienza, potrebbe distinguerla dall'oggetto, cosa che neutralizzerebbe gli effetti immediati di questo causati dalla proiezione su di sé dell'immagine dell'anima.

In realtà, il sostegno che conviene di più all'immagine dell'anima dell'uomo, a causa delle caratteristiche femminili della sua anima, è una donna, per la donna, invece, è un uomo. Ogni volta che fra i sessi vi è un rapporto assoluto, di effetto per così dire magico, siamo in presenza d'una proiezione dell'immagine dell'anima. I rapporti di questo genere sono frequenti; bisogna dunque pensare che l'anima è spesso inconscia, in altre parole che molti esseri non hanno coscienza dell'atteggiamento che essi prendono di fronte ai processi psichici interni. Poiché questa incoscienza si accompagna sempre ad un'identificazione corrispondente alla Persona, bisogna che questa identificazione sia anch'essa frequente. Questo in effetti si verifica realmente poiché molte persone s'identificano così completamente con il loro atteggiamento esteriore da non avere più nessuna relazione conscia con i loro processi interni. Tuttavia può anche verificarsi il contrario. Il soggetto non proietta l'immagine dell'anima, la conserva in se stesso: esso s'identifica così con la sua anima nella misura in cui è convinto che il suo modo di comportarsi nei confronti dei processi interiori corrisponde al suo carattere autentico. La persona viene allora proiettata, ma su un oggetto dello stesso sesso. Questa è la base di numerosi casi di omosessualità, confessata o latente, di "transfert" con il padre per gli uomini, con la madre per le donne. In questo caso si tratta sempre di gente in cui l'adattamento esterno è difettoso ed i rapporti relativamente rari, perché l'identificazione con l'anima crea un atteggiamento orientato soprattutto verso la percezione dei processi interiori, ciò che priva l'oggetto della sua influenza determinante.

La proiezione dell'immagine dell'anima produce un legame affettivo assoluto con l'oggetto; se questa proiezione non si verifica, si forma uno stato di relativo disadattamento, che Freud ha parzialmente descritto sotto il nome di narcisismo. La proiezione dell'immagine dell'anima dispensa dall'occuparsi dei processi interiori, fin quando c'è un accordo fra il comportamento dell'oggetto e l'immagine dell'anima. Il soggetto è allora in grado di vivere la sua persona e di svilupparla. Alle lunghe, è vero, l'oggetto non potrà soddisfare continuamente le esigenze dell'immagine dell'anima; tuttavia ci sono donne che arrivano, anche a scapito della loro vita, ad avere per lungo tempo presso il marito il ruolo d'immagine dell'anima. Il loro istinto biologico di donna le aiuta. Un uomo può fare lo stesso inconsciamente per sua moglie, ma egli è allora trascinato ad atti che, nel bene come nel male, superano le sue capacità. Anch'egli è aiutato dall'istinto biologico maschile.

Quando l'immagine dell'anima non è proiettata, le relazioni con l'inconscio subiscono poco a poco una differenziazione veramente morbosa; il soggetto è sempre più schiacciato da contenuti inconsci che non può elaborare od utilizzare in nessun modo, a causa della sua mancanza di rapporto con l'oggetto. E' naturale che contenuti di questo genere portino un grave danno a questo rapporto. Questi due atteggiamenti rappresentano naturalmente dei casi estremi fra i quali si trovano gli atteggiamenti normali. Si sa, del resto, che l'essere normale non si distingue per chiarezza, purezza e profondità dei suoi fenomeni psichici, ma per il carattere più debole e sbiadito. In coloro che hanno un atteggiamento esterno bonaccione e poco aggressivo, l'immagine dell'anima ha frequentemente un brutto carattere.

La letteratura ce ne presenta un esempio nella donna demoniaca che accomppagna Zeus nella Primavera olimpica di Spitteler. Per le donne idealiste, l'immagine dell'anima si incarna abbastanza spesso nell'uomo decaduto, da cui derivano le "idee di salvataggio" che si trovano spesso in quegli uomini per i quali le prostitute sono circondate dall'aureola delle anime da salvare.

30) INCONSCIO. - Il concetto di inconscio è per me esclusivamente psicologico; non è affatto filosofico, nel senso in cui lo intendono i metafisici: è un concetto limite della psicologia che racchiude tutti i contenuti o tutti i processi psichici inconsci, il cui rapporto con l'io non è percettibile. Credo che unicamente l'esperienza possa dare il diritta di ammettere l'esistenza di processi inconsci, soprattutto l'esperienza psicopatologica, in cui si rileva in modo incontestabile che, per esempio, in un caso d'amnesia isterica, l'io ignora assolutamente l'esistenza dei complessi psichici, che sono molto estesi; un semplice procedimento ipnotico può far risalire da un momento all'altro il livello della coscienza. Migliaia di osservazioni di questo genere autorizzano a parlare dell'esistenza di contenuti psichici inconsci. Il sapere in quale stato essi si trovino, dato che non sono collegati alla coscienza, sfugge ad ogni possibilità di conoscenza; è dunque del tutto superfluo fare a questo proposito delle congetture come, per esempio, la supposizione della cerebrazione, del processo fisiologico, etc...

E' ugualmente impossibile fissare il campo della sfera inconscia, stabilire quali contenuti essa racchiuda in sé; solo l'esperienza può dirlo: attraverso di essa abbiamo appreso che perdendo il suo valore energetico, un contenuto conscio può divenire inconscio. E' il normale processo dell'oblio: l'esperienza prova che questi contenuti al di sotto della coscienza non scompaiono del tutto, poiché, dopo parecchi anni, una circostanza propizia può farli emergere dal profondo, nel sogno, o l'ipnosi sotto forma di criptomnesia, o di nuove associazioni con il contenuto dimenticato. Inoltre, l'esperienza ci insegna che alcuni contenuti coscienti possono cadere al di sotto della coscienza senza perdere il loro valore, grazie ad una dimenticanza intenzionale che Freud chiama rimozione di un contenuto sgradevole. Un effetto analogo si produce come conseguenza della disorganizzazione dell'unità solida della coscienza dopo un violento affetto, uno choc nervoso, o per conseguenza della dissociazione della personalità nella schizofrenia (Bleuler). L'esperienza, nello stesso ordine di idee, ci insegna che la loro debole intensità, o la deviazione dell'attenzione, impediscono ad alcune percezioni sensoriali di arrivare all'appercezione conscia; esse diventano però contenuti psichici per mezzo dell'appercezione inconscia; ciò può essere provato con l'ipnosi. Lo stesso fenomeno può verificarsi per alcune conclusioni o combinazioni rimaste inconsce a causa del loro valore insufficiente, o della deviazione dell'attenzione. Infine, l'esperienza scopre nell'inconscio connessioni psichiche inconsce (per es. immagini mitologiche) che, non essendo mai state oggetto di coscienza, provengono interamente dall'attività inconscia.

Questi sono i punti d'appoggio che ci dà l'esperienza per farci ammettere l'esistenza di contenuti inconsci: ma non può dirci nulla di ciò che, presentandosi l'occasione, potrebbe essere contenuto inconscio. Ogni ipotesi è vuota di significato, poiché è impossibile determinare il campo d'azione dell'inconscio. Dove si trova il limite inferiore della percezione subliminale? Come determinare il grado di sottigliezza delle combinazioni inconsce, o come fissare il limite della loro portata? In quale momento preciso un contenuto dimenticato viene cancellato del tutto? Tutte domande che non hanno risposta.

Però, le nostre osservazioni sulla natura dei contenuti inconsci ci permettono una certa classificazione generale; si può distinguere dapprima l'inconscio personale, che comprende tutte le acquisizioni della vita personale, le nostre rimozioni, le dimenticanze, le percezioni, i pensieri, i sentimenti subliminali; accanto a questi contenuti personali, ne esistono altri che non sono acquisiti personalmente, ma provengono da possibilità congenite del funzionamento psichico in generale, in particolar modo dalla struttura ereditaria del cervello: sono queste le connessioni mitologiche, i motivi e le immagini che si rinnovano continuamente e dovunque senza che vi sia una tradizione o una migrazione storica. Io chiamo questi contenuti inconscio collettivo. Proprio come i contenuti consci, essi sono animati da una certa attività, come ci insegna l'esperienza. L'attività psichica conscia crea determinati risultati e determinati prodotti; ugualmente, dall'attività inconscia provengono alcune creazioni, per es. i sogni e le fantasie. Non è necessario abbandonarsi a grandi ragionamenti per sapere che parte abbia la coscienza, per es., nei sogni; un sogno appare semplicemente allo spirito, non siamo noi che lo creiamo con la nostra coscienza. Certamente la riproduzione conscia, o anche semplicemente la percezione, lo modifica sensibilmente, senza sopprimere assolutamente il fatto fondamentale della spinta creatrice inconscia alla quale deve la sua origine.

