PER LA STORIA DEL MOVIMENTO PSICOANALITICO (1914)

Opere vol. 7 pp . 375 - 438

"La psicoanalisi è una mia creazione; per dieci anni sono stato l'unica persona che se ne è occupata, e tutto il disappunto che questo nuovo fenomeno ha susciatato nei contenporanei si è riversato sotto forma di critica sul mio capo. Mi ritengo dunque autorizzato a sostenere che ancora oggi, pur non essendo da tempo l'unico psicoanalista, nessuno meglio di me può sapere che cos'è la psicoanalisi, in che cosa essa si differenzi da altri modi di indagare la vita psichica, e che cosa con il suo nome si debba intendere rispetto a quello che sarebbe meglio indicare con una diversa denominazione" (p. 381). La rivendicazione di paternità di Freud è del tutto fondata. E' suo merito indubbio quello di avere approfondito, sulla scorta dell'ipnosi, le intuizioni di Breuer, giungendo alla scoperta di un'attività psichica inconscia parallela a quella della coscienza e di enorme significato ai fini dell'interpretazione dei sintomi psicopatologici. E' suo merito avere intuito la comprensibilità dei sogni e di avere proceduto nella loro analisi sino ad individuare alcune caratteristiche proprie dell'inconscio. Partendo da questi dati di fatto, Freud però si arroga l'autorità di poter sapere egli solo che cos'è la psicoanalisi. In questo incide una confusione che egli non riuscirà mai a dissolvere. Tale confusione verte sulla realtà dell'attività mentale inconscia per un verso e l'interpretazione dei contenuti inconsci, che lo ha indotto a vedere in essi l'espressione di pulsioni primarie.

Freud ritiene che la teoria pulsionale, in quanto confermata dall'analisi, abbia lo stesso carattere di obbiettività scientifica della scoperta dell'inconscio. L'inconscio strutturale e l'inconscio contenutistico per lui sono le due facce di una stessa medaglia. I contenuti pulsionali, in sé e per sé inaccessibili, appaiono, attraverso i sintomi e i sogni, in una forma mascherata che attesta solo l'applicazione ad essi di logiche proprie dell'inconscio, radicalmente diverse rispetto a quelle della coscienza, e del lavoro della censura.

Data questa confusione, qualunque critica alla teoria pulsionale viene assunta come un attenatto alla solidità dell'edificio analitico.

Il saggio in questione viene di fatto scritto dopo la defezione, avvenuta tre anni prima, di Adler e quando già è nell'aria la defezione di Jung, che sarà sollecitata proprio da questo scritto. Sia Adler che Jung non contestano l'esistenza dell'inconscio, bensì il concetto di libido sessuale freudiano assunto come motore univoco dello sviluppo della personalità. Che questo concetto sia riduttivo, lo riconoscerà Freud stesso qualche anno dopo quando sarà costretto ad integrarlo - ahimé - con l'istinto di morte. All'epoca, però egli non è disposto minimamente a metterlo in gioco. In conseguenza di questo, le critiche di Adler e di Jung vengono animosamente rifiutate. Ponendo tra parentesi gli attacchi personali - sia Adler che Jung vengono accusati di una sfrenata ambizione - ciò che appare evidente è che Freud non tollera che sia messo in discussione la teoria pulsionale e ancora meno l'incidenza delle fasi infantili dello sviluppo nella genesi delle nevrosi. Questa intolleranza lo porta a fraintendere ciò che di realmente innovativo c'è nelle critiche di Adler e di Jung.

