INTRODUZIONE AL NARCISISMO (1914)

Opere vol 7 pp. 439 - 480

Nonostante le critiche rivolte a Adler e a Jung (cfr. Per una storia del movimento psicoanalitico), Freud intuisce che i dissidenti, sottolineando la scarsa attenzione dedicata all'Io, hanno colto una lacuna teorica di notevole importanza. Freud ha attribuito all'Io, a partire dal 1910, una pulsione di autoconservazione omologabile a quella che vige in tutto il mondo animale. Questa pulsione, meramente omeostatica, non sembra in grado di spiegare numerosi fenomeni clinici che attestano una tendenza dell'Io a privilegiare se stesso piuttosto che la relazione con l'oggetto promossa dalla pulsione sessuale. Non intendendo seguire Adler e Jung sulla via di un superamento della teoria pulsionale, Freud non può fare altro che ammettere l'esistenza di una libido dell'Io, vale a dire di "un investimento libidico originario dell'Io di cui una parte è ceduta in seguito agli oggetti, ma che in sostanza persiste e ha con gli investimenti d'oggetto la stessa relazione che il corpo di un organismo ameboidale ha con gli pseudopodi che emette" (p. 445). Con l'introduzione della libido dell'Io, vale a dire del narcisismo, Freud mantiene il riferimento al dualismo delle pulsioni e integra la sua precedente teoria: "il valore dei concetti di "libido dell'Io" e "libido oggettuale" risiede nel fatto che essi traggono origine dall'elaborazione delle caratteristiche profonde dei processi nevrotici e psicotici. La differenziazione della libido in una libido che pertiene all'Io e in una libido che è vincolata agli oggetti risulta come un corollario inevitabile dell'antica ipotesi che istituì la distinzione tra pulsioni sessuali e pulsioni dell'Io" (p. 447).

In realtà, questa integrazione ha un significato ben più profondo. Essa porta Freud a sfiorare un nucleo di verità che viene mortificato da una cornice di riferimento banalmente biologista: "L'individuo concuce effettivamente una doppia vita, come fine a se stesso e come anello di una catena di cui è strumento, contro o comunque indipendentemente dal suo volere. Egli considera la sessualità come uno dei suoi propri fini; ma, da un altro punto di vista, egli stesso non è che un appendice del suo plasma germinale a disposizione del quale pone le proprie forze in cambio di un premio di piacere. Egli è il veicolo mortale di una sostanza virtualmente immortale… La differenziazione tra pulsioni sessuali e pulsioni dell'Io non farebbe che riflettere questa duplice funzione dell'individuo" (p. 448).

La verità sfiorata e mortificata riguarda l'essere l'individuo la parte di un tutto, che lo obbliga ad assumere determinati obblighi e doveri, l'avere egli consapevolezza di essere dotato di una realtà distinta dal tutto. Se anziché al phylum germinale, tale doppia vita viene ricondotta al gruppo sociale cui l'individuo appartiene, si giunge facilmente ad attribuire alla natura umana due bisogni intrinseci: il bisogno di appartenenza, che implica anche l'esercizio della sessualità, e il bisogno d'individuazione, che spinge l'uomo a realizzare la sua vocazione ad essere.

Freud non può giungere a tanto. L'ammissione della libido dell'Io, vale a dire di un narcisismo primario in virtù del quale si dà originariamente solo un amore cieco per se stesso, che coincide con una sorta di onnipotenza, porta però Freud a porsi un problema di grande importanza: "L'osservazione dell'individuo adulto normale rivela che la sua megalomania di un tempo si è smorzata e che sono sfumate le caratteristiche psichiche da cui avevamo inferito l'esistenza del suo narcisismo infantile. Cos'è accaduto della sua libido dell'Io?" (p. 463). Essa è stata rimossa a favore di un Io ideale al quale l'Io attuale fa riferimento e che assume come metro di misura di sé: "A questo Io ideale si rivolge ora quell'amore di sé di cui l'Io reale ha goduto nell'infanzia. Il narcisismo appare ora spostato su questo nuovo Io ideale che si trova in possesso, come l'Io di quando si era bambini, di tutte le più preziose qualità" (ppp. 463-464). Su questa base Freud giunge ad una prima formulazione intuitiva del Super-Io: "Non ci sarebbe niente si strano se riuscissimo a identificare una speciale istanza psichica che assolve il compito di vigilare affinché a mezzo dell'ideale dell'Io sia assicurato il soddisfacimento narcisistico, e a tal fine osserva costantemente l'Io attuale commisurandolo a questo ideale. Se tale istanza esiste, non è possibile che ci accada di scoprirla; possiamo solo riconoscerla come tale e ci è lecito dichiarare che ciò che chiamiamo la nostra "coscienza morale" ha questa prerogativa" (p. 465).

Ricavare la coscienza morale dalla rimozione e dallo spostamento sull'ideale dell'Io del narcisismo originario sembra francamente una forzatura. La coscienza morale non è solo un'immagine ideale di sé: essa comporta una trama di valori culturali, in parte interiorizzati dall'ambiente e in parte elaborati per conto proprio. Nonostante sia conscio di questo, Freud tenta comunque di ricondurre lo sviluppo dell'Io nell'ottica della libido: "Lo sviluppo dell'Io consiste nel prendere le distanze dal narcisismo primario e dà luogo ad un intenso sforzo inteso a recuperarlo. Questo allontanamento si effettua per mezzo dello spostamento della libido su un ideale dell'Io imposto dall'esterno, e il soddisfacimento è ottenuto grazie al raggiungimento di questo ideale" (470).

Si tratta, dunque, di una teoria confusa che apre però prospettive interessanti: "L'ideale dell'Io schiude importanti prospettive per la comprensione della psicologia delle masse. Oltre al suo aspetto individuale, questo ideale ha un aspetto sociale: esso è anche l'ideale che accomuna una famiglia, un ceto, una nazione" (p. 471). In questa frase c'è il ritorno della dimensione perennemente rimossa nella teoria freudiana: la dimensione della cultura che preesiste all'individuo e fornisce all'Io indispensabili strumenti di identificazione e di strutturazione.