Possiamo dire che tra il processo conscio e il processo inconscio esiste un rapporto funzionale di compensazione (v. n. 10); l'osservazione mostra che il processo inconscio porta alla luce materiali subliminali caratterizzati dallo stato del conscio; in altre parole, i contenuti che dovrebbero obbligatoriamente far parte della situazione conscia, se tutto fosse conscio. La funzione compensatrice dell'inconscio si manifesta tanto più chiaramente quanto più l'atteggiamento conscio è unilaterale. La patologia fornisce numerosi esempi a questo proposito.

31 ) INDIVIDUALITÀ. - E' l'originalità e la particolarità dell'individuo in tutti i rapporti psicologici: l'individuale è tutto ciò che non è collettivo, che appartiene al singolo e non al gruppo. Non si dovrebbe parlare dell'individualità degli elementi psicologici, ma soltanto di quella del loro gruppo, o di una combinazione di elementi originale ed unica nel suo genere (v. Individuo)

32) INDIVIDUAZIONE. - Il concetto di individuazione è particolarmente importante nella psicologia analitica. Generalmente parlando, è il processo di formazione e di particolarizzazione dell'individuo, in particolare dell'individuo psicologico come essere distinto dall'insieme, dalla psicologia collettiva. L'individuazione è dunque un processo di differenziazione che ha per scopo lo sviluppo della personalità individuale ed è una necessità naturale; ostacolarla con regolamentazioni rigide o esclusive, secondo le norme collettive, pregiudicherebbe molto l'attività vitale dell'individuo. Ora, l'individualità è già data fisicamente e fisiologicamente: ne deriva la sua corrispondente espressione psicologica, ed ostacolare il suo sviluppo equivale a deformare artificialmente il soggetto. Un gruppo sociale composto di unità deformate non potrebbe essere un'istituzione né sana né vitale: solo la società che può conservare contemporaneamente la sua coesione intima e i suoi valori collettivi, ed accordare all'individualità la maggiore libertà possibile, può sperare in una durevole vitalità; l'individuo non è soltanto unità, la sua esistenza stessa presuppone rapporti collettivi, così che il suo processo di individuazione non porta all'isolamento, ma ad una coesione collettiva più intensa ed universale.

Il processo psicologico d'individuazione è strettamente legato alla funzione detta trascendente che determina le linee individuali di sviluppo che non si potrebbero raggiungere solo attraverso le norme collettive (v. Simbolo).

L'individuazione non può mai costituire l'unico scopo dell'educazione psicologica; l'educazione, prima di avere come scopo l'individuazione, deve averne raggiunto un altro: l'adattamento al minimo di regole collettive necessario all'esistenza. Perché una pianta sia messa in condizione di sviluppare il più possibile la sua originalità, bisogna che possa crescere nella terra in cui è stata piantata. L'individuazione è sempre più o meno in opposizione con la norma collettiva, perché è separazione e differenziazione dall'insieme, formazione dell'originalità, non di una originalità ricercata, ma di quella che è data a priori nella disposizione del soggetto. Però la sua opposizione alla norma collettiva è solo apparente: a ben guardare si nota che il punto di vista individuale non è opposto alla norma collettiva, ma ha semplicemente un altro orientamento.

D'altronde una via individuale non può mai opporsi alla norma collettiva, giacché vi si può opporre solo un'altra norma. Ma una via individuale non è mai una norma, giacché quest'ultima è sempre il risultato d'un insieme di vie individuali. Infatti essa è giustificata e preziosa per la vita, se esistono delle vie individuali che, di tanto in tanto, si orientino verso di essa. Ma quando le si attribuisce un valore assoluto, essa non serve più a niente. Un conflitto reale con le norme collettive esplode solo quando si prende per norma la via individuale; come vorrebbe fare il più acceso individualista. Questa, evidentemente, è un'intenzione patologica completamente contrapposta alla vita. Essa non ha niente in comune con l'individuazione, la quale, prendendo una direzione individuale, non può egualmente trascurare la norma, sia di fronte alla società, sia per stabilire quel rapporto collettivo che è indispensabile all'individuo sociale. L'individuazione, dunque, porta ad un apprezzamento naturale delle norme collettive, mentre queste norme divengono inutili in un orientamento esclusivamente collettivo; da ciò deriva la rovina della moralità, poiché più è forte la norma sociale, più è grande l'immoralità individuale. L'individuazione coincide con il processo di sviluppo della coscienza dall'originario stato d'identità (v. Identità). L'individuazione, dunque, è un allargamento della sfera della coscienza e della vita psichica cosciente.

33) INDIVIDUO. - L'individuo è l'essere preso singolarmente; l’individuo psicologico è caratterizzato dalla sua psicologia individuale, e, fino ad un certo punto, unica nel suo genere: l'originalità della psiche individuale si riconosce meno dai suoi elementi che dalle sue complesse produzioni. L'individuo, l'individualità psicologica, esiste inconsciamente a priori: esiste consciamente solo nella misura in cui l'individuo ha la coscienza della sua originalità, cioè di ciò che lo distingue dagli altri. L'individualità psichica è un dato correlativo dell'individualità fisica, ma, come ho già detto, è, innanzitutto, inconscia. Per rendere conscia l'individualità, cioè per farla risaltare dall'identità con l'oggetto (identità che per l'individualità equivale all'inconscio) è necessario un processo conscio di differenziazione, cioè l'individuazione (v. n. 32). Ora, finché l'individualità è inconscia, non c'è individuo psicologico, ma semplice psicologia collettiva del conscio. L'individualità inconscia è allora identica all'oggetto, si proietta su di esso, e di conseguenza l'oggetto ha un valore esagerato e la sua influenza determinante è troppo potente.

34) INTELLETTO. - Chiamo intelletto il pensiero indirizzato (v. n. 55).

35) INTROIEZIONE. - Il termine introiezione fu introdotto da Avenarius come termine corrispondente a proiezione, tuttavia il trasferimento in un oggetto di un contenuto soggettivo è reso, se non meglio, altrettanto bene dal termine proiezione che sarebbe bene conservare per indicare questo processo. Ferenczi, al contrario, vede l'introiezione come opposta alla proiezione; infatti per lui l'introiezione è un processo che consiste nell'inglobare l'oggetto nella cerchia degli interessi soggettivi, mentre la proiezione sarebbe un trasferimento dei contenuti soggettivi nell'oggetto. "Mentre il paranoico rimuove fuori dall'Io ogni impulso che presenti un carattere spiacevole, il nevrotico se la cava raccogliendo la maggior quantità possibile di oggetti del mondo esterno per farne delle fantasie inconsce". Il primo meccanismo sarebbe proiettivo, il secondo introiettivo. L'introiezione è, da un certo punto di vista, un processo di dilatazione, un allargamento della cerchia degli interessi. Secondo Ferenczi questo è un fenomeno normale. Da un punto di vista psicologico si tratta d'un atto d'assimilazione (vedi Assimilazione) come la proiezione è un processo di dissimilazione. Introiettare è assimilare l'oggetto al soggetto; proiettare è differenziare l'oggetto dal soggetto, trasferendo nell'oggetto un contenuto soggettivo. L'introiezione è un processo di estroversione, poiché per assimilare l'oggetto bisogna ricorrere all'"Einfuhlung" (v. n. 16)

L'introiezione può essere passiva o attiva; nella prima forma bisogna annoverare i transfert che si producono durante il trattamento di nevrotici e in genere tutti i casi in cui l'oggetto esercita sul soggetto un'attrazione preponderante, mentre bisogna annoverare nel secondo l'"Einfuhlung".

36) INTROVERSIONE. - Chiamo introversione il rivolgersi della libido verso l'interno del soggetto (v. Libido). Questo fatto esprime un rapporto negativo del soggetto verso l'oggetto. L'interesse non si dirige verso l'oggetto, ma si ritira e ritorna verso il soggetto stesso.

L'uomo introverso pensa, sente e agisce in un modo che mostra chiaramente che è il soggetto a determinare ogni suo atteggiamento, mentre l'oggetto ha solo un'importanza secondaria. L'introversione può avere un carattere intellettuale o affettivo; essa può anche avere come carattere distintivo l'intuizione o la sensazione: essa è attiva se il soggetto vuole isolarsi dall'oggetto; è passiva quando il soggetto è incapace di ricondurre sull'oggetto la libido che se ne ritrae. L'introversione abituale è caratteristica del tipo introverso.

