CASO CLINICO DEL PICCOLO HANS (1908)

Opere volume 5 pp. 475 - 589

Dopo avere sistematizzato le sue idee sulla sessualità, sulla base dell'ipotesi di fondo per cui tutte le nevrosi riconoscono una matrice nelle vicissitudini della sessualità infantile, Freud, la cui teoria incontra non poche resistenze, sente sempre più intensamente il bisogno di fornire delle prove cliniche inoppugnabili a suo sostegno. Egli non capirà mai, neppure via via che le resistenze si riproducono all'interno del gruppo che si raccoglie intorno a lui, che esse non riguardano la scoperta dell'inconscio e il suo ruolo fondamentale nell'attività psichica umana, bensì il presupposto ideologico pulsionale che egli ritiene essenziale per capire l'inconscio.

Nel 1908 si offre a Freud la possibilità di fornire una prova a sostegno della sua teoria che egli ritiene inconfutabile. Si tratta infatti di una fobia che interviene in un bambino di cinque anni, figlio di una coppia di suo entusisti sostenitori. Egli ha avuto in cura la madre per una nevrosi riguardo alla quale non fornisce alcun'altra informazione. La cura, che porta alla risoluzione completa del sintomo, avviene attraverso l'assunzione da parte del padre del ruolo di analista del figlio. Freud guida naturalmente l'analisi e interviene una sola volta sul bambino.

La fobia in questione ha come contenuto la paura di essere morso da un cavallo. L'analisi della fobia si fonda sulla trascrizione che il padre di Hans fa dei colloqui avuti con il figlio.

La fobia insorge a cinque anni, ma si danno alcuni precedenti di interesse. Hans è un bambino sveglio e vivace, che manifesta precocemente un ingenuo interesse per il suo "fapipì" e per le differenze tra maschio e femmina che non riesce a decifrare. Le trascrizioni del padre riguardano anche colloqui intervenuti prima che Hans manifestasse dei problemi. Freud dà un grande valore a questo materiale, ma non si chiede perchè esso sia stato registrato. Il motivo è evidente. Il padre di Hans è un neofita della psicoanalisi e osserva con occhio attento lo sviluppo del figlio per cogliere dal vivo le prove della veridicità della teoria freudiana sullo sviluppo sessuale infantile. Quando Hans manifesta interesse per il suo "fapipì", per il "fapipì" degli animali e degli adulti, tale interesse viene di continuo sollecitato dal padre. L'attenzione da parte dei genitori per lo sviluppo sessuale del figlio è costante. Tale comportamento viene ritenuto da Freud encomiabile nella misura in cui esso sembra iscriversi nel quadro di un'educazione affrancata dalle abituali omissioni e "peccati educativi" (p. 557). Di fatto però, essi frustrano la curiosità del figlio: il padre non si fa vedere mai nudo da lui, la madre ha una qualche ritrosia, entrambi dimenticano di illustrare al figlio le differenze anatomiche tra uomo e donna e di come vengono al mondo i bambini. Quando egli ha tre anni e mezzo, e viene al mondo una sorellina, nonostante Hans sia in casa, si renda conto dell'intervento di un medico e, entrando in camera da letto dopo il parto, veda delle bacinelle piene d'acqua insanguinata, viene indotto a pensare che i bambini siano portati dalla cicogna.

L'atteggiamento dei genitori, insomma, per un aspetto è morboso in rapporto allo sviluppo sessuale del figlio, per un altro repressivo. Hans è nella fase della manipolazione allorché avviene un episodio importante: "A 3 anni e mezzo viene sorpreso dalla madre con al mano sul pene. Essa minaccia: -Se fai questo faccio venire il dottor A. che ti taglia il fapipì" (p.483). Un altro episodio analogo si verifica qualche mese dopo: "Hans ha 4 anni e 3 mesi. Stamattina la mamma gli fa come al solito il bagno, poi lo asciuga e lo incipria. Mentre la mamma gli mette il talco vicino al pene, curando di non toccarlo, Hans chiede: - perchè non ci metti il dito? "Mamma: - No, è un sudiceria. "Hans: - Che cosa? Una sudiceria? Perchè sudiceria? "Mamma: - perché non sta bene" (p. 491). Anche successivamente, i genitori insistono sull'inibire e il giudicare negativamente la tendenza che Hans ha a toccarsi il pene.