Rivendicando una pulsione dell'Io che mira a compensare l'originaria debolezza infantile e ad interagire con le situazioni sociali che frustrano il bisogno di autorealizzazione, Adler non fa altro che anticipare il problema della psicologia dell'Io, che sarà riproposto da Hartmann prima, in un'ottica analitica, e dal cognitivismo poi, con effetti dirompenti per la psicoanalisi. Freud riconosce l'utilità di una psicologia dell'io, ma sostiene che l'analisi è maggiormente interessata "a dimostrare che a tutte le tendenze dell'io risultano frammiste componenti libidiche" (p. 425). Il rovesciamento di questa affermazione, che porta Adler a valorizzare "le componenti egoistiche che entrano nella costituzione dei moti pulsionali libidici" (p. 425), potrebbe avere senso se egli "non si servisse di tale constatazione per rinnegare sistematicamente l'impulso libidico in favore della componente pulsionale dell'Io" (p. 425). La "protesta virile", con cui Adler appella tale componente, che, all'epoca, viene identificata con l'aggressività, non è altro, secondo Freud, che "la rimozione separata dal proprio meccanismo psicologico, e per di più sessualizzata" (p. 426): aspetto che "mal si accorda con la vantata esclusione della sessualità dal posto che le è stato attribuito nella vita psichica" (p. 426). La conclusione cui giunge Freud nella critica è sorprendente se letto a posteriori: "L'immagine della vita che emerge dal sistema adleriano è interamente fondato sulle pulsioni aggressive; non lacsia posto all'amore. Ci si potrebbe addirittura stupire che una così disperata Weltanschauung abbia ottenuto qualche credito; ma non dobbiamo dimenticare che l'umanità oppressa dal giogo delle proprie esigenze sessuali, è pronta ad accettare tutto, purché le si faccia balenare il miraggio del "superamento della sessualità"" (p. 430). Quando pochi anni dopo, Freud introdurrà la teoria dell'istinto di morte, non terrà conto di questa contraddizione.

Le critiche nei confronti di Jung sono ancora più aspre. Proponendo una pulsione dell'Io, Adler, pur sbagliando, è rimasto in un'ottica pulsionale. Jung invece ha osato allentare "il nesso tra fenomeni e vita pulsionale" (p. 432) in nome di valori etici e religiosi incompatibili con la libido sessuale: "Tutti i mutamenti che Jung ha inteso recare alla psicoanalisi sgorgano dal suo intento di elminare gli elementi sconvenienti del complesso familiare, affinché essi non abbiano a ripresentarsi nella religione e nell'etica. La libido sessuale fu sostituita da un concetto astratto, che possiamo dire ugualmente inafferrabile per i saggi come per gli stolti. Il complesso edipico fu inteso solo "simbolicamente": la madre in esso significa l'irraggiungibile cui, nell'interesse dello sviluppo della civiltà, si aveva da rinunciare; il padre, che nel mito di Edipo viene ucciso, diventò il "padre interiore" da cui bisogna liberarsi per diventare autonomi… Al posto del conflitto tra le tendenze erotiche contrarie all'io e quelle di autoconservazione dell'Io fu fatto intervenire il conflitto tra "compito vitale" e "inerzia psichica"; il senso di colpa fu fatto corrispondere al rimptovero di non adempeire al proprio compito vitale. " (pp. 434 - 435). Il principio d'individuazione junghiano, che rappresenta un'intuizione preziosa, viene completamente frainteso da Freud. Sicché la conclusione è una conseguenza del fraintendimento: "Fu creato così un nuovo sistema etico-religioso che, esattamente come quello adleriano, era destinato a reinterpretare, distorcere o spazzar via gli esiti concreti dell'indagine analitica. In verità questa gente si è limitata a cogliere alcuni acuti culturali della sinfonia dell'essere, mentre è loro sfuggita ancora una volta la potente e antichissima melodia delle pulsioni" (p. 435).

Tutto questo sarebbe dovuto, oltre che ad una smodata ambizione personale, ad un pregiudizio contro le pulsioni di natura ideologica: "Il passato teologico di molti Svizzeri non è indifferente per la loro posizione rispetto alla psicoanalisi, come non lo è il passato socialista di Adler per lo sviluppo della sua psicologia" (p. 433). Freud è sempre tremendamente lucido, tranne che quando deve interrogarsi sui suoi pregiudizi ideologici.