37) INTUIZIONE (dal latino intueri = vedere in). - Secondo me l'intuizione è una funzione fondamentale della psiche; essa è quella funzione che trasmette la percezione per via inconscia. Tutto può essere oggetto d'una simile percezione: gli oggetti interni o esterni ed i rapporti tra loro. Ciò che vi è di particolare nell'intuizione è che essa non è né percezione sensoriale, né sentimento, né deduzione, benché possa manifestarsi in tutte queste forme. Essa ci presenta immediatamente i contenuti in forma definitiva, senza che noi siamo in grado di dire come ciò sia accaduto; essa è una specie di comprensione istintiva di qualsiasi tipo di contenuto. Come la sensazione, è una funzione irrazionale della percezione. I suoi contenuti, come quelli della sensazione, sono dei dati al contrario di quelli del pensiero o del sentimento che hanno sempre un carattere di deduzione o di produzione. Da ciò deriva la certezza e la sicurezza della conoscenza intuitiva che permisero a Spinoza di considerare la scientia intuitiva come la forma suprema della conoscenza. Nella filosofia moderna lo stesso punto di vista è sostenuto da Bergson. La certezza dell'intuizione si fonda su determinati fatti psicologici la cui realizzazione e la cui disponibilità restano inconsce.

L'intuizione può manifestarsi sia in forma soggettiva che in forma oggettiva: la prima è la percezione dei fatti psichici inconsci di origine soggettiva; la seconda è quella fondata su fatti di percezione subliminale relativi all'oggetto e su pensieri e sentimenti subliminali provocati da quest'ultimo. L'intuizione è concreta o astratta a seconda di quanta parte vi ha la sensazione. Quando è concreta trasmette delle percezioni che corrispondono alla realtà delle cose; quando invece è astratta trasmette la percezione di relazioni ideali. L'intuizione concreta è un processo di reazione, poiché deriva direttamente dai fatti, mentre, al contrario, quella astratta ha bisogno d’un elemento che la diriga, di una volontà o di un'intenzione.

L'intuizione, come la sensazione, è un tratto caratteristico della psicologia del primitivo e del fanciullo. Essa trasmette loro, controbilanciando l'intensità dell'impressione sensoriale, la percezione di immagini mitologiche, forma originale delle idee (v. Idea). L'intuizione è, accanto alla sensazione la sola funzione che esiste dalla nascita, mentre il pensiero ed il sentimento si sviluppano per diventare funzioni razionali. Essa è una funzione irrazionale, benché qualche volta si possano analizzare le sue componenti e ricondurre la sua apparizione a leggi razionali. Colui che ha un atteggiamento orientato verso l'intuizione e che ha una percezione mediata dall'inconscio, fa parte del tipo intuitivo ('v. Tipo).

Si possono distinguere tipi introversi od estroversi, a seconda che l'intuizione sia utilizzata per la conoscenza o per la contemplazione interiore, o per agire. Nei casi anormali l'intuizione si unisce con i contenuti dell'inconscio collettivo che la condizionano intimamente: ii tipo intuitivo, in questo caso, può sembrare irrazionale ed incomprensibile da ogni punto di vista.

38) Io. - Intendo per Io un complesso di rappresentazioni che formano il centro del campo della coscienza e che mi sembra avere in grado elevato continuità ed identità con se stesso. E' per questo che parlo di un complesso dell'Io. Quest'ultimo è sia un contenuto della coscienza che una condizione di essa, poiché un elemento psichico non mi è cosciente se non è in rapporto con il complesso dell’Io. Tuttavia, poiché l'Io è solo il centro del campo della coscienza, non s'identifica con la totalità della psiche; esso è solo un complesso tra molti altri. Vi è dunque da distinguere tra l'Io ed il sé, poiché l'Io è il soggetto della mia coscienza, mentre il sé è il soggetto della totalità della psiche, inconscio compreso. In questo senso il sé sarebbe una grandezza (ideale) che contiene l'Io. Il sé appare volentieri nell'immaginazione inconscia sotto l'aspetto d'una personalità superiore o d'ideale, come il Faust di Goethe o lo Zarathustra di Nietzsche. Per dare al sé un'aureola ideale, i suoi tratti arcaici sono frequentemente separati dal sé "superiore" per formare una figura speciale, Mefistofele in Goethe e Epimeteo in Siitteler. Nella psicologia cristiana queste sono le figure di Cristo e del diavolo o anticristo, che come lo Zarathustra di Nietzsche scopre la sua ombra nell'"uomo più laido".

39) IRRAZIONALE. - Uso questo termine non nel senso di antirazionale, ma in quello di extrarazionale. Tali sarebbero i fatti elementari; ad esempio che la luna è il satellite della terra, che il cloro è un elemento, che l'acqua raggiunge la sua massima densità a 4°c., etc. Irrazionale, inoltre, è il caso, benché la sua casualità logica si possa dimostrare in seguito. L'irrazionale è un fattore dell'Essere che la complicazione della spiegazione razionale può respingere sempre più lontano, ma che complica la spiegazione stessa ad un punto tale che essa finisce per oltrepassare la capacità di comprensione del pensiero razionale, raggiungendo così i suoi limiti prima che abbia potuto abbracciare la totalità dell'universo con le leggi della ragione. La spiegazione interamente razionale di un oggetto reale è un'utopia o un ideale. Solo l'oggetto ipotetico può essere interamente spiegato dalla logica, poiché sin dall'inizio esso ha in se solo ' ciò che vi ha messo il pensiero logico. La stessa scienza empirica opera su oggetti limitati dalla ragione; tralasciando intenzionalmente di considerare il fortuito, essa non considera affatto la totalità dell'oggetto reale, ma solo una parte che sottopone all'esame logico. Così il pensiero ed il sentimento, in quanto funzioni indirizzate, sono razionali. Quindi, se queste funzioni non tendono alla selezione logicamente determinata degli oggetti o dei loro rapporti e qualità, ma a ciò che e fortuitamente percepito e ad ogni oggetto reale, esse cessano d'essere funzioni indirizzate e perdono parte del loro carattere logico; il casuale vi s'introduce e dà loro un carattere irrazionale.

Il pensiero ed il sentimento indirizzati secondo percezioni casuali, cioè irrazionali, sono intuitivi o sensoriali. L'intuizione e la sensazione sono delle funzioni psicologiche che raggiungono la perfezione nella percezione assoluta di ciò che accade. Conformemente alla loro natura, esse debbono prendere un atteggiamento che corrisponda al possibile ed al casuale, e quindi sono prive di ogni indirizzo razionale. Per questa ragione le chiamo funzioni irrazionali in opposizione al pensiero ed al sentimento che raggiungono la perfezione nell'accordo con le leggi razionali. Benché l'irrazionale, come tale, non possa essere oggetto di scienza, è tuttavia importantissimo per una psicologia pratica, apprezzarlo nel suo giusto valore, poiché la psicologia pratica solleva dei problemi che non possono essere risolti logicamente, ma che richiedono, al contrario, una soluzione irrazionale. Se si spera che ogni conflitto possa essere risolto secondo la ragione, si rischia di ostacolare una soluzione irrazionale ma reale (v. Razionale).

40) ISTINTO. - Qui, come in tutte le mie altre opere, do al termine "istinto" il senso che gli si attribuisce comunemente, e cioè una compulsione a certe attività. Questa compulsione può provenire da uno stimolo esterno od interno, che scatena il meccanismo psichico dell'istinto, oppure da una causa organica che è estranea alla sfera dei rapporti di causalità psichica. Il fenomeno psichico è istintivo quando non trae la sua origine da un atto di volontà, ma da una spinta dinamica, sia che questa provenga direttamente da fonti organiche, dunque extrapsichiche, sia che essa venga essenzialmente condizionata da energie soltanto messe in moto dall'intenzione volontaria; in quest'ultimo caso, con la riserva che il risultato ottenuto superi l'effetto desiderato dalla volontà. Il termine "istinto" si applica, secondo me, ad ogni processo psichico che non sia dominato dalla coscienza. Secondo questa concezione gli affetti appartengono sia al processo istintivo che al processo sentimentale (v. Sentimento). Il processo psichico che appartiene normalmente alle funzioni volitive, cioè che è completamente sottomesso al controllo della coscienza, può in circostanze normali divenire un processo istintivo se vi si associa un'energia psichica inconscia. Ciò si verifica ogni volta che la sfera della coscienza è ridotta dalla rimozione di contenuti insopportabili o quando c'è un "abbassamento del livello mentale" (Janet), dovuto a fatica, ad intossicazione, o a qualche processo patologico del cervello; quindi, ogni volta che la coscienza non può più, o non può ancora, controllare i processi più accentuati. Io non vorrei chiamare istintivi i processi che un tempo erano coscienti e che si sono poi automatizzati. Normalmente essi non si comportano come degli istinti, poiché, in condizioni normali, non si presentano mai in forma fortemente compulsiva; essi prendono quest'aspetto solo quando ricevono energia dall'esterno.

41) LIBIDO. - Per libido intendo l'energia psichica. Essa è l'intensità del processo psichico, il suo valore psicologico. Non si tratta d'una valutazione morale, estetica o intellettuale; il valore psichico corrisponde alla forza determinante che si manifesta con effetti definiti o "prestazioni psichiche". Io non intendo la libido come una forza psichica, anche se i miei critici l'hanno pensato. Non ipostatizzo il concetto d'energia, ma l'utilizzo per esprimere intensità o valori. Il problema di sapere se esiste o no una forza psichica non ha niente a che vedere con il concetto di libido. Nei miei lavori il termine è spesso usato al posto di quello d'energia. Ho spiegato le ragioni per le quali ho chiamato libido l'energia psichica nelle opere indicate in nota.

