PSICOLOGIA DELLE MASSE E ANALISI DELL'IO (1921)

Opere vol. 9 pp. 257 - 330

Dopo essersi cimentato sul terreno dell'antropologia (Totem e Tabù) e della biologia evoluzionistica (Al di là del principio di piacere), Freud ritiene maturi i tempi per affrontare il rapporto tra psicologia individuale e sociuologia. Lo fa partendo da un premessa di grande portata metodologica, che inaugura l'era dello psicologismo. La premessa è che la psicologia sociale e i comportamenti di massa non siano altro che l'espressione delle vicissitudini psicologiche dei singoli individui, che si realizzano nell'interazione con il gruppo familiare. Tale premessa serve essenzialmente a negare l'esistenza di una pulsione sociale ammessa dai sociologi, e a confermare che le uniche pulsioni esistenti sono quelle scoperte dall'analisi - la pulsione sessuale e la pulsione di morte - che, in sé e per sé, sono asociali.

Il tema della psicologia delle masse, che implica l'analisi dei comportamenti che si realizzano nell'interazione con un gruppo rilevante di persone estranee, viene affrontato sulla base di due libri sociologici: Psicologia delle folle (1895) di Gustave Le Bon e La psiche collettiva (1920) di W. McDougall. Per quanto diversi, i due testi coincidono nel rilevare il fatto che l'immersione in una massa disorganizzata induce l'inibizione dei meccanismi di controllo che governano la vita quotidiana e, in conseguenza di ciò, lascia affiorare moduli di comportamento regressivi e primitivi. E' evidente che in ciò Freud trova una conferma del primitivismo pulsionale dell'Es e dell'angoscia sociale di cui l'uomo ha bisogno per mantenere un assetto comprtamentale minimamente civile: "all'interno di una massa e per influsso di questa, il singolo subisce una modificazione spesso profonda della propria attività psichica. La sua affettività viene straordinariamene esaltata, la sua capacità intellettuale si riduce in maniera considerevole, ed entrambi i processi tendono manifestamente ad equipararlo agli altri individui della massa; è un risultato, questo, che può essere conseguito unicamente mediante l'annullamento delle inibizioni pulsionali peculiari ad ogni singolo individuo, e mediante la rinuncia agli specifici modi di esprimersi delle sue inclinazioni" (p. 278).

Posto questo dato di fatto, si tratta di intepretarlo. Freud non accetta le ipotesi avanzate da Le Bon e McDougall, accomunate dal riferimento alla suggestione. Egli ritiene che la spiegazione del comportamento della massa postuli anzitutto di tenere conto del legame affettivo che si stabilisce all'unisono tra i singoli individui e, in secondo luogo, laddove si dà una massa organizzata, del legame che gli individui intrattengono con il capo. Per quanto rigurda il primo aspetto, Freud non ha dubbi che si tratti di un legame libidico: "la massa viene evidentemente tenuta insieme da qualche forza. A quale forza potremmo attribuire meglio questa funzione se non a Eros, che tiene unite tutte le cose del mondo?" (p. 282); "Finché la formazione collettiva persiste e fin dove si estende il suo dominio, gli individui si comportano come se fossero omogenei, tollerano il modo di essere peculiare dell'altro, si considerano uguali a lui e non provano nei suoi confronti alcun sentimento di avversione. In base alle nostre concezioni teoriche, tale limitazione del narcisismo può essere il prodotto di un solo fattore: il legame libidico con gli altri. L'amore per se stessi trova un limite solo nell'amore esterno, nell'amore volto agli oggetti" (p. 291).