Sui genitori non è dato sapere molto altro. Qua e là risulta però che, presumibilmente esasperata dalla vivacità del figlio, la madre minaccia di abbandonarlo o di percuoterlo con il battipanni.

A 5 anni Hans sviluppa la fobia dei cavalli. L'avvento della fobia è preceduto da crisi di angoscia nel corso delle quali egli manifesta la paura di essere abbandonato dai genitori, soprattutto dalla madre, e regredisce nel bisogno di starle accanto e di essere coccolato da lei. E' al ritorno da una passeggiata con la madre che egli riferisce di avere avuto paura che un cavallo lo mordesse. Successivamente Hans manifesta tutti i sintomi della fobia: il terrore alla vista dei cavalli, l'evitamento, ecc. I contenuti della fobia si specificano. Hans non ha paura di tutti cavalli, ma solo di quelli attaccati agli omnibus e ai carri da trasporto, quando questi sono carichi. La paura è più intensa quando c'è un cavallo solo, e non riguarda solo l'essere morso. Hans pensa che quando i cavalli devono tirare un carico pesante, possono cadere e, caduti, scalciare. Egli si spaventa anche molto vedendo i carrettieri picchiare i cavalli e gridare "arrì". Ha paura infine anche dei finimenti intorno al muso.

En passant, Freud informa che "parecchio tempo prima della fobia, il bambino si turbava vedendo frustrare i cavalli delle giostre" (p. 563).

Questi dati, che attestano una viva sensibilità, orienterebbero, in termini di buon senso, a cogliere nel cavallo un essere che, imbrigliato, sottoposto ad uno sforzo pesante, frustato, cade e s'arrabbia. Se il morso è un'espressione di rabbia e, nello stesso tempo, di rimorso, il cavallo è Hans stesso, sottoposto dai suoi ad una sperimentazione pedagogica innovativa e repressiva al tempo stesso: spinto, in altri termini, a crescere bene e in fretta per soddisfare il narcisismo dei suoi, che si ritengono antesignani di un nuovo modello pedagogico, e a reprimere, in nome dei loro moralismi, le sue legittime curiosità. Perchè proprio il cavallo? Perchè evidentemente è il primo essere caduto sotto gli occhi di Hans con caratteristiche atte a promuovere l'identificazione.

Tutto questo è però troppo semplice per Freud, e soprattutto non coincide con la sua teoria.

Il padre, che evidentemente ha già comunicato a Freud le sue osservazioni precedenti, lo mette al corrente della situazione e gli chiede aiuto. Freud lo investe del ruolo di analista del figlio, che viene sottoposto ad estenuanti interrogatori analiticamente orientati. La conclusione cui Freud perviene sulla base dei colloqui trascritti è che "Hans è veramente un piccolo Edipo, che vorrebbe togliere di mezzo, sopprimere il padre per essere solo con la bella madre, per dormire con lei" (p. 562); "sotto la paura del cavallo che morde, espressa in un primo tempo, abbiamo scoperto la paura più profonda del cavallo che cade; e tutt'e due, il cavallo che morde e quello che cade, sono il padre, che punirà Hans per avere nutrito verso di lui desideri tanto cattivi" (573); "tutti i carri da trasloco o da carico e gli omnibus non sono che casse della cicogna in forma di carrozzoni, essi presentano interesse per il bambino solo in quanto riferimenti simbolici alla gravidanza… Dunque il cavallo che cade non era soltanto il padre che muore, ma anche la madre che partorisce" (p. 575). E' inutile aggiungere che il neonato è il figlio di Hans -Edipo.

La capacità di Freud di manipolare i dati psicologici fino a trarne fuori ciò che essi devono significare è affatto eccezionale. Eccezionale è anche la sua assoluta cecità sul contesto familiare e sociostorico all'interno del quale si realizza l'esperienza di un soggetto.