42) ORIENTAMENTO. - L'orientamento è il principio generale di un atteggiamento (v. Atteggiamento). Quest'ultimo è sempre orientato secondo un determinato punto di vista,

sia conscio che inconscio. L'atteggiamento di potenza, ad esempio, si orienta secondo il punto di vista del potere dell'Io sulle influenze e sulle condizioni che l'opprimono. L'atteggiamento intellettuale s'orienta secondo il principio logico che è la sua legge suprema; l'atteggiamento sensoriale, invece, secondo l percezione sensoriale dei fatti dati.

43) PARTECIPAZIONE MISTICA - Questo termine è stato coniato da Lévy-Bruhl, e designa una forma particolare di legame psicologico all'oggetto, legame tale che il soggetto non può distinguersi nettamente dall'oggetto, ma vi resta legato da un rapporto diretto, cioè da una specie d'identità parziale.

Quest'identità è fondata sulla funzione a priori del soggetto e dell'oggetto. La partecipazione mistica è un residuo dello stato primordiale. Essa non concerne la totalità della relazione del soggetto con l'oggetto, ma solo certi casi nei quali compare il fenomeno di questa speciale relazione. Essa s'incontra soprattutto presso i primitivi, benché non sia raro trovarla ad un grado minore d'intensità e di sviluppo nell'uomo civile. In generale, presso i popoli civili ciò capita tra due persone, ma è raro che capiti tra una persona ed una cosa. Nel primo caso vi è un fenomeno detto transfert, per cui l'oggetto esercita un effetto magico o assoluto; nel secondo, si tratta di un effetto analogo prodotto da una cosa o di una specie d'identificazione con una cosa o con una sua idea.

44) PENSIERO. - Ii pensiero è la materia od il contenuto d'una funzione intellettuale definita dall'analisi del pensare stesso (v. Pensiero, funzione intellettuale).

45) PENSIERO, FUNZIONE INTELLETTUALE. - Io considero il pensiero come una delle quattro funzioni psichiche fondamentali (v. n. 21). E' esso che, conformemente alle sue leggi, stabilisce una connessione tra i contenuti rappresentativi. Esso è un'attività appercettiva che può essere attiva e passiva. Il pensiero attivo è un'azione volontaria, quello passivo è accidentale. Nel primo caso io sottometto i contenuti rappresentativi ad un atto volontario; nel secondo, si costruiscono rapporti concettuali e giudizi che possono, in certi casi, essere opposti alle mie intenzioni. Essi, allora, sono privati per me del sentimento della direzione, benché io possa, in seguito, con un atto di appercezione attiva, giungere a riconoscere che essi sono indirizzati. Il pensiero attivo, dunque, corrisponde al mio concetto di pensiero indirizzato. Il pensiero passivo di solito è definito "immaginazione", ma ciò è insufficiente ed io lo chiamerei piuttosto pensiero intuitivo.

Il semplice fatto di allineare delle rappresentazioni, ciò che è chiamato da alcuni psicologi pensiero associativo, per me non è pensiero, giacché è unicamente un fenomeno di rappresentazione. A mio avviso, si dovrebbe parlare di pensiero solo nel caso di rappresentazioni realizzate da un concetto.

Chiamo intelletto (v. n. 34) la facoltà del pensiero indirizzato e chiamo intuizione intellettuale la facoltà del pensiero passivo non indirizzato. Inoltre il pensiero indirizzato, per me, è una funzione razionale (v. Razionale), poiché esso ordina i contenuti rappresentativi secondo la norma razionale cosciente. Il pensiero non indirizzato, o intuizione intellettuale, al contrario, non è, a mio avviso, una funzione razionale, poiché giudica ed ordina i contenuti rappresentativi secondo leggi inconsce, cioè non conformi alla ragione. In alcuni casi, tuttavia, posso riconoscere che il giudizio intuitivo corrisponde alla ragione benché si sia formato in un modo che mi sembra irrazionale.

Per pensiero affettivo intendo non il pensiero intuitivo ma quello che dipende dal sentimento e che si conforma al principio di quest'ultimo. Per esso le leggi della logica sono solo apparenza poiché sono annullate a favore delle tendenze del sentimento.

46) PROIEZIONE (inverso di Introiezione, v. n. 36). -

Proiettare vuoi dire trasferire un contenuto soggettivo in un oggetto. Esso è un fenomeno di dissimilazione giacché un contenuto è alienato dal soggetto e in qualche modo s'incarna nell'oggetto. Si proiettano contenuti penosi o incompatibili per liberarsene, come anche valori positivi divenuti inaccessibili per un motivo qualunque. La proiezione si fonda sull'arcaica identità di soggetto ed oggetto; ma si può parlare di proiezione solo quando appare la necessità di distaccarsi dall'oggetto. Ciò capita quando l'identità diviene dannosa, cioè quando l'assenza del contenuto proiettato danneggia l'adattamento e rende desiderabile il ritorno al soggetto. A partire da questo momento la parziale identità prende il carattere di proiezione. Questo termine indica dunque uno stato d'identità che è percepibile e cioè accessibile alla critica del soggetto stesso e degli altri.

Si possono distinguere una proiezione passiva ed una proiezione attiva. La prima è la forma abituale delle proiezioni patologiche e di un grande numero di proiezioni normali, non intenzionali e puramente automatiche. La seconda una componente essenziale dell'"Einfuhlung". Quest'ultimo, nel suo insieme, è un processo di introiezione, poiché tende a stabilire un rapporto intimo tra soggetto ed oggetto. Per riuscirvi, il soggetto distoglie dalla sua psiche un contenuto, che trasferisce nell'oggetto animandolo ed attirandolo nella sua stessa sfera.

La proiezione attiva si manifesta anche sotto la forma del giudizio, che ha per scopo di dissociate il soggetto dall'oggetto; un giudizio soggettivo, considerato come un fatto reale, è separato dal soggetto e trasferito nell'oggetto, così che si separa il primo dal secondo. La proiezione è, quindi, un processo di introversione, poiché, al contrario dell'introiezione, essa non attira l'oggetto nel soggetto, né ve l'assimila, ma lo distacca e lo differenzia. Quindi, essa gioca un ruolo essenziale nella paranoia, che comporta, in generale, un totale isolamento del malato.

47) RAZIONALE. - Razionale vuoi dire ragionevole, cioè conforme alla ragione. Io concepisco la ragione come un atteggiamento che cerca di conformare ii pensiero, ii sentimento e l'azione a dei valori oggettivi. Questi ultimi si stabiliscono secondo la media delle esperienze esteriori e la media dei fatti psicologici interiori. Queste esperienze non avrebbero alcun "valore oggettivo" se il soggetto le valutasse in se stesse, benché questo sarebbe un atto razionale. L'atteggiamento razionale che permette di riconoscere i valori oggettivi non può essere opera di un solo individuo, ma deve essere ii risultato dello sviluppo dell'umanità tutta. La maggior parte dei valori oggettivi, e quindi anche la ragione, sono solidi complessi rappresentativi, tramandati da tempi immemorabili, alla cui organizzazione hanno lavorato millenni, con la stessa necessità che ha spinto l'organismo vivente a reagire, secondo la sua natura, alle condizioni ambientali medie, opponendo ad esse opportuni complessi funzionali, come ad esempio l'occhio, che è perfettamente adattato alla luce. Si potrebbe, quindi, parlare di una ragione metafisica preesistente nell'universo, se la reazione dell'organismo vivente alla media degli stimoli esteriori non fosse la condizione sine qua non della sua stessa esistenza. Schopenhauer ha già espresso la stessa idea. La ragione umana, dunque, non è che l'espressione dell'adattamento alla media dei fenomeni, riposto in complessi rappresentativi che si sono lentamente organizzati per costituire i valori oggettivi. In queste condizioni, le leggi razionali designano e regolano l'attività media adattata "giusta". Tutto ciò che corrisponde a queste leggi, è razionale; irrazionale tutto ciò che se ne discosta (v. n. 39). II pensiero ed il sentimento sono funzioni razionali in quanto sono influenzati in modo decisivo dalla riflessione. Essi raggiungono il loro fine nel modo più completo, nella coincidenza più perfetta possibile con le leggi della ragione. Le funzioni irrazionali, al contrario, sono quelle che hanno per scopo la pura percezione, come l'intuizione e la sensazione; esse debbono essere il più possibile prive del razionale, che implica l'esclusione del non-razionale, per arrivare ad una percezione completa di tutto ciò che accade.