Per quanto riguarda il secondo aspetto, il rapporto con il capo, esso va ricondotto all'identificazione, che è " la prima manifestazione di un legame emotivo con un'altra persona" (p. 293) e "tende a configurare il proprio Io alla stregua dell'Io della persona assunta come modello" (p. 294), determinando dunque la produzione dell'ideale dell'Io. In base a questo, Freud ritiene di petere enunciare "la formula della costituzione libidica di una massa… Una tale massa è costituita da un certo numero di individui che hanno messo un unico medesimo oggetto al posto del loro Ideale dell'Io e che pertanto si sono identificati gli uni negli altri nel proprio Io" (pp. 303 - 304). Se questo è vero, occorre rettificare l'affermazione secondo la quale "l'uomo è un animale che vive in gregge, sostenendo che egli è piuttosto un animale che vive in orda, un essere singolo appartenente ad un'orda guidata da un capo supremo" (309).

La negazione del bisogno sociale e di una pulsione gregaria è funzionale all'ossessione di Freud di riproporre il mito dell'orda primaria di cui ha già parlato in Totem e Tabù: "La massa ci appare quindi come una reminiscenza dell'orda primordiale. Come in ogni singolo è virtualmente conservato l'uomo primigenio, così a partire da un raggruppamento umano qualsivoglia può ricostituirsi l'orda primordiale; nella misura in cui la formazione collettiva domina abitualmente gli uomini, in essa riconosciamo la continuazione dell'orda primordiale. Dobbiamo concludere che la psicologia della massa è la psicologia più antica: ciò che, omettendo tutti i residui collettivi, abbiamo isolato come psicologia individuale, si è venuto staccando dalla vecchia psicologia collettiva solo in un secondo tempo, gradualmente e in un certo senso in modo tuttora parziale" (p. 311). L'identificazione della massa con l'orda primordiale permette di sciogliere il mistero della suggestione: "Il carattere perturbante, costrittivo, della formazione collettiva, il quale è manifesto nei fenomeni di suggestione che la contraddistinguono, può quindi venir con ragione ricondotto alla sua derivazione dall'orda primordiale. Il capo della massa è ancora sempre il temuto padre primigenio, la massa continua a voler essere dominata da una violenza senza confini, è sempre sommamente avida di autorità, ha, secondo lìespressione di Le Bon, sete di sottomissione. Il padre primigenio è l'ideale della massa che domina l'Io anziché l'Ideale dell'Io" (p 315). In altri termini, "il singolo rinuncia all'ideale dell'Io e lo sostituisce con l'ideale collettivo incarnato dal capo" (p. 316).

Anche se Freud, a differenza di Le Bon, riconosce che eccezionalmente la massa può promuovere anche atteggiamenti sacrificali, altruistici ed eroici che l'individuo da solo mai realizzerebbe, è chiaro che il suo giudizio sul primitivismo della massa, e soprattutto di quella che s'identifica e si sottomette ad un capo, è nettamente negativo. Si può rimanere sorpresi del fatto che il saggio sia stato scritto quando ancora il nazismo era in nuce. Né c'è da pensare che egli fosse molto attento a quanto avveniva in Italia e nell'Unione Sovietica. Il problema dei comportamenti delle masse, resosi evidente a partire dalla Rivoluzione francese, era semplicemente nell'aria, e le antenne di Freud erano infallibili.

Cionondimeno, sarebbe difficile confermare una sola delle affermazioni e delle analisi freudiane. Che la massa sia null'altro che la somma di singole individualità, e che essa induca con facilità la regressione nel rapporto con il Padre si può ritenere oggi insostenibile. Il mito dell'orda primordiale è privo di fondamento antropologico, ed è tra l'altro fuori luogo. Le primitive comunità umane, per motivi ecologici, non superavano mai le due-tre decine di unità. La massa moderna è imprescindibile da una crescita della consapevolezza dei diritti individuali e di classe che le ha consentito di uscire dal cono d'ombra della storia. Per quanto regressivi, i comportamenti di massa fanno sempre capo a frustrazioni e a rivendicazioni che hanno poco a che vedere con le pulsioni. Il totalitarismo, che comporta l'identificazione di una massa o di un popolo con un capo, è un fenomeno affatto contemporaneo, che richiede una spiegazione storica non preistorica.