48) RIDUTTIVO. - Razionale vuoi dire ragionevole. cioè agli elementi fondamentali. Io designo con questo termine il metodo di interpretazione psicologica che non esamina i prodotti inconsci dal punto di vista simbolico, ma che li vede come un fenomeno semeiotico, cioè come segno o sintomo del processo che ne è alla base. Il procetto riduttivo esamina questi prodotti per ricondurli agli elementi od ai processi fondamentali, reminiscenze di avvenimenti reali o processi elementari che impressionano la psiche. Il metodo riduttivo, dunque, è orientato all'indietro verso la storia ed il passato, al contrario del metodo costruttivo (v. n. 14). In senso figurato, esso vuole ricondurre un grande complesso differenziato a qualcosa di più generale e di più elementare.

Freud ed Adler si attengono ambedue alla riduzione, poiché i loro metodi riconducono i prodotti dell'inconscio ai processi elementari del desiderio o della tendenza, in ultima analisi, infantili o psicologici. Il prodotto inconscio non può avere, in questo caso, che il valore di un'espressione impropria che non bisognerebbe designare col termine di simbolo (v. n. 55). Così, la riduzione ha l'effetto di scomporre il senso del prodotto inconscio, o meglio, lo riconduce ai suoi antecedenti storici e quindi lo distrugge o lo reintegra nel processo elementare da cui è nato.

49) RIFERIMENTO ALL'OGGETTO. - Io intendo per interpretazione d'un sogno o di una fantasia con riferimento all'oggetto, quella in cui i personaggi e le situazioni sono rapportati a personaggi o situazioni oggettivamente reali. Ciò è il contrario dell'interpretazione con riferimento al soggetto (v. n. 50), la quale collega personaggi e situazioni oniriche a valori soggettivi. La concezione freudiana del sogno si muove quasi esclusivamente sul piano dell'oggetto, poiché essa riconduce i desideri onirici a oggetti reali, o a processi sessuali appartenenti alla sfera fisiilogica e quindi extrapsicologica.

50) RIFERIMENTO AL SOGGETTO. - Interpretare il sogno o la fantasia sul piano soggettivo, significa ricondurre i personaggi e le situazioni a fattori soggettivi, che appartengono esclusivamente alla psiche del soggetto stesso. Si sa che l'immagine di un oggetto nella nostra mente non è mai assolutamente eguale all'oggetto stesso, ma, al più, è simile. Essa sicuramente proviene dalla percezione sensoriale, ma attraverso dei processi di formazione che fanno parte della nostra psiche e che l'oggetto si limita a provocare. E' vero, e noi lo sappiamo per, esperienza, che la testimonianza dei nostri sensi coincide, per lo più, con le caratteristiche dell'oggetto. Tuttavia la percezione è subordinata ad influenze soggettive che sfuggono quasi completamente al nostro controllo e complicano all'infinito l'esatta conoscenza del carattere umano. Un'entità psichica così complessa come un carattere umano offre alla pura percezione sensoriale scarse possibilità. Per andare più a fondo, è necessario 1"Einfuhlung", la riflessione e l'intuizione. In seguito a queste complicazioni, il giudizio finale è naturalmente sempre dubbioso, di modo che l'immagine che invece ci formiamo d'un oggetto umano sarà sempre soggettivamente condizionata. In psicologia pratica sarà sempre bene distinguere l'immagine, imago, d'un uomo da ciò che egli è realmente. A causa della sua formazione soggettiva, l'imago è la riproduzione dì un complesso dì funzioni soggettive più che quella dell'oggetto stesso. Per questo motivo è essenziale rendersi conto, nell'analisi dei prodotti dell'inconscio, che l'imago non sia senz'altro posta come identica all'oggetto, ma anzi concepita come un'espressione del rapporto soggetto-oggetto. Questa è l’interpretazione sul piano soggettivo.

L'esame sul piano soggettivo dei prodotti dell'inconscio dimostra l'esistenza di opinioni e di tendenze soggettive da cui l'oggetto è investito. Se dunque l'irnago di un oggetto si manifesta in una produzione inconscia, ovviamente non si tratta dell'oggetto eo ipso, ma anche di un complesso di funzioni soggettive (v. Immagine dell'anima). Quest'interpretazione sul piano soggettivo non serve solo a penetrare il senso psicologico del sogno e della fantasia, ma permette anche di approfondire la comprensione di opere letterarie in cui ogni personaggio rappresenta dei complessi funzionali relativamente autonomi nel-i' 'anima dello scrittore.

51) SE’. - (v. Io).

52) SENSAZIONE, FUNZIONE SENSORIALE. -- Secondo me, la sensazione è una delle quattro funzioni (v. n. 21) psichiche fondamentali; anche Wundt la considera un fenomeno psichico elementare.

La sensazione è la funzione psichica che trasmette lo stimolo psichico alla percezione. E' necessario distinguerla dal sentimento, il quale è un processo assolutamente diverso che tuttavia vi si può associare sotto la forma della "tonalità affettiva". La sensazione è in rapporto non solo con lo stimolo fisico, ma anche con le alterazioni degli organi interni. Essa, dunque, è soprattutto sensoriale, percezione dovuta agli organi sensoriali ed ai "sensi somatici" (sensazione cinestetica, vasomotoria, etc.). Essa è, da un lato, un elemento della rappresentazione, poiché trasmette l'immagine dell'oggetto esterno che ha percepito; dall'altro, un elemento del sentimento a cui essa dà il carattere affettivo, grazie alla percezione delle Variazioni fisiche (v. Affettività). Queste percezioni sono da essa trasmesse alla coscienza, così che essa rappresenta anche le tendenze fisiologiche senza che sia 'loro identica, giacché è una funzione puramente percettiva.

Bisogna distinguere tra sensazione sensoriale e concreta e sensazione astratta. La prima comprende in sé tutte le forme che abbiamo appena esaminate; la seconda è astratta o separata da ogni altro elemento psicologico. La sensazione concreta non si presenta mai allo stato "puro", giacché essa è sempre unita a rappresentazioni, sentimenti e pensieri. La sensazione astratta, al contrario, è una specie di percezione differenziata, che si potrebbe chiamare "estetica", poiché resta sempre fedele al principio che le è proprio, cioè di non unirsi mai né agli elementi particolari dell'oggetto, né ai pensieri ed ai sentimenti soggettivi; essa, così, si eleva ad un grado di purezza che è irraggiungibile dalla sensazione concreta. La sensazione concreta di un fiore, ad esempio, dà non solo la percezione del fiore in sé, ma anche quella del colore, delle foglie, del luogo; a questa percezione si uniscono immediatamente la sensazione di piacere o di dispiacere che il suo aspetto suscita, o le percezioni olfattive, o l'idea della sua classificazione botanica. Al contrario, la sensazione astratta rileva immediatamente i tratti salienti, come, ad esempio, il colore rosso brillante, di cui essa fa il contenuto cosciente principale o esclusivo, isolato da una qualsiasi altra aggiunta. Questo tipo di percezione è particolarmente adatta all'artista. Essa, in quanto prodotto della differenziazione delle funzioni, come ogni astrazione, non è primordiale. La forma primordiale di una funzione è sempre concreta, cioè mista (v. n. 6 e n. 12). La sensazione concreta, in quanto tale, è un fenomeno di reazione; la sensazione astratta, al contrario, non è mai priva di volontà, cioè di un elemento direttivo. La volontà indirizzata verso la astrazione della sensazione, è l'espressione della messa in atto dell'atteggiamento estetico sensoriale.

La sensazione è la caratteristica essenziale della natura del bambino e del primitivo; essa predomina sempre sul pensiero e sul sentimento, ma non necessariamente sull'intuizione. Io concepisco la sensazione come la percezione cosciente e l'intuizione come la percezione inconscia; sensazione ed intuizione, secondo me, sono una coppia antitetica o delle funzioni che si compensano a vicenda come pensiero e sentimento. Dal punto di vista ontogenetico e filogenetico, le funzioni affettiva ed intellettiva, in quanto funzioni autonome, si sviluppano a partire dalla sensazione e, naturalmente, dall'intuizione, poiché essa è il necessario opposto della sensazione.

In quanto fenomeno elementare, la sensazione rimane un puro dato, che non è sottoposto alla legge della ragione, al contrario del pensiero e del sentimento. Per questa ragione, io la denomino funzione irrazionale (v. n. 39), benché l'intelletto riesca ad inglobare un gran numero di sensazioni nei rapporti logici.

L'uomo, che in genere si orienta secondo il principio della sensazione, appartiene al tipo sensoriale (v. n. 57).

Le sensazioni normali sono proporzionate, cioè corrispondono approssimativamente all'intensità dello stimolo fisico; le sensazioni patologiche sono sproporzionate, cioè eccessivamente deboli o forti; nel primo caso sono inibite per il predominio di un'altra funzione, nel secondo sono esagerate per una fusione anormale con un'altra funzione affettiva od intellettuale ancora indifferenziata. Tuttavia l'esagerazione della sensazione scompare appena la funzione che era fusa con essa si differenzia autonomamente; la psicologia delle nevrosi offre esempi particolarmente pregnanti del fenomeno per la sessualizzazione (Freud) delle diverse funzioni, cioè, per lo stato di fusione delle altre funzioni con quella sessuale.

53) SENTIMENTO (Gefuhl). - Contenuto- o materia della funzione affettiva determinata per mezzo dell'analisi della funzione stessa.

54) SENTIMENTO, FUNZIONE AFFETTIVA (Fuhlen). - Il sentimento è la materia o il contenuto della funzione affettiva definita dalla sua analisi. Secondo me, esso è una delle quattro funzioni psichiche fondamentali. Io non posso accettare il punto di vista che ne fa un fenomeno secondario dipendente dalla rappresentazione o dalla sensazione; io, con Höffding, Wundt, 'Lehmann, Külpe, Baldwin ed altri, la considero una funzione autonoma sui generis.

Il sentimento è un processo che si sviluppa tra l'Io e un dato contenuto, conferendo a quest'ultimo un determinato valore che lo fa accettare o rifiutare (piacere o dolore); esso può anche manifestarsi isolatamente, sotto la forma della «disposizione affettiva», di «umore», isolata, si potrebbe dire, dalle sensazioni o dai contenuti momentanei della coscienza. Si può avere un rapporto causale con qualche contenuto anteriore della coscienza, ma ciò non è assolutamente necessario, poiché può anche provenire da contenuti inconsci, come dimostra largamente la psicologia. Anche l'umore esprime sempre una valutazione non di qualche determinato contenuto, ma dello stato momentaneo dell'intera coscienza che si accetta o si rifiuta. Il sentimento, dunque, è un processo strettamente soggettivo, che può, sotto ogni aspetto, essere indipendente dallo stimolo esterno, benché si associ ad ogni sensazione. Anche se indifferente, una sensazione possiede sempre una tonalità affettiva, in questo caso quella dell'indifferenza, che è anch'essa una valutazione.

Il sentimento è dunque, in un certo senso, un giudizio, che tuttavia differisce dal giudizio intellettuale e che non ha lo scopo di stabilire una redazione concettuale, ma di compiere l'atto soggettivo di accettazione o di rifiuto. La valutazione del sentimento si estende ad ogni contenuto cosciente, qualunque esso sia. Il sentimento aumenta di intensità e fa apparire l’affetto (v. n. 2), che è uno stato del sentimento accompagnato da innervazioni somatiche. Il sentimento si distingue dall'affetto poiché non provoca alcuna innervazione somatica percettibile, il che vuoi dire che non suscita che un normale processo di pensiero. Il sentimento "semplice" è concreto, cioè unito ad altri elementi funzionali, come, per esempio, la sensazione. Si potrebbe, in questo caso, chiamare sentimento affettivo o, come faccio io, sensazione affettiva, termine che designa l'indissolubile fusione del sentimento con gli elementi sensoriali. Quest'unione caratteristica si trova sempre quando il sentimento è nello stadio di funzione indifferenziata, il che è particolarmente chiaro nel caso di un soggetto nevrotico con una funzione intellettuale fortemente differenziata.

Benché la funzione del sentimento sia in sé autonoma, può cadere sotto il dominio di qualcun'altra, per esempio quella intellettuale. In questo caso ci troviamo in presenza di un sentimento che accompagna il pensiero e che sfugge alla rimozione al di fuori della coscienza, in quanto è conciliabile con i rapporti intellettuali. Bisogna distinguere il sentimento concreto ordinario dal sentimento astratto. Come il concetto astratto che non considera le qualità particolari delle cose che apprende, il sentimento astratto s'eleva al di sopra delle qualità particolari dei contenuti a cui esso dà un valore, per stabilire uno "stato" od un umore affettivo che comprende in sé le diverse valutazioni particolari e che le sopprime. Se il pensiero ordina i contenuti della coscienza secondo i concetti, il sentimento li ordina secondo i rispettivi valori che attribuisce loro. Più il sentimento è concreto, e più il valore che esso attribuisce è soggettivo e personale; più è astratto e più è oggettivo e di ordine generale. Un concetto assolutamente astratto non coincide con la particolarità originaria delle cose, ma solamente con i loro elementi generali e comuni; allo stesso modo, il sentimento completamente astratto non coincide con gli elementi particolari e con 'le qualità affettive, ma piuttosto con l'insieme di tutti i fattori degli elementi e con ciò che essi hanno di non differenziato. Il sentimento, dunque, è, come il pensiero, una funzione razionale, poiché l'esperienza mostra che vi sono delle leggi razionali che classificano i valori del sentimento ed egualmente presiedono alla formazione dei concetti.

Le definizioni precedenti, naturalmente, non hanno precisato l'essenza del sentimento, ma hanno solo fissato alcuni tratti esteriori. La facoltà intellettuale della comprensione si rivela incapace di formulare in termini concettuali l'essenza del sentimento, poiché il pensiero appartiene ad una categoria che non ha niente in comune con esso. D'altronde, nessuna funzione psicologica può essere definita attraverso un'altra. E' per questo che nessuna definizione intellettuale potrà mai dare un'idea sufficientemente approssimata delle qualità del sentimento. La classificazione che si fa dei sentimenti non fornisce alcun elemento per la comprensione della loro essenza; anche se esatta, essa si limita ad indicare il contenuto comprensibile dall'intelletto, grazie a cui appaiono i sentimenti, senza che si sappia, però, ciò che loro è specifico. Quante sono le classi di contenuti comprensibili dall'intelletto, tanti sono i sentimenti, senza che per questo si possa giungere ad un'esauriente classificazione, poiché, al di là di ogni classe concepibile, vi sono dei sentimenti che sfuggono completamente ad un esame intellettuale. L'idea stessa di classificazione è già intellettuale e quindi incompatibile con il sentimento; siamo costretti, quindi, a tenerci nei limiti del sentimento.

La valutazione del sentimento è comparabile all'appercezione intellettuale, poiché in qualche modo è un'appercezione del valore. Si può distinguere un'appercezione attiva ed un'appercezione passiva. L'atto del sentimento è passivo se il contenuto psicologico l'attira o l'eccita, forzando la partecipazione sentimentale del soggetto. Nell'atto del sentimento attivo, al contrario, il soggetto stesso attribuisce i valori; egli valuta i contenuti secondo un'intenzione e precisamente secondo una intenzione sentimentale e non intellettuale. Il sentimento attivo, dunque, è una funzione indirizzata, un atto di volontà, per esempio, "amare" in contrapposizione ad "essere innamorato", dove 'quest'ultimo stato sarebbe passivo perché non indirizzato. Il linguaggio stesso pone una differenza, poiché vede nell'"amare" un'attività e nell'"essere innamorato" uno stato.

Il sentimento non indirizzato è un'intuizione sentimentale.

Parlando in senso stretto, soltanto il sentimento attivo o indirizzato è razionale, mentre il sentimento non indirizzato è irrazionale, poiché stabilisce valori senza il concorso del soggetto e, a volte, contro di esso.

L'individuo che ha un atteggiamento generale orientato secondo la funzione del sentimento appartiene al tipo sentimentale (v. n. 57).

55) SIMBOLO. Così come io lo concepisco, il concetto di simbolo non ha nulla in comune con il concetto di segno.

Il significato simbolico e quello semeiotico sono cose diversissime. Nella sua opera sulle Leggi psicologiche del simbolismo, Ferrero tratta, a rigor di termini, non dei simboli, ma dei segni. Così, l'uso di offrire una zolla di terra all'acquirente di un fondo si potrebbe volgarmente chiamare "simbolico", mentre, in fondo, non è che semeiotico, poiché la zolla di terra non è che un segno che rappresenta il terreno acquistato. Egualmente, la ruota alata dell'impiegato delle ferrovie non è un simbolo della ferrovia, ma solo segno dell'appartenenza alla società ferroviaria. Un simbolo suppone sempre che l'espressione scelta designi o formuli il più perfettamente possibile certi fatti relativamente sconosciuti, ma la cui esistenza è stabilita o ritenuta necessaria. Se si scambia la ruota alata per un simbolo, ciò significherebbe che l'impiegato ha a che fare con un essere sconosciuto, il quale non può avere un'espressione migliore della ruota alata.

Vedere nell'espressione simbolica un'analogia od una designazione abbreviata di un fatto conosciuto è semeiotica. Avere la miglior formula possibile di una cosa relativamente poco conosciuta, che non si saprebbe altrimenti come designare, è simbolismo; al contrario, avere una trasformazione od una metafora voluta di un fatto conosciuto è allegoria. Così, l'interpretazione della Croce come simbolo d'amore divino è semeiotica, poiché l'espressione "amore divino" esprime il fatto in questione più esattamente che una Croce che può avere diversi significati. Simbolica, al contrario, è la concezione che, tralasciando ogni interpretazione possibile, considera la Croce come espressione di certi fatti ancora sconosciuti ed incomprensibili, mistici o trascendenti, cioè in primo luogo psicologici, che non sono rappresentabili se non con la Croce. Finché un simbolo è vivente, esso è la migliore espressione possibile di un fatto, ed è vivo soltanto finché possiede quel significato. Tuttavia, non appena si scopre l'espressione che formula la cosa ricercata, attesa e presentita, allora il simbolo è morto. Ciò nonostante, si può continuare a considerarlo come simbolo, a condizione di sottintendere che si parla di ciò che esso era quando non aveva ancora creato un'espressione migliore. Per S. Paolo, come per l'antica speculazione mistica, la Croce era sicuramente un simbolo vivente; il modo in cui ne parlano, mostra che essa per loro era l'espressione suprema dell'ineffabile.

Per ogni interpretazione esoterica, il simbolo è morto, poiché essa riconduce sempre ad un'espressione che suppone più perfetta, riducendolo, così, ad un ruolo di segno convenzionale. L'espressione con cui si designa qualcosa di conosciuto è sempre un segno, mai un simboffo. Così, è impossibile che un simbolo vivente, cioè pregno di significato, prenda vita da rapporti noti.

Ogni prodotto psichico che, in un dato momento, è la migliore espressione di un fatto sconosciuto, può essere considerato come un simbolo, purché si sia disposti ad ammettere che essa esprime egualmente ciò che è solo presentito e non chiaramente conosciuto. Nella misura in cui conferma un'ipotesi, cioè designa anticipatamente un fatto ancora sconosciuto, ogni teoria scientifica è un simbolo. Egualmente, ciò è valido per ogni fenomeno psicologico, a condizione che esso enunci o significhi qualcosa che sfugge alla conoscenza attuale. Quest'ipotesi è sempre possibile in presenza di una coscienza che ricerca gli altri eventuali sensi delle cose. Essa è impossile per questa coscienza nel caso in cui ha stabilito un'espressione che dica esattamente icò che voleva dire, come, ad esempio, l'espressione matematica. Tuttavia questa restrizione non esiste in altri tipi di coscienza. Essa può concepire l'espressione matematica come simbolo di un fatto psichico sconosciuto e nascosto dall'intenzione che lo ha stabilito, nella misura in cui è dimostrabile che questo fatto non è conosciuto da colui che crea l'espressione semeiotica e non poteva, quindi, essere oggetto di un'utilizzazione conscia. Il fatto che un oggetto sia o no un simbolo dipende in primo luogo dall'atteggiamento della coscienza che osserva; è l'atteggiamento, ad esempio, che vede nei fatti dati non solo ciò che sono, ma anche l'espressione di qualcosa che è sconosciuto. E' dunque perfettamente possibile che un fatto non sembri simbolico al suo autore, ma lo sembri ad un altro. Vi sono anche dei prodotti il cui simbolismo non dipende soltanto dall'atteggiamento della coscienza che osserva, ma si rivela da sé per l'effetto simbolico esercitato su colui che guarda.

Se non fosse per il loro simbolismo, questi prodotti sarebbero per lo più privi di ogni significato. In se stesso, ad esempio, il triangolo che racchiude l'occhio è talmente privo di senso, che è impossibile vedervi l'effetto di un passatempo. A questo punto s'impone un'interpretazione simbolica. La ripetizione sempre identica di un'immagine o la particolare esecuzione tecnica rafforzano ancora l'effetto. I simboli che non agiscono come abbiamo appena detto sono morti, cioè sono stati superati da un'espressione più perfetta, o, meglio, sono prodotti la cui natura simbolica dipende unicamente dall'atteggiamento dell'osservatore.

Io chiamo simbolico l'atteggiamento che interpreta il fenomeno dato come un simbolo. Esso è giustificato in parte dalle circostanze ambientali, in parte da una certa concezione della vita che attribuisce un senso ad ogni avvenimento e dà a questo senso più valore che al fatto stesso. La concezione inversa, al contrario, valorizza il fatto puro e semplice e ad esso subordina il significato. Per essa il simbolo non esiste se il senso simbolico dipende unicamente dal modo di considerare; essa non 'riconosce il simbolo se non quando quest'ultimo spinge lo spettatore a supporre un senso nascosto. Si potrebbe vedere, ad esempio, nell'immagine di Dio con la testa taurina, un corpo umano a cui sia stata adattata questa testa; questa spiegazione non regge di fronte alla spiegazione simbolica ed è impossibile scartare un simbolo che salta agli occhi, come in questo caso. D'altronde, il fatto che il simbolo sia evidente, non basta per dimostrare che esso è vivente. Esso, ad esempio, può agire solo sul corso storico o filosofico dell'intelletto, destando soltanto un interesse intellettuale od estetico. E' vivente solamente il simbolo che per lo spettatore è l'espressione di ciò che è evidente, ma non è ancora conosciuto. Esso spinge allora l'inconscio alla partecipazione, promuovendo e stimolando, così, lo sviluppo vitale. Ricordiamo le parole di Faust: «Quando diversamente agisce su di me questo segno!".

Il simbolo vivente designa un frammento essenziale dell'inconscio e quanto più questo frammento è esteso, tanto più è generale l'effetto del simbolo, poiché fa vibrare una corda comune in tutti. Poiché da un lato il simbolo è l'espressione migliore che un'epoca possa trovare per esprimere ciò che è ancora sconosciuto, esso deve avere la sua origine in ciò che vi è di più differenziato e di più complesso in quel momento. Come, d'altra parte, il simbolo vivente deve racchiudere in sé ciò che comune ad un gruppo umano assai vasto, per poter influire su di esso, così è necessario che esso abbracci ciò che è comune in questo gruppo. E' chiaro che questo non può essere il prodotto migliore dello spirito, perché quest'ultimo è accessibile solo ad una ristretta minoranza. E' necessario, quindi, qualcosa di così primitivo da essere sicuramente onnipresente. L'effetto del simbolo è universale solo se suprema espressione di un simile contenuto. Qui è il segreto della potenza e dell'effetto liberatore di un simbolo sociale vivente.

Tutto ciò è valido sia per il simbolo individuale che per il simbolo sociale. Molti prodotti psichici individuali hanno un carattere manifestamente simbolico. Il loro significato funzionale è identico, per l'individuo, a quello del simbolo sociale per il gruppo. Questi prodotti non traggono mai la loro origine della sola coscienza o dal solo inconscio, giacché essi sono il risultato di ambedue. I prodotti puramente coscienti od esclusivamente inconsci non sono eo ipso simbolici; è l'atteggiamento simbolico della coscienza che osserva a dare loro questo carattere. Tuttavia, si possono concepire come fatti puramente causali, più o meno come si concepisce l'esantema rosso della scarlattina come simbolo di essa. Ma, in questo caso, si tratta più di un sintomo che di un simbolo. Secondo me, Freud ha ragione di parlare, dal suo punto di vista, di atti sintomatici e non di atti simbolici, poiché per lui questi atti non sono simbolici nel nostro senso, ma sono dei segni sintomatici di un certo processo di base che è ben conosciuto e chiarito.

Naturalmente, non è raro che dei nevrotici scambino i prodotti del loro inconscio, che sono soltanto dei sintomi morbosi, per autentici simboli. Tuttavia, in generale, ciò non capita e spesso i nevrotici hanno addirittura un atteggiamento contrario, cioè concepiscono come sintomo anche ciò che è carico di significato. Il fatto stesso che esistano due opinioni contraddittorie che danno origine a notevoli dispute, dimostra che vi sono dei processi che non sono delle semplici conseguenze, dei sintomi privi di particolare significato, ma che ne esistono degli altri che nascondono un senso e che non soltanto non hanno un'origine precisa, ma pretendono, piuttosto, di realizzarsi: questi sono veri simboli. E' compito dell'intelligenza e del tatto di coloro che sono interessati a questo problema distinguere i sintomi dai simboli.

Il simbolo, dotato di una natura assai complessa, si compone dei dati di tutte le funzioni psichiche; esso, dunque, non è né razionale, né irrazionale. Da un lato è accessibile alla ragione, mentre dall'altro le sfugge, poiché è composto di dati razionali e di dati irrazionali, che provengono dalla pura percezione interna ed esterna. Per il suo aspetto divinatorio, per il suo significato nascosto, il simbolo fa vibrare il pensiero come il sentimento; la sua singolare plasticità lo riveste di forme sensorialmente percepibili che eccitano la sensazione e l'intuizione. Il simbolo vivente non può apparire in uno spirito ottuso o poco sviluppato, poiché questo si contenta del simbolo che già esiste, così come glielo offre la tradizione. Solo la passione di uno spirito altamente sviluppato, per il quale il simbolo offerto non è più l'unica espressione della sintesi suprema, può creare un nuovo simbolo.

Ma poiché esso deriva dalla suprema acquisizione dello spirito e deve comprendere anche i contenuti della natura dell'essere, non può avere origine soltanto 'dalle funzioni spirituali' più altamente differenziate, ma deve provenire in eguale misura dagli istinti più bassi e più primitivi. Naturalmente, la cooperazione di questi elementi antitetici si realizza soltanto quando la loro contrapposizione sia viva nella coscienza. Questo dovrebbe comportare un violentissimo dissidio dell'individuo con se stesso, in seguito al quale, mentre la tesi e 'l'antitesi si negano a vicenda, l'Io non può non ammettere la sua incondizionata partecipazione ad entrambe. Se uno dei due opposti riesce a prevalere, il simbolo sarà il prodotto dell'altro, anzi, sarà più sintomo che simbolo dell'antitesi soppressa. Nella misura in cui un simbolo è un semplice sintomo, esso perde anche il suo carattere liberatore, giacché non è più l'espressione del diritto all'esistenza di tutte le parti della psiche, ma testimonia la soppressione dell'antitesi, anche nel caso che la coscienza non se ne rendesse conto.

Se, al contrario, vi è una completa eguaglianza degli opposti, testimoniata dalla partecipazione incondizionata dell'Io alla tesi ed all'antitesi, si produce un arresto della volontà; l'atto del volere, infatti, diviene impossibile, poiché ogni motivo si trova dinanzi ad un motivo opposto che ha eguale forza ed intensità. Ma poiché la vita non può essere statica, ne deriva un arresto dell'energia vitale che condurrebbe ad uno stato di cose insopportabile, se la tensione degli opposti non desse origine ad una nuova funzione unificatrice che permetta di superare e risolvere il contrasto fra gli stessi opposti. Essa, di conseguenza, è il risultato naturale della regressione della libido a causa dell'arresto suddetto. Ma poiché la scissione totale della volontà rende impossibile ogni progresso, la libido scorre a ritroso, come un torrente che rifluisce alla sorgente; in altre parole, l'arresto e l'inattività della coscienza risvegliano l'attività dell'inconscio dove hanno la comune fonte primordiale tutte le funzioni differenziate e dove sussiste ancora quella confusione di contenuti che si ritrova ancor oggi nella mentalità del primitivo. L'attività dell'inconscio porta alla luce un contenuto, costellato in egual misura dalla tesi e dall'antitesi, verso le quali esso svolge un'azione compensatrice (v. n. 10). Il rapporto che esso ha con ciascun elemento dell'antitesi costituisce un contenuto che è la base intermedia su cui gli opposti trovano la loro sintesi. Se, ad esempio, conisideriamo l'antitesi spiritualità-sensualità, vediamo che il contenuto intermedio nato dall'inconscio sarà, in virtù della sua ricchezza di rapporti spirituali, l'espressione della spiritualità; al contrario, in virtù della sua evidenza sensibile, sarà espressione della sensualità. L'Io, scisso tra la tesi e l'antitesi, troverà, nell'espressione intermedia, l'unica espressione che gli è propria; esso, quindi, l'afferrerà avidamente per liberarsi del suo contrasto. La tensione degli elementi dell'antitesi, quindi, si concentrerà nell'espressione intermedia e la difenderà nella lotta fra gli opposti che subito s'inizia in essa e per essa, giacché ciascuno degli antagonisti cercherà di risolvere la nuova espressione nel proprio senso: la spiritualità, infatti, cercherà di farne qualcosa di spirituale; la sensualità, invece, qualcosa di sensoriale. L'una vuole trasformarla in scienza o arte, l'altra in un'esperienza viva fondata sui sensi. La soluzione del processo inconscio nell'uno o nell'altro senso può avvenire soltanto se l'Io non è ancora completamente scisso e tende piuttosto verso una parte piuttosto che verso l'altra. Se ciò si verifica allora il prodotto inconscio tenderà verso questa parte, trascinando contemporaneamente con sé l'Io; si produce, così, l'identificazione dell'Io con la funzione superiore (v. n. 3). E' ovvio che il processo di scissione si ripeterà in seguito ad un livello superiore.

Se, invece, l'Io ha una stabilità tale da impedire la sintesi cercata dalla tesi e dall'antitesi, si avrà la prova che il prodotto inconscio è superiore ad entrambi gli elementi dell'antitesi. La solidità e la stabilità dell'Io e la superiorità dell'espressione intermedia sulla tesi e sull'antitesi, mi sembrano essere in correlazione tra di loro, così da condizionarsi reciprocamente. A volte è proprio la stabilità dell'elemento individuale innato che sembra essere il fattore predominante; a volte, invece, l'espressione inconscia sembra possedere una forza tale da indurre l'Io ad una saldezza assoluta. In realtà, la stabilità e la determinatezza dell'elemento individuale sono i segni di un medesimo fatto, allo stesso modo in cui lo è la forza superiore dell'espressione inconscia. Se l'espressione inconscia, a questo punto, rimane intatta, essa costituisce una specie di materia prima che non può essere scissa, ma soltanto plasmata dall'elemento comune a tesi e ad antitesi. Essa diviene, così, un contenuto nuovo che domina l'intero atteggiamento, annulla la scissione ed incanala di prepotenza le forze in contrasto in uno stesso alveo. La stasi delle forze vitali, quindi, è superata, e la vita può riprendere il suo corso verso nuove mete con rinnovato vigore.

Io ho chiamato il processo ora descritto funzione trascendente, intendendo per "funzione" non una delle funzioni fondamentali, ma una funzione complessa composta di altre funzioni, ed intendendo per "trascendente" non un carattere metafisico, ma il passaggio effettuato dalla funzione stessa da un atteggiamento all'altro. La materia prima elaborata da tesi ed antitesi e che riunisce nel suo processo di formazione gli opposti, è il simbolo vivente. Nella materia prima del simbolo, che è indissolubile, sta il suo aspetto profetico; mentre è nella forma che questa materia prima assume sotto l'azione dell'antitesi, che si trova l'influsso che esso esercita su tutte le funzioni psichiche.

Qualche accenno ai processi formativi del simbolo si può trovare nelle scarse notizie pervenuteci sull'iniziazione dei fondatori di religione: la tentazione di Gesù ad opera di Satana, l'episodio di Buddha e Mara, di Lutero ed il diavolo, il periodo della vita di Zuiglio trascorso tra i lussi e la mondanità, il ringiovanirnento di Faust in seguito al suo patto con Mefistofele in Goethe. Infine, le ultime pagine dello Zarathustra di Nietzsche ci danno un eccellente esempio della soppressione dell'antitesi nella figura dell'e uomo più brutto".

56) SINTETICO. - (v. Costruttivo, n. 14).

57) TIPO. - Il tipo è un esempio od un modello del carattere peculiare di una specie o di una collettività. Nel senso più ristretto di questo lavoro, il tipo è un modello caratteristico di un atteggiamento generale, che si manifesta sotto diverse forme individuali. Dei numerosi atteggiamenti possibili, in questa sede ne ho definiti quattro; essi sono quelli che seguono le quattro funzioni tipiche fondamentali: ii pensiero, il sentimento, l'intuizione, la sensazione. Quando un tale atteggiamento è abituale e caratterizza l'individuo, io parlo di tipo psicologico. I tipi basati sulle funzioni fondamentali si possono chiamare; tipo logico, tipo sentimentale, tipo intvitivo, tipo sensoriale; tutti questi tipi si dividono in razionali ed irrazionali. Ai primi appartengono il tipo logico e il tipo sentimentale; ai secondi il tipo sensoriale ed il tipo intuitivo. Infine, le preferenze della libido permettono di distinguere introversi ed estroversi (v. n. 20 e n. 37). Tutti i tipi fondamentali possono appartenere ad ambedue le classi, secondo che domini 1'introversione o 1' estroversione. Il tipo logico, come gli altri, può essere introverso ed estroverso. Al contrario, la distinzione in razionali ed irrazionali è fatta da un punto di vista che non ha niente a che vedere con l'introversione e con l'estroversione.

Nelle due comunicazioni provvisorie sulla dottrina dei tipi, ho identificato pensiero ed introversione, sentimento ed estroversione, Tuttavia, in seguito ho sentito la necessità di porre i tipi introverso ed estroverso in una categoria superiore a quella dei tipi funzionali Questa distinzione è perfettamente giustificata dall'esperienza. Infatti non si possono avere dubbi sull'esistenza di due tipi sentimentali, l'atteggiamento dei quali dipende in un caso dai sentimenti vissuti, nell'altro dall'oggetto.

58) VOLONTA'. - Io intendo per volontà la quantità d'energia a disposizione della coscienza Il processo volitivo sarebbe, quindi, un processo energetico, messo in atto da una motivazione cosciente, giacché, secondo me, un processo psichico che abbia una motivazione inconscia non può essere volitivo. La volontà è un fenomeno dovuto alla civilizzazione ed all'educazione morale, Essa manca quasi completamente nella mentalità del